L’autorizzazione paesistica postuma vale solo per gli abusi “minori”

In tema di reati paesistici di cui all’art. 181 del d. lgs. n. 42/2004 cosiddetto Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio , essendo la possibilità di un’autorizzazione paesistica postuma espressamente esclusa dalla legge, ad eccezione dei casi tassativamente individuati dall’art. 167, commi 4 e 5 relativa agli abusi minori”, tale preclusione, considerato che l’autorizzazione paesistica è presupposto per il rilascio del permesso di costruire, impedisce anche la sanatoria urbanistica ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, e l’eventuale emissione della predetta autorizzazione paesistica in spregio a tale esplicito divieto, oltre a non produrre alcun effetto estintivo dei reati, non impedisce neppure l’emissione dell’ordine di rimessione in pristino.

Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 190/21, depositata il 7 gennaio. I reati paesistici Preliminarmente, giova ricordare che la vigente legislazione in materia di reati paesistici è finalizzata alla tutela di beni finali di alto rango, mediante una tutela anticipata delle funzioni amministrative di controllo e vigilanza sull’integrità del paesaggio. Tutta la disciplina penale paesistica appare infatti caratterizzata dall’indeterminatezza dei soggetti esposti alle potenziali offese, nonché dalla serialità di queste ultime dovuta alla professionalità dell’attività esercitata . Stanti tali fondamentali caratteristiche, le attività connesse ai beni sovraindividuali quale appunto è il paesaggio vanno perciò esercitate in conformità alle prescrizioni dell’autorità amministrativa per lo più attraverso il previo ottenimento di autorizzazioni dagli organi preposti alla tutela del relativo vincolo . Ciò in quanto il controllo delle attività economiche presuppone obblighi informativi, e corrispondenti poteri di acquisizione di dati e notizie, in capo agli Enti locali o alle Agenzie di controllo, istituite in seno ai Ministeri competenti. Guardando nello specifico ai reati paesaggistici, potrà notarsi che la sanzione penale colpisce sia il discostamento dalle condizioni, indicate nel provvedimento amministrativo, per l’esercizio dell’attività edilizia, sia l’elusione della preventiva autorizzazione/abilitazione amministrativa, a prescindere dal concreto verificarsi di un’offesa per i beni giuridici tutelati cfr. Cass. Pen., n. 39744/2002 . Del pari, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, in tema di protezione delle bellezze naturali, il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, dopo l’esecuzione di lavori in zona vincolata, avvenuti in difetto della predetta autorizzazione, non determina l’estinzione del reato previsto dall’art. 163 d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 ora art. 181 d.lgs. n. 42/2004 , ma ha il solo effetto di escludere la remissione in pristino dello stato dei luoghi ciò in quanto l’amministrazione ha valutato l’intervento e lo ha ritenuto compatibile con l’assetto paesaggistico dell'area interessata cfr. Cass. Pen., n. 37318/2007 . In ogni caso, il rilascio postumo dell’autorizzazione paesistica da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo non determina l’estinzione del reato paesaggistico art. 181, d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 poiché tale effetto non è espressamente previsto da alcuna disposizione legislativa avente carattere generale, mentre il nulla osta paesaggistico ha l’effetto di escludere l’emissione o l’esecuzione dell’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi cfr. sempre Cass. Pen., n. 37318/2007 . ed il principio di offensività. La compatibilità del principio di offensività con i reati di pericolo presunto o astratto , quali sono i reati paesistici, è ampiamente discussa in dottrina. Nei predetti reati, infatti, il giudice è tenuto soltanto a verificare che il fatto storico sia conforme alla fattispecie astratta. Tali fattispecie sono modellate dal legislatore sulla base di indagini scientifiche e statistiche anche solo probabilistiche , di regole d’esperienza, nonché della possibilità non remota del verificarsi di un pericolo. Sussiste pertanto una contraddizione fra il carattere presuntivo del pericolo e il potere-dovere del giudice di verificare che il fatto storico sia conforme alla fattispecie astratta. In relazione a tali reati, è dunque bene configurare non l’obbligo, per il Pubblico Ministero, di provare il pericolo, bensì il diritto dell’imputato di dimostrare l’assenza del pericolo attraverso una prova liberatoria. Tutto ciò, peraltro, reca con sé il rischio che il giudice punisca condotte prive, in concreto, della pericolosità configurata in astratto dal legislatore, in contrasto con gli artt. 24, 27, co. 1 e 2, e 111 della Carta