Ingiusta detenzione di un minorenne: il giudice deve liquidare l’indennità rispettando il tetto massimo normativamente stabilito

La Corte di Cassazione ribadisce che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, anche in caso di soggetto minorenne, il giudice, nel liquidare l’indennità, è vincolato al tetto massimo normativamente stabilito, che non può essere superato, fermo restando che il parametro aritmetico individuato per determinare la somma dovuta per ogni giorno di detenzione sofferto costituisce solo una base di calcolo la quale può essere aumentata o diminuita con riguardo alle contingenze specifiche del caso concreto .

Sul tema, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9987/21, depositata il 15 marzo. Il Ministero dell’economia e della finanza ricorre in Cassazione contro un’ordinanza della Corte d’Appello che accoglieva l’istanza di un minore , volta ad ottenere la riparazione dell’ingiusta detenzione . Il ricorrente lamenta la violazione di legge e vizio motivazionale , rilevando che la Corte territoriale ha modificato in aumento l’entità del ristoro calcolato secondo il parametro aritmetico in assenza di qualsiasi prova della sussistenza di un pregiudizio ulteriore. In realtà il legislatore ha già provveduto a differenziare le modalità di esecuzione della custodia cautelare tra maggiorenni e minorenni, quindi la Corte d’Appello avrebbe dovuto indicare ragioni specifiche a sostegno della maggiore lesività del comportamento del minore rispetto alla media. Il ricorso è fondato in quanto il Collegio ha già affermato il principio secondo il quale in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione , anche in caso di soggetto minorenne, il giudice, nel liquidare l’indennità, è vincolato al tetto massimo normativamente stabilito, che non può essere superato, fermo restando che il parametro aritmetico individuato per determinare la somma dovuta per ogni giorno di detenzione sofferto costituisce solo una base di calcolo la quale può essere aumentata o diminuita con riguardo alle contingenze specifiche del caso concreto Cass. n. 46772/2013 e che è pertanto necessario , per discostarsi in aumento dal parametro aritmetico, che siano accertati danni ulteriori rispetto alle normali conseguenze della privazione della libertà. Sotto tale profilo, anche se è ben possibile che il giudice attivi poteri officiosi, sta alla parte interessata assolvere all’onere di allegare l’esistenza di tali danni ulteriori, la loro natura e i fattori che ne sono causa, e darne la prova, che può essere fondata anche sul fatto notorio o su presunzioni Cass. n. 19809/2019 . La Corte d’Appello non ha quindi rispettato tali principi né per ciò che attiene la maggiore afflittività della detenzione per il minorenne, non considerando che per i soggetti di minore età l’ordinamento contempla modalità specifiche di detenzione che tengono conto delle peculiarità della minore età né per ciò che attiene la liquidazione dell’indennizzo. Per questi motivi la Suprema Corte annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla statuizione concernente il quantum della liquidazione, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Firenze.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 15 dicembre 2020 – 15 marzo 2021, n. 9987 Presidente Izzo – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. Il Ministero dell’economia e delle finanze ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata accolta l’istanza avanzata da C.P. , volta ad ottenere la riparazione dell’ingiusta detenzione - subita per 32 giorni in custodia in carcere presso istituto penale per minorenni e per 148 in regime di permanenza in casa, in relazione ai delitti di cui rispettivamente all’art. 609-octies c.p. e agli artt. 56, 629 e 612 c.p. - e liquidata la somma complessiva di Euro 43.770,04, alla quale la Corte di Appello è pervenuta facendo applicazione del criterio aritmetico e aumentando l’importo così risultante per la maggiore afflittività della detenzione stante la minore età e la natura infamante del reato a base della stessa nonché per la sussistenza di un disturbo post traumatico da stress, effetto della detenzione subita. 