Gli atti compiuti dall’avvocato sospeso per il mancato versamento del contributo annuale non sono affetti da nullità assoluta

La circostanza per cui l’imputato sia stato assistito da un avvocato sospeso dall’esercizio della professione ai sensi dell’art. 29 l. n. 247/2012 non integra un’ipotesi di nullità assoluta ma una nullità a regime intermedio.

Con la sentenza n. 23096/20 depositata dalla V sezione Penale della Cassazione il 29 luglio. Nell’ambito di un procedimento penale per il delitto di minaccia grave, veniva proposto ricorso per cassazione con cui la difesa chiedeva l’annullamento della condanna di appello per nullità assoluta degli atti compiuti in udienza di primo grado in quanto l’ avvocato che assisteva allora l’imputato era già stato sospeso dall’esercizio della professione ex art. 29 l. n. 247/2012. La Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso. La sospensione inflitta all’avvocato dal competente COA non era infatti stata portata a conoscenza dell’autorità giudiziaria. Il verbale dell’udienza, svoltasi regolarmente, era stato notificato all’imputato presso il difensore domiciliatario che era stato sostituito solo alla successiva udienza ma senza che fosse rilevata alcuna nullità. In merito alla validità degli atti compiuti dal difensore sospeso ex art. 29 l. n. 247/2012 la Corte ricorda che si tratta di un provvedimento disposto dal Consiglio dell’Ordine nei confronti di coloro che non hanno versano nei termini stabiliti il contributo annuale previa contestazione dell’addebito e convocazione dell’avvocato inadempiente. Non si tratta quindi di un provvedimento disciplinare e la sospensione viene revocata una volta adempiuto il pagamento. Come si legge nella pronuncia essa si differenzia dalla sanzione disciplinare della sospensione, prevista dalla l. n. 247/2012, art. 53, comma 3, e anche dalla sospensione cautelare di cui all’art. 60, che invece sono collegate ad un’indegnità dell’iscritto ad esercitare la professione, hanno una durata determinata e per esse l’art. 62, comma 5, prevede che di esse è data comunicazione senza indugio ai capi degli uffici giudiziari del distretto ove ha sede il consiglio dell’ordine competente per l’esecuzione, ai presidenti dei consigli dell’ordine del relativo distretto e a tutti gli iscritti agli albi e registri tenuti dal consiglio dell’ordine stesso . In conclusione, la misura in parola ha natura amministrativa ed effetti ridotti e limitati rispetto alla sanzione disciplinare e alla sospensione cautelare. Conseguentemente, il Collegio esclude una rilevanza esterna della stessa anche in virtù della mancanza di un regime di pubblicità della sospensione di cui all’art. 29 cit La circostanza che l’imputato sia stata assistito da un difensore destinatario di tale misura non integra dunque un’ipotesi di nullità assoluta ma una nullità a regime intermedio ex art. 182, comma 1, c.p.p. che non può essere eccepita da chi vi ha dato o ha concorso a darvi causa. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 – 29 luglio 2020, n. 23096 Presidente Sabeone – Relatore Romano Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza del 23 maggio 2016 del Tribunale di Perugia che ha affermato la penale responsabilità di A.A. per il delitto di minaccia grave e, applicata la recidiva reiterata, lo ha condannato alla pena di giustizia, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso A.A. , a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidandosi ad un unico motivo con il quale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c , lamenta la nullità assoluta degli atti compiuti all’udienza del 14 settembre 2015, innanzi al giudice di primo grado, in quanto a detta udienza egli è stato difeso da un avvocato sospeso dall’esercizio della professione già in data 2 settembre 2015, con la conseguenza che l’udienza si è svolta in assenza di un difensore. Sostiene che la nullità assoluta travolge entrambe le sentenze di merito. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Dalla documentazione in atti risulta che l’avv. Vincenzo Rossi, che ha difeso l’imputato all’udienza del 14 settembre 2015, risultava già sospeso dal competente Consiglio dell’Ordine degli avvocati con decorrenza dal 2 settembre 2015, ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 29, comma 6. Non risulta che a detta udienza la sospensione sia stata portata a conoscenza dell’autorità giudiziaria il P.M. ha proceduto alla contestazione della recidiva reiterata, le parti hanno formulato le loro richieste istruttorie ed il Tribunale ha ammesso le prove e rinviato il processo per la loro assunzione. Il verbale dell’udienza del 14 settembre 2015 è stato notificato all’imputato presso l’avv. Vincenzo Rossi, suo domiciliatario. All’udienza successiva il difensore è stato sostituito, ma il Tribunale non ha rilevato alcuna nullità e nemmeno ha proceduto alla rinnovazione degli atti compiuti alla precedente udienza. 3. Occorre allora valutare se gli atti compiuti all’udienza del 14 settembre 2015, alla quale ha partecipato un difensore sospeso ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 29, siano affetti da nullità assoluta e se questa determini l’invalidità delle due sentenze di merito. 