Adescamento di minorenne: quando ricorre l’elemento soggettivo?

I Giudici di legittimità analizzano con attenzione il duplice profilo dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. 609-undecies c.p. ai fini della configurazione del reato, per evitare di sanzionare penalmente condotte del tutto prive di offensività.

Questo l’oggetto della sentenza della Corte di Cassazione n. 25431/20, depositata il 9 settembre. Il Tribunale di Treviso condannava l’imputato per il reato di cui all’art. 609- undecies c.p., per avere egli adescato un minorenne , carpendone la fiducia tramite promessa di denaro ed invitandolo a fare una passeggiata in sua compagnia, allo scopo di compiere atti sessuali con lo stesso. A seguito di impugnazione, la Corte d’Appello confermava la suddetta pronuncia. Non soddisfatto, l’imputato propone ricorso per cassazione, denunciando l’individuazione dell’ elemento soggettivo del reato a lui contestato, il quale deve essere caratterizzato non solo dalla volontà di carpire la buona fede del minore ma anche dalla finalità di ottenere tale affidamento per commettere il reato in oggetto. La Suprema Corte dichiara fondato il ricorso, osservando come il dolo necessario ai fini dell’integrazione del reato ascritto all’imputato possieda una struttura più articolata rispetto all’ordinario. Rileva la Corte, infatti, che esso non ha solamente ad oggetto l’attività di adescamento del minore allo scopo di carpirne la fiducia mediante artifici, minacce o lusinghe poste in essere anche tramite internet o altri mezzi di comunicazione , ma anche la finalità specifica cui l’adescamento è diretto, ovvero la perpetrazione in danno del minorenne di uno dei reati contenuti nell’art. 609- undecies c.p Proprio in relazione a tale disposizione, la Corte osserva che per via della clausola di riserva ivi prevista, il reato di adescamento di minori viene ad esistenza solo quando la condotta non integri gli estremi del reato fine, neanche mediante tentativo, dovendosi ritenere che ove la condotta si sia spinta sino alla esplicita prospettazione e pianificazione di incontri diretti alla consumazione di rapporti sessuali con un soggetto infraquattordicenne sia già stato integrato il tentativo di violazione dell’art. 609- quater , essendo stati travalicati i limiti del mero adescamento . In considerazione di ciò, l’indagine in sede di merito dovrà essere svolta in modo molto accurato per riscontrare la ricorrenza sotto i due profili anzidetti dell’elemento soggettivo del reato, e dovrà esserlo ancora di più qualora gli atti di adescamento siano privi di autonoma valenza sintomatica, per non correre il rischio di sanzionare penalmente condotte prive del tutto di offensività. Ciò posto, nel caso di specie i Giudici hanno fatto discendere la duplice valenza dell’elemento soggettivo nella condotta del ricorrente da elementi privi di specifica significatività , come ad esempio il tipo di approccio” utilizzato con la persona offesa. Per questi motivi, data la carenza motivazionale relativa alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo come sopra descritto, la Suprema Corte annulla la decisione impugnata e rinvia gli atti al Giudice di secondo grado.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 luglio – 9 settembre 2020, n. 25431 Presidente Ramacci – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con sentenza del 26 aprile 2016 il Tribunale di Treviso ha dichiarato la penale responsabilità di M.A. in ordine al reato di cui all’art. 609-undecies c.p., per avere lo stesso, allo scopo di compiere atti sessuali con tale B.M. , soggetto di età inferiore agli anni XX, adescato il medesimo, carpendone la fiducia mediante una promessa in danaro ed invitandolo ad una passeggiata in sua compagnia lungo le sorgenti del fiume , e lo ha, pertanto, condannato, concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 8 di reclusione. Avendo il prevenuto articolato gravame avverso la predetta sentenza, la Corte di appello di Venezia, in data 28 gennaio 2019, ha integralmente rigettato la impugnazione, confermando la sentenza del giudice di primo grado. In particolare la Corte territoriale ha ritenuto assolutamente inverosimile la tesi