Costituzionale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 novembre 2020 – 7 gennaio 2021, n. 190 Presidente Izzo – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 2 maggio 2019 ha parzialmente riformato, rideterminando la pena originariamente inflitta, la sentenza con la quale, in data 22 giugno 2018, il Tribunale di Treviso aveva affermato la responsabilità penale di S.P. in ordine ai reati di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c , per aver realizzato, su terreno di sua proprietà sottoposto a vincolo paesaggistico ed idrogeologico, in assenza di permesso di costruire ed autorizzazione paesaggistica, un manufatto su unico piano, lungo m. 4,20 circa, profondo m. 2,80 circa con altezza al colmo di m. 2,30 circa, con copertura in travi e tavole in legno, impermeabilizzata con carta catramata e ricoperta da materiale di riporto prelevato sul posto e sorretta da colonne in mattoni e cordonatura in cemento armato, ancorate al terreno a mezzo di supporti in ferro inglobati verosimilmente in cemento, il tutto previa sistemazione e livellamento del terreno con escavazione della scarpata boscata in omissis . Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, osservando che la Corte territoriale avrebbe ritenuto la sussistenza del vincolo sulla base di dichiarazioni di due testimoni, valorizzate senza aver tenuto conto di quanto dichiarato da altri testi escussi e riportato in ricorso. Osserva, inoltre, che il vincolo non sarebbe stato indicato nel certificato di destinazione urbanistica rilasciato prima dell’esecuzione dei lavori e sarebbe stato inserito soltanto nel 2016 nella carta dei vincoli comunali. Rileva, altresì, che la Corte di appello avrebbe affermato, del tutto illogicamente che, non essendo attualmente possibile la sanatoria delle opere realizzate, sussiste il reato previsto per gli interventi in zona vincolata per un fatto commesso, però, quando l’area interessata non era qualificata area agricola boscata . 3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che la mancata conoscenza del vincolo sarebbe stata indotta dal contenuto della documentazione rilasciata dall’amministrazione e che, indipendentemente dalla natura meramente ricognitiva di tale documentazione, si sarebbe comunque determinata un’ignoranza incolpevole circa la sussistenza del vincolo. 4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., richiesta dalla difesa ma esclusa dalla Corte del merito soltanto con riferimento alla violazione urbanistica e non anche a quella paesaggistica. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso. 5. In data 26 ottobre 2020 l’interessato ha presentato, a mezzo posta elettronica certificata, istanza di rinvio dell’udienza, con sospensione dei termini di prescrizione dei reati, motivata dalla circostanza che, per le opere oggetto di imputazione, sarebbe pendente un’istanza di sanatoria presentata il 18 aprile 2019 all’amministrazione comunale, ancora pendente e che verrà esaminata al temine del presente periodo di emergenza sanitaria. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Deve preliminarmente rilevarsi come la richiesta di rinvio non possa essere accolta. Invero, come dichiarato dallo stesso interessato, detta domanda risulta essere stata presentata all’amministrazione comunale il 18 aprile 2019, in epoca di gran lunga precedente all’attuale periodo di emergenza sanitaria, che non può dunque ritenersi causa della mancata disamina, non intervenuta nei termini di legge. Occorre infatti tenere presente quanto stabilito dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, comma 3, secondo cui sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata , sicché nel caso di specie deve ritenersi da tempo ampiamente perfezionato il silenzio-rifiuto. Le opere realizzate, inoltre, risultano non essere suscettibili di sanatoria, come meglio di seguito specificato riguardo al contenuto del primo motivo di ricorso. 3. Ciò premesso, occorre osservare, con riferimento, appunto, al primo motivo di ricorso, che lo stesso è articolato in fatto, contiene richiami ad atti del procedimento e riporta brani di dichiarazioni testimoniali estrapolate dai relativi verbali, sostanzialmente sollecitando un’autonoma valutazione del compendio probatorio non consentita in sede di legittimità. Tale evenienza, di per sé, è sufficiente per rilevare la inammissibilità del motivo di impugnazione, il quale risulta, in ogni caso, manifestamente infondato. 