Concorso nei reati propri dell’amministratore in presenza di prestanome e amministratori di fatto

In materia di reati propri dell’amministratore della società, quando l’amministratore legale è una testa di legno”, il vero soggetto qualificato e responsabile non è il prestanome ma colui il quale effettivamente gestisce la società perché solo lui è in grado di compiere l’azione dovuta mentre l’estraneo è il prestanome. A quest’ultimo una corresponsabilità può essere imputata solo in base alla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 c.c., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi.

Così la Cassazione con sentenza n. 35158/20, depositata il 10 dicembre. Il caso. Il Tribunale di Milano condannava due soggetti, rispettivamente amministratore di diritto ed amministratore di fatto di una società, per il reato di cui agli artt. 81, 110 c.p., e 3 d.lgs. n. 74/2000 dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici , in relazione al solo anno d’imposta 2010, per avere contabilizzato fatture non imponibili, dissimulando cessioni di beni in esportazione, mentre nella realtà le stesse erano riferite a cessioni di beni effettuate nel territorio nazionale, e così indicando nelle dichiarazioni annuali relative all’IVA elementi attivi inferiori a quelli effettivi. Tale decisione era stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza oggetto – successivamente – di ricorso per Cassazione da parte di entrambi gli imputati. L’amministratore legale, con unico motivo, lamentava illogicità della motivazione ed inversione dell’onere della prova in relazione all’elemento soggettivo del reato in particolare la sua difesa aveva dovuto sottolineare come l’amministratore di fatto l’avrebbe obbligata a sottoscrivere le dichiarazioni quando invece sarebbe stato onere dell’accusa provarne la colpevolezza. L’amministratore di fatto lamentava – in primo luogo – violazione di legge, in relazione alla contestazione in dibattimento del reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici per l’anno d’imposta 2010, con due diversi motivi. Con il primo motivo si sosteneva che la contestazione costituisse un fatto nuovo e non, come ritenuto dalla Corte d’Appello, una prosecuzione nel tempo della stessa attività criminosa, con la conseguenza che sarebbe stato necessario notificare il verbale d’udienza all’imputato assente e concedere un termine a difesa. Con il secondo motivo, la difesa dell’imputato sottolineava che alle stesse conclusioni si sarebbe dovuti pervenire anche a voler considerare il reato relativo all’anno 2010 un reato connesso ex art. 12, comma 1, lett. b c.p.p. La difesa dell’amministratore di fatto lamentava inoltre vizi di motivazione, in relazione, in primo luogo, perché le operazioni non potevano ritenersi del tutto soggettivamente inesistenti in quanto le sentenze di merito avevano riconosciuto l’esistenza di bonifici in secondo luogo, perché la qualifica di amministratore di fatto sarebbe stata ritenuta sussistente dai Giudici di merito sulla sola base dell’esistenza di una procura institoria e delle dichiarazioni di un testimone e del coimputato e quindi in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti infine, in relazione al trattamento sanzionatorio e al diniego delle attenuanti generiche, poiché l’amministratore di fatto sarebbe stato l’ideatore delle frodi fiscali, circostanza che – secondo la difesa dell’imputato – non sarebbe stata adeguatamente motivata. Il contesto normativo. Nonostante la pluralità di motivi di ricorso, la Suprema Corte riteneva di approfondire, in particolare, la questione della responsabilità dell’amministratore di diritto testa di legno” nei reati propri, in relazione a quella dell’amministratore di fatto. Il Collegio dunque, preliminarmente, ricordava come – nei reati propri in generale – la Giurisprudenza abbia ormai costantemente affermato che il concorso dell’ extraneus sia ravvisabile qualora vi sia volontarietà della sua condotta di apporto a quella dell’ intraneus . Per quanto riguarda invece la figura dell’amministratore di fatto, si sottolineava come tale figura fosse espressamente prevista in via legislativa – più precisamente dall’art. 2639, comma 1, c.c. – e come essa rispondesse non soltanto dei reati societari previsti da tale disposizione ma anche di altri reati propri dell’amministratore quali quelli fallimentari e quelli come nel caso di specie previsti dal d.lgs. n. 74/2000. Ciò poiché la Giurisprudenza ha più volte ribadito come nell’individuazione del soggetto responsabile debba essere utilizzato il criterio funzionalistico, ossia si debba