Trasferimento fraudolento di valori mediante fittizia intestazione di beni: i chiarimenti della Corte di Cassazione

I Giudici di legittimità forniscono alcune precisazioni in merito al delitto di cui all’art. 512-bis c.p., specificandone presupposti applicativi ed elemento soggettivo e oggettivo della condotta.

Questo l’oggetto della sentenza della Corte di Cassazione n. 24436/20, depositata il 28 agosto. Il Tribunale di Catanzaro, riformando l’ordinanza del GIP di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, annullava il titolo cautelare in relazione al reato associativo ascritto all’imputato e confermava l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all’art. 512- bis c.p Oggetto di contestazione era il trasferimento fraudolento di valori effettuato tramite l’ intestazione fittizia e l’attribuzione all’imputato della titolarità e gestione di una ditta al posto del reale titolare e capo dell’omonima consorteria ndranghetista operante in quel territorio. Contro tale decisione, l’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, il mancato compimento di indagini volte all’accertamento del reato contestatogli e, in particolare, alla provenienza delle risorse economiche impiegate per la gestione della società da parte del reale titolare della stessa, nonché alla finalità di eludere l’applicazione di misure patrimoniali in favore di quest’ultimo. La Suprema Corte accoglie il motivo prospettato dal ricorrente, esaminando la struttura del reato di trasferimento fraudolento di valori. Secondo la giurisprudenza di legittimità, tale delitto integra un caso di reato a forma libera , che si caratterizza per la consapevole determinazione di una situazione di difformità tra titolarità formale dei beni, soltanto apparente , e titolarità di fatto , qualificata dalla specifica finalizzazione, la cui consumazione, istantanea con effetti permanenti, si verifica allorché venga realizzata l’ attribuzione fittizia . Ciò precisato, la Corte evidenzia che, dal punto di vista soggettivo , è necessaria la finalità di eludere le misure di prevenzione patrimoniale , che si realizza mediante l’attribuzione altrui del denaro, di beni o di altre utilità. In tal senso si concretizza, quindi, un negozio traslativo che solo in apparenza faccia acquisire a terzi la titolarità o la disponibilità del bene che, in realtà, è rimasto nel patrimonio di chi è in apparenza cedente. La Corte aggiunge che tale trasferimento di denaro o di valori può verificarsi anche in relazione ad attività economiche già esistenti, fermo restando che si tratti comunque di operazioni finalizzate ad attribuire in modo fittizio nuove utilità e dirette ad uno scopo elusivo . A tale argomentazione si aggiunge la precisazione della stessa giurisprudenza di legittimità vertente sulla necessità, al fine dell’integrazione del reato in oggetto, che la condotta sia idonea a conseguire l’effetto della sottrazione del denaro o dei valori alla normativa relativa alle misure di prevenzione ed alla possibilità della sua applicazione. Infine, la Corte specifica che ai fini della configurabilità del delitto di fittizia intestazione di beni è necessario che l’operazione riguardi soggetti e beni suscettibili di confisca a titolo di misura di prevenzione patrimoniale, poiché la mancanza di tale condizione determina l’assenza dell’elusione delle norme. Tenendo conto di quanto affermato, la Corte rileva che la motivazione della decisione impugnata non specifica in modo adeguato i presupposti applicativi della norma, considerando che in relazione ai documenti allegati relativi alle vicende societarie ed alla gestione economica della ditta la stessa è del tutto silente. Anche per questo motivo, i Giudici annullano la pronuncia impugnata.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 luglio – 28 agosto 2020, n. 24436 Presidente Criscuolo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Catanzaro, con il provvedimento indicato in epigrafe, in riforma dell’ordinanza del 12 dicembre 2019 di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere del giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, ha annullato il titolo cautelare in relazione al reato associativo art. 416 bis c.p., capo a ascritto a P.M.J. e confermato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all’art. 512 bis c.p. e art. 416 bis.1 c.p. capo Q , sostituendo la misura inflitta con quella degli arresti domiciliari. Oggetto di contestazione è il trasferimento fraudolento di valori attuato mediante la intestazione fittizia e attribuzione allo stesso P. della titolarità e gestione della ditta omissis di P.M.J. sita in omissis in luogo di M.L. , reale titolare e gestore dell’attività commerciale e capo dell’omonima consorteria ‘ndranghetista operante nel territorio di . 