Danneggia l’auto custodita nel parcheggio: se c’è sorveglianza non sussiste l’aggravante della pubblica fede

In tema di danneggiamento, qualora venga meno la sussistenza dell’aggravante, deve essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere per intervenuta depenalizzazione.

Così la Cassazione con sentenza n. 29171/20, depositata il 21 ottobre. Il caso. L’imputato era stato condannato per il reato di danneggiamento con l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, di un’autovettura parcheggiata in area di proprietà della Marina Militare, reato ritenuto in continuazione con quello di porto d’armi atto ad offendere. Davanti alla corte di cassazione, tra gli altri motivi, l’imputato censura la sussistenza dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede, essendosi il fatto verificato all’interno di un complesso appartenente alla Marina Militare. Il parcheggio non era aperto al pubblico L’istruttoria ha fatto emergere che effettivamente il parcheggio dove si trovava parcheggiata l’autovettura danneggiata non era aperto al pubblico e risultava vigilata da personale della base navale, di proprietà della Marina Militare. Il parcheggio era accessibile solo al personale in servizio oppure a soggetti esterni muniti di pass che veniva controllato dai militari di guardia all’ingresso. Continua era, dunque, la vigilanza dell’area e dei transiti. L’esposizione a pubblica fede ratio . I motivi per cui è prevista l’aggravante non sono da rinvenire nella natura pubblica o privata del luogo dove si trova la cosa ma nella sua condizione di esposizione” a pubblica fede. Tale condizione, ricorda la Suprema Corte, ricorre quando la cosa trovi protezione solo grazie al senso di rispetto per l’altrui bene da parte di ciascun consociato. Condizione che può sussistere anche se la cosa si trovi in un luogo privato a cui, per mancanza di recinzioni o sorveglianza, si possa liberamente accedere. In altri termini, l’aggravante sussiste se la cosa trovi protezione solo in base a una sorta di senso civico e che il bene si trovi in un luogo privato privo di recinzioni o sorveglianza ove chiunque possa accedere liberamente. Tale circostanza non sussisteva nel caso concreto perché il reato era stato commesso in luogo sottoposto a continua sorveglianza, accessibile dall’esterno solo ai detentori di pass. L’aggravante non sussiste. Nel caso sottoposto a scrutinio, pertanto, doveva escludersi la sussistenza del reato nella forma aggravata, perché il bene danneggiato non era esposto per necessità, consuetudine o destinazione alla pubblica fede, né era intervenuta alcuna violenza alla persona o minaccia il locus commissi delicti era privato, custodito e protetto. Il danneggiamento non aggravato è depenalizzato. Ne deriva che, caduta l’aggravante, il giudice di merito, avrebbe dovuto emettere sentenza di non doversi procedere per intervenuta depenalizzazione del reato di danneggiamento non aggravato, ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7. Di qui l’annullamento senza rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, limitatamente al fatto di danneggiamento con revoca delle statuizioni civili. Il giudice revocava l’ordinanza ammissiva del teste della difesa. Ritenendo superflua la prova, il giudice di primo grado, verificata la corretta notifica al teste che non era comparso, disponeva la revoca dell’ordinanza ammissiva del teste. Tale segmento procedurale è censurato davanti alla corte di cassazione che, però, ritiene decaduta la parte. nullità a regime intermedio. Sebbene, infatti, si concordi sul fatto che l’ordinanza di revoca del provvedimento di ammissione dei testi della difesa, in difetto di reale motivazione circa la loro superfluità, sia nulla per violazione del diritto dell’imputato di difendersi provando”, la nullità è di ordine generale a regime intermedio. Ne deriva che la nullità deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente. e sua deducibilità. Infatti, la norma secondo cui la nullità di ordine generale verificatesi nel corso del giudizio è deducibile dalla parte, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo, trova un limite nel disposto che prevede una eccezione alla regola, con riferimento al caso in cui la parte assista al compimento dell’atto nullo. La parte, se non può eccepire la nullità prima del compimento dell’atto, deve farlo immediatamente dopo. Decadenza per acquiescenza. Nel caso di specie, il tribunale aveva disposto la chiusura dell’istruttoria dibattimentale invitando le parti alla discussione. La difesa non eccepiva la pretesa nullità della revoca dell’ordinanza, acquietandosi