Più illeciti in un consistente arco temporale? C’è pericolosità sociale

Le misure di prevenzione disposte nei confronti dei soggetti c.d. pericolosi generici che rientrano in entrambe le categorie di cui alle lett. a e b dell'art. 1 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non perdono la loro validità a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 24/19, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della sola prima categoria di soggetti,

a condizione che nella proposta e nel provvedimento applicativo non solo sia stata richiamata anche la categoria di cui alla lett. b della norma citata, ma, altresì, che il giudice della misura abbia accertato, sulla base di specifiche circostanze di fatto, che il proposto si sia reso autore di delitti commessi abitualmente in un significativo arco temporale, da cui abbia tratto un profitto che costituisca - ovvero abbia costituito in una determinata epoca - il suo unico reddito o, quanto meno, una componente significativa del medesimo. Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24635/20, depositata il 1° settembre. I presupposti di pericolosità sociale In tema di applicazione di misure di prevenzione, la pericolosità sociale non deve necessariamente essere formulata sulla base di prove occorrenti per la condanna penale, trattandosi di valutazione essenzialmente sintomatica, che, nell'ipotesi di sospetta appartenenza ad associazioni mafiose, può basarsi sull'utilizzazione di qualsiasi elemento indiziario. Ma affinché un soggetto possa ritenersi raggiunto da fondati sospetti di inserimento in una organizzazione criminale di tipo mafioso, tali da legittimare l'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, è necessario che gli indizi siano di per sé certi, ossia rappresentati da circostanze oggettive, ed idonei a fondare un giudizio di qualificata probabilità di tale inserimento. Non può considerarsi certo un indizio già smentito in sede di accertamento penale. In ogni caso, pur potendo il giudice della prevenzione diversamente apprezzare, ai diversi fini del giudizio di pericolosità, la valenza dell'indizio, non può prescindere dal considerare gli eventuali accertamenti positivi o negativi emersi in sede penale e, comunque, non può ignorare l'esito dell'accertamento giurisdizionale penale. Sul piano processuale, stante l'autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al processo penale, il giudice della prevenzione è abilitato a compiere una valutazione degli elementi probatori tratti da procedimenti penali anche in corso. Nell'ambito di tale valutazione, il giudice della prevenzione non è vincolato all'osservanza dell'art. 192 c.p.p., norma che è funzionale all'accertamento della responsabilità penale, potendo egli fondare il proprio convincimento su elementi di minore efficacia probatoria, i quali siano idonei a dimostrare, sul piano indiziario, che il prevenuto sia persona socialmente pericolosa. e l’orientamento della giurisprudenza. Presupposto dell'applicazione delle misure di prevenzione è l'accertamento dell'attualità della pericolosità sociale della persona, da non confondere con la proclività a commettere azioni delittuose. Ad esempio, in passato la Suprema Corte ha annullato il decreto di applicazione della misura di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, fondata su una sentenza di condanna risalente a tre anni prima e su inesistenti frequentazioni con soggetti malavitosi. Inoltre, in materia di applicazione di misure di prevenzione, il giudizio di pericolosità presuppone un'oggettiva valutazione di fatti sintomatici della condotta abituale e del tenore di vita del proposto, da accertare in modo tale da escludere valutazioni meramente soggettive da parte dell'autorità proponente, il cui giudizio può basarsi anche su elementi che giustifichino sospetti o presunzioni, purché obiettivamente accertati, come i precedenti penali, l'esistenza di recenti denunzie per gravi reati, il tenore di vita, l'abituale compagnia di pregiudicati e di soggetti sottoposti a misure di prevenzione, ed altre manifestazioni oggettivamente contrastanti con la sicurezza pubblica, in modo che risulti esaminata globalmente l'intera personalità del soggetto come risultante da tutte le manifestazioni sociali della sua vita. Peraltro, ai fini dell'applicazione delle misure di prevenzione, devono intendersi quali soggetti indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso coloro nei confronti dei quali risultino acquisiti elementi di sicuro valore sintomatico tali da rendere ragionevolmente fondata la probabilità che costoro siano effettivamente aderenti a un'organizzazione criminosa appartenente al genere indicato dalla norma. Inoltre, ai fini dell'applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso è necessario accertare il requisito della attualità” della pericolosità del proposto. Solo nel caso in cui sussistano elementi sintomatici di una partecipazione” del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo, purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell'accertamento di attualità della pericolosità.