2. Ha evidenziato il Tribunale che tutti i collaboratori di giustizia escussi nel procedimento ed appartenenti a distinte articolazioni della ndrangheta operante nel vibonese hanno autonomamente e concordemente riferito che l’attività commerciale omissis era riconducibile al clan M. . Nell’ordinanza impugnata sono riportate le dichiarazioni rese dal collaboratore Ma.An. , che ha indicato la latteria come appartenente a M.L. descrivendo anche alcuni fatti specifici che il Tribunale ha valorizzato come significativi dell’ingerimento di M.L. nella gestione dell’attività quali la circostanza che un M. gli avesse espressamente chiesto di non sottoporre ad estorsione il P. in ragione dei favori che questi faceva allo zio L. , accompagnando ai colloqui la moglie e facendogli regali, anche di soldi, cosa che lui aveva fatto chiedendo, però, che il P. si mettesse a disposizione per cambio assegni ed assunzioni di persone da lui indicate sapeva, inoltre, che il M. aveva dei soldi nell’attività le dichiarazioni rese dal Mo. che ha riferito notizie note nell’ambiente ovvero che il P. pagava l’estorsione a M.L. e che si comportava bene con i vibonesi da A.B. che, pur equivocando sul nome del M. indicato in S. , ha ricondotto al clan M. la struttura da M.E. , nipote di L. , che ha confermato i rapporti di amicizia del P. con tutta la sua famiglia ed ha descritto specifici episodi quali la immediata restituzione, in occasione di una rapina alla latteria, del maltolto la presenza di tale Sp.Vi. , uomo di fiducia dello zio, nei pressi della Latteria il prezzo di favore e i regali ricevuti in occasione di acquisti o consegne presso l’esercizio commerciale. Il Tribunale, infine, ha valorizzato le intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva la preoccupazione esternata in relazione al pentimento del Ma. di persone vicine al capocosca e che temevano proprio le rivelazioni del Ma. su M. della Latteria e le rassicurazioni dello Sp. al P. per assicurargli, in occasione di un sequestro, l’interessamento dello zio, mediante interventi sui funzionari ASP, per fargli ottenere il dissequestro di derrate alimentare e insabbiare le relative contravvenzioni, circostanze, queste, che hanno trovato conferma nelle dichiarazioni rese da responsabili dell’ASP di omissis m.F. e T.F. che avevano confermato l’intervento del M. su un funzionario per insabbiare il tutto. Infine le indagini avevano accertato che l’esercizio si riforniva di derrate da un’azienda agricola appartenente ad un M. e che al P. il M. di era rivolto per omaggiare di consegne di dolci presso la Casa Circondariale di omissis , ove il M. era stato detenuto. 3. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., il difensore di M.M.J. chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata e ne denuncia plurimi vizi di violazione di legge e di motivazione, che investono sia i gravi indizi di colpevolezza che le esigenze cautelari. Denuncia, in particolare 3.1. violazione dell’art. 521 c.p.p. poiché l’ordinanza del Tribunale si è discostata dalla contestazione ascritta con la provvisoria imputazione ovvero l’operazione di trasferimento di quote dal ricorrente alla moglie ed ai figli nei confronti dei quali si procede separatamente motivando la fittizietà dell’operazione attraverso le dichiarazioni dei collaboratori che riconducono la titolarità e la gestione apparente dell’azienda all’odierno ricorrente, mero schermo di M.L. . Il percorso motivazionale seguito dal Tribunale si risolve in una violazione della funzione di controllo attribuita al giudice del riesame, se pure consente di confermare il provvedimento impositivo anche per ragioni diverse da quelle indicate nel provvedimento stesso, trova un limite nella correlazione ai fatti posti a fondamento della misura cautelare, che non possono essere sostituiti o integrati da ipotesi accusatorie autonomamente formulate dal tribunale, in base a dati di fatto del tutto diversi, spettando tale potere di impulso esclusivamente al pubblico ministero 3.2. violazione di legge, in relazione all’art. 512 bis c.p., poiché nessuna indagine è stata compiuta onde accertare, in funzione della necessaria