Sostituita la condanna per guida in stato d’ebbrezza con lavoro di pubblica utilità… ma è inadempiente

In tema di lavoro di pubblica utilità connesso a violazioni del codice della strada, il ripristino della sanzione penale originaria deve valere, in carenza di diverse previsioni, solo ex nunc, in ragione della natura compressiva della sfera di libertà del condannato che caratterizza il lavoro di pubblica utilità.

Così la Cassazione con sentenza n. 21546/20 depositata il 20 luglio. Il caso. Una donna aveva patteggiato la pena per il reato di guida in stato d’ebbrezza. La pena, dell’arresto di mesi sei e di seimila euro di ammenda, su richiesta dell’interessata, era stata sostituita con il lavoro di pubblica utilità. Senonché il giudice dell’esecuzione revocava la sanzione sostitutiva e ripristinava la pena sostituita nonché la sospensione della patente di guida e la confisca. La sostituzione della pena nel caso di guida in stato d’ebbrezza Il codice della strada prevede che la pena detentiva nonché quella pecuniaria prevista per taluni casi di guida in stato d’ebbrezza possa essere sostituita, quando l’imputato non si opponga, con la pena del lavoro di pubblica utilità. e la revoca. Il giudice procedente o quello dell’esecuzione dispone la revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, con il ripristino della pena sostituita, quando vi sia una violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. Cosa si intende per violazione degli obblighi. Il concetto di violazione degli obblighi inerenti alla prestazione del lavoro di pubblica utilità non è limitato all’inadempimento in senso stretto dell’obbligo di prestazione dell’attività non retribuita ad es. la mancata presentazione sul luogo di lavoro o la grave negligenza ma ricomprende anche quei comportamenti colpevoli che, pur essendo formalmente estranei alla prestazione di pubblica utilità, si ripercuotono sulla stessa determinando la pratica impossibilità di prosecuzione della prestazione concordata con l’ente. Diverso è il caso in cui il lavoro di pubblica utilità non risulti prestato per causa ascrivibile alla mancata organizzazione del servizio da parte dell’ente. L’individuazione dell’ente non compete all’interessato. Si è in tal senso affermato che, ai fini della sostituzione della pena detentiva o pecuniaria, irrogata per il reato di guida in stato di ebbrezza o di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti, con quella del lavoro di pubblica utilità, l’individuazione delle modalità attuative della sanzione è demandata al giudice procedente, che non può imporre oneri al condannato che ha la mera facoltà di sollecitare l’applicazione della misura sostitutiva o dichiarare di non opporsi ad essa ma non è tenuto ad indicare l’ente o la struttura presso cui svolgere il lavoro né ad avviare il procedimento per lo svolgimento dell’attività. Le ragioni della revoca in concreto. Il giudice dell’esecuzione, all’esito dell’acquisizione della certificazione relativa al numero delle ore di lavoro di pubblica utilità effettivamente svolte dalla condannata, rilevava che la stessa aveva svolto non più del 10% del monte ore stabilito nel provvedimento che aveva disposto la sostituzione. La prestazione era dunque svolta in modo parziale e notevole era il lasso di tempo intercorso dal momento in cui si era verificato l’inizio del lavoro di pubblica utilità senza la sua conclusione. Il giudice dell’esecuzione escludeva l’evenienza di oggettivi impedimenti al prosieguo della prestazione da parte della condannata e, dunque, non poteva che prendere atto dell’inadempimento della stessa. Tale inadempimento è stato inscritto in un quadro di complessiva imputabilità della condannata, tale da imporre la revoca della sanzione sostitutiva, con correlativo ripristino della pena sostituita. Revoca sì ma La corte di cassazione ha condiviso in parte la decisione del giudice dell’esecuzione, perché la revoca era sì doverosa ma con efficacia ex nunc . Il giudice dell’esecuzione, infatti, ha ripristinato l’originaria pena principale attribuendo efficacia ex tunc al provvedimento di revoca e