4. Va considerato, a tale proposito, che l’oggetto dell’imputazione riguarda la realizzazione di un manufatto in zona vincolata, previo sbancamento del terreno, in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica. La tipologia delle opere e le caratteristiche costruttive del manufatto non sono in discussione e lo stesso ricorrente ne ammette pacificamente la realizzazione nella premessa al ricorso. Il vincolo, secondo quanto risulta dalle sentenze di merito, riguarda la presenza di un bosco e di un corso d’acqua a meno di 150 metri. Si tratta, dunque, di vincolo imposto ex lege ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, lett. c e g e va ricordato che, con specifico riferimento alle aree boscate, la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di affermare che, una volta accertata la natura boschiva di un’area, essa produce effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali e comporta l’ineludibile obbligo di presentare all’amministrazione competente il progetto degli interventi che si intendano intraprendere affinché l’area non venga distrutta o vi siano introdotte modificazioni che possano recare pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione Sez. 3, n. 19533 del 5/2/2015, Fagorzi, non mass. . L’accertamento in fatto della sussistenza del vincolo paesaggistico è, inoltre, questione rimessa al giudice di merito, il quale, nella fattispecie, ha dato conto non soltanto di quanto specificato dai testimoni escussi, ma anche del contenuto della documentazione acquisita, rilevando espressamente che la circostanza dell’inserimento del vincolo nella tavola comunale soltanto nel 2016, più volte richiamata in ricorso, non è in alcun modo rilevante, trattandosi, nella fattispecie, di area il cui interesse ambientale è riconosciuto dalla legge e risultava, peraltro, indicato in parte nella certificazione allegata all’atto di compravendita. 5. Del tutto inconferenti risultano, inoltre, i riferimenti effettuati in ricorso alla procedura di sanatoria attivata dall’imputato. In disparte la questione, già rilevata, della formazione del silenzio rifiuto a mente del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, in ricorso non si tiene in alcun conto che tale procedura riguarderebbe semmai, in astratto, il solo abuso urbanistico e non anche quello paesaggistico e che, in nessun caso, per quanto è dato rilevare dalle sentenze e dal ricorso, potrebbe essere legittimamente rilasciato un titolo abilitativo in sanatoria. Invero, le opere non sono, in primo luogo, conformi alla destinazione di zona, essendo l’area classificata come E1.BC2, zona territoriale omogenea, a bosco, a pascolo ed improduttiva - di bassa collina dove è possibile soltanto l’edificazione di annessi rustici funzionali all’attività di un’azienda o consorzio forestale pag. 4 e 5 della sentenza di primo grado , sicché difetta il necessario requisito della doppia conformità di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, che nulla ha a che fare con il vincolo come sembra ipotizzare il ricorso pag. 14 . Va ricordato, a tale proposito, che in base al menzionato art. 36, la sanatoria può essere ottenuta quando l’opera eseguita in assenza del permesso sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati o non in contrasto con quelli adottati, tanto al momento della realizzazione dell’opera, quanto al momento della presentazione della domanda, che può avvenire fino alla scadenza dei termini di cui all’art. 31, comma 3, art. 33, comma 1, art. 34, comma 1 e, comunque, fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative. 6. La presenza del vincolo paesaggistico, inoltre, costituisce un ulteriore, insormontabile ostacolo al rilascio del permesso di costruire in sanatoria, oltre a quello, appena evidenziato, dell’assenza del requisito della doppia conformità. Infatti, un eventuale permesso di costruire in sanatoria sarebbe comunque subordinato al conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 146, il quale, come è noto, ne disciplina la particolare procedura di rilascio e stabilisce espressamente, al comma 4, che essa costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico - edilizio e che, fuori dai casi di cui all’art. 167, commi 4 e 5, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi . Riguardo all’eccezione rappresentata dall’art. 167, commi 4 e 5, occorre ricordare che la L. n. 308 del 2004 c.d. Legge - delega ambientale , apportando consistenti modifiche al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, ha, tra l’altro, previsto la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi definibili come minori , all’esito della quale, pur mantenendo ferma l’applicazione delle misure amministrative pecuniarie previste dall’art. 167, non si applicano le sanzioni penali stabilite per il reato contravvenzionale contemplato dell’art. 181, comma 1. Tali interventi suscettibili di sanatoria riguardano soltanto, come stabilito dal comma 1-ter, i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3. Tali interventi possono, come si è detto, essere definiti minori in quanto caratterizzati da un impatto sensibilmente più modesto sull’assetto