tipizzazione dell’illecito, la provenienza dal M. delle risorse economiche impiegate nelle operazioni economiche e patrimoniali della società e della finalità di eludere l’applicazione di misure patrimoniali in favore del M. . Il Tribunale non ha accertato il trasferimento illecito di risorse ma si è affidato alle dichiarazioni dei collaboratori imprecise e generiche omettendo ogni considerazione e valutazione in ordine ai bilanci, alla documentazione contabile ed alla documentazione societaria prodotta dalla difesa che ha ricostruito tutte le vicende della ditta individuale del ricorrente, ereditata dal padre T. e gestita in società, sotto la forma di società a responsabilità limitata, con la sorella, il cognato e la madre e, dopo la morte della madre e la liquidazione delle quote della sorella e del cognato, in società con moglie e figli. Del tutto generiche sono le dichiarazioni dei collaboratori risultante, quelle del Ma. perfino di difficile collocazione temporale e addirittura inverosimili, al confronto tra la caratura criminale del M. e quella del Ma. oltre che di impossibile verifica, sul piano dei riscontri, stante la incertezza temporale e le stesse modalità di negoziazione di titoli che avrebbe conseguito dal P. parimenti prive di riscontro risultano le dichiarazioni rese da M.E. sia sulla rapina che sull’operazione di cambio assegni Mo.Ra. riferisce fatti noti nell’ambiente, ma non verificabili confuse, addirittura sul nome, risultano le dichiarazioni dell’A. . Estranee alla vicenda oggetto di contestazione sono anche le risultanze delle operazioni di intercettazione telefonica e le dichiarazioni rese ai Carabinieri dal ma. e dal T. 3.3. Violazione di legge, in relazione all’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 c.p., e vizio di motivazione sul dolo specifico di favorire l’associazione richiesto dall’aggravante de qua 3.4. Violazione di legge, in relazione all’art. 274 c.p.p., e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari tenuto conto della coeva detenzione di M.L. ed il sequestro preventivo delle società, disposto con il medesimo provvedimento cautelare, e subingresso dell’Amministratore giudiziario smentiscono l’attualità di esigenze cautelari, vieppiù ove si rifletta che la condotta è risalente all’anno 2013, e che il Tribunale ha ricostruito sui rapporti del ricorrente, incensurato, con un personaggio della caratura del M. la fattispecie incriminatrice. 3.5. Violazione di legge, in relazione all’art. 512 bis c.p., art. 25 Cost., comma 2 e art. 13 Cost., art. 14 preleggi e art. 7 CEDU per effetto della estensione, attraverso l’istituto del concorso esterno, della punibilità dell’intestatario che non è prevista dalla fattispecie incriminatrice. 4. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, sulle esigenze cautelari e dichiarare l’inammissibilità nel resto del ricorso. 5. Il giorno 10 luglio 2020 sono state depositate note di udienza, per contrastare conclusioni del Procuratore generale e ribadire la fondatezza di tutti i motivi di ricorso. 6. Il ricorso, fissato ai sensi dell’art. 127 c.p.p., è stato trattato in camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e della parte, ai sensi della L. 24 maggio 2020, n. 27, art. 12-ter, a seguito di avviso al ricorrente della facoltà di chiedere la discussione orale. Considerato in diritto 1. L’ordinanza impugnata, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, deve essere annullata con rinvio tale esito assorbe l’esame dei motivi di ricorso relativi alla sussistenza della contestata aggravante di cui all’art. 416 bis.1 c.p. e delle esigenze cautelari. Sono, invece, manifestamente infondati il primo e l’ultimo motivo di ricorso. 2. Lo stesso ricorrente, con il primo motivo di ricorso ha richiamato, senza indicare elementi significativi per discostarsene, l’orientamento di questa Corte, dettato in materia di misure cautelari reali ma applicabile anche alle misure personali, a stregua del quale la funzione di controllo attribuita al giudice del riesame, se pure consente di confermare il provvedimento impositivo anche per ragioni diverse da quelle indicate nel provvedimento stesso, trova un limite nella correlazione ai fatti posti a fondamento della misura cautelare, che non possono essere sostituiti o integrati da ipotesi accusatorie autonomamente formulate dal tribunale, in base a dati di fatto del tutto diversi, spettando tale potere di impulso esclusivamente al pubblico ministero Sez. 2, n. 47443 del 17/10/2014 - dep. 18/11/2014, Crugliano, Rv. 260829 . Non sono spiegate, a fronte della compiuta e complessiva analisi condotta dal Tribunale sulle modalità e conclusione dell’operazione economica, le ragioni per le quali la ricostruzione del Tribunale si sarebbe risolta nella formulazione di un’autonoma ipotesi investigativa. 