ignorando del tutto il lavoro sostitutivo prestato dalla condannata. La Corte ribadisce il principio secondo cui la revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, per inosservanza delle prescrizioni, comporta il ripristino della sola pena residua computata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell’attività. La disciplina sanzionatoria. Per il caso di inadempimento senza giusto motivo delle prestazioni sostitutive della pena, si prevede art. 56 d.lgs. n. 274/2000 una specifica fattispecie di reato. Anche in considerazione di ciò, secondo la Corte, non è ragionevole gravare il condannato anche dell’efficacia ex tunc della revoca della pena sostitutiva, con integrale ripristino di quella originaria. Un tale effetto non è previsto dall’ordinamento e vanifica il lavoro sostitutivo regolarmente prestato. Revoca solo ex nunc. Argomenta il giudice di legittimità che, ove si annettesse efficacia ex tunc alla revoca, si perverrebbe alla conseguenza che il comportamento inadempiente provocherebbe due risposte sanzionatorie concorrenti da un lato, sussistendone i presupposti, la sanzione penale per il reato commesso e, dall’altro, il prolungamento della durata della pena in espiazione, che dovrebbe essere scontata per l’intero, sommandosi al tempo di regolare esecuzione della pena sostituita. Il giudice dell’esecuzione, nel caso concreto, ha omesso di tener conto della parte di sanzione sostitutiva eseguita, dovendo, invece, verificare l’esatta quantità di lavoro eseguito e detrarlo dalla pena da espiarsi. Ciò perché l’attività imposta quale oggetto del lavoro di pubblica utilità è da qualificarsi quale espiazione di pena equiparata alla detenzione, con l’effetto che con l’atto di revoca deve detrarsi il relativo periodo dalla durata della pena detentiva originariamente inflitta, al fine della determinazione della pena residua.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 – 20 luglio 2020, n. 21546 Presidente Mazzei – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, emessa il 19 luglio 2019, il Tribunale di Savona, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha revocato la sanzione sostitutiva applicata a A.D. con la sentenza resa dallo stesso Tribunale il 14 dicembre 2012, irrevocabile il 9 febbraio 2013, e ha ripristinato nei confronti della condannata la pena sostituita nonchè la sospensione della patente di guida e confisca. In virtù della suddetta sentenza, emessa ai sensi degli artt. 444 e ss. c.p.p., a A.D., responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2, lett. c , era stata applicata, per quanto qui rileva, la pena di mesi sei di arresto ed Euro 6.000,00 di ammenda, sostituita con il lavoro di pubblica utilità da svolgersi presso la Croce d'Ora Onlus di Al.Ma., per la durata di 408 ore, pari a 204 giorni. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di A. chiedendone l'annullamento e adducendo due motivi a sostegno dell'impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, si lamenta, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , motivazione incongrua sulle circostanze giustificative della revoca. Il giudice dell'esecuzione ha proceduto alla revoca della sanzione sostitutiva, secondo la ricorrente, con argomentazioni meramente iterative ignorando il fatto che alla condannata era stato impedito lo svolgimento del programma, avendo la Croce d'Oro revocato la sua disponibilità dopo pochi giorni dalla sua presenza, come era risultato dalla documentazione in atti, secondo la comunicazione dell'UEPE del 6 marzo 2013, senza che il suddetto Ufficio avesse poi convocato A.D. per concordare lo svolgimento del restante monte ore dei lavori di pubblica utilità con altro Ente, con le conseguenze giuridiche che tale situazione aveva determinate Peraltro, evidenzia la difesa, A., all'atto della revoca della disponibilità in base al programma predisposto, aveva svolto, secondo i suoi computi, non il 10%, ma il 50% del totale dellè ore di lavoro di pubblica utilità a suo carico. Per la difesa, la documentazione e le indicazioni fornite dalla difesa sono state illogicamente obliterate dal giudice dell'esecuzione che ha, pertanto, omesso la consequenziale attività di integrazione istruttoria, ex art. 666 c.p.p., comma 5, per accertare in concreto la sussistenza dei presupposti della revoca. 