Il gestore “di fatto” risponde solo se ha concretamente agevolato l’illecito

Affinché il consulente/gestore di fatto di una società possa essere ritenuto responsabile del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, occorre che abbia posto in essere atti tipici di gestione, offrendo così un contributo obiettivo alle decisioni adottate da chi ha posto in essere la condotta illecita, nella consapevolezza delle implicazioni del comportamento tipico del soggetto qualificato.

Lo ha stabilito la Quarta Sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 3978/21, depositata il 2 febbraio, annullando con rinvio la decisione impugnata. La responsabilità del gestore di fatto. Secondo una consolidata interpretazione giurisprudenziale, sviluppatasi già prima dell’introduzione dell’art. 2639 c.c. ad opera della riforma del diritto penale societario di cui al d.lgs. n. 61/2002, il gestore di fatto” va individuato in colui che svolge in concreto le funzioni gestorie, cui è ricollegata la relativa posizione di garanzia rispetto agli obblighi penalmente sanzionati, ed è pertanto titolare dei relativi obblighi impeditivi, ex art. 40, comma 2, c.p Tale tesi è stata sostenuta pure dalla prevalente dottrina, la quale ha sottolineato come l’istituto del soggetto di fatto” sia maggiormente rispondente al principio di personalità della responsabilità penale art. 27, comma 1, Cost. ed alla conseguente necessità di garantire la maggiore effettività della fattispecie penale d’impresa, con l’ulteriore e non trascurabile conseguenza di prevedere e punire il reato in capo a chi effettivamente lo ha commesso. Al fine di individuare il soggetto di fatto” bisogna, in primo luogo, ed in base ai principi generali coniati dalla giurisprudenza, ripercorrere l’organizzazione aziendale interna, anche al fine di verificarne la conformità alla disciplina extrapenale in secondo luogo, occorre risalire alla posizione di garanzia , verificando che ad essa siano connessi gli obblighi impeditivi rispetto ai fattori che hanno cagionato l’offesa. In altri termini, va verificato chi, in concreto , svolge le funzioni di gestore , individuandolo quale diretto destinatario della norma penale nel momento in cui, mentre esercita la funzione gestoria tipica, pone in essere la condotta. Ulteriore quesito è se l’inciso per i reati previsti dal presente titolo” , di cui all’art. 2639, comma 1, c.c., riduca la portata normativa del citato articolo ai soli reati societari, ovvero ne consenta l’ estensione al diritto penale ambientale ed anche oltre. Secondo un recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, anche in tema di reati ambientali il gestore di fatto della società è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto il gestore di diritto , per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili. Per contro, secondo altro e risalente orientamento, ai reati ambientali non può essere applicato sic et simpliciter l’art. 2639 c.c. che, nel definire il soggetto di fatto, ha sancito l’equiparazione della responsabilità del gestore di fatto a quella del gestore di diritto con riguardo alle sole fattispecie penali societarie. In effetti, seguendo una interpretazione letterale dell’art. 2639, comma 1, c.c., appare possibile dedurre a contrario che l’equiparazione legislativa della responsabilità fra gestori di fatto e di diritto opera solo per i reati societari , e non anche per quelli ambientali. In ogni caso, la predetta equiparazione è subordinata - come già ritenuto dalla prevalente giurisprudenza in materia penale ambientale - ai requisiti della continuità della gestione aziendale consistente nella reiterazione di atti e comportamenti e della significatività dell’esercizio della funzione gestoria tipica per cui i poteri tipici esercitati dall’amministratore di fatto non devono essere marginali . non può essere presunta. La sentenza in commento appare particolarmente interessante, nella parte in cui ricollega direttamente la responsabilità penale del soggetto di fatto all’esistenza di prove dirette di atti tipici di gestione , preordinati ad attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. In tal guisa, la pronuncia de qua ribadisce che, con riferimento ai reati ambientali, l’accertamento della qualità di gestore di fatto va desunta da elementi sintomatici di gestione o cogestione della società , risultanti – ad esempio – dall'organico inserimento del soggetto, quale intraneus che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’ iter di organizzazione della società. Per contro, non sono sufficienti elementi meramente indiziari a sostegno della responsabilità penale del soggetto di