del territorio vincolato rispetto agli altri considerati nella medesima disposizione di legge. La procedura per il conseguimento della valutazione postuma di compatibilità paesaggistica è disciplinata del menzionato art. 181, comma 1-quater, il quale dispone che il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi in questione deve presentare apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo, la quale si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza, da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Si tratta, dunque, di una ipotesi del tutto marginale e non applicabile alla fattispecie in esame, che riguarda interventi con creazione di nuova volumetria , al di fuori della quale opera il disposto del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146, che, come si è detto, stabilisce perentoriamente che l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi. In tal senso si è pronunciata anche la giurisprudenza amministrativa osservando che, ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 167, comma 4, lett. a , l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, è consentito esclusivamente in relazione a quei lavori che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati ex pl., Cons. Stato, Sez. II 24/6/2020, n. 4045 sicché, in presenza di incrementi di superficie o cubatura, anche di modesta entità, la norma impedisce tassativamente il rilascio della sanatoria paesaggistica, per cui la reiezione della relativa istanza assume carattere vincolato Cons. Stato Sez. VI n. 6300 del 19 ottobre 2020 . Va, inoltre, considerato un altro aspetto significativo, riguardante prettamente la disciplina urbanistica di cui al D.P.R. n. 380 del 2001. La giurisprudenza amministrativa Cons. Stato Sez. 2 n. 4045 del 24/6/2020 , richiamando i contenuti del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146, comma 4, art. 159, comma 5 e art. 167, commi 4 e 5, ha infatti osservato come tali disposizioni non consentano la sanatoria edilizia di interventi realizzati in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, in quanto ammettono il rilascio di un provvedimento di compatibilità soltanto nel caso degli abusi minori vengono richiamate, ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 26 marzo 2014, n. 1472 e 30 maggio 2014, n. 2806 , rilevando, altresì, che l’art. 167, in particolare, nel consentire l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica si riferisce esclusivamente ai lavori realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati . Rileva conseguentemente il Consiglio di Stato che, sebbene l’istituto dell’accertamento di conformità disciplinato dal D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 45 , possa eccezionalmente trovare applicazione anche in caso di opere eseguite su aree soggette a vincolo paesaggistico, esso rimane, in tale caso, comunque subordinato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 146, ma, dal momento che detto rilascio deve normalmente intervenire prima dell’inizio dei lavori, l’ambito di applicazione di tale disposizione resta confinato alle sole ipotesi dell’acquisizione dell’autorizzazione in sanatoria alle ai sensi dell’art. 167, commi 4 e 5, dovendosi conseguentemente escludere che ciò possa avvenire nel caso in cui siano stati illegittimamente realizzati nuovi volumi. Il giudice amministrativo ha evidenziato anche che tale stato di cose è strettamente connesso con la particolare rilevanza costituzionale attribuita dal legislatore ai beni ambientali, in quanto la garanzia degli stessi non sarebbe solo fine a se stessa, ma anche strumentale alla preservazione di beni fondamentali come la salute e la vita, sicché nel confronto tra interesse pubblico all’utilizzazione controllata del territorio e interesse del privato alla sanatoria deve, quindi, ritenersi senz’altro prevalente l’interesse pubblico a che lo stato dei luoghi sia ripristinato. In altre occasioni si è anche considerata espressamente la conformità al dettato costituzionale della più rigorosa disciplina di tutela del paesaggio, osservando, in una occasione TAR Campania NA Sez. 3 n. 1718 del 20/11/2014 , come la scelta del legislatore non appaia censurabile per contrasto ai principi costituzionali della ragionevolezza e della parità di trattamento nonché per quelli dell’ordinamento comunitario, perché si muove su un piano di coerenza con l’accentuato profilo costituzionale dell’interesse pubblico alla preservazione del paesaggio. La necessità di difendere al massimo livello il paesaggio impone una soluzione legislativa che, nei confronti degli interventi edilizi sine titulo, abbia carattere fortemente dissuasivo se non punitivo-sanzionatorio rilevando anche come, nel caso dell’attività edilizia in assenza di titolo abilitativo o in difformità da