2.2. Con il secondo motivo, è dedotta, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , la violazione del D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 56 e 58, nonchè del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 9-bis. La difesa osserva che il giudice dell'esecuzione, nel provvedimento di revoca, ha ripristinato nei confronti di A. la pena originaria nella sua interezza, senza considerare il periodo di effettivo svolgimento della prestazione ai fini della determinazione della pena residua da espiare così disponendo, però, non ha tenuto conto della disciplina suindicata che, regolando la situazione scaturente dalla violazione degli obblighi connessi alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, non contempla gli effetti ex tunc della revoca stessa Si fa notare che, se del caso, il trasgressore poteva essere chiamato a rispondere del reato configurato dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 56, ma l'attività di lavoro di pubblica utilità compiuta prima dell'evento causativo della revoca avrebbe dovuto essere apprezzata in termini di pena espiata, lasciando impregiudicata la restaurazione dell'originaria pena per la sola misura residua il principio di conversione di cui all'art. 55 e la disciplina degli effetti delle pene sostitutive di cui al'art. 58 dello stesso D.Lgs., secondo la ricorrente, confermano tale inquadramento, al pari, in ambito analogo, della L. n. 689 del 1981, art. 66, sicchè la pena ripristinata, nella parte eccedente, costituisce pena illegale. 3. Il Procuratore generale ha prospettato l'inammissibilità del primo motivo di ricorso, in quanto la revoca della sanzione sostitutiva è stata motivata in modo congruo per la grave e reiterata violaziOne da parte della condannata delle prescrizioni relative all'esecuzione dei lavori di pubblica utilità, adempiute solo per il 10% del monte ore stabilito nella sentenza di condanna, mentre ha considerato fondato il secondo motivo di ricorso, dovendo detrarsi, nel ripristino della pena sostituita, la frazione corrispondente al periodo di positivo svolgimento dell'attività oggetto dei lavori di pubblica utilità, sicchè ha chiesto annullarsi l'ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione della pena residua da espiare. Considerato in Diritto 1. La Corte ritiene che il ricorso sia parzialmente fondato nei sensi che seguono e vada quindi accolto nella corrispondente parte e, invece, dichiarato inammissibile nel resto. 2. Il ragionamento seguito nell'ordinanza impugnata ha condotto il giudice dell'esecuzione, all'esito dell'acquisizione della certificazione relativa al numero di ore di lavoro di pubblica utilità effettivamente svolte da A.D. presso la Croce d'Oro di Al.Ma., a rilevare che la condannata aveva svolto non più del 10% del monte ore stabilito nel provvedimento che aveva disposto la sostituzione. Inoltre, quanto all'avvenuta sostituzione della pena con l'indicata sanzione relativa al lavoro di pubblica utilità, il giudice dell'esecuzione ha considerato che essa era derivata dalla scelta dell'imputata in sede di applicazione della pena concordata, laddove ella era assolutamente consapevole dei suoi problemi di salute e degli eventuali ostacoli che avrebbe incontrati nell'espletamento del lavoro di pubblica utilità. D'altro canto, nessuna questione in merito era stata sottoposta all'attenzione del Tribunale, nemmeno al momento dell'esecuzione della pena, e, intanto, erano decorsi quasi sette anni dall'emissione della sentenza, per cui la violazione della disposizione relativa all'esecuzione dei lavori di pubblica utilità era da ritenersi grave e reiterata, con l'inevitabile conseguenza revocatoria. 3. Posto ciò, quanto alla doglianza insita nel primo motivo, la Corte deve disattenderla, essendo la stessa aspecifica, oltre che manifestamente priva di fondamento. 