fatto. Peraltro, conformemente al prevalente orientamento giurisprudenziale, l’inserimento nel contesto societario e l’espletamento di funzioni analoghe a quelle che spettano al gestore di diritto devono essere caratterizzati da una stabilità e da una continuità e congruità temporale tali da far ritenere il gestore di fatto quale organo strutturale dell’ente , non essendo sufficiente la mera assunzione della qualifica di consulente della società coinvolta. Il reato di gestione non autorizzata di rifiuti. Il reato di cui alla sentenza in commento si distingue, sotto vari profili, da quello di cui all’art. 256 d.lgs. n. 152/2006. In relazione a quest’ultima fattispecie, la giurisprudenza ha recentemente stabilito che è imputabile il prevenuto che esegua il trasporto di rifiuti speciali non pericolosi in violazione delle prescrizioni contenute nel provvedimento di iscrizione all'Albo Nazionale Gestori Ambientali, che abilita la ditta all'attività di trasporto rifiuti. La contravvenzione di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni è infatti un reato di pericolo, la cui configurabilità presuppone la violazione delle prescrizioni imposte per l'esercizio di attività organizzata di gestione di rifiuti, non essendo richiesto che la condotta sia anche idonea a ledere concretamente il bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice. Parimenti, il reato di cui all'art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, riguardante, in via ordinaria e sull'intero territorio nazionale, l'attività di gestione di rifiuti non autorizzata, contempla segnatamente la condotta di chiunque effettui, tra le altre, una attività di trasporto ebbene, con riguardo a tale fattispecie, plasmata, nelle sue componenti, in maniera, assolutamente uguale a quella impiegata dalla norma speciale” ex lege n. 210/2008, la giurisprudenza non ha mai dubitato del fatto che per la integrazione della stessa, avente natura di reato istantaneo e solo eventualmente abituale, in quanto perfezionantesi nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica, sia sufficiente un unico trasporto , da ciò discendendo, evidentemente, la non necessità di requisiti di continuatività e stabilità di sorta. Peraltro, nel caso di continuatività dell'attività di trasporto , in quanto parte integrante, sia pure marginale, dell'organizzazione dell'impresa, occorre, ai sensi dell'art. 212, comma 8, del citato decreto, l'iscrizione semplificata dell'impresa nell'albo gestori ambientali in ogni caso, è sempre vietato il trasporto occasionale dei rifiuti prodotti dalla stessa impresa, la quale deve rivolgersi a gestore abilitato all'esercizio professionale di attività di trasporto dei rifiuti altrui. L’art. 256 d.lgs. n. 152/2006 prevede due distinte ipotesi di reato nel primo comma, non è sufficiente il mero abbandono o deposito incontrollato di rifiuti, che può essere anche occasionale, occorrendo invece un'attività, necessariamente organizzata , di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio o intermediazione di rifiuti nel secondo comma, è invece sufficiente l'abbandono o il deposito in modo incontrollato di rifiuti. Quest'ultima condotta implica che l'autore del fatto sia titolare di un'impresa, mentre la condotta del primo comma può essere posta in essere da chiunque.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 gennaio – 2 febbraio 2021, n. 3978 Presidente Piccialli – Relatore Pavich Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza resa il 3 luglio 2020 e depositata il 6 luglio 2020 , il Tribunale del Riesame di Genova ha parzialmente riformato l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva applicato a A.F. la misura cautelare degli arresti domiciliari, sostituendola con la misura interdittiva del divieto di esercitare per un anno la professione di avvocato ed ogni ufficio direttivo di persone giuridiche e/o imprese, anche in veste di consulente aziendale. Tanto in relazione a un’incolpazione per il reato di concorso in attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti capo 2 dell’imputazione provvisoria a lui contestato come commesso in periodo complessivo dell’attività illecita compreso dal omissis . Conviene sintetizzare brevemente la vicenda da cui è scaturito il presente procedimento penale. 