2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione di legge e vizio motivazionale, rilevando che la Corte di Appello ha modificato in aumento l’entità del ristoro calcolato secondo il parametro aritmetico in assenza di qualsivoglia prova della sussistenza di un pregiudizio ulteriore, che esulasse dalla lesività media della misura cautelare in sé. La deduzione secondo la quale la maggiore lesività della custodia cautelare sarebbe in re ipsa attesa la minore età del detenuto, per il ricorrente, ha natura apodittica e non delinea alcun profilo concreto dal quale possa evincersi un effettivo accrescimento del pregiudizio, ricollegabile alla custodia cautelare. La Corte di Appello ha espresso una valutazione di massima, formulata in astratto, completamente avulsa dal caso di specie e dalle sue risultanze probatorie. In realtà il legislatore ha già provveduto a differenziare rispetto ai maggiorenni le modalità di esecuzione della custodia cautelare nei confronti di soggetti minorenni. Dunque la Corte di Appello avrebbe dovuto indicare ragioni specifiche per le quali il trattamento subito dal P. , per quanto diversificato, sarebbe stato connotato da una maggiore lesività rispetto alla media. Sotto altro profilo il ricorrente rileva che non può considerarsi legittimamente resa l’osservazione del Collegio, secondo la quale il P. era stato detenuto per un reato infamante ciò in quanto la natura del reato contestato non vale di per sé ad attribuire una maggiore afflittività alla custodia cautelare. Un eventuale concreto danno alla reputazione avrebbe dovuto essere oggetto di specifica prova e ciò non è stato nè la Corte di Appello ha motivato in relazione alla sussistenza di un danno alla reputazione, ritenendo in re ipsa un maggior danno unicamente in ragione della natura dell’illecito contestato. Per altro versante ancora il ricorrente deduce che la motivazione fornita dalla Corte di Appello in ordine alla sussistenza di una lesione psichica permanente è del tutto apparente, posto che la corte territoriale si è limitata a recepire acriticamente la relazione della psicoterapeuta dottoressa M. , che peraltro contiene le dichiarazioni rese dal P. ma non elementi di prova atti a dimostrare quanto in essa riportato, ad esempio al riguardo di visite mediche e di disturbi psichici. In sostanza, la Corte di Appello non ha indicato in che modo la perizia fosse corredata dagli elementi di concretezza, di attendibilità e di rispondenza ad elementi probatori effettivi. Sul piano del merito il ricorrente rileva che non risulta che sia stato somministrato alcun test diagnostico, nè che sia stata ricercata conferma esterna delle circostanze affermate dal paziente, delle quali la psicoterapeuta non poteva avere avuto una cognizione diretta. Quindi la motivazione la Corte di Appello risulta manifestamente illogica, se non meramente apparente. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati. 3.1. Occorre muovere dal principio, che anche in questa sede si vuole ribadire, per il quale, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, anche in caso di soggetto minorenne, il giudice, nel liquidare l’indennità, è vincolato al tetto massimo normativamente stabilito, che non può essere superato, fermo restando che il parametro aritmetico individuato per determinare la somma dovuta per ogni giorno di detenzione sofferto costituisce solo una base di calcolo la quale può essere aumentata o diminuita con riguardo alle contingenze specifiche del caso concreto Sez. 4, n. 46772 del 24/10/2013 - dep. 22/11/2013, Marinkovic, Rv. 25763501 . È pertanto necessario, per discostarsi in aumento dal parametro aritmetico, che siano accertati danni ulteriori rispetto alle normali conseguenze della privazione della libertà. Sotto tale profilo, anche se è ben possibile che il giudice attivi poteri officiosi, sta alla parte interessata assolvere all’onere di allegare l’esistenza di tali danni ulteriori, la loro natura e i fattori che ne sono causa, e darne la prova, che può essere fondata anche sul fatto notorio o su presunzioni cfr. Sez. 4, n. 19809 del 19/04/2019, Candiano, Rv. 27633401 . L’apprezzamento della prova operato dal giudice non è sindacabile in sede di legittimità ove sostenuto da motivazione non manifestamente illogica e coerente alle emergenze probatorie. 3.2. Tenendo presente le premesse appena esposte, va ritenuto che la Corte di Appello non abbia fatto del tutto buon governo dei principi valevoli in tema di liquidazione dell’indennizzo. In senso critico va rilevato come la Corte di appello abbia ritenuto in generale la maggiore afflittività della detenzione per il minorenne, senza considerare che per tali soggetti l’ordinamento contempla modalità specifiche di detenzione, che tengono conto proprio delle peculiarità della minore età del ristretto. Sicché la motivazione che sostiene l’affermazione di un maggior patimento è manifestamente illogica. Nè tale affermazione acquista valenza per il caso specifico grazie al riferimento alla natura infamante del reato titolo di detenzione per quanto