3.1. Il D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 9-bis, - dopo aver disciplinato la possibilità, per il reato previsto dalla medesima norma al di fuori dell'ipotesi individuata e punita dal comma 2-bis , di sostituire la pena detentiva e pecuniaria, quando l'imputato non vi si opponga, con la pena del lavoro di pubblica utilità prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 54, norma, quest'ultima, derogata per questo ambito in ordine alla durata del lavoro di pubblica utilità sostituito, che deve essere corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria pure irrogata, con il ragguaglio di Euro 250,00 a un giorno di lavoro di pubblica utilità - stabilisce che il giudice procedente, o il giudice dell'esecuzione, dispone la revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, con ripristino della pena sostituita, in caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. E' stato, in modo condivisibile, precisato che il concetto di violazione degli obblighi inerenti alla prestazione del lavoro di pubblica utilità non è limitato all'inadempimento in senso stretto dell'obbligo di prestazione dell'attività non retribuita, quale può essere la mancata presentazione sul luogo di svolgimento del lavoro di pubblica utilità o la grave negligenza nen/ prestazione dell'attività, ma ricomprende anche quei comportamenti colpevoli dell'agente che, pur essendo formalmente estranei alla prestazione di pubblica utilità, si ripercuotono su di essa determinando la pratica impossibilità di prosecuzione della prestazione concordata con l'ente pubblico Sez. 1, n. 34234 del 29/05/2015, Ferrari, Rv. 264155, la quale ha annoverato tra i comportamenti inadempienti la condotta, di rilevanza penale, attuata dal soggetto ammesso al lavoro di pubblica utilità, che, avendone determinato l'arresto in flagranza e il successivo stato di detenzione, aveva reso materialmente impossibile la prosecuzione della prestazione a favore della collettività . Diversa è invece la situazione nella quale il lavoro di pubblica utilità non risulti prestato per causa ascrivibile alla mancata organizzazione del corrispondente servizio da parte dell'ente designato. Si è, in tal senso, precisato che, ai fini della sostituzione della pena detentiva o pecuniaria, irrogata per il reato di guida in stato di ebbrezza o di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti, con quella del lavoro di pubblica utilità, l'individuazione delle modalità attuative della predetta sanzione sostitutiva è demandata al giudice procedente, il quale non può imporre, per tale ambito, oneri al condannato, il quale ha la facoltà di sollecitare l'applicazione della sanzione sostitutiva, ovvero può dichiarare di non opporsi ad essa, ma non è tenuto a indicare l'ente o la struttura presso la quale svolgere il lavoro di pubblica utilità, nè ad avviare il procedimento per lo svolgimento in fase esecutiva dell'attività individuata cfr. Sez. 1, n. 46555 del 25/05/2017, Marinelli, n. m. Sez. 4, n. 53327 del 15/11/2016, Panerai, Rv. 268693 Sez. 1, n. 7172 del 13/01/2016, Silocchi, Rv. 266618 Sez. 1, n. 35855 del 18/06/2015, Rosiello, Rv. 264546 . 3.2. Nella presente fattispecie, il giudice dell'esecuzione ha chiarito in modo sufficiente le modalità di svolgimento da parte di A.D. della prestazione, realizzata soltanto in misura marcatamente parziale ha evidenziato il notevolissimo, poliennale lasso temporale intercorso dal momento in cui si è verificato l'inizio del lavoro di pubblica utilità da parte di A. presso l'ente designato, ossia la Croce d'Oro, senza il suo conclusivo compimento e ha escluso l'evenienza di oggettivi impedimenti all'effettuazione del prosieguo della prestazione da parte della condannata, non potendo, alfine, non prendere atto del determinante inadempimento integrato dalla condannata. La gravità dell'inadempimento, in relazione alla rilevantissima durata della cesura della prestazione imposta ad A. per fatto ritenuto congruamente a lei imputabile, cesura valutata incensurabilmente dal giudice di merito come sfociata in un sostanziale abbandono da parte dell'obbligata della prestazione del lavoro di pubblica utilità, è stata