individuare chi, in concreto, gestisca la società, a prescindere dal dato formale. Per questo motivo la Suprema Corte affermava come l’amministratore di fatto – unico soggetto in grado di porre in essere la condotta prevista dalla legge come reato – debba essere considerato il soggetto qualificato nei reati propri dell’amministratore di società, mentre il prestanome – amministratore di fatto – è l’ extraneus e può essere considerato corresponsabile solo in base alla posizione di garanzia prevista dall’art. 2392 c.c., secondo cui l’amministratore ha il dovere di conservare il patrimonio sociale e di impedire il verificarsi di danni alla società o ai terzi. Inoltre, stante la generale mancanza di ingerenza nella gestione societaria del prestanome – almeno nella generalità dei casi – questo può essere ritenuto concorrente nel reato solo qualora sia ravvisabile l’elemento soggettivo del dolo eventuale, poiché egli accettando la carica ha altresì accettato i rischi connessi ad essa. La valutazione sulla sussistenza del dolo eventuale è valutazione in fatto che è demandata al Giudice di merito. La soluzione offerta dalla Corte. Così ricostruita la cornice legislativa e giurisprudenziale, il Collegio riteneva inammissibili – per manifesta infondatezza e genericità – i ricorsi e confermava la sentenza della Corte d’Appello di Milano. In particolare, con riferimento alla questione maggiormente esaminata in motivazione, la Suprema Corte dichiarava inammissibile la doglianza sollevata dall’amministratore di diritto e quella sollevata dall’amministratore di fatto in relazione all’asserita sussistenza di tale qualità. Si evidenziava, infatti, come la sentenza impugnata avesse effettuato una valutazione in fatto, non sindacabile in sede di legittimità, in relazione sia all’esistenza della figura dell’amministratore di fatto sia alla sussistenza del concorso tra quest’ultimo ed il prestanome. Per quanto riguarda, invece, le ulteriori doglianze, il motivo di ricorso relativo contestazione in dibattimento del reato di dichiarazione fraudolenta per l’anno di imposta 2010 veniva ritenuto infondato, poiché tale anno di imposta era già contenuto nell’imputazione originaria e si era semplicemente resa necessaria la correzione dell’errore materiale relativo alla data dei commessi reati. Il motivo di ricorso relativo all’elemento oggettivo del reato era ritenuto inammissibile poiché non erano stati proposti, sul punto, motivi di appello. Infine, il motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche proposto dall’amministratore di fatto veniva ritenuto generico e manifestamente infondato, poiché la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato sul punto e, comunque, la decisione sulla concessione delle attenuanti generiche compete esclusivamente alla discrezionalità del Giudice di merito.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 settembre – 10 dicembre 2020, n. 35158 Presidente Ramacci – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte d’Appello di Milano con sentenza del 20 novembre 2019, ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 9 novembre 2018 che aveva condannato F.M. ritenuto amministratore di fatto della UNITRADE s.r.l. alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione e C.A.M. amministratore legale della UNITRADE s.r.l. alla pena di anni 1 di reclusione, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche alla sola C. , relativamente al reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, - relativamente alla sola annualità d’imposta 2010 - per avere, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto, contabilizzato fatture non imponibili dissimulando cessioni di beni in esportazione, mentre nella realtà le stesse erano riferite a cessioni di beni effettuate nel territorio nazionale nei confronti delle aziende di cui all’allegato n. 11 determinando con mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento, nelle dichiarazioni annuali relative all’IVA elementi attivi inferiori a quelli effettivi riepilogati nella tabella anno di imposta 2010 con dichiarazione da presentare il 31 ottobre 2011. 2. Gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2. 1. C.A.M. . Illogicità della motivazione ed inversione dell’onere della prova. La Corte di appello ha evidenziato l’insussistenza di motivi dell’appello sull’elemento soggettivo del reato contestato. F. , nel suo ruolo di dominus della società, obbligava la ricorrente a sottoscrivere la documentazione fiscale, anche le dichiarazioni IVA. La ricorrente nel periodo in oggetto era gravemente malata e necessitava di cure. Era l’accusa che avrebbe dovuto provare la colpevolezza della ricorrente, non il contrario. La motivazione della sentenza risulta solo apparente. 