1.1. Nel mese di omissis , una forte burrasca colpiva il Golfo del Tigullio, con una mareggiata che cagionava danni ingenti nella zona di omissis . In particolare, numerose imbarcazioni da diporto venivano distrutte o danneggiate gravemente, ed in molti casi affondate, nelle acque antistanti il porto turistico omissis . Sorgeva pertanto la necessità di liberare lo specchio acqueo e il fondale dai relitti necessità in esito alla quale la Capitaneria di Porto competente dispose che al recupero e allo smaltimento delle imbarcazioni distrutte provvedessero la Società Porto Turistico Carlo Riva e gli armatori delle singole unità danneggiate. Nel gennaio 2019 quasi tutti gli armatori si accordarono con il Porto Turistico affinché quest’ultimo si incaricasse del recupero e dello smaltimento dei relitti. In una prima fase le attività connesse venivano assegnate alla Metalcost ma, dopo che solo 4 relitti erano stati rimossi, la direttrice del omissis , S.M. , decideva di non voler più sostenere i costi dell’operazione, in quanto troppo onerosi. A quel punto la S. si rivolgeva a C.P. , legale rappresentante della British Shipways, soggetto ritenuto vicino a clan camorristici e a sua volta coinvolto nel presente procedimento, unitamente alla S. il C. poteva assicurare un prezzo nettamente più vantaggioso pattuito in ragione di 480 Euro per ogni tonnellata da smaltire in quanto - secondo l’impostazione accusatoria - la British operava al di fuori di qualsiasi regime autorizzatorio, senza ricorrere a personale qualificato e senza attenersi alla disciplina in materia antinfortunistica e ambientale. Le operazioni di recupero e smaltimento venivano effettuate, secondo l’accusa, in maniera abusiva ed interessavano in tutto 85 imbarcazioni per un totale di 764 tonnellate di rifiuti speciali misti pericolosi e non pericolosi rifiuti che venivano recuperati ivi compresi quelli dispersi in mare entro il mese di aprile 2019, e smaltiti in alcune discariche a omissis . Alla fine di aprile del 2019, il C. veniva tratto in arresto per tentato omicidio e sottoposto a fermo, avendo tentato la fuga dopo avere esploso alcuni colpi di pistola all’indirizzo di tale omissis senza attingerlo. La S. , dopo la sottoposizione del C. alla misura cautelare dell’obbligo di dimora in , non recedeva dai suoi rapporti professionali con il medesimo, al quale continuava a chiedere i certificati dimostrativi dell’avvenuto smaltimento dei rifiuti, di cui intendeva giustificare l’esecuzione agli occhi di organi di controllo e armatori ma il 26 maggio 2019 la misura cautelare applicata al C. veniva aggravata e sostituita da quella della custodia in carcere. Ciò preoccupava molto la S. , la quale però non revocava l’incarico al C. , il quale nel frattempo aveva conferito alla figlia F. l’incarico di gestire la British Shipways al suo fianco veniva posto l’A. , con l’incarico di collaboratore tecnico e consulente con contratto stipulato il 17 maggio 2019 , ma - secondo l’accusa - vero e proprio dirigente di fatto della British. In tale veste, sempre secondo l’assunto accusatorio, l’A. partecipava alla riunione del 29 maggio 2019 con la S. e C.F. , finalizzato a rassicurare la direttrice del Porto Turistico della prossima consegna della documentazione e delle certificazioni. 1.2. In definitiva si addebita quindi all’A. di avere sostanzialmente partecipato alla gestione dell’attività illecita, dal momento in cui il C. , colpito da misure cautelari, non era più nelle condizioni di provvedervi. La sopra indicata prospettazione accusatoria, così come articolata nel provvedimento applicativo della primigenia misura coercitiva, è pienamente recepita dal Tribunale del Riesame, a parte la modifica in melius delle statuizioni cautelari. 2. Avverso la prefata ordinanza insorge l’A. , con atto articolato in quattro motivi a firma dell’avv. Stefano Savi , cui si sono aggiunti tre motivi nuovi a firma dell’avv. Carmine Aloja . 2.1. Con il primo motivo del ricorso principale, il ricorrente denuncia vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della condotta a lui contestata. Quest’ultima viene indicata come affetta da illiceità e qualificata come compartecipazione al reato p. e p. dall’art. 452-quaterdecies c.p. sulla base di asserzioni apodittiche e basate unicamente sul rapporto di consulenza instaurato tra l’A. e la British Shipways S.r.l Non si considera, nel provvedimento impugnato, che l’A. entra in scena nel maggio 2019 vi fu un primo breve incontro informale il , mentre è del omissis la stipula del suo contratto di consulenza con la British , dunque in epoca successiva all’integrale rimozione dei rifiuti dallo spazio acqueo del Porto Turistico di 18 aprile 2019 e all’applicazione della prima misura cautelare al C. per il tentato omicidio di omissis . Inoltre la sottoposizione a sequestro dei siti ove erano stati allocati i relitti omissis segue di qualche giorno sia - come si è visto l’assunzione, da parte dell’A. , della qualifica di consulente della British, sia la sottoposizione del