reputata dal Tribunale come inscritta in un quadro di complessiva imputabilità alla condannata, tale da imporre la revoca della sanzione sostitutiva, con correlativo ripristino della pena sostituita. Per converso, la ricorrente non ha formulato una contestazione specifica, se non richiamando una comunicazione dell'UEPE del 6 marzo 2013, non acclusa per l'autosufficienza, ha dedotto in modo indimostrato che sarebbe stata la Onlus Croce d'Oro ad aver revocato la sua disponibilità dopo pochi giorni, senza dettagliare la ragione di tale addotto comportamento dell'ente designato e ha contestato la stessa quantità di ore di lavoro di pubblica utilità eseguita, ma riferendola a un monte ore complessive di 108, a fronte della diversa e ben maggiore quantità stabilita dal titolo suindicato, limitandosi per il resto ad addurre - in modo generico - di avere incontrato degli ostacoli nell'espletamento del lavoro di pubblica utilità. La doglianza si rivela, dunque, aspecifica nel suo complesso e, come tale, funzionalmente inidonea a destrutturare l'iter argomentativo, sufficiente nella sua articolazione e privo di percepibili fratture logiche, esposto dal giudice dell'esecuzione al fine di pervenire alla revoca della sostituzione della pena detentiva e pecuniaria applicata a A.D. con la sentenza del Tribunale di Savona del 14 dicembre 2012. Da tali rilievi discende l'inammissibilità del primo motivo. 4. Va, invece, ritenuta la fondatezza del secondo motivo. Si è visto che il giudice dell'esecuzione ha tout court ripristinato, a cagione della pronunciata revoca della sostituzione, l'originaria pena principale e, dunque, quella di mesi sei di arresto ed Euro 6.000,00 di ammenda, oltre ad aver stabilito il ripristino della sospensione della patente di guida e della confisca statuizione, questa, che non ha formato oggetto di impugnazione . Così disponendo, pur senza offrire per esplicito argomenti giustificativi, l'ordinanza impugnata ha conferito efficacia ex tunc al provvedimento revocativo, sancendo, di fatto, che il lavoro sostitutivo prestato per un certo tempo da A. non rilevava per ridurre in modo corrispondente la pena residua da scontare. 4.1. Il Collegio ritiene che questa opzione non sia conforme alla legge. Va, al contrario, riaffermato il principio di diritto espresso specificamente in tema di revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, disposta per mancata osservanza delle prescrizioni, D.Lgs. n. 285 del 1992, ex art. 186, comma 9-bis, per il condannato per guida sotto l'influenza dell'alcool, ed D.Lgs. cit., ex art. 187, comma 8-bis, per il condannato per guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, fattispecie con riferimento alle quali si è chiarito che la revoca comporta il ripristino della sola pena residua, computata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell'attività, impregiudicata la configurabilità, nei congrui casi, dell'autonomo reato che la violazione abbia integrato, D.Lgs. cit., ex art. 56, Sez. 1, n. 42505 del 23/09/2014, Di Giannatale, Rv. 260131, in ordine alla prima ipotesi, e Sez. 1, n 32416 del 31/03/2016, Bergamini, Rv. 267456, in ordine alla seconda ipotesi, decisioni che hanno anche indicato nel D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 58, la fonte del criterio di ragguaglio da adottarsi . Gli argomenti - persuasivi - svolti dalle decisioni ora richiamate devono ribadirsi, ricordando D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 58, comma 1, secondo cui per ogni effetto giuridico anche la pena sostitutiva in parola si considera come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria. Per tale ragione, il collegamento fra lavoro di pubblica utilità comunque espletato e pena originaria poi ripristinata appare doversi istituire e risolversi fra queste due categorie, senza digressioni verso la normativa contemplante istituti revocatori analoghi nell'ambito delle misure alternative alla detenzione disciplinate dall'ordinamento penitenziario il riferimento è agli istituti revocatori inerenti a tali misure alternative nella L. n. 354 del 1975, art. 47, comma 11, art. 47-ter, comma 6, art. 47 quinquies, comma 6, e artt. 51 e 54 . 