3. F.M. . Violazione di legge artt. 518, 519, 520 e 522 c.p.p. difetto di contestazione all’imputato assente. Il 31 ottobre 2018 il. P.M. in dibattimento contestata all’imputato anche la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, per l’anno di imposta 2010 in precedenza, nell’imputazione, erano stati contestati solo gli anni di imposta 2006-2009 . La difesa chiedeva espressamente la notifica del verbale d’udienza all’imputato assente art. 520 c.p.p. e, comunque, un termine a difesa. Istanze rigettate, in palese violazione di legge la Corte di appello respingeva il motivo di impugnazione con motivazione solo apparente e comunque illogica. La contestazione di una nuova annualità comporta, evidentemente, la sussistenza di un fatto nuovo e non una protrazione dell’attività criminosa nel tempo Cassazione 2010 n. 42111 . Il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, si consuma con la presentazione della dichiarazione. Per la Corte di appello, invece, non era un fatto nuovo, ma la contestazione riguardava sempre il medesimo meccanismo esteso ad un altro anno fiscale. Sussiste una concreta violazione del diritto di difesa anche in relazione all’assenza dell’udienza preliminare, per la contestazione del reato per l’annualità 2010. 3. 1. Violazione di legge artt. 517, 519, 520 e 522 c.p.p. . Ove si volesse considerare il reato relativo all’anno 2010 un reato connesso - ex art. 12 c.p.p., comma 1, lett. B , ci sarebbe comunque la violazione dell’art. 517 c.p.p Il reato dell’anno 2010 potrebbe al massimo ritenersi in continuazione con i reati relativi agli anni precedenti. Sia nella sentenza del Tribunale e sia in quella d’appello nessun riferimento, però, viene fatto al medesimo disegno criminoso. Nel caso in giudizio è stato negato sia il termine a difesa che si estende anche al difensore, Cassazione n. 11783 del 1995 e sia la notificazione all’imputato assente della nuova contestazione di un fatto nuovo . Del resto, lo stesso capo di imputazione contestava l’art. 81 c.p. e, quindi, implicitamente riconosceva la sussistenza di distinti reati per ogni anno di imposta. 3. 2. Contraddittorietà della motivazione relativamente alla sussistenza oggettiva del reato contestato, con travisamento del fatto e delle prove. Violazione di legge art. 192 c.p.p. relativamente alla valutazione delle prove. Nella sentenza impugnata che richiama quella di primo grado si fa esclusivo riferimento al verbale della Guardia di Finanza e alla conferma testimoniale del Luogotenente Bellinvia. I pagamenti della UNITRADE coprivano l’intero importo delle fatture, come ritenuto dal giudice di primo grado. Il trasferimento dei beni metalli preziosi avveniva/effettivamente, con la prevista documentazione fiscale. Il G.U.P. di Arezzo ha emesso sentenza di non luogo a procedere per il filone parallelo a questa vicenda in giudizio. Infatti, le operazioni non possono ritenersi del tutto soggettivamente inesistenti, in considerazione dei bonifici documentati e riconosciuti dalle stesse sentenze di merito. La Corte di appello ha infatti travisata la prova utilizzando una prova inesistente esistenza di un sodalizio criminoso volto con le frodi carosello ad evadere l’IVA . 3. 3. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza per l’imputato della qualifica di amministratore di fatto. La decisione impugnata sulla base della procura institoria e delle dichiarazioni della C. e di I. ha ritenuto il ricorrente amministratore di fatto della società. Egli, però, aveva un ruolo limitato conformemente alla procura e nessuna attività ulteriore alla delega risulta mai effettuata dall’imputato. Era solo adibito alla gestione dei due conti correnti e non ha mai firmato le dichiarazioni fiscali tutte sottoscritte dall’amministratore legale rappresentante. La Corte di appello ha fatto malgoverno delle regole dell’art. 192 c.p.p. utilizzando presunzioni non gravi e non precise e concordanti. 3. 4. Mancanza o manifesta illogicità della motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanze ex art. 62 bis c.p Per la Corte di appello il ricorrente era il vero ideatore delle frodi fiscali. L’imputato, però, non ha mai presentato alcuna dichiarazione fiscale egli svolgeva solo i suoi compiti, come da deleghe. La motivazione sul trattamento sanzionatorio e sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche risulta assente o manifestamente illogica. Hanno chiesto, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 4. I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza dei motivi, e per genericità, peraltro articolati in fatto con la riproposizione degli stessi argomenti dell’appello già adeguatamente valutati dalla sentenza impugnata. Relativamente all’elemento oggettivo del reato si deve rilevare che tale questione non risulta proposta con l’atto di appello dai due imputati e, pertanto, risulta inammissibile in questa sede di legittimità. 