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 giugno – 1° settembre 2020, n. 24635 Presidente Costanzo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Catanzaro, con il decreto del 16 ottobre 2019, ha respinto il ricorso proposto da G.B. avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Cosenza gli aveva applicato in aggravamento la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di Pubblica sicurezza, per la durata di un anno per complessivi anni cinque con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza e l'imposizione di una cauzione dell'importo di Euro 500,00. Gli aveva imposto, altresì, le prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 8. 2. La Corte di merito ha confermato il giudizio di pericolosità sociale del G. dando atto che, dopo il precedente aggravamento della misura, era stata accertata la commissione di reati di evasione furto ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. La Corte ha, in particolare, esaminato le deduzioni difensive che investivano il tema della persistenza della pericolosità in relazione all'intervenuto proscioglimento del G. per incapacità di intendere e volere al momento del fatto, intervenuto con sentenza del 6 maggio 2019. Tale status, secondo la Corte, non incide, elidendolo, sul giudizio di pericolosità dal momento che lo stesso consulente di parte del proposto aveva affermato che i disturbi di personalità del G. non escludono la possibilità di reiterazione di reati. Nè il giudizio di incapacità è ostativo alla formulazione del giudizio di pericolosità, tant'è che l'art. 203 c.p. espressamente prevede la possibilità di dichiarare socialmente pericoloso il soggetto non imputabile o non punibile. L'attitudine del G. alla reiterazione di reati, ampiamente manifestatasi in passato, non esclude che ulteriori e nuovi reati possano essere reiterati anche in futuro sicchè la misura di prevenzione appare funzionale alla prevenzione di siffatto pericolo. 3. Propone ricorso per cassazione, denunciando violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 1, 4 e 6, artt. 27 e 111 Cost. nonchè apparenza di motivazione, in relazione al contenuto delle disposizioni di cui all'art. 6 Convenzione Edu, art. 11 Cost., comma 6, D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 2 e art. 125 c.p.p., comma 3 per 3.1. Insussistenza del presupposto soggettivo di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 1 e 4 poichè il disposto aggravamento non indica nè un'abituale dedizione del G. alla commissione di traffici illeciti nè che si tratta di persona che vive abitualmente di proventi di attività delittuose 3.2. la strutturale inidoneità della misura di prevenzione a realizzare la finalità tipica dal momento che le precedenti misure di prevenzione si sono dimostrate inutili poichè non sono suscettibili di incidere sulla condizioni psichiatriche del G., che ne determinano l'agire sociale, trattandosi di tossicomane cronico e di persona affetta da due disturbi psichiatrici in quanto riconosciuto nel 2014 e nel 2016 affetto da disturbo di personalità e disturbo da dipendenza di sostanze stupefacenti di talchè deve convenirsi che il comportamento antisociale e la violazione delle regole costituiscono un tratto caratteristico delle descritte patologie. Anche il 28 marzo 2018, dopo oltre un anno di carcerazione, la Commissione Medica provinciale ne ha diagnosticato un disturbo borderline di personalità con riconoscimento di invalidità oscillante tra il 74% e il 99% e con sentenza del 6 maggio 2019 il Tribunale di Castrovillari lo ha prosciolto dal reato di resistenza per incapacità di intendere e di volere 3.3.erronea è l'interpretazione della Corte di appello nella parte in cui ritiene non necessario, ai fini dell'applicazione della misura di prevenzione Ndr testo originale non comprensibile della capacità e personalità del proposto ovvero della sua capacità non solo di conoscere ma anche di volere mentre la comprensione della cogenza delle norme stride con la connotazione reattiva tipica del disturbo borderline di intensità tanto grave, per il ricorrente, da evidenziare nel tempo ed in lui comportamenti indifferenti ad ogni tipologia di misura restrittiva 3.4. violazione di legge, in relazione all'art. 6 CEDU art. 111 Cost. e D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, comma 2 e art. 125 c.p.p., comma 3 per apparenza della motivazione in ordine alla individuazione degli addebiti in fatto essendo del tutto indeterminati i rilievi evincibili dalla proposta di aggravamento quali il riferimento a comportamenti che violano lo status di sorvegliato speciale il mancato mutamento delle condizioni di vita la totale indifferenza alla misura di prevenzione, privi di alcuna connotazione in fatto 3.5. analoghi vizi inficiano il riferimento alle notizie di reato, richiamate attraverso una sterile elencazione, non colmate dall'acquisizione di documentazione disposta dalla Corte di appello, fra cui un certificato di carichi pendenti e di un certificato penale le cui risultanze, peraltro, non hanno costituito oggetto di disamina critica da parte della Corte di appello. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, e, per quanto di seguito si dirà, deve essere annullato con trasmissione degli atti per nuovo esame alla Corte distrettuale che si atterrà alle regole di diritto di seguito indicate. Il ricorso, per quanto confuso nella esposizione dei passaggi argomentativi delle censure esposte, è incentrato su tre essenziali rilievi, ovvero, la denuncia del vizio di violazione di legge per insussistenza del presupposto applicativo dell'aggravamento della misura di prevenzione, in relazione al paradigma normativo, costituito dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, comma 1, lett. b la denuncia del vizio di motivazione, in quanto quella sviluppata è di mera apparenza, nella individuazione degli elementi di fatto che hanno fondato il giudizio di pericolosità sociale, tanto alla luce delle risalenti patologie e delle risultanze degli accertamenti psichiatrici, che delineano un quadro di comorbilità poichè al disturbo di personalità si associa quello di dipendenza da più sostanze stupefacenti, e che avevano portato al suo proscioglimento per incapacità di intendere e di volere, esito, questo, che i giudici di merito hanno richiamato per inferirne, proprio alla luce del quadro nosologico, il persistente giudizio di pericolosità sociale la insussistenza dell'apparato argomentativo con riferimento alla idoneità della misura applicata a prevenire in concreto il pericolo di reiterazione. 2.Dal decreto di aggravamento adottato in primo grado si rileva che G.B. era stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza di pubblica sicurezza per la durata di anni due già oggetto di altra proroga con decreto del febbraio 2008 ed inquadrato come soggetto pericoloso nelle categorie di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1, 2 e 3. L'attuale misura di aggravamento si fonda sulla proposta del Questore di Cosenza del 16 luglio 2016 con la quale si evidenziavano le numerose denunce, per evasione, furto, ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale, dei quali si era reso autore il G Nel decreto si evidenzia che, durante l'esecuzione della misura, il G. è stato denunciato per ben 25 volte per violazione delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale. Secondo i giudici del merito, l'intervenuto proscioglimento per incapacità di intendere e di volere, non assurge a condizione patologica tale da condizionarne il comportamento illecito. 3. Il decreto impugnato, benchè successivo alla sentenza n. 24 del 2019 della Corte Costituzionale, non ha compiuto l'inquadramento della condotta illecita e antisociale del G. nell'unica, anche se complessa e sfaccettata, categoria criminologica che sopravvive alla declaratoria di illegittimità costituzionale, dell'art. 1, comma 1, lett. b del Cod. Antimafia si rivela, dunque, fondato, il primo motivo di ricorso. Come noto con tale sentenza il Giudice delle leggi, alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale successiva alla sentenza De Tommaso, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lett. a del Codice Antimafia, nel quale era confluito la L. n. 1423 del 1956, art. 1, n. 1 perchè affetto da radicale imprecisione del disposto normativo relativo ai traffici delittuosi, viceversa salvando da tale esito la previsione di cui all'art. 1, comma 1, lett. b del Cod. Antimafia sul rilievo che che le categorie di delitto che possono essere assunte a presupposto della misura di prevenzione fondata sul giudizio di pericolosità generica sono suscettibili di trovare concretizzazione, in ottica tassativizzante , in virtù dei requisiti, da ancorare a precisi elementi di fatto , di cui il giudice di merito dovrà dare conto puntualmente nella motivazione, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e costituiti a da delitti commessi abitualmente , e dunque in un significativo arco temporale, dal proposto b che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui c che costituiscano o abbiano costituito in una determinata epoca l'unica, o quanto meno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo v., in tal senso, tra le decisioni successive alla pronuncia di illegittimità costituzionale Sez. 5, n. 38737 del 10/7/2019, Giorgitto, Rv. 276648 01 Sez. 6, n. 38077 del 9/5/2019, Falasca, Rv. 276711 01 Sez. 2, n. 27263 del 16/4/2019, Germanò, Rv. 275827 01 Sez. 6, n. 21513 del 9/4/2019, Coluccia, Rv. 275737 01 Sez. 2, n. 11445 dell'8/3/2019, Lauri, Rv. 276061 . Ai fini dell'applicazione della misura personale della sorveglianza speciale, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, al riscontro processuale di tali requisiti