4.1.1. Anche la Corte costituzionale come, in particolare, ha ricordato Sez. 1, n 32416 del 31/03/2016, Bergamini, cit., richiamando Corte Cost., sent. n. 2 del 2008, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 157 c.p., comma 5, nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione, previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applichi anche agli ulteriori reati di competenza del giudice di pace, in quanto tale questione si fonda sull'erroneo presupposto interpretativo secondo il quale la suddetta disposizione sarebbe applicabile ai reati di competenza del giudice di pace puniti alternativamente con una pena pecuniaria o una pena para-detentiva, mentre la norma censurata, riferendosi a reati per i quali le pene para-detentive siano previste dalla legge in via diretta ed esclusiva, stabilisce un termine prescrizionale di carattere generale che non riguarda specificamente i reati di competenza del giudice di pace, nè si riferisce in particolare alle pene para-detentive, ma ha inteso porre le premesse per un futuro sistema sanzionatorio caratterizzato da pene diverse da quella detentiva e pecuniaria si è espressa nel senso che l'art. 58 cit., stabilendo che per ogni effetto giuridico la pena del lavoro di pubblica utilità si considera pena della specie corrispondente a quella della pena originaria, costituisce una norma di natura speciale sorretta da una ratio unitaria e mirata ad omologare i reati in questione alla generalità dei reati puniti con pene detentive allorquando risulti fissato un determinato criterio di ragguaglio. 4.1.2. Converge nel senso indicato la disciplina sanzionatoria di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 56, secondo cui il condannato che senza giusto motivo si allontana dai luoghi in cui è obbligato a rimanere o che non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro di pubblica utilità, o che lo abbandona, è punito con la reclusione fino ad un anno invero, come hanno evidenziato gli arresti richiamati, se la violazione delle prescrizioni concernenti le pene sostitutive è tale da configurare - ove ne ricorrano tutti i presupposti - addirittura gli estremi di un delitto, la relativa sanzione, in caso di violazione, si profila, impregiudicato il provvedimento revocativo succitato, esaurire le conseguenze determinate dall'inadempienza. Non appare, pertanto, ragionevole gravare il condannato anche dell'efficacia ex tunc della revoca della pena sostitutiva, con integrale ripristino di quella originaria effetto, del resto, non espressamente previsto dall'ordinamento e tale da vanificare il lavoro sostitutivo regolarmente svolto e da escludere qualsiasi effetto del rapporto fra pena originaria e pena sostitutiva. In definitiva, ove si orientasse esegesi nel senso opposto a quello qui prospettato, ossia se si annettesse efficacia ex tunc alla revoca, si perverrebbe all'approdo per il quale al comportamento inadempiente del condannato seguirebbero, almeno in via potenziale, due concorrenti risposte sanzionatorie per un verso, in presenza dei congrui presupposti, la sanzione penale per il reato commesso e, per altro verso, il prolungamento della durata della pena in espiazione, che dovrebbe essere scontata per l'intero, sommandosi al tempo di regolare esecuzione della pena sostitutiva. 4.1.3. D'altro canto, nemmeno va obliterato, in ossequio al criterio sistematico, che - pur se con riferimento a distinto ambito, ossia a quello delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, ma nella stessa prospettiva la L. n. 689 del 1981, art. 66, dispone che, in ipotesi di violazione delle prescrizioni inerenti alle sanzioni sostitutive ivi contemplate, si attua la conversione della sanzione sostitutiva nella pena detentiva sostituita, ma soltanto per la restante parte , così come l'art. 72 della stessa legge disciplina la revoca della pena sostitutiva per condanna sopravveniente sempre con esclusivo riguardo alla parte non ancora eseguita . 