5. Manifestamente infondato il motivo processuale di F.M. relativo alla contestazione dell’anno di imposta 2010. L’anno di imposta 2010 era già ricompreso nell’originaria imputazione, con l’indicazione nel capo di imputazione delle somme non versate per l’IVA, per Euro 1.429,382,00 su operazioni soggettivamente inesistenti per Euro 7.146.910,00. Si trattava di correggere l’errore materiale della data dei commessi reati non già di una nuova contestazione non ricompresa nell’originaria contestazione. Conseguentemente nessuna violazione dei diritti di difesa sussiste. Infatti, In tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, integra una mera correzione dell’errore materiale contenuto nel capo di imputazione ex art. 130 c.p.p., e non una modifica dello stesso rilevante ai sensi dell’art. 516 c.p.p., la precisazione nel corso del processo della data di commissione del reato e del nominativo dell’acquirente delle sostanze, non comportando la stessa un significativo cambiamento dei tratti essenziali della contestazione tale da incidere sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell’imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa. In motivazione la Corte ha aggiunto che il difensore che, nell’atto d’impugnazione, deduca l’avvenuta modifica del fatto contestato, ha comunque l’onere di allegare specificamente il concreto pregiudizio subito Sez. 3, n. 29405 del 04/04/2019 - dep. 05/07/2019, CORDARO SALVATORE, Rv. 27654701 vedi anche Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 - dep. 13/10/2010, Carelli, Rv. 24805101 . 6. La ricorrente C.A.M. contesta solo genericamente l’assenza di dolo, in relazione alla sua qualità di amministratore di diritto testa di legno , ma non fornisce elementi concreti solo prospettazioni teoriche soggettive e una generica malattia che le impediva di controllare di prova per la ricostruzione alternativa. Ovvero non indica atti del processo di merito fonti probatorie idonei a dimostrare la sua assoluta estraneità agli illeciti della società, in quanto la sua semplice nomina ad amministratore di diritto, testa di legno, è idonea a ritenere lo stesso corresponsabile degli illeciti della società, altrimenti la nomina sarebbe senza scopi. La regola dell’ al di là di ogni ragionevole dubbio , secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità, impone all’imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali. Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 - dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 260409 . Accertata la qualità di amministratore di diritto della ricorrente C. e di fatto. per F.M. come motivato adeguatamente nella sentenza impugnata, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità deve analizzarsi la responsabilità dell’amministratore di diritto, prestanome, nei reati propri, quale quello in analisi, in relazione alla responsabilità dell’amministratore di fatto. In linea generale il concorso dell’extraneus nel reato proprio è configurabile, quando vi è volontarietà dolo della condotta dell’extraneus di apporto a quella dell’intraneus Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016 - dep. 23/03/2016, Morosi e altri, Rv. 267059 Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010 - dep. 29/04/2010, Fiume e altro, Rv. 246879 . La configurazione dell’amministratore di fatto inoltre è legislativamente prevista nell’art. 2639 c.c., comma 1 Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione . L’amministratore di fatto oltre ai reati societari, di cui all’art. 2639 c.c., risponde anche di altri reati commessi in tale veste vedi Sez. 5, n. 39535 del 20/06/2012 - dep. 08/10/2012, Antonucci, Rv. 253363, per i reati fallimentari, e Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011 - dep. 10/06/2011, Ceravolo, Rv. 250962, per i reati finanziari del D.Lgs. n. 74 del 2000 . In giurisprudenza quindi si è giustamente posto l’accento non sul dato formale amministratore di diritto, prestanome ma sul criterio funzionalistico, o dell’effettività, e il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere su quello solo formale. 6. 