dovrà aggiungersi la valutazione dell'effettiva pericolosità del soggetto per la sicurezza pubblica, ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 6, comma 1. La giurisprudenza di legittimità ha già affermato che in tema di misure di prevenzione è sostanzialmente illegittimo , e dunque suscettibile di revoca in sede di esecuzione, il provvedimento di applicazione di una misura fondata sul giudizio di cd. pericolosità generica, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 1, lett. b , che sia privo di adeguata motivazione circa la sussistenza del triplice requisito necessario affinchè le condotte sintomatiche di pericolosità possano rientrare in via esclusiva nella lett. b dell'art. 1, del detto decreto Sez. 1, n. 11661 del 10/01/2020, Pilato Gianrico, Rv. 278738 . 4. Rileva il Collegio che, evidentemente la Corte di merito, nella vicenda in esame, ha applicato un principio alla stregua del quale, nell'ipotesi di aggravamento della misura di prevenzione personale, non si deve procedere ex novo al giudizio di pericolosità, essendo stata quest'ultima già definitivamente accertata in sede di applicazione della misura Sez. 5, n. 16790 del 19/02/2018, Caporrimo e altro, Rv. 272866 . Premesso che, anche sulla base di tale giurisprudenza, il giudice di merito deve effettuare la valutazione dei fatti nuovi indicati a sostegno dell'accresciuta pericolosità, valutazione che nel caso in esame, è limitata ad una mera elencazione delle violazioni alle prescrizioni recate dal decreto di applicazione della misura e delle denunce riportate dal prevenuto, sicchè non può ritenersi assolto, sulla base di tale sterile elencazione che si risolve in motivazione apparente, l'obbligo di motivazione, ritiene il Collegio che, nel mutato contesto normativo di riferimento per effetto della pronuncia indicata, il richiamo al provvedimento impositivo non assolve alla funzione di verifica dei presupposti di applicazione della misura in aggravamento. Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale è, infatti, venuta meno una delle due basi legali su cui poggiava la misura di prevenzione applicata al ricorrente, segnatamente la previsione di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. a . In presenza della protrazione di una misura incidente sulla libertà del destinatario e di un fatto nuovo, ope legis, incidente sulla struttura della misura si impone, pertanto, il riesame completo, alla stregua delle residue categorie criminologiche della pericolosità, per effetto della dichiarazione di incostituzionalità, al fine di verificare se le condotte illecite o più genericamente antisociali ascritte al prevenuto, siano inquadrabili nella categoria di riferimento. Questa Corte, esaminando la questione della perdita di efficacia della misura della confisca disposta a carico di un soggetto dedito ad attività di usura per un lungo arco temporale, ha già affermato che le misure di prevenzione disposte nei confronti dei soggetti c.d. pericolosi generici che rientrano in entrambe le categorie di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 1, lett. a e b , non perdono la loro validità a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della sola prima categoria di soggetti, a condizione che nella proposta e nel provvedimento applicativo non solo sia stata richiamata anche la categoria di cui alla lett. b della norma citata, ma, altresì, che il giudice della misura abbia accertato, sulla base di specifiche circostanze di fatto, che il proposto si sia reso autore di delitti commessi abitualmente in un significativo arco temporale, da cui abbia tratto un profitto che costituisca ovvero abbia costituito in una determinata epoca il suo unico reddito o, quanto meno, una componente significativa del medesimo Sez. 2, n. 12001 del 15/01/2020, Leuzzi Giampiero, Rv. 278681 . Se è vero che nei provvedimenti che riguardano il G., in particolare in quello di primo grado, ai fini della individuazione della pericolosità del ricorrente, è fatto riferimento alla pericolosità cd. generica, attraverso il richiamo ad entrambe le categorie descritte nell'art. 1 cit., è anche vero che le caratteristiche soggettive del G. rinviano del tutto genericamente a quelle di un soggetto che trae profitto dalla commissione di reati poichè, a prescindere dalla commissione di furti non meglio descritti i connotati di pericolosità che più direttamente ne descrivono l'agire si concentrano nella commissione di reati quali l'evasione e la resistenza, oltre che nella reiterata violazione delle prescrizioni impostegli con il decreto di prevenzione che, come correttamente rilevato dal difensore con i motivi di ricorso ne connotano l'agire antisociale ma non anche il requisito, oggi imprescindibile, che dalle condotte illecite il prevenuto trae il reddito o una sua significativa componente. 