C. a misura inframuraria che è del 26 maggio 2019 , sia infine il colloquio riportato nell’ordinanza impugnata, in cui Marina S. sollecitava C.F. e l’A. affinché rilasciassero le certificazioni dell’avvenuto smaltimento. Non emergono, in sostanza, nè vengono in alcun modo descritti e riscontrati nell’ordinanza impugnata comportamenti idonei a integrare un’attività illecita da parte dell’odierno ricorrente nè, del resto, la sola assunzione della gestione di fatto della società British, quand’anche fosse nella realtà esistente, può di per sé implicare la compartecipazione ad attività illecite, posto che la predetta Società svolge anche una molteplicità di attività del tutto lecite. Il fatto, poi, che la C. , nell’ottobre 2019, si avvaleva ancora dell’aiuto dell’A. nel proporre ad alcuni armatori l’acquisto di residui di imbarcazioni nulla ha a che vedere con l’attività illecita per cui oggi è processo. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione a proposito dell’elemento soggettivo, ossia della volontà e della consapevolezza di concorrere nel reato. Nulla emerge a proposito di una presunta consapevolezza dell’A. di un’attività criminosa l’unico appiglio argomentativo a tal fine, nella motivazione dell’ordinanza impugnata, è costituito dall’intercettazione della conversazione tra l’odierno ricorrente e l’autista tuttofare D.F. , al quale l’A. chiede come sono state trasportate le barche dal porto di di cui ipotizza la natura di rifiuti speciali ricevendone rassicurazioni dal D.F. , secondo il quale le barche non sarebbero rifiuti speciali ed inoltre sono uscite tutte in regola da là . . Non è sostenibile, secondo il ricorrente, che siffatto dialogo sia prova di una qualche consapevolezza dell’illiceità della condotta della British e a quella data del resto l’A. non aveva ancora ricevuto formalmente l’incarico di consulente della Società. È poi contraddittoria la motivazione dell’ordinanza impugnata laddove l’accettazione del piano criminoso da parte del ricorrente si fonda su una conversazione nella quale il ricorrente medesimo manifesta dubbi circa la qualificazione dei relitti come rifiuti speciali è la stessa ordinanza a precisare che i relitti non sono in sé rifiuti speciali, ma lo diventano al momento dell’avvio delle operazioni di demolizione . In ogni caso, prosegue il deducente, il solo fatto di accettare l’incarico di consulente senza poteri decisionali di una società che avrebbe effettuato uno sgombero irregolare del Porto di non equivale a sostenere la volontà di proseguire nell’attività illecita. Nè a tanto vale il fatto di non aver preso le distanze dalle attività illecite compiute dal C. , condotta che - a tutto concedere - sarebbe qualificabile come connivenza non punibile, non certo come concorso nel reato. 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari. L’assunto secondo il quale l’A. avrebbe strumentalizzato la sua posizione di professionista a fini illeciti, ossia mettendola a disposizione di un personaggio come il C. , tradisce l’assenza di prove di un pericolo di reiterazione del reato ipotizzato il C. era stato sottoposto a misura cautelare per tentato omicidio e non per ragioni connesse con la gestione della società oltre all’assenza di elementi sulla pericolosità dell’A. , difettano anche gli elementi a sostegno dell’attualità e della concretezza del pericolo di reiterazione del reato, declamati unicamente mediante il ricorso a clausole di stile, in assenza cioè di qualsivoglia indicazione dell’elevata probabilità della nuova commissione di un fatto criminoso e della possibilità di una nuova occasione per delinquere. 2.4. Con il quarto e ultimo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione in relazione alla scelta della misura cautelare e alla sua durata massima nulla può sostenere il collegamento fra le ipotizzate esigenze cautelari e la professione forense dell’A. , nè del resto l’attività contestata ha a che vedere con l’esercizio di uffici direttivi di persone giuridiche e imprese. 3. Circa i tre motivi nuovi a firma dell’avv. Aloja, essi riguardano, in sintesi il primo, la mancata individuazione del contributo causale dell’A. al reato a lui contestato il secondo, l’assunto della consapevolezza dell’A. circa l’illiceità del traffico di rifiuti e il fatto che l’incontro programmato dal C. con la S. e l’A. avesse ad oggetto i traffici illeciti il terzo, le esigenze cautelari. Poiché i suddetti motivi, benché ampiamente illustrati, sono in larga parte ripropositivi di quelli principali, si fa qui rinvio a quanto dedotto in questi ultimi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. In specie, è dirimente quanto dedotto dal ricorrente nel primo motivo, circa le carenze motivazionali dell’ordinanza impugnata in punto di gravità indiziaria a carico dell’A. . 