l’ordinanza non sia sufficientemente esplicita al riguardo, non sembra da condividere l’interpretazione offertane dal ricorrente, per il quale si sarebbe fatto riferimento ad un danno reputazionale conseguente alla carcerazione per il delitto sessuale. In realtà la Corte di appello ha voluto alludere ad una maggiore sofferenza morale del minore, derivante dall’esser stato tratto in carcere per un reato infamante. Può valere quindi l’evocazione di un risalente arresto delle Sezioni Unite, sia pure relativo a questione non esattamente coincidente a quella qui considerata. In tale occasione si è affermato che la liquidazione dell’indennizzo deve tenere conto del fatto che il grado di sofferenza cui è esposto chi, innocente, subisca la detenzione è di norma amplificato rispetto alla condizione di chi, colpevole, sia ristretto per un periodo eccessivo rispetto alla pena inflitta. Ne consegue che, se, in linea di principio, il diritto dell’innocente è da valutare in maniera privilegiata rispetto a quello del colpevole, tale conclusione non ha carattere assoluto, ed è compito esclusivo del giudice di merito considerare la peculiarità della situazione, adeguando la liquidazione alla specificità della fattispecie e motivando in modo puntuale sulla sua entità Sez. U, n. 4187 del 30/10/2008 - dep. 29/01/2009, Pellegrino, Rv. 24185601 . La Corte di appello avrebbe ben potuto valorizzare la natura infamante del reato per affermare che per il P. la detenzione determinò una maggiore sofferenza morale ma solo in presenza di elementi concreti, deponenti per una connessa frattura morale ed affettiva - reale o potenziale - tra il giovane e i propri familiari ed il proprio contesto di vita. 3.3. Quanto al secondo profilo investito dalle censure del ricorrente, queste risultano inammissibili, siccome sostanzialmente tendenti a patrocinare una diversa valutazione dell’elaborato tecnico prodotto dall’istante, con implicita sollecitazione a questa Corte di farla propria. Vale ricordare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati inconciliabili con atti del processo , specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460 Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778 Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775 Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989 . Pertanto, il ricorso per cassazione è ammesso per vizi della motivazione riconducibili solo, e tassativamente, alla motivazione totalmente mancante o apparente, manifestamente illogica o contraddittoria intrinsecamente o rispetto ad atti processuali specificamente indicati, nei casi in cui il giudice abbia affermato esistente una prova in realtà mancante o, specularmente, ignorato una prova esistente, nell’uno e nell’altro caso quando tali prove siano in sé determinanti per condurre a decisione diversa da quella adottata. Il giudice di legittimità non può conoscere del contenuto degli atti processuali per verificarne l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio, perché ciò è estraneo alla sua cognizione sono pertanto irrilevanti, perché non possono essere oggetto di alcuna valutazione, tutte le deduzioni che introducano direttamente nel ricorso parti di contenuto probatorio, tanto più se articolate, in concreto ponendo direttamente la Corte di cassazione in contatto con i temi probatori e il materiale loro pertinente al fine di ottenerne un apprezzamento diverso da quello dei giudici del merito e conforme a quello invece prospettato dalla parte ricorrente in tal senso anche Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015 - dep. 24/03/2015, Micciché, Rv. 262948 . La Corte di appello ha ritenuto di poter fare proprie le indicazioni provenienti dall’esperto del P. la contestazione della forma e del merito di tale contributo avrebbe dovuto essere condotta dinanzi alla Corte di appello e il giudice di legittimità sarebbe stato investito del controllo circa la rispondenza dell’impianto motivazionale anche ai rilievi del Ministero resistente. Ma, al proposito, il ricorrente non denuncia in alcun modo una omessa motivazione in ordine alle critiche alla consulenza avanzate dinanzi alla Corte di appello. 4. In conclusione l’ordinanza impugnata deve essere annullata limitatamente alla liquidazione di una maggior somma per il periodo di custodia in carcere, con rinvio alla Corte di appello di Firenze per nuovo esame sul punto. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla statuizione concernente il quantum della liquidazione, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di Appello di Firenze. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.