Nel giudizio per omesso versamento di contributi va valutata la precedente assoluzione

La Cassazione ha annullato la sentenza d’appello che aveva condannato il legale rappresentante di una s.r.l. per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali trascurando la precedente assoluzione per il reato di cui all’art. 10- bis d.lgs. n. 74/2000 in relazione al medesimo periodo di tempo.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26519/20, depositata il 23 settembre. La Corte d’Appello di Perugia confermava la penale responsabilità di un imputato per il reato di cui all’art. 2 d.l. n. 463/1983, conv. in l. n. 638/1983, in qualità di legale rappresentante di una s.r.l., per l’ omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. La pronuncia è stata impugnata con ricorso per cassazione. La difesa deduce la violazione di legge per insussistenza dell’ elemento soggettivo del reato in ragione della gravissima esposizione debitoria che pesava sulla società nell’anno in contestazione e sulla conseguente crisi di liquidità che aveva reso impossibile l’adempimento dell’obbligazione previdenziale. Deduce inoltre travisamento della prova per omessa valutazione della prova decisiva costituita dalla pronuncia , divenuta irrevocabile , con cui il Tribunale di Terni aveva assolto il ricorrente perché il fatto non costituisce reato dall’imputazione di cui all’art. 10- bis d.lgs. n. 74/2000 afferente lo stesso periodo temporale. In quell’occasione, il giudice aveva infatti ritenuto che la crisi di liquidità che aveva colpito la società costituiva causa di forza maggiore rispetto al fatto contestato. Il ricorso è fondato. Secondo il Collegio ancorché si tratti di una fattispecie criminosa diversa da quella di cui al presente giudizio, si tratta pur sempre di un reato omissivo avente ad oggetto somme di danaro, afferente allo stesso arco temporale risultando dall’imputazione commesso il omissis del delitto in contestazione . La Corte territoriale avrebbe dunque dovuto procedere con la disamina della pronuncia del Tribunale di Terni, già passata in giudicato al momento della sua produzione in giudizio. Ed infatti l’identità del periodo interessato dalla crisi di liquidità aziendale, così come della natura dei due reati non consentiva ai giudici del gravame di ignorare la suddetta sentenza, così come è accaduto, ma richiedeva, al contrario, ove avesse ritenuto di confermare la pronuncia di condanna resa all’esito del primo grado del medesimo giudizio, una sorta di motivazione rafforzata volta non solo ad illustrare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento, ma altresì a confutare i più rilevanti argomenti della pronuncia assolutoria, dando conto delle ragioni loro della relativa incompletezza od incoerenza, tali da giustificare le opposte conclusioni raggiunte in termini di esclusione della causa di forza maggiore . L’omesso esame di tale valutazione si risolve in un’ omessa motivazione integrante il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e . Per questi motivi, la Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Ancona.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 luglio – 23 settembre 2020, n. 26519 Presidente Izzo – Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 26.4.2019 la Corte di Appello di Perugia ha confermato la penale responsabilità di B.G. per il reato di cui al D.L. n. 463 del 1983, art. 2, convertito in L. n. 638 del 1983, per aver, in qualità di legale rappresentante della s.r.l. I.B.M., omesso il versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti fino ad ottobre 2012, sia pur riducendo, attesa la sopravvenuta prescrizione delle mensilità maturate fino a settembre 2011, la pena inflittagli all’esito del primo grado di giudizio in sei mesi di reclusione ed Euro 400,00 di multa. 2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito alla L. n. 638 del 1983, art. 2 e al vizio motivazionale, la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in ragione della gravissima esposizione debitoria che pesava nell’anno 2011 sulla società e della conseguente crisi di liquidità che gli aveva reso impossibile, malgrado la propria esposizione personale, l’adempimento dell’obbligazione nei confronti dell’ente previdenziale. Deduce che nello specifico la I.B.M. presentava, secondo il bilancio 2011, una perdita di esercizio di oltre due milioni e mezzo di Euro e, secondo il bilancio dell’anno successivo, una perdita di quasi 1.200.000 Euro, oltre ad essere destinataria di numerosi decreti ingiuntivi e di procedure esecutive per centinaia di migliaia di Euro, a seguito della perdita di un’importante commessa che gli assicurava un fatturato di circa Euro 170.000 mensili, nonché dell’improvviso recesso della committente da un contratto di appalto relativo alla fornitura di contenitori per scorie nucleari. Lamenta la contraddittorietà della motivazione resa sul punto dalla Corte di Appello che, nell’escludere che la gravissima crisi dell’azienda potesse assurgere a scriminante della rilevanza penale della condotta, si era posta in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, una volta dimostrata da parte dell’imputato sia la non imputabilità a lui medesimo dello stato di dissesto finanziario, sia l’impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite misure idonee, deve configurarsi l’assoluta impossibilità di adempiere il debito corrispondente al reato contestato. Evidenzia altresì come in nessuna considerazione fosse stata tenuta la tempistica delle iniziative economiche assunte dall’imputato che, proprio per fronteggiare l’emergenza finanziaria della società, aveva richiesto ed ottenuto in data 7.6.2011 tre affidamenti da parte dell’istituto bancario Unicredit garantendoli personalmente quale fidejussore e trovandosi, proprio perché garante, sottoposto successivamente ad azione esecutiva. 