esso, all’amministrazione locale è richiesta una verifica di conformità tra quanto realizzato e le previsioni di cui ai piani di programmazione ed alla regolamentazione edilizia comunale, mentre un simile riscontro postumo è invece inimmaginabile in tema di paesaggio, per il quale l’amministrazione competente deve svolgere un giudizio che non si riduce ad un riscontro deduttivo di conformità ma implica una valutazione di merito, sugli aspetti anche estetici, valutazione che potrebbe essere irrimediabilmente compromessa nel momento in cui il nuovo volume è già venuto ad esistenza . Il giudice amministrativo Cons. Stato Sez. VI n. 6300 del 19 ottobre 2020, cit. ha, infine, riconosciuto anche la legittimità dell’ordinanza di demolizione emessa ai sensi della normativa edilizia, ritenendola quale conseguenza necessitata dell’abuso commesso, evidentemente ritenuto non sanabile in assenza dei presupposti di cui al più volte menzionato del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 167. 7. Si tratta, ad avviso del Collegio di argomentazioni del tutto condivisibili, perché perfettamente conformi al dettato normativo, come si è visto, inequivocabilmente formulato che pare opportuno considerare anche in questa sede, poiché a tali conclusioni era già pervenuta la giurisprudenza di questa Corte, ma in maniera non del tutto esplicita. Considerando infatti che l’autorizzazione paesaggistica, secondo il più volte citato del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146, comma 4, costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio , sicché il rilascio di quest’ultimo resta subordinato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146, si era affermato che detto rilascio è possibile nei soli casi in cui detta autorizzazione sia richiesta prima dell’inizio dei lavori, poiché l’art. 146, ha perentoriamente stabilito che l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi Sez. 3, n. 17591 del 12/1/2006, Antonelli, Rv. 234302, cit. In motivazione Sez. 3, n. 15053 del 23/1/2007, Bugelli, Rv. 236337, in motivazione . Le richiamate pronunce si fondavano, dunque, su una lettura delle disposizioni del D.Lgs. n. 42 del 2004, precedentemente richiamate sostanzialmente identica a quella offerta dalla giurisprudenza amministrativa, pur non affrontando direttamente la questione della sanabilità, sotto il profilo urbanistico, delle opere realizzate in zona vincolata. Va anche rilevato che la giurisprudenza di questa Corte giungeva, inoltre, ad ulteriori conclusioni in tema di tutela paesaggistica che, sempre alla luce del dato normativo, devono ritenersi ormai superate. Secondo un risalente indirizzo giurisprudenziale, infatti, pur escludendosi ogni effetto estintivo del reato paesaggistico in caso di autorizzazione paesaggistica postuma, si riteneva che l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria , purché valida ed efficace, fosse idonea ad escludere l’applicazione dell’ordine di rimessione in pristino tutte le volte in cui il suo rilascio elimina ogni vulnus al paesaggio in una visione sostanziale della sua protezione Sez. 3, n. 37318 del 3/7/2007, Carusotto e altro, Rv. 237562 Sez. 3, n. 17591 del 12/1/2006, Antonelli, Rv. 234302 Sez. 3, n. 35213 del 28/5/2003, Greco e altri, Rv. 226232 Sez. 3, n. 32993 del 14/5/2003, Mori e altri, Rv. 225546 Sez. 3, n. 39744 del 4/10/2002, Debertol, Rv. 222780 Sez. 3, n. 40269 del 26/11/2002, Nucci, Rv. 222703 Sez. 3, n. 225 del 23/1/1996, Lodigiani, Rv. 205383 Sez. 3, n. 11203 del 22/9/1995, Ottelli, Rv. 203632. V. anche Sez. 3, n. 32146 del 7/6/2001 dep. 2002 , Gandolfi, Rv. 222257, in motivazione . Più recentemente, altra pronuncia di questa Corte Sez. 3, n. 24410 del 9/2/2016, Pezzuto e altro, Rv. 267192 ha ribadito il principio che si ritiene ora superato, ma lo ha fatto, però, attraverso un mero richiamo ai precedenti. Osserva a tale proposito il Collegio che tali decisioni, le quali attribuivano efficacia, sotto il profilo amministrativo, alla sanatoria paesaggistica , sono tutte antecedenti all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 42 del 2004 tranne quella che, come si è detto, si limita ad un mero richiamo , quando l’espresso divieto di sanatoria di cui all’art. 146, comma 4, menzionato in precedenza non era previsto. L’attuale conformazione della disposizione in esame suggerisce, infatti, una diversa soluzione interpretativa. Invero, sebbene antecedentemente all’entrata in vigore della Legge Delega n. 308 del 2004, ed agli interventi correttivi dapprima con il D.Lgs. n. 157 del 2006 che ha provveduto anche in merito alla disciplina transitoria e, successivamente, con il D.Lgs. n. 63 del 2008, tale disposizione poteva essere letta, in mancanza di ulteriori precisazioni, come una esplicita conferma al consolidato indirizzo giurisprudenziale