1.1. Conviene muovere dal paradigma del delitto oggetto di imputazione provvisoria l’art. 452-quaterdecies c.p. erede del vecchio testo unico ambientale approvato con D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 punisce, come noto, chiunque al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti. Detto reato ha natura di reato abituale proprio e si consuma, pertanto, con la cessazione dell’attività organizzata finalizzata al traffico illecito da ultimo vds. Sez. 3, Sentenza n. 16036 del 28/02/2019, Zoccoli, Rv. 275395 . 1.2. È quindi pertinente, in primo luogo, l’osservazione del ricorrente a proposito della cadenza temporale degli avvenimenti, atteso che effettivamente il ruolo attribuito all’A. emerge, a tutto concedere, il 2019, ma viene formalizzato esclusivamente il omissis , comunque in epoca certamente successiva alla completa rimozione, dal Porto Turistico di , dei rifiuti provenienti dai relitti danneggiati e trasportati nei siti di omissis rimozione che era già intervenuta, come si è visto, il 18 aprile 2019 , e senza che sia chiarito fino a quale data sia proseguita l’attività di smaltimento dei predetti rifiuti, attività che risulterebbe cessata pochi giorni dopo, ossia il omissis , data del sequestro eseguito presso i siti in cui erano stati smaltiti i relitti. Ma soprattutto, le carenze argomentative dell’ordinanza impugnata si registrano in ordine a quello che sarebbe stato l’apporto agevolativo dell’A. alla sopra descritta condotta tipica del reato contestato. Le conversazioni intercettate e riportate nell’ordinanza impugnata descrivono, infatti, un rapporto di conoscenza tra l’odierno ricorrente e il C. , il quale coinvolge l’A. nelle attività della società e gli prospetta la possibilità di intraprendere nuove iniziative con la S. e l’opportunità di reperire persone qualificate in grado di supportare le figlie nella sede della Società ma non viene chiarito nè, a conti fatti, viene descritto dal Collegio ligure in che cosa sarebbe consistito lo specifico contributo materiale o morale di cui si addebita la realizzazione ad A. il quale - quand’anche fosse poi subentrato nella gestione della British - interviene comunque quando la bonifica del porto è stata già effettuata, mentre non è dato comprendere a quale titolo egli dovrebbe rispondere per non avere preso le distanze dal C. . Costui del resto, durante i primi contatti fra i due, si trovava bensì sottoposto a misura cautelare, ma per ipotesi di reato del tutto eccentrica rispetto ai fatti per cui si procede. 1.3. In definitiva, ciò che emerge dall’ordinanza impugnata è che l’A. viene reputato quale concorrente del reato essenzialmente in relazione al fatto di avere assunto la qualifica di consulente e, forse, di gestore o co-gestore di fatto della British, per un periodo compreso fra il omissis e il omissis data del sequestro dei rifiuti presso i siti di omissis , pur essendo ipoteticamente nelle condizioni di dubitare della liceità della condotta pregressa della Società medesima ma senza che, dopo l’assunzione della predetta qualifica e fino alla data del sequestro dei rifiuti, vengano specificamente descritte condotte attribuibili all’A. e qualificabili come contributo agevolativo nel reato a lui ascritto. 1.4. È appena il caso di dire che analoghi profili di assertività e di apoditticità si registrano in ordine al profilo dell’elemento soggettivo, ossia in particolare della consapevolezza e della volontà dell’A. di contribuire all’attività illecita di cui al secondo motivo del ricorso a ben vedere, tra l’altro, lo stesso contenuto del colloquio con l’autista D.F. suggerisce un suo atteggiamento dubitativo e guardingo in ordine ai rifiuti già trasportati fuori del porto, di fronte al quale il suo interlocutore cerca di rassicurarlo in ordine alla regolarità delle operazioni il che mal si concilia, sul piano logico, con un intendimento di cooperare nell’ipotizzata attività criminosa. Quanto precede, all’evidenza, ha valore assorbente di ogni questione in ordine alle esigenze cautelari oggetto del terzo motivo di lagnanza , riguardo alle quali pure il provvedimento impugnato non si appalesa esaustivo nell’individuazione del pericolo di reiterazione del reato da parte dell’odierno ricorrente, a fronte della specifica posizione a lui attribuita e di quella in concreto accertata. 2. L’ordinanza impugnata va perciò annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Genova. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Genova, Sezione Riesame.