2.2. Con il secondo motivo lamenta il travisamento della prova in cui era incorsa la Corte di Appello per aver omesso di valutare una prova decisiva costituita dalla sentenza prodotta dalla difesa all’udienza del 26.4.2019 con tale pronuncia resa dal Tribunale di Terni in data 3.1.2018 e diventata irrevocabile l’1.6.2018 il B. era stato assolto perché il fatto non costituisce reato dall’imputazione relativa al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, afferente lo stesso periodo temporale di quello oggetto del presente processo, avendo il giudice di merito ritenuto che la crisi di liquidità che aveva investito la I.B.M. dal 2011 in poi, crisi poi conclusasi con il fallimento, costituisse una causa di forza maggiore in quanto causata da un evento imprevedibile, quale la improvvisa perdita delle commesse e degli appalti da sempre concessi alla società, i quali rappresentavano il fatturato maggiore risultante dal bilancio, perdita alla quale l’imputato aveva cercato di resistere tramite aperture di credito assistite da fideiussioni personali al fine di ottenere la liquidità necessaria anche all’assolvimento dei debiti tributari, senza tuttavia riuscire ad adempiere come dimostrato dal successivo fallimento della società e dal pignoramento della sua stessa casa di abitazione. 3. Con il terzo motivo deduce in via subordinata che la motivazione resa in ordine al trattamento sanzionatorio non contiene alcuna risposta allo specifico motivo di gravame relativo alla richiesta di contenimento della pena nel minimo edittale e della concessione della sospensione condizionale. Considerato in diritto Il ricorso deve ritenersi fondato. Anche a voler ritenere, così come assume la Corte distrettuale, che lo spazio di manovra che con gli affidamenti concessigli dall’Unicredit consentisse al B. , stante la sufficienza delle somme poste a suo credito dalla banca, di adempiere all’obbligazione nei confronti dell’ente previdenziale, risulta in ogni caso integralmente tralasciata la sentenza prodotta dalla difesa innanzi ai giudici di appello, sulla quale si era svolto, stando al verbale di causa, ampio dibattito tra il difensore e l’organo della accusa, concernente l’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Terni in data nei confronti dello stesso imputato con la formula perché il fatto non costituisce reato in relazione all’imputazione del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, per omesso versamento delle ritenute sulle retribuzioni del personale dipendente effettuate come sostituto di imposta nell’anno 2011. Ancorché si tratti di una fattispecie criminosa diversa da quella di cui al presente giudizio, si tratta pur sempre di un reato omissivo avente ad oggetto somme di danaro, afferente allo stesso arco temporale risultando dall’imputazione commesso il OMISSIS del delitto in contestazione che copre il periodo dall’ottobre 2011 all’ottobre 2012. Avendo il Tribunale di Terni con la suddetta sentenza, passata in giudicato al momento della sua produzione in giudizio, ritenuto che l’improvvisa perdita delle commesse e degli appalti su cui la società I.B.M. aveva sempre fino ad allora potuto fare affidamento costituisse una causa di forza maggiore rispetto al venir meno della liquidità necessaria all’adempimento in tal caso nei confronti dell’erario idonea ad escludere l’elemento soggettivo del reato per avere l’imputato al contempo profuso ogni possibile sforzo economico per fronteggiare il debito, finanche esponendo la sua stessa casa di abitazione, risultata poi assoggettata a pignoramento immobiliare, si imponeva per la Corte perugina la doverosa disamina di tale pronuncia al fine di aderirvi ovvero di disattenderla, senza tuttavia creare un contrasto tra questioni similari. Invero, l’identità del periodo interessato dalla crisi di liquidità aziendale, così come della natura dei due reati non consentiva ai giudici del gravame di ignorare la suddetta sentenza, così come è accaduto, ma richiedeva, al contrario, ove avesse ritenuto di confermare la pronuncia di condanna resa all’esito del primo grado del medesimo giudizio, una sorta di motivazione rafforzata volta non solo ad illustrare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento, ma altresì a confutare i più rilevanti argomenti della pronuncia assolutoria, dando conto delle ragioni loro della relativa incompletezza od incoerenza, tali da giustificare le opposte conclusioni raggiunte in termini di esclusione della causa di forza maggiore. Deve infatti essere considerato che gli argomenti utilizzati dalla difesa a sostegno della eccepita inconfigurabilità del reato di cui alla L. n. 638 del 1983, art. 2, corrispondono alle medesime ragioni esposte, in senso con essi collimante, dalla sentenza passata in giudicato, che proprio perciò hanno costituito oggetto di un serrato confronto tra la difesa ed il Procuratore Generale presso la Corte di Appello, onde la loro mancata disamina si traduce in un’omessa motivazione integrante il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e . La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio alla Corte di Appello di Ancona che dovrà procedere a nuovo giudizio tenendo conto della pronuncia pronunciata dal Tribunale di Terni in data 5.10.2017 e passata in giudicato in data 1.6.2018 in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto in contestazione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Ancona.