sul provvedimento e procedendo alla discussione, sicché poteva ritenersi decaduta. La Corte ha infatti affermato che qualora il giudice dichiari chiusa la fase istruttoria senza che sia stata assunta una prova in precedenza ammessa e le parti, corrispondendo al suo invito, procedano alla discussione senza nulla rilevare in ordine alla incompletezza dell’istruzione, la prova in questione deve ritenersi implicitamente revocata a seguito dell’acquiescenza delle parti. Covid19 e prescrizione. La pronuncia si segnala anche per un ulteriore aspetto di interesse. Il ricorrente ha chiesto di verificare l’intervenuta prescrizione del reato di porto d’armi. Premessi i termini di prescrizione ordinari per la contravvenzione de qua, la Corte ha messo in luce i differimenti disposti a seguito di adesione del difensore alle agitazioni indette dalla categoria professionale che hanno condotto alla proroga dell’originario termine di prescrizione caduta nel periodo di sospensione delle udienze a causa dell’emergenza COVID. Si è dunque puntualizzato come l’istituto della prescrizione disposto dalla l. 27/2020 vada inquadrato nell’ambito della previsione codicistica che costituisce una norma in bianco” che demanda l’individuazione della causa di sospensione ad altra fonte normativa. Fermo restando l’appello alle Sezioni Unite con riguardo all’individuazione dei procedimenti pendenti o già iscritti , il Collegio ritiene di discriminare i fattori esterni, di natura eccezionale, che allungano i tempi del processo e che non possono incidere sulla prescrizione rispetto al decorso del tempo utile all’estinzione del reato per prescrizione collegato all’influenza del tempo sulla rilevanza del fatto per la società . Ebbene, la Corte ritiene che nel caso di specie, in cui l’udienza di legittimità era già stata fissata nel periodo COVID” ma è stata differita per ben due volte con provvedimento presidenziale, la durata della sospensione dei termini di prescrizione deve essere estesa per tutto il periodo intercorrente fino alla data della consentita celebrazione dell’udienza. La sospensione è dunque sospesa per l’intero periodo che va dal 9 marzo 2020 alla data di celebrazione dell’udienza, di talché, nel caso specifico, il reato non è prescritto.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 marzo – 21 ottobre 2020, n. 29171 Presidente Rago – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 12/02/2020, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, rigettava il ricorso ex art. 309 c.p.p., presentato nell’interesse di B.G. avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord in data 31/01/2020 che aveva disposto nei confronti del sunnominato la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di associazione a delinquere capo A , rapina aggravata in concorso capo B , ricettazione aggravata continuata in concorso capo C e riciclaggio aggravato continuato in concorso capo D . 2. Avverso detta ordinanza, nell’interesse di B.G. , viene proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., per lamentare - inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo B della rubrica provvisoria, in rapina piuttosto che in furto primo motivo - mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione nonché violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di reato con riferimento a tutti i reati in contestazione secondo motivo - violazione di legge processuale per erronea interpretazione degli artt. 274, 275 e 292 c.p.p. e per contraddittorietà, apparenza e manifesta illogicità della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e alla scelta della misura cautelare terzo motivo . 2.1. In relazione al primo motivo, si censura l’operata valutazione del requisito della violenza ai fini della configurabilità del delitto di rapina, che è stato ritenuto integrato pur se non espressione di energia fisica proveniente dagli agenti e pur se non impeditiva dell’azione posta in essere al fine di recuperare le cose sottratte o ad evitare l’impunità ma semplicemente limitante l’efficacia o, più correttamente, avente un mero effetto ritardante della stessa. Invero, la circostanza della presenza di veicoli sulla strada ha semplicemente ritardato l’inizio dell’azione delle Forze dell’Ordine, impedendo solo la tempestività di un ipotetico intervento e si è concretizzato in un ostacolo, di fatto, aggirato e superato, essendo stato poi possibile l’ingresso nell’area di interesse da parte della polizia giudiziaria operante. Contraddittoria è la motivazione laddove si sostiene che il posizionamento di tali veicoli ha reso di fatto inaccessibile l’area, creato ostacoli insormontabili o aggirabili solo con estrema difficoltà, impedito la sorpresa in flagranza, ritardato l’inizio del sopralluogo e delle indagini insomma, una definita specie di violenza privata idonea a configurare il requisito della violenza del reato di rapina. In realtà, la violenza occorrente per integrare il delitto di cui all’art. 628 c.p. è di diversa natura e rimanda ad altro significato tecnico-giuridico, estrinsecandosi attraverso una forza fisica, diretta o indiretta, promanante dal soggetto agente, idonea a superare una forza uguale e contraria, costituente una resistenza manifestata dalla persona offesa o da altri. 