appena richiamato, che, escludendone gli effetti sul reato, rendeva l’intervento immune dalle misure ripristinatorie, ora una simile affermazione si pone in contrasto con la lettera della legge, dalla quale si ricava che il legislatore ha voluto chiaramente prevedere l’obbligo di ripristino per ogni intervento abusivo, con la sola eccezione degli abusi minori , per i quali consegue, in caso di positiva valutazione, l’applicazione della sanzione pecuniaria e non più, come avveniva prima delle modifiche ad opera del D.Lgs. n. 157 del 2006, anche delle sanzioni ripristinatorie previste dall’art. 167 . Considerato quanto sopra esposto, va dunque rilevato come la attuale conformazione della disciplina paesaggistica e, segnatamente, del divieto di rilascio postumo dell’autorizzazione paesaggistica di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146 salvo l’eccezione prevista per gli abusi minori incida inevitabilmente sul rilascio della sanatoria urbanistica di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, per le opere abusive realizzate in zona vincolata che resta possibile solo nelle limitate ipotesi in precedenza indicate. 8. Deve, conseguentemente, affermarsi che, essendo la possibilità di una autorizzazione paesaggistica postuma espressamente esclusa dalla legge - ad eccezione dei casi, tassativamente individuati dall’art. 167, commi 4 e 5, relativi agli abusi minori - tale preclusione, considerato che l’autorizzazione paesaggistica è presupposto per il rilascio del permesso di costruire, impedisce anche la sanatoria urbanistica ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 e l’eventuale emissione della predetta autorizzazione paesaggistica in spregio a tale esplicito divieto, oltre a non produrre alcun effetto estintivo dei reati, non impedisce neppure l’emissione dell’ordine di rimessione in pristino. 9. Anche il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato. Questa Corte ha già specificato Sez. 3, n. 23998 del 12/5/2011, P.M. in proc. Bisco, Rv. 250608 che la condotta colposa del reato di costruzione edilizia abusiva - ma il medesimo discorso vale anche per la disciplina della tutela del paesaggio - può consistere nell’inottemperanza all’obbligo di informarsi sulle possibilità edificatorie concesse dagli strumenti urbanistici vigenti, da assolversi anche tramite incarico a tecnici qualificati e che non rientra nell’ipotesi di ignoranza inevitabile l’erronea convinzione che un determinato intervento non necessiti di specifico titolo abilitativo Sez. 3, n. 6968 del 2/5/1988, Rurali, Rv. 178593 . Nel caso di specie la Corte territoriale ha dato atto della indicazione di un vincolo, seppure parziale, nella certificazione allegata all’atto di compravendita e del fatto che l’imputato non risulta essersi in alcun modo attivato per appurare l’estensione effettiva del vincolo. Si tratta, anche in questo caso, di motivazione giuridicamente corretta e del tutto adeguata. 10. Per quanto concerne, infine, il terzo motivo di ricorso, occorre osservare che la Corte territoriale ha espresso un giudizio di oggettiva gravità della condotta dando conto della non sanabilità dell’intervento. Si tratta, peraltro, di una valutazione che, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, risulta pacificamente effettuata in relazione ad entrambi i reati contestati, atteso che la non sanabilità dell’intervento è dovuta, come si è appena detto, dalla presenza del vincolo e dalla non conformità allo strumento urbanistico e non riguarda affatto una situazione successiva alla consumazione del reato, perché evidenzia un impatto sul territorio e sull’assetto paesaggistico dei luoghi certamente non indifferente proprio per l’impossibilità di ricondurre alla legalità quanto realizzato. Nondimeno, va detto che, con specifico riferimento al reato paesaggistico, un ulteriore parametro di valutazione per la verifica della esiguità del danno o del pericolo può rinvenirsi volgendo lo sguardo a precedenti giurisprudenziali ove il giudizio di disvalore sulle conseguenze di determinate condotte sia stato già effettuato in termini di gravità o, comunque, di significativa rilevanza, tale da escludere in radice la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis c.p., nel caso similare. Tale ultimo aspetto assume particolare rilevo con riferimento al reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, rispetto al quale la giurisprudenza di questa Corte, tenendo conto della sua natura di reato di pericolo, ha ripetutamente valutato il grado di incidenza negativa, penalmente rilevante, sull’originario assetto dei luoghi sottoposti a speciale protezione v., da ultimo Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Murgia, Rv. 263289, con richiami ai precedenti . 11. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.