secondo la quale l’episodio dell’incontro e della conversazione fra l’imputato ed il minore, la cui effettiva sussistenza non è in discussione, sia stato mendacemente strumentalizzato dai familiari di questo a cagione di un preesistente attrito fra le famiglie dei due protagonisti della presente vicenda ha altresì rilevato come il comportamento tenuto nella occasione dal M. , data la sua singolarità, fosse indicativo della effettiva sua volontà di usare violenza sessuale al minore in questione. Ha interposto ricorso per cassazione il M. , tramite il suo difensore di fiducia, articolando a tal fine due motivi di impugnazione. Con il primo egli ha censurato la sentenza impugnata, con riferimento sia alla violazione di legge che al difetto di motivazione, riguardo alla logicità di essa, con riferimento alla individuabilità in capo all’imputato dell’elemento soggettivo che deve essere caratterizzato, data la peculiarità del reato, non solo dalla volontà di carpire la buona fede della persona offesa ma anche dalla finalità di ottenere un siffatto affidamento onde commettere uno dei reati indicati dalla norma precettiva una tale duplice indagine sull’elemento soggettivo è ad avviso del ricorrente necessaria al fine di non rischiare di punire condotte del tutto prive del requisito della offensività. Nell’occasione tale indagine non sarebbe stata compiuta, posto che i giudici del merito avrebbero desunto la volontà da parte del M. di usare violenza sessuale in danno del minore solo in ragioneò della ritenuta singolarità delle modalità di approccio dall’uomo tenute nei confronti del minore, senza che nel corso di essi ci sia stato un qualche esplicito riferimento ad un possibile contenuto sessuale di tale approccio. Con il secondo motivo di censura la difesa del ricorrente ha lamentato la valutazione complessivamente operata sulla attendibilità di quanto riferito dal minore che, mai ascoltato in sede di indagini preliminari, è stato sentito, all’età di anni, solo nel corso del dibattimento di primo grado. La citata difesa, oltre a lamentare delle incongruenze fra la realtà e quanto detto dal minore, in particolare in ordine al suo andamento scolastico, ha rilevato che mai sono state adottate le procedure suggerite dai protocolli della Carta di Noto per l’ascolto dei minori vittime di abusi la Corte non ha considerato che il racconto del minore poteva essere stato influenzato dal fatto che dell’episodio in questione si era più volte parlato all’interno della famiglia di quello ed i suoi effettivi limiti potevano essere stati, pertanto, dilatati a causa di tali conversazioni. Considerato in diritto Il ricorso proposto è fondato e, pertanto, lo stesso deve essere accolto. Partendo, infatti, dall’esame del primo motivo di impugnazione, con il quale la difesa del ricorrente ha lamentato, sia sotto il profilo della violazione di legge che sotto quello della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, l’affermazione avente ad oggetto la ritenuta ricorrenza dell’elemento soggettivo proprio del reato oggetto di contestazione, osserva il Collegio che, sotto il profilo del dolo, necessario ai fini della integrazione del reato ascritto al prevenuto, questo presenta, riguardo alla contestata imputazione, una struttura più articolata dell’ordinario. Esso, infatti, non deve avere ad oggetto solamente l’attività di adescamento del minore, volta a carpirne, come espressamente precisato dalla norma sanzionatoria, la fiducia attraverso attività consistenti in artifici, lusinghe o minacce, poste in essere anche tramite l’utilizzo della rete internet o altre reti o mezzi di comunicazione, ma deve riguardare anche la finalità specifica cui siffatto adescamento è strumentale, cioè la perpetrazione in danno del minore stesso di uno dei reati specificamente elencati nella parte iniziale dell’art. 609-undecies c.p. in tal senso Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 aprile 2019, n. 17373 . Come è stato in altra occasione rilevato da questa Corte, attraverso l’introduzione dell’art. 609-undecies c.p, il legislatore ha, pertanto, inteso realizzare un duplice livello di tutela della libertà sessuale del minore un primo livello, garantito dalla