2.2. In relazione al secondo motivo, con riferimento al reato associativo capo A , il Tribunale ha ritenuto la sussistenza della gravità indiziaria sulla base di elementi di mero sospetto, privi di gravità, precisione e concordanza, non individualizzanti e come tale inidonei a determinare la sussistenza di un vero e proprio vincolo associativo. Manca nei confronti del B. qualsivoglia elemento che consenta di collegare la sua persona alla partecipazione relativa ai fatti che il Tribunale ritiene perpetrati con modalità identiche o analoghe a quello per cui si procede il B. , infatti non risulta indagato per tali fatti, nè dalle conversazioni intercettate emergono elementi dai quali dedurre la sua partecipazione. Inoltre, nel provvedimento impugnato non è rinvenibile alcuna motivazione in relazione alla coscienza e volontà di partecipare ed agevolare il sodalizio criminoso attraverso le condotte ascritte. Altrettanta censura va posta in relazione al reato di cui al capo B la cui gravità indiziaria si fonda sui medesimi elementi analizzati in relazione al capo A . In particolare, la partecipazione del B. alla rapina di cui al capo B è riscostruita sulla base di due controlli stradali del prevenuto e delle risultanze di un’unica intercettazione telefonica avvenuta quaranta giorni dopo il fatto elementi cronologicamente lontani dal tempus delitti commissi ed insufficienti a ritenere fondato, seppur in via indiziaria, il coinvolgimento del B. nel fatto-reato di cui al capo B , vieppiù in mancanza di elementi da cui trarre il compimento di azioni rientranti nel ruolo attribuito allo stesso nell’associazione di cui al capo A inoltre anche l’identificazione dello stesso è rimasta dubbia. Medesime considerazioni di insufficienza di gravità indiziaria involgono il capo C , non essendo stati rappresentati elementi concreti da cui evincere la partecipazione attiva del B. all’opera diretta ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di alcuni automezzi. 2.3. In relazione al terzo motivo, si evidenzia la carenza di motivazione in ordine all’apprezzamento dell’effettiva capacità a delinquere del B. ed in ordine al fondato, concreto ed attuale pericolo di commissione di ulteriori reati, in considerazione delle modalità dell’azione e del tempo trascorso dai fatti. Lacunosa, inconferente e contraddittoria risulta la motivazione che non consente di apprendere sotto quale profilo lo svolgimento di lecito lavoro offrirebbe occasioni prossime favorevoli alla commissione di delitti contro il patrimonio o determinerebbe la partecipazione del B. al sodalizio di riferimento, tenuto conto che nè l’acquisto di veicoli nè la sostituzione di targhe rientrerebbero nelle mansioni lavorative svolte dal B. . Parimenti viziata è la motivazione offerta in relazione all’inidoneità di misura cautelare meno afflittiva, essendo totalmente mancata una valutazione prognostica, in chiave di attualità, sulla possibilità di commettere delitti della stessa specie pur in costanza di misura inframuraria domestica, anche se presidiata dagli strumenti di controllo elettronici di cui all’art. 275-bis c.p.p., come richiesto dalla più recente giurisprudenza di legittimità. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato - per alcuni motivi, in modo manifesto e, come tale, immeritevole di accoglimento. 2. Ritiene il Collegio, a fronte di deduzioni che invocano principi estranei alla fase cautelare, di dover chiarire - in linea generale - i limiti di sindacabilità da parte di questa Suprema Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale. Invero, secondo l’orientamento consolidato di questa Suprema Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce al giudice di legittimità alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità a - l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato b - l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento cfr., Sez. 6, n. 2146 del 25/05/1995, Tontoli e altro, Rv. 201840 Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011, dep. 2012, Siciliano, Rv. 251760 . Inoltre, il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto Sez. 1, n. 1700 del 20/03/1998, Barbaro e altri, Rv. 210566 , nè possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso il provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309 c.p.p., comma 8, Sez. 1, n. 1786 del 05/12/2003, dep. 2004, Marchese, Rv. 227110 . Tanto precisato in premessa, nel caso di specie deve rilevarsi quanto segue. 