Bancarotta fraudolenta: la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni societari può desumersi dall’assenza della loro destinazione

La Suprema Corte richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta anche dalla mancata dimostrazione della destinazione degli stessi da parte dell’amministratore.

Questa la decisione della Corte di Cassazione n. 25108/20, depositata il 4 settembre. La Corte d’Appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Prato avente ad oggetto la declaratoria della responsabilità penale dell’attuale ricorrente per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale, avendo egli consegnato agli organi della procedura concorsuale solamente il libro giornale della società da lui amministrata relativa agli anni 2005 e 2006, occultando ovvero distruggendo le altre scritture. Contro tale pronuncia, l’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando la ritenuta ravvisabilità dei delitti a lui contestati e censurando il giudizio di sola equivalenza operato dal Giudice tra le attenuanti generiche e la circostanza aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, senza tenere conto non solo della sua pregressa incensuratezza ma anche del suo comportamento processuale. La Corte di Cassazione dichiara i motivi di ricorso inammissibili . Nonostante ciò, per ragioni diverse ed ulteriori, essa ritiene di dover annullare parzialmente la decisione impugnata. I Giudici di legittimità chiariscono, innanzitutto, che in merito alla ravvisabilità dei reati addebitati al ricorrente, deve seguirsi il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione , da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti , conseguendone, nel caso concreto, la correttezza delle affermazioni proprie dei Giudici di primo e secondo grado quanto alla ritenuta penale responsabilità dell’imputato. Per quanto riguarda, invece, il giudizio di comparazione tra opposte circostanze, le Sezioni Unite hanno già avuto modo di specificare che le situazioni che esso ha ad oggetto sfuggono al sindacato di legittimità quando non siano il risultato di un mero arbitrio o di un ragionamento illogico e siano sostenute da motivazione sufficiente, poiché implicano una valutazione discrezionale del giudice tipica del giudizio di merito. Tuttavia, la Corte annulla parzialmente la decisione per via dell’intervenuta sentenza n. 222/2018 , con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultimo comma dell’art. 216 legge fall. nella parte in cui determinava nella misura fissa di, anziché fino a, 10 anni la durata delle pene accessorie previste per i reati fallimentari sanzionati dai commi precedenti , non potendo essere, dunque, automatica la commisurazione di tali pene accessorie nel caso di specie, essendo state applicate al ricorrente sulla base di un dettato normativo ritenuto incostituzionale. Per questo motivo, la Corte annulla la decisione impugnata limitatamente alle pene accessorie .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 febbraio – 4 settembre 2020, n. 25108 Presidente Bruno – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il difensore di S.A. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei confronti del suo assistito dal Tribunale di Prato, in data 11/10/2016. La declaratoria di penale responsabilità dell’imputato riguarda addebiti di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale secondo l’ipotesi accusatoria, il S. - amministratore della omissis s.r.l., dichiarata fallita nel gennaio 2007 - avrebbe consegnato agli organi della procedura concorsuale soltanto il libro giornale relativo agli esercizi 2005 e 2006, occultando o distruggendo le ulteriori scritture ovvero tenendole in guisa tale da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari della società inoltre, anche attraverso prelievi effettuati a mezzo di assegni bancari da lui sottoscritti, avrebbe depauperato le risorse della fallita, per un controvalore di oltre 500.000,00 Euro. Nell’interesse del ricorrente si deducono violazione di legge e vizi della motivazione della sentenza impugnata con riguardo - alla ritenuta ravvisabilità del delitto di bancarotta patrimoniale, non essendo stati acquisiti elementi di sorta a sostegno dell’assunto che la omissis disponesse in concreto dei beni asseritamente distratti, sia quanto alle giacenze di cassa individuate come mera risultanza contabile, peraltro in un contesto di ipotizzata inattendibilità delle scritture , sia in ordine agli assegni mai essendosene appurato l’effettivo pagamento - alla configurabilità dell’affermata bancarotta documentale, contestata - in termini di reciproca incompatibilità - vuoi come tenuta irregolare, strumentale a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio, vuoi come vera e propria sottrazione od occultamento. In ogni caso, il fatto materiale sarebbe stato desunto dalla sola circostanza della consegna al curatore fallimentare del libro giornale, con il risultato di considerare provato l’elemento materiale del reato in base al mancato rinvenimento di altri registri soci, inventari, assemblee e beni ammortizzabili , ignorando peraltro che lo stesso curatore aveva affermato di essere stato in grado di individuare il movimento degli affari della fallita, già in base alle scritture IVA. Al più, pertanto, sarebbe stato necessario derubricare il reato ascritto al S. nella meno grave ipotesi criminosa di bancarotta semplice - al giudizio di sola equivalenza formulato dalla Corte territoriale fra le attenuanti generiche e la circostanza aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, a dispetto della pregressa incensuratezza del S. e del suo leale comportamento processuale. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso appaiono inammissibili, per manifesta infondatezza tuttavia - per ragioni diverse ed ulteriori rispetto ai profili di censura avanzati dalla difesa - si impone comunque il parziale annullamento della decisione impugnata. 2. Quanto alla ravvisabilità dei reati in rubrica, è necessario innanzi tutto richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti Cass., Sez. V, n. 8260/2016 del 22/09/2015, Aucello, Rv 267710 . Nella motivazione della pronuncia appena richiamata, si è fra l’altro evidenziato che la responsabilità dell’imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di verità - penalmente sanzionato, gravante L. Fall., ex art. 87 sul fallito, interpellato dal curatore circa la destinazione dei beni dell’impresa - giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore della società fallita, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato, non essendo a tal fine sufficienti asserzioni generiche. In quella circostanza, era stata valutata irrilevante l’indicazione di un assorbimento delle risorse non rinvenute nei costi gestionali, non documentati nè precisati in dettaglio nell’odierna fattispecie concreta, come segnalato dalla Corte fiorentina, il S. si era limitato a sostenere che il fondo cassa non era esistente, ascrivendo poi ad un rapporto usurario la giustificazione degli assegni che si era trovato costretto ad emettere tema, quest’ultimo, emerso dall’istruttoria dibattimentale e rimasto puramente allegato . In ogni caso, va posto in evidenza che l’inattendibilità delle scritture contabili era stata sottolineata dai giudici di merito in termini generali, non già a proposito della presunta volontà degli amministratori della fallita di far emergere una situazione patrimoniale più florida del reale come potrebbe accadere volendo rappresentare una falsa condizione di meritevolezza nell’accesso al credito, ad esempio facendo apparire giacenze di cassa fittizie nel contempo, rimane irrilevante verificare se gli assegni emessi dal S. furono pagati o no, atteso che ne derivò comunque l’assunzione di pacifiche esposizioni debitorie. 3. Analogamente, le argomentazioni difensive sulla presunta insostenibilità dell’accusa di bancarotta fraudolenta documentale appaiono di carattere assertivo. In primis, deve rilevarsi come la contestazione risulti chiaramente relativa ad una ipotesi di tenuta delle scritture in guisa tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari fattispecie a dolo generico , al di là del successivo riferimento, quale modalità della condotta, alla sottrazione od occultamento di alcuni dei libri. In secondo luogo, si legge nel ricorso che il curatore avrebbe riferito di essere stato in grado di operare la ricostruzione anzidetta, contrariamente a quanto si desume dalla motivazione della sentenza impugnata tuttavia, è la stessa difesa del S. ad evidenziare che quella dichiarazione non fu resa dal curatore in dibattimento, bensì in sede di sommarie informazioni testimoniali durante le indagini, tanto che il dato emerse soltanto a seguito di rituale contestazione. Ciò comporta che, altrimenti non giustificandosi il ricorso alla contestazione de qua, la versione riferita in contraddittorio fu effettivamente quella opposta di cui la Corte territoriale dà correttamente contezza nè l’atto di impugnazione chiarisce - rimanendo, sul punto, generico - se e come il curatore ebbe a correggere le indicazioni offerte. 4. In ordine alla dedotta violazione dell’art. 69 c.p., è necessario ricordare come le Sezioni Unite di questa Corte abbiano puntualizzato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi anche quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto Cass., Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo . 5. Si impone, non di meno, il parziale annullamento della sentenza in epigrafe a seguito del dictum del giudice delle leggi Corte Cost., sentenza n. 222 del 2018 , che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 216, u.c., nella parte in cui determinava nella misura fissa di, anziché fino a, 10 anni la durata delle pene accessorie previste per i reati fallimentari sanzionati dai commi precedenti. Non è dunque conforme a legge la commisurazione automatica delle suddette pene accessorie nel caso di specie, perché applicate all’imputato sulla base di un dettato normativo ritenuto incostituzionale. Conseguentemente, la pronuncia impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, per nuovo esame sul punto si impongono infatti, a riguardo, valutazioni di merito che esulano dai limiti cognitivi di questa Corte di legittimità. Ai sensi dell’art. 624 c.p.p., dall’annullamento con rinvio circoscritto al punto di cui sopra deriva l’autorità di cosa giudicata per tutti i restanti punti della sentenza in primis, l’accertamento della responsabilità dell’imputato e la quantificazione della pena principale privi di connessione con quello oggetto di annullamento. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie di cui alla L. Fall., art. 216, u.c., e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.