5.Altro aspetto che il provvedimento impugnato non ha adeguatamente esaminato è quello dei rapporti tra le patologie delle quali il G. è affetto e il giudizio di pericolosità sociale. La Corte distrettuale, investita del tema dall'appello del difensore che allegava l'intervenuto proscioglimento del G. con sentenza del 6 maggio 2019, per incapacità di intendere e di volere al momento del fatto, ha ritenuto che tale status non incide, elidendolo, sul giudizio di pericolosità dal momento che lo stesso consulente di parte del proposto aveva affermato che i disturbi di personalità del G. non escludono la possibilità di reiterazione del reato. Nè il giudizio di incapacità è ostativo alla formulazione del giudizio di pericolosità, tant'è che l'art. 203 c.p. espressamente prevede la possibilità di dichiarare socialmente pericoloso il soggetto non imputabile o non punibile. Conclusivamente la Corte ha osservato che l'attitudine del G. alla reiterazione di reati, ampiamente manifestatasi in passato, non esclude che ulteriori e nuovi reati possano essere reiterati anche in futuro sicchè la misura di prevenzione appare funzionale alla prevenzione di siffatto pericolo. 6.Anche a tale riguardo, pur se esatte,le coordinate in diritto richiamate dal decreto impugnato attraverso il riferimento all'art. 203 c.p. agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale . non è stato oggetto di approfondimento, risolvendosi anche per tale aspetto in una motivazione apparente, il rapporto tra la patologia, e, in generale il quadro psichiatrico del ricorrente e le manifestazioni di pericolosità sociale cfr. Sez. 6, n. 12524 del 13/09/2018, dep. 2019, Lanoni Emiliano, Rv. 275883 . Queste devono, non solo, essere rilette alla stregua dei requisiti riconducibili ai presupposti applicativi della misura, ma anche della valutazione della pericolosità del soggetto per la sicurezza pubblica, tenuto conto delle effettive condizioni patologiche e della concreta idoneità della misura applicata, quale emerge dal complesso delle prescrizioni che a norma del cit. D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 8, il tribunale impone al prevenuto per realizzare la finalità di prevenzione. Al fine di evitare un giudizio completamente evanescente ed arbitrario del concetto di pericolosità sociale, che astrattamente si individua nella probabilità di commissione di nuovi reati, il legislatore rimanda, per la individuazione della qualità di persona socialmente pericolosa, all'art. 133 c.p. che offre al giudice i parametri che indirizzano la decisione in prospettiva di una prognosi futura che non è incentrata tanto sulla valutazione della capacità di intendere e di volere che consiste nella capacità dell'individuo di comprendere il suo comportamento e le relative conseguenze ma sulla capacità a delinquere, attraverso un complesso giudizio sulla personalità e tenuto conto che per i soggetti non imputabili la sede in cui scontare la misura di sicurezza è ben diversa rispetto a quella in cui scontare la pena. Il riferimento ai criteri dettati dall'art. 133 c.p. impone una valutazione comparata dei precedenti penali e giudiziari, della condotta di vita del reo, antecedente e successiva al reato alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo. In generale la misura di prevenzione è correlata ad una condotta di vita che, in presenza di patologie, non si esaurisce nel giudizio nosologico, richiamato dai giudici del merito, ma che deve necessariamente essere correlata agli elementi oggettivi della fattispecie di reato commessi o delle condotte che legittimano, in presenza dei descritti requisiti di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, comma 1, lett. b , l'applicazione della misura di prevenzione valutando, altresì, in presenza di patologie, la idoneità della misura applicata a realizzare la concreta finalità di prevenzione piuttosto che a generare una forma di pericolosità alimentata dalle violazioni delle prescrizioni imposte con la misura di prevenzione e che, in virtù della patologia del proposto, si rivelano non esigibili in concreto. 7.In definitiva, nel caso in esame, la valutazione del giudice, centrata sulle conclusioni alle quali è pervenuto il perito, ha trascurato di esprimere valutazioni attuali sul giudizio di pericolosità che deve essere strutturato intorno a fatti suscettibili di assumere rilievo quale indice della pericolosità del soggetto ricostruita intorno al requisito delitti commessi abitualmente dal proposto che abbiano effettivamente generato profitti per il predetto, costituenti l'unico suo reddito o, quantomeno, una componente significativa dello stesso necessario, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, affinchè le condotte sintomatiche di pericolosità possano rientrare in via esclusiva nell'art. 1, lett. b del detto decreto e non sono condotte di mera violazione delle prescrizioni imposte al ricorrente con la misura di prevenzione che appaiano riconducibili a manifestazioni delle sue stesse condizioni psichiatriche. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.