3. Il primo motivo è infondato. 3.1. Come è noto, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, nella rapina impropria, la violenza o la minaccia possono realizzarsi anche in luogo diverso dal quello della sottrazione della cosa e in pregiudizio di persona diversa dal derubato, dal momento che, per la configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione della cosa e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale idoneo a realizzare, secondo i principi di ordine logico, i requisiti della quasi flagranza e tale da non interrompere il nesso di contestualità dell’azione complessiva posta in essere al fine di impedire al derubato di rientrare in possesso della refurtiva o di assicurare al colpevole l’impunità cfr., Sez. 2, n. 30127 del 09/04/2009, Scalvini, Rv. 244821 . 3.2. Ciò premesso, va evidenziato come, secondo la medesima giurisprudenza, il concetto di violenza alla persona non comprende solo la violenza propria, cioè l’impiego di forza fisica nei confronti della persona offesa al fine di togliergli la libertà di movimento, ma anche la c.d. violenza impropria che si verifica quando l’agente priva comunque coattivamente la volontà di autodeterminazione della persona offesa, che si trova così costretta a fare, tollerare od omettere di fare qualcosa contro la propria volontà condotte che, per le ragioni dinanzi esposte, possono essere realizzate entrambe contro soggetto diverso dal derubato che, per qualsiasi motivo, intervenga a difesa di quest’ultimo ovvero al fine di evitare che il colpevole rimanga impunito. Si è affermato infatti che, la nozione di violenza deve farsi rientrare nell’ampia accezione tecnico-giuridica riconducibile piuttosto all’ipotesi criminosa dell’art. 610 c.p., e, quindi, consista in qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare od omettere qualche cosa indipendentemente dall’esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico cfr., Sez. 2, n. 39941 del 26/11/2002, Strefezza, Rv. 222847 Sez. 2 n. 1176 del 11/10/2012, dep. 2013, Z., Rv. 254126 . 3.3. Nel caso di specie risulta che l’intervento delle Forze dell’Ordine sul luogo della commissione del fatto venne ostacolato dalla presenza nelle immediate vicinanze dell’Istituto di credito assaltato di numerosi veicoli abbandonati di traverso, in posizione strategica, lungo le vie cittadine in modo da recintare la piazza in cui aveva sede l’Istituto e creare un cordone d’accesso invalicabile condotta d’ostacolo predisposta strumentalmente ma in termini prodromici rispetto al momento della sottrazione del denaro prelevato in banca - che ha impedito la sorpresa in flagranza, ritardato l’inizio del sopralluogo e delle indagini e consentito agli autori del reato di darsi alla fuga. Questo comportamento, come detto caratterizzato da sottrazione del bene mobile e precedente apposizione di ostacoli all’intervento difensivo, costituito da due condotte temporalmente collegate, si è svolto senza soluzione di continuità ed ha integrato il concetto di violenza alla persona essendo stato finalizzato - non tanto a vincere la resistenza delle vittime originarie - quanto ad ostacolare l’intervento di soggetti le Forze dell’Ordine che, senza quell’ostacolo imprevisto ed imprevedibile, avrebbero proceduto nell’immediatezza al compimento degli atti di polizia giudiziaria nonché all’identificazione e all’arresto dei rei, impedendo loro di garantirsi l’impunità. 3.4. La censura va pertanto disattesa con l’affermazione del seguente principio di diritto Integra il reato di rapina impropria la condotta dell’agente che, al fine di impossessarsi di quanto sottratto ovvero per conseguire l’impunità, impedisca alle forze dell’ordine tramite la pregressa apposizione di automezzi in prossimità del luogo di commissione del fatto in numero e in posizione tale da ostacolare l’accesso di automezzi delle stesse forze dell’ordine - di intervenire prontamente, determinando un conseguente ritardo nell’esecuzione delle operazioni di polizia giudiziaria finalizzate all’identificazione e all’eventuale arresto in flagranza del reo nonché al compimento delle operazioni di sopralluogo e degli altri atti di assicurazione della prova in tal caso, la predetta condotta impeditiva, configura un’ipotesi di violenza alla persona, intesa come violenza impropria, avendo la stessa coartato la libertà di autodeterminazione degli appartenenti delle forze dell’ordine che, conseguentemente, per il semplice ritardo imposto al loro intervento, sono stati costretti a fare, tollerare od omettere le azioni doverose di contrasto a cui erano tenuti . 