3. Parimenti è privo di fondamento l’ultimo motivo di ricorso. La giurisprudenza di legittimità ha esaminato, nella vigenza del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies, oggi codificato nell’art. 512 bis c.p., il tema della punibilità del soggetto che si renda fittiziamente titolare di beni precisando che questi risponde a titolo di concorso nella stessa figura criminosa posta in essere da chi operato la fittizia attribuzione Sez. 2, n. 2243 del 11/12/2013 - dep. 2014, Raimondo, Rv. 259822 e che il reato in esame si connota, ontologicamente, come reato a concorso necessario nel quale alla figura dell’agente che realizza la fittizia intestazione corrisponde quella dell’agente che tale fittizia intestazione realizza. L’odierno ricorrente, già titolare dell’attività imprenditoriale omissis , appartenente da generazioni alla famiglia di sangue, risponde del reato per essersi giovato, celandone la provenienza, degli apporti economici rivenienti dal M. , che ne è dunque dominus occulto, e che non avrebbe potuto comparire nella intestazione reale del bene dal momento che, essendo egli inquisito per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. è particolarmente esposto alla sottoposizione di misure di prevenzione di carattere patrimoniale per colpirne la illecita accumulazione di ricchezza da ciò la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 c.p., avendo agito il P. con la finalità di agevolare l’articolazione di ndrangheta capeggiata dal M. . 4. I riferimenti illustrati conducono immediatamente all’esame della struttura del delitto di trasferimento fraudolento di valori già previsto D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, integra un’ipotesi di reato a forma libera, la cui caratteristica fondamentale è la consapevole determinazione di una situazione di difformità tra titolarità formale dei beni, soltanto apparente, e titolarità di fatto, qualificata dalla specifica finalizzazione, la cui consumazione, istantanea con effetti permanenti, si verifica allorché venga realizzata l’attribuzione fittizia ex multis, Sez. 1, n. 14373 del 28/02/2013, Perdichizzi, Rv. 255405 . Imprescindibile caratteristica del reato in esame, è, sotto il profilo soggettivo, la finalità di elusione delle misure di prevenzione patrimoniale, il che la distingue da una altrimenti consentita e lecita situazione di simulazione di rilievo civilistico, e si realizza all’atto dell’attribuzione ad altri di denaro, beni o altre utilità richiede quindi una vicenda negoziale con effetti traslativi che soltanto all’apparenza faccia acquisire a terzi la titolarità o la disponibilità del bene, in realtà rimasto nel patrimonio e sotto il controllo del soggetto apparente cedente. La giurisprudenza di questa Corte ammette, peraltro, che il trasferimento di valori o di denaro possa avvenire in relazione ad un’attività economica già in essere si è ritenuto, infatti, che il delitto, quando è riferito ad una attività imprenditoriale, si può configurare, non solo con riferimento al momento iniziale dell’impresa, ma anche in una fase successiva, allorquando in un’impresa o società sorta in modo lecito si inserisca un terzo quale socio occulto, che avvalendosi dell’interposizione fittizia persegua le finalità illecite previste dall’art. 12 quinquies cit. Sez. 2, n. 5647 del 15/01/2014, Gobbi e altri, Rv. 258343 , specificando ulteriormente che l’interposizione fittizia ricorre anche quando sia riferibile solo ad una quota del bene in oggetto Sez. 2, n. 23131 del 08/03/2011, Castaldo e altri, Rv. 250561 . Tuttavia, occorre che si tratti pur sempre di operazione volta ad attribuire fittiziamente nuove utilità e diretta ad uno scopo elusivo. Ed è, in buona sostanza, la fattispecie oggi contestata al P. che, nella gestione della Latteria, si sarebbe avvalso di capitali ed apporti del M. secondo quanto riferito dal Ma. . Secondo l’ordinanza impugnata tale conclusione è rafforzata dalla circostanza che il M. che non avrebbe mancato di concorrere alla gestione dell’azienda vuoi in occasione di vicende che la coinvolgevano, con il rischio di perdite connesse ai sequestri - in tal senso le risultanze delle operazioni di intercettazione telefonica e le dichiarazioni di m. e T. -ovvero addirittura presidiandone la sicurezza si veda la presenza dello Sp. o l’episodio della restituzione del bottino di una rapina . 