creazione di un vero e proprio reato-ostacolo, volto ad anticipare la tutela in quanto consente la repressione di condotte che, pur non integrando di per sé la immediata lesione della libertà sessuale del soggetto minorenne, appaiono dolosamente strumentali, in ragione dell’utilizzo della lusinga, dell’artificio e della minaccia, alla vulnerazione di quella un secondo livello, eventualmente anch’esso, ma nelle abituali forme della univocità della direzione e della idoneità dei mezzi, anticipato ove ricorrano gli estremi del tentativo, volto a reprimere la diretta lesione del bene-interesse tutelato Corte di Cassazione, Sezione III penale, 23 aprile 2019, n. 17373 . Proprio in relazione al rapporto dialettico fra adescamento di minorenni e tentativo di violenza sessuale ovvero di atto sessuale con minorenne, è stato perspicuamente rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte che, in forza della clausola di riserva prevista dall’art. 609-undecies c.p., il reato di adescamento di minori si configura soltanto in quanto la condotta non integri gli estremi del reato fine, neanche nella forma tentata, dovendosi ritenere che, ove la condotta si sia spinta sino alla esplicita prospettazione e pianificazione di incontri diretti alla consumazione di rapporti sessuali con un soggetto infraquattordicenne sia già stato integrato il tentativo di violazione dell’art. 609-quater, essendo stati travalicati i limiti del mero adescamento Corte di Cassazione, Sezione III penale, 22 febbraio 2017, n. 8691 . Travalicamento che, ove verificatosi, determina la irrilevanza penale della precedente condotta, la quale costituisce un antefatto non punibile del tentativo o, a maggior ragione, del diverso delitto compiutamente perfezionatosi, posto che, ove si ritenesse in modo difforme, si otterrebbe il risultato di perseguire la medesima condotta sotto la guisa di due diversi titoli delittuosi con una ingiustificata moltiplicazione sanzionatoria Corte di Cassazione, Sezione III penale, 20 aprile 2015, n. 16329 , risultato che pacificamente la ricordata clausola di riserva contenuta nell’art. 609-undeciers c.p., consente di evitare. Ciò considerato, osserva il Collegio che tanto più accurata dovrà essere l’indagine che in sede di merito deve essere svolta in relazione alla ricorrenza, sotto il predicato duplice profilo, dell’elemento soggettivo del reato, quanto più privi di autonoma valenza sintomatica siano gli atti riguardanti specificamente l’adescamento, ove non si voglia correre il rischio di sanzionare penalmente condotte non solo del tutto prive di offensività - rischio questo, peraltro, insito in tutti i casi in cui oggetto di sanzione è un cosiddetto reato-ostacolo, volto ad assicurare una tutela avanzata a beni interessi, di rilevante portata sociale, ancora non direttamente oggetto di lesione per effetto della condotta posta in essere dal soggetto agente - ma anche di obliterare nei fatti il dettato normativo sancito dall’art. 609-undecies c.p., il quale impone di sanzionare penalmente non qualsivoglia attività di adescamento di soggetto minore di età, ma solo quella che abbia la finalità di consentire, o quanto meno facilitare, la divisata realizzazione di una delle condotte criminose specificamente, elencate dalla norma ora in questione. Nel caso in esame il Tribunale di Treviso, in prima battuta, e la Corte di appello di Venezia, in sede di giudizio di gravame, hanno fatto discendere la duplice valenza dell’elemento soggettivo riscontrabile nel M. da fattori privi di una specifica significatività in quanto, per un verso, il tipo di approccio con il quale l’imputato si sarebbe accostato alla persona offesa, valorizzato, invece, dai giudici del merito a fini dimostrativi del fine cui lo stesso avrebbe teso, appare, invece, privo di una qualche efficacia semantica tale da fare intendere che esso era finalizzato alla successiva perpetrazione di un reato a sfondo sessuale anche la stessa espressione utilizzata dal M. nel corso del suo colloqui con il minore, enfatizzata dai giudici di merito quale indice rivelatore di un malsano interesse dell’imputato per la corporeità della piccola persona offesa, cioè il riferimento al fatto che questi