4. Manifestamente infondato è il secondo motivo. 4.1. Va preliminarmente ricordato come la concludenza e l’efficacia probatoria dei rilevanti elementi probatori a carico dell’indagato quali evidenziati dal giudice di prime cure, sia stata ritenuta dal Tribunale come ampiamente idonea a resistere e superare gli elementi a discarico introdotti dalla difesa implicitamente disattesi per evidente irrilevanza sul decisum, per come argomentato. Invero, il mero apparente contrasto tra elementi di prova a carico ed elementi a discarico non può essere invocato per addurre inesistenti illogicità del provvedimento impugnato, nemmeno ancorandosi a pronunce isolate di questa Suprema Corte a tal fine, giova evidenziare che la giurisprudenza prevalente di questa Corte di legittimità ha evidenziato che la previsione normativa della regola di giudizio dell’ al di là di ogni ragionevole dubbio , che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova, ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell’imputato cfr., Sez. 2, n. 7035 del 09/11/2012, dep. 2013, De Bartolomei e altro, Rv. 254025 Sez. 1, n. 20371 del 11/05/2006, Ganci e altro, Rv. 234111 Sez. 1, n. 30402 del 28/06/2006, Volpon, Rv. 234374 Sez. 2, n. 16357 del 02/04/2008, Crisiglione, Rv. 239795 Sez. 2, n. 19575 del 21/04/2006, Serino ed altro, Rv. 233785 . 4.1.1. Sul piano applicativo, la valorizzazione giurisprudenziale della formula del ragionevole dubbio, ha anche influenzato la fisionomia del giudizio di appello, con le note pronunce Dasgupta e Patalano Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016 e Sez. U, n. 186 del 19/01/2017 tuttavia, insuperabili ragioni di ordine logico e sistematico, non consentono l’estensione dell’art. 533 c.p.p., alla materia cautelare, non solo perché si tratta di norma volta a disciplinare il giudizio di merito, ma anche perché l’incompletezza dell’accertamento nella fase cautelare preclude la trasposizione in questa di principi propri del giudizio di merito che viene espresso all’esito del formarsi della prova in dibattimento appare concreto il rischio di una non coerente applicazione del criterio risolutore del fatto incerto al di fuori dei confini fisiologici del giudizio di merito. 4.1.2. Non vi è motivo, invece, di discostarsi dal tradizionale insegnamento delle sezioni unite di questa Suprema Corte - rispettato dalla pronuncia impugnata - secondo cui, in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 c.p.p., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che - contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova - non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e tuttavia - come nella fattispecie - consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, Costantino e altro, Rv. 202002 . 4.2. Nella fattispecie, il Tribunale, senza incorrere in alcun vizio motivazione, ha evidenziato nei confronti del B. elementi di gravità indiziaria sia in relazione al capo B che al capo A . Con riferimento al capo B , si è evidenziato - in sintesi - come il B. , detto ‘o russ per il colore dei capelli, identificato come utilizzatore dell’utenza n. OMISSIS - risulti avere a proprio carico numerosi pregiudizi per reati contro il patrimonio commessi sempre ai danni di istituti di credito o autotrasportatori reati commessi anche nella provincia di Salerno e in particolare nel comune di residenza di tale M. coindagato che aveva falsamente denunciato il furto di un autoarticolato poi utilizzato per la rapina in questione - circa un mese prima dell’azione delittuosa, e precisamente in data 26/10/2019, era stato controllato in compagnia con il coindagato L.B.G. , altro pregiudicato per reati contro il patrimonio e assalti a portavalori, soggetto a sua volta controllato con i coindagati T.P. e P.G. - in data 07/01/2020, quaranta giorni dopo la rapina che aveva fruttato il possesso del contenuto di 90 cassette di sicurezza contenenti orologi Rolex, gioielli e lingotti in oro, alle ore 15.08, il B. stesso aveva telefonato a T.P. discutendo con lui di alcuni problemi relativi a tale G.M. detto recchiolone con riferimento, tra l’altro, al riparto del denaro e di un lingotto. Di contro, con riferimento al