4. Deve in proposito considerarsi che la sospensione di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 29, comma 6, viene disposta dal Consiglio dell’ordine degli avvocati nei confronti di coloro che non versano nei termini stabiliti il contributo annuale la sospensione viene disposta previa contestazione dell’addebito e personale convocazione dell’avvocato inadempiente, ma il provvedimento non ha natura disciplinare e la sospensione, che ha durata indeterminata, viene revocata quando si sia provveduto al pagamento. Essa si differenzia dalla sanzione disciplinare della sospensione, prevista dalla L. n. 247 del 2012, art. 53, comma 3, e anche dalla sospensione cautelare di cui all’art. 60, che invece sono collegate ad un’indegnità dell’iscritto ad esercitare la professione, hanno una durata determinata e per esse l’art. 62, comma 5, prevede che di esse è data comunicazione senza indugio ai capi degli uffici giudiziari del distretto ove ha sede il consiglio dell’ordine competente per l’esecuzione, ai presidenti dei consigli dell’ordine del relativo distretto e a tutti gli iscritti agli albi e registri tenuti dal consiglio dell’ordine stesso. La natura amministrativa e non disciplinare della sospensione di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 29, comma 6, e la assenza per essa del regime di pubblicità previsto dall’art. 62, comma 5, sono elementi che conducono a ritenere che essa abbia effetti ridotti e più limitati rispetto alla sanzione disciplinare della sospensione ed alla sospensione cautelare. Tale diversità è del resto coerente con la diversa finalità della sospensione. Quella prevista dall’art. 29, comma 6, è volta a garantire l’adempimento dell’obbligo di contribuzione gravante sugli iscritti, mentre la sanzione disciplinare è volta a sanzionare un illecito. Proprio la mancanza di un regime di pubblicità per la sospensione di cui all’art. 29, comma 6, che consentirebbe all’autorità giudiziaria di venire a conoscenza del venir meno della possibilità per il professionista di esercitare la sua professione, porta il Collegio ad escludere che essa abbia rilevanza esterna e che laddove l’imputato sia assistito in udienza da un difensore colpito da siffatta sospensione si determini una nullità assoluta ed insanabile. Non potendo la circostanza che l’imputato sia stato assistito da un difensore sospeso ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 29, comma 6, integrare una nullità assoluta, può trovare applicazione l’art. 182 c.p.p., comma 1, a mente del quale le nullità a regime intermedio e le nullità relative non possono essere eccepite da chi vi ha dato o ha concorso a darvi causa. Nel caso di specie il difensore comparso all’udienza del 14 settembre 2015 non ha dedotto alcunché, cosicché, anche in conseguenza dell’assenza di un regime di pubblicità della sospensione, questa è rimasta ignota al Tribunale, che non è stato posto in grado di rilevarla. 5. In ogni caso, anche laddove si aderisse alla tesi sostenuta dal ricorrente, secondo la quale le attività compiute all’udienza del 14 settembre 2015 sarebbero affette da nullità assoluta, questa comunque, nel caso di specie, non si trasmetterebbe alle due sentenze di merito. Ai sensi dell’art. 185 c.p.p., comma 1, la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo. Il verbale dell’udienza del 14 settembre 2015 è stato validamente notificato all’imputato presso il suo difensore ove egli era elettivamente domiciliato. Finanche la cancellazione dall’albo del difensore non incide sull’elezione di domicilio. Gli effetti dell’elezione del domicilio da parte dell’imputato presso il difensore permangono anche se questi, successivamente, si sia cancellato dall’albo professionale, in quanto il domicilio può essere eletto anche presso una persona che non abbia la qualità di difensore o che l’abbia perduta, essendo tale atto distinto e diversificato, quanto ai fini, dalla nomina del difensore Sez. 1, n. 48741 del 25/11/2004, Horneac, Rv. 230518 . Essendo il verbale contenente la data del rinvio stato validamente notificato all’imputato, quest’ultimo è stato posto in grado di comparire alle udienze successive, in relazione alle quali, essendo nel frattempo intervenuta la sostituzione del difensore, non appare configurabile alcuna nullità. Anche la recidiva, stante la rituale notifica del verbale, risulta validamente contestata. Peraltro, anche laddove volesse ritenersi la recidiva non validamente contestata all’udienza del 14 settembre 2015, essa è stata applicata dal Tribunale con la sentenza di primo grado la nullità della contestazione comporterebbe che la recidiva dovrebbe ritenersi applicata in difetto di contestazione. Tale ipotesi è disciplinata dall’art. 522 c.p.p. e secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte di cassazione la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo e non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 269886 Sez. 6, n. 31436 del 12/07/2012, Di Stefano, Rv. 253217 Sez. 5, n. 9281 del 08/01/2009, Rv. 243161 . Nel caso di specie il difetto di contestazione della recidiva, che sarebbe conseguenza della nullità assoluta degli atti espletati all’udienza del 14 settembre 2015, è stato dedotto solo con il ricorso per cassazione, atteso che con l’atto di appello l’A. si è limitato a contestare la validità della sola notifica del verbale dell’udienza suddetta, in quanto eseguita presso l’avv. Rossi, eccezione che era comunque infondata per le ragioni sopra esposte. Ne consegue che l’eccezione volta a far valere la illegittima applicazione della recidiva, perché mai validamente contestata, non è ammissibile in questa sede, in quanto il ricorrente è già decaduto da tale eccezione non avendola sollevata con l’atto di appello o nel giudizio di secondo grado. La circostanza, poi, che all’udienza successiva a quella del 14 settembre 2015 non si sia provveduto alla rinnovazione delle formalità di apertura del dibattimento, delle richieste di prova e del provvedimento di ammissione delle prove è circostanza che in ogni caso non comporterebbe nullità assoluta della sentenza. Le richieste di prova ed il provvedimento di loro ammissione, adottato all’udienza del 14 settembre 2015 risultano superati dalla assunzione delle prove alle udienze successive innanzi al difensore nominato in sostituzione dell’avv. Rossi. Tale diverso difensore non ha sollevato alcuna eccezione in ordine alla assunzione di dette prove e nemmeno il ricorrente ha lamentato di avere subito alcun pregiudizio in ordine all’attività istruttoria, che conserva validità in quanto espletata con il consenso delle parti, pur in assenza di un formale provvedimento di ammissione delle prove. 6. Concludendo, il ricorso deve essere rigettato e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 541 c.p.p., al pagamento di quelle sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile M.G.D.S.E. , che liquida in complessivi Euro duemila, oltre accessori di legge.