avesse già fatto lo sviluppo espressione con la quale si dovrebbe intendere il verificarsi dei molteplici processi morfologici e psicologici che si accompagnano all’avvenuto passaggio dalla età prettamente infantile a quella adolescenziale , non può essere intesa, con la tendenziale certezza che il suo utilizzo per l’accertamento della penale responsabilità del prevenuto impone come necessaria, come rappresentativa di tale atteggiamento psicologico dell’imputato, ove si consideri che la stessa, se posta in relazione al rilievo immediatamente prima fatto dall’imputato in ordine alla inadeguatezza, per difetto, della misura che aveva la bicicletta in quel momento inforcata dal B. rispetto alla complessiva struttura fisica del minore, ben poteva essere stata utilizzata quale fattore che aveva giustificato il rilievo fatto dal M. in ordine alle dimensioni della bicicletta del B. . Singolare è, per altro verso, l’affermazione, sviluppata dal Tribunale e pienamente avallata dalla Corte di merito, e tale da minare irrimediabilmente la logicità della motivazione della sentenza impugnata, laddove si precisa che proprio la evasività delle parole dell’imputato in ordine alla ritenute effettive finalità delittuose dell’invito rivolto da questo al minore, sarebbero elemento che, invece, ne rafforzerebbe la valenza sintomatica. Si osserva, infatti, nella sentenza del giudice di primo grado - le cui motivazioni devono intendersi trasfuse, ove non diversamente esposte, nella conforme sentenza della Corte di appello - che il contenuto non troppo esplicito nel manifestare lo scopo sessuale del prospettato incontro non costituisce fattore ostativo alla riconducibilità a tale finalità - cioè l’adescamento a fini di soddisfazione della concupiscenza sessuale - delle espressioni pronunziate posto che, ove le stesse fossero state più dirette esse non avrebbero avuto la possibilità di svolgere. la loro funzione di induzione del minore ad accettare l’invito, suscitando, invece, in questo una qualche reazione. L’argomento in tal senso svolto dai giudici di merito non sembra affatto condivisibile ove si rifletta sulla circostanza che, in accordo con esso, dovrebbe concludersi, in maniera chiaramente illogica, che il valore indiziario delle espressioni usate risiederebbe proprio nella loro equivocità e vaghezza, in tal modo risultando, però, stravolto l’ordinario criterio interpretativo delle espressioni lessicali che, ove non appaia che le stesse costituiscono gli elementi di un linguaggio cifrato, deve fondarsi sul loro ordinario significato generalmente riconosciuto. Attribuire, viceversa, un valore recondito a frasi che ne sono apparentemente esulanti affermando che, se immediatamente reso, tale valore avrebbe frustrato i progetti criminosi del proferente è, come suol dirsi, ragionamento che prova troppo, posto che, seguendolo, sarebbe possibile attribuire un qualunque significato, diverso da quello ordinariamente ad essa attribuito, ad una qualsiasi frase pronunziata, essendo il contenutò di essa consapevolmente e volutamente difettivo rispetto alla reali intenzioni di chi la abbia pronunziata. Evidente è la vizio logico che mina un siffatto ragionamento, il quale è chiaramente teso ad attribuire un apparente avallo formale ad una, diversamente indimostrata, tesi precostituita. Data la carenza motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza del complesso elemento soggettivo che caratterizza la fattispecie criminosa in esame - carenza che neppure è possibile colmare attraverso il rilievo, suggestivamente richiamato nella sentenza impugnata, legato alla esistenza di un pregiudizio penale a carico del prevenuto avente ad oggetto una condotta criminosa, posta in essere successivamente ai fatti per cui è processo, avente la stessa indole di quella di cui ora si discute, stante la mancanza di dimostrazione di un qualche reale collegamento fra i due episodi in questione la sentenza impugnata, essendo risultato assorbito il secondo motivo di impugnazione, va annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia, per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia per nuovo giudizio. In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.