1. Conseguentemente in base ai principi esposti, il vero soggetto qualificato e responsabile non è il prestanome ma colui il quale effettivamente gestisce la società perché solo lui è in condizione di compiere l’azione dovuta la presentazione della dichiarazione mentre l’estraneo è il prestanome. A quest’ultimo una corresponsabilità può essere imputata solo in base alla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 c.c., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi. Nelle occasioni in cui questa Corte si è occupata di reati, anche omissivi, commessi in nome e per conto della società, ha individuato nell’amministratore di fatto il soggetto attivo del reato e nel prestanome il concorrente per non avere impedito l’evento che in base alla norma citata aveva il dovere di impedire Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011 - dep. 10/06/2011, Ceravolo, Rv. 250962 Sez. 3, n. 15900 del 02/03/2016 - dep. 18/04/2016, Gagliotta, Rv. 266757 Del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l’amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento - art. 40 c.p., comma 2, e art. 2932 c.c. -, a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice , Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015 - dep. 24/09/2015, Biffi, Rv. 264971 . Proprio perché il più delle volte il prestanome non ha alcun potere d’ingerenza nella gestione della società per addebitargli il concorso, questa Corte ha fatto ricorso alla figura del dolo eventuale il prestanome accettando la carica ha anche accettato i rischi connessi a tale carica Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015 - dep. 18/02/2015, Fasola, Rv. 262767 Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014 - dep. 27/10/2014, Regoli ed altri, Rv. 261814 . La decisione impugnata, con valutazione in fatto, insindacabile in sede di legittimità, rileva proprio la sussistenza del concorso tra i due, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte sopra evidenziata. Infatti, rileva la sentenza che si può ritenere provato il ruolo della C. che firmava le dichiarazioni IVA e che era fisicamente presente nella società e che aveva il dovere di vigilanza sull’operato di F. . F. ricopriva il ruolo di amministratore di fatto nell’ambito della società come indicato sia dalla C. e sia dal teste I. e, come provato documentalmente, dalla esistenza della procura institoria in virtù della quale poteva operare sui due conti correnti societari dove transitavano i flussi di denaro legati all’attività commerciale. L’esistenza della procura institoria è indice rivelatore della figura dell’amministratore di fatto . 7. Per l’elemento oggettivo del reato la sentenza impugnata dà atto dell’assenza di motivi di appello sul punto, per entrambi gli imputati. Conseguentemente la relativa questione proposta in tassazione deve ritenersi inammissibile Non possono essere dedotte con il ricorso per Cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione. Fattispecie relativa ad omessa motivazione da parte della Corte di appello sulla recidiva ritenuta dal giudice di primo grado, non contestata con i motivi di appello Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017 - dep. 21/03/2017, Bolognese, Rv. 26974501 . L’appello, infatti, è un giudizio di impugnazione e lo stesso si svolge esclusivamente sui motivi di appello - Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 - dep. 22/02/2017, Galtelli, Rv. 26882201 -. 8. Anche l’ulteriore motivo di F. sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e sul trattamento sanzionatorio risulta generico e manifestamente infondato. La Corte di appello con motivazione adeguata, immune da manifeste illogicità e da contraddizioni, rileva come la pena irrogata risulta congrua sia in relazione all’importo evaso e sia in relazione al ruolo assunto dall’imputato, che era il vero ideatore della frode inoltre l’imputato è gravato da numerosi precedenti penali che non consentono il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e giustificano la pena non nel minimo edittale. Del resto, la decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell’esercizio del relativo potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici. Sez. 2, n. 5638 del 20/01/1983 - dep. 14/06/1983, ROSAMILIA, Rv. 159536 Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 - dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716 Sez. 6, n. 14556 del 25/03/2011 - dep. 12/04/2011, Belluso e altri, Rv. 249731 . Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 3.000,00, ciascuno, e delle spese del procedimento, ex art. 616 c.p.p P.Q.M. Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.