capo A , si è evidenziato - in sintesi - come il B. abbia intessuto stabili rapporti di frequentazione con gli altri concorrenti nell’associazione, come evincibile dal contenuto di alcune conversazioni intercettate nel corso delle quali lo stesso è direttamente intercettato ovvero altri sodali intercettati parlano di lui conversazioni che rivelano cointeressenze - con qualche contrasto - tra i sodali e ben definiti progetti criminali v. pagg. 10-12 dell’ordinanza impugnata e che, con riferimento al ricorrente, dimostrano come lo stesso, all’interno dell’associazione, anche in considerazione della sua attività di carrozziere esercitata in Casoria, rivesta molteplici ruoli. Lo stesso, infatti si occupa delle targhe false che provvede a montare sui mezzi da utilizzare nel corso delle attività delittuose, conduce il camion con la gru il cui braccio viene utilizzato per la spaccata o lo sradicamento delle casse ATM/cassette di sicurezza partecipa alla distribuzione dei profitti e polemizza con gli altri associati delle spese e dei ruoli v. intercettazione n. 177 in data 07/10/2020, con contenuto riportato a pag. 13 dell’ordinanza impugnata . 5. Parimenti, manifestamente infondato è il terzo motivo. 5.1. Con riferimento alle esigenze cautelari, il Tribunale valorizza la presenza di numerosi pregiudizi per delitti della stessa specie tra cui, due condanne irrevocabile per furto aggravato, una per ricettazione ed una per rapina , commessi con modalità analoghe a quella in contestazione. Ma non solo. Si evidenzia al riguardo come la propensione del B. alla commissione di delitti contro il patrimonio appare addirittura agevolata dalla sua attività lavorativa, rendendolo un personaggio di riferimento dell’associazione, a contatto con i vertici per l’acquisto dei camion e per le sostituzioni delle targhe e addirittura prescelto per la guida della gru, a dimostrazione della disponibilità offerta a ricoprire più ruolo-chiave in seno al gruppo. A tutto questo il Tribunale aggiunge, dandone forte evidenziazione, che i componenti dell’associazione e lo stesso ricorrente sono stati intercettati fino al momento del fermo mentre erano intenti a pianificare nuove e analoghe allarmanti rapine ai danni di diversi istituti di credito, in diverse province della regione Campania trattasi di motivazione assistita da congruità logica-giuridica nei confronti della quale il ricorrente omette sostanzialmente di confrontarsi preferendo insistere nell’inammissibile motivo di ricorso che reitera pedissequamente quello svolto in sede di gravame. 5.2. Infine, il Tribunale risulta essersi conformato al pienamente condiviso orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, la concretezza postula che il pericolo di reiterazione del reato non sia ipotizzabile in astratto ma sia desunto da elementi di fatto esistenti cfr., Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016, dep. 2017, Verga, Rv. 269684 Sez. 2, n. 47891 del 07/09/2016, Vicini e altri, Rv. 268366 Sez. 2, n. 53645 del 08/09/2016, Lucà, Rv. 268977 Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, Ferrante e altri, Rv. 266511 Sez. 3, n. 12477 del 18/12/2015, Mondello, non mass. , mentre l’attualità di esso deve essere affermata qualora - all’esito di una valutazione prognostica fondata sulle modalità del fatto, sulla personalità del soggetto e sul contesto socio-ambientale in cui egli verrà a trovarsi, ove non sottoposto a misure - appaia probabile, anche se non imminente, la commissione di ulteriori reati ne deriva che il requisito dell’attualità del pericolo, può sussistere anche quando l’indagato non disponga di effettive ed immediate opportunità di ricadute cfr., Sez. 2, n. 44946 del 13/09/2016, Draghici e altro, Rv. 267965 Sez. 2, n. 26093 del 31/03/2016, Centineo, Rv. 267264 atteso che la valutazione prognostica in parola non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Cimieri, Rv. 271216 . Orientamento giurisprudenziale che - per le ragioni dianzi esposte - si ritiene di dover privilegiare rispetto a quello che postula che, per l’attualità del pericolo, non sia più sufficiente il riconoscimento dell’alta probabilità di tornare a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, essendo invece necessario prevedere che all’indagato si presenti effettivamente un’occasione prossima per compiere ulteriori delitti della stessa specie cfr., Sez. 3, n. 34154 del 24/04/2018, Ruggerini, Rv. 273674 nel medesimo senso, Sez. 6, n. 24779 del 10/05/2016, Rando, Rv. 267830 . 6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda la cancelleria agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.