4.1.4. Si profila questa, d'altronde, la direzione verso cui deve orientare, nel lineare rispetto della logica, il principio generale di computabilità in tema di esecuzione di pene o sanzioni che comunque abbiano comportato limitazioni della libertà personale, dovendo - il ripristino della sanzione penale originaria valere, in carenza di diverse previsioni, soltanto per il futuro, dunque ex nunc, in dipendenza della natura comunque compressiva della sfera di libertà del condannato che caratterizza, nel caso ora richiamato, le sanzioni para-detentive, al pari del lavoro di pubblica utilità v., in ambito diverso ma parallelo, quello di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, Sez. 1, n. 46551 del 25/05/2017, Nigro, Rv. 271130, sempre inerente alla revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, disposta per mancata osservanza delle prescrizioni . 4.2. Il giudice dell'esecuzione, avendo omesso di tener conto della parte di sanzione sostitutiva eseguita, corrispondente alle ore di lavoro di pubblica utilità comunque prestate da A. e, così, avendo ripristinato integralmente la pena sostituita, non si è attenuto al suddetto principio. Di conseguenza, per la relativa parte, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio, affinchè il giudice dell'esecuzione verifichi, l'esatta quantità del lavoro di pubblica utilità eseguito dalla condannata e la detragga della pena da espiarsi, sulla base del concetto che l'attività imposta quale oggetto del lavoro di pubblica utilità - che risulti essere stata regolarmente svolta dalla condannata, anche se per un tempo circoscritto rispetto all'intero, e sia stata poi seguita dalla revoca del provvedimento di sostituzione - è da qualificarsi quale espiazione di pena equiparata alla detenzione, con l'effetto che con l'atto di revoca deve detrarsi il relativo periodo dalla durata della pena detentiva originariamente inflitta, al fine della determinazione della pena residua. 4.3. Ciò il giudice dell'esecuzione dovrà compiere fissando la parte di pena espiata con il lavoro di pubblica utilità comunque prestato da A.D. e operando la detrazione mediante l'adozione dello stesso criterio di ragguaglio utilizzato nel provvedimento di sostituzione, laddove la pena di mesi sei di arresto ed Euro 6.000,00 di ammenda è stata sostituita con il lavoro di pubblica utilità di durata pari a 204 giorni, per un numero totale di ore pari a 408, avendo - il giudice della cognizione - applicato, per la configurazione della durata del lavoro di pubblica utilità, il ragguaglio di esatta corrispondenza temporale rispetto alla pena detentiva sostituita e il ragguaglio di un giorno di lavoro di pubblica utilità per ciascuna frazione di Euro 250,00 rispetto alla pena pecuniaria sostituita come era prescritto dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 9-bis , così pervenendo al numero complessivo di giorni 204 di lavoro di pubblica utilità e, poi, fissando in relazione al disposto del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 54 la durata di 2 ore per ciascun giorno di lavoro di pubblica utilità, in mode . da stabilire il numero complessivo di 408 ore. Essendo stato quello ora illustrato il criterio applicato al momento dell'applicazione della sanzione sostitutiva, esso avrebbe dovuto essere applicato - e, dunque, dovrà essere applicato - per computare la pena sostituita residua, da ripristinare all'esito della disposta revoca. 5. Pertanto, l'ordinanza impugnata, ferma la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione nel resto, deve essere annullata per la sola parte così enucleata, con rinvio al Tribunale di Savona, giudice dell'esecuzione, affinchè proceda al nuovo giudizio per l'effettuazione della detrazione dalla pena da espiarsi di quella frazione di pena sostituita da ritenersi già espiata, in corrispondenza della parte di lavoro di pubblica utilità che A. ha comunque prestato, operando il ragguaglio alla stregua dei principi testè enunciati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Savona, limitatamente all'omessa detrazione dalla pena espiata delle ore di lavoro di pubblica utilità svolte. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.