5.La giurisprudenza di questa Corte ha, nondimeno, precisato che per integrare il delitto è necessario che la condotta sia idonea a conseguire effetti di sottrazione del denaro o dei valori alla normativa sulle misure di prevenzione ed alla possibilità della sua applicazione al giudice che ne affermi la sussistenza compete indicare gli elementi di fatto dimostrativi della capacità elusiva dell’operazione. Si è dunque ritenuto imprescindibile, in relazione alle contestazioni di intestazione fittizia che riguardavano il reale beneficiario dell’operazione, di individuare la rintracciabilità nel caso concreto dei presupposti applicativi di misure quali il sequestro e la confisca di prevenzione, che può essere disposta quando la persona indiziata del reato di appartenenza ad associazione mafiosa non possa giustificare la legittima provenienza dei beni di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Si è ritenuto che la configurabilità del delitto di fittizia intestazione di beni postula necessariamente che l’operazione negoziale attenga a soggetti ed a beni suscettibili di confisca a titolo di misura di prevenzione patrimoniale in assenza di tale presupposto oggettivo difetta l’elusione delle disposizioni normative e la finalità perseguita resta sul piano dell’irrilevanza. In altre parole, l’art. 12 quinquies cit. deve essere interpretato nel senso che la fittizia intestazione deve essere oggettivamente idonea ad eludere la normativa in misura di prevenzione e deve essere, inoltre, sorretta dal dolo specifico descritto dalla fattispecie cfr. Sez. 1, n. 29526 del 27/06/2013, Maviglia, Rv. 256112, fra le tante . Ne consegue che la disamina giudiziale, non può arrestarsi alla mera constatazione dell’avvenuta interposizione, ma deve estendersi all’apprezzamento di ulteriori elementi di fatto, indicativi della capacità elusiva dell’operazione patrimoniale. Tale presupposto, ad avviso del Collegio, concerne non solo la individuazione della condotta, in capo al soggetto che realizza, per proprie finalità elusive, la fittizia intestazione ma, come nella fattispecie in esame, anche il soggetto che, secondo la ricostruzione accusatoria, tale fittizia intestazione realizza attraverso la intestazione del bene oggetto di ricostruzione è, dunque, l’operazione economica a monte e la sua fittizietà, anche nel caso in cui la contestazione sia ascritta al necessario concorrente dell’intestatario reale. 6.Come correttamente rilevato dal ricorrente, la motivazione dell’ordinanza non chiarisce adeguatamente i presupposti di applicazione della norma dal momento che, in presenza dell’allegazione di elementi documentali attinenti alle vicende societarie ed alla gestione economica della Latteria prodotti dalla difesa dinanzi al Tribunale del riesame, l’ordinanza è del tutto silente. L’ordinanza, ai fini della ricostruzione della natura elusiva delle operazioni sottostanti alla modifica societaria, si è affidata a dichiarazioni di vari collaboratori - talune connotate da intrinseca genericità come quelle di A.B. - al fine di ricostruire l’operazione economica, in virtù della quale M.L. avrebbe investito capitali nell’azienda preesistente e, di conseguenza, la natura fittizia dell’operazione societaria che, creando un mero simulacro, ha realizzato in capo al P. ed ai congiunti la titolarità del soggetto economico, per celarne l’attribuzione al M. . Nè sono, in tal senso, univocamente conducenti i riferimenti all’ingerimento del M. nella gestione dell’impresa che, anche se provati, non coincidono con la prova della intestazione fittizia e del suo presupposto. In altre parole anche gli interventi del M. , evincibili attraverso le dichiarazioni rese da Ma.An. e da MA.Em. , non dimostrano che questi sia intervenuto con iniezioni e apporti di capitale nell’impresa. Il giudice del rinvio dovrà, pertanto ricostruire la portata elusiva dell’operazione, sottesa alla modifica delle vicende societarie della Latteria del sole oggetto di contestazione accertando se nell’impresa il M. aveva investito denaro, frutto di proventi illeciti presupposto, questo, ineludibile della ritenuta fittizia intestazione della società in capo all’odierno ricorrente. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 7.