Fattispecie delittuosa di cui all’art. 10-quater d.Lgs. 74/2000: quando la compensazione diventa “indebita”?

La norma sanziona quelle condotte che, finalizzate ad omettere il pagamento dell’imposta dovuta attraverso il ricorso al meccanismo della compensazione ex art. 17 d.lgs. 241/1997, si sostanzino nella predisposizione e redazione di un documento ideologicamente falso in quanto idoneo a prospettare una compensazione che, in realtà, non avrebbe potuto avere luogo poiché fondata su un credito inesistente o comunque non spettante e, come tale, inevitabilmente indebita, essendo estranea al modello legale dell’istituto previsto dalla legislazione tributaria.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18459/20, depositata il 17 giugno. La vicenda. Il GIP presso il Tribunale di Napoli emetteva un decreto di sequestro preventivo di alcuni immobili nella titolarità di O.M., indagata del reato di cui all’art. 10- quater d.lgs. n. 74/2000, ovvero indebita compensazione . Il Tribunale del riesame di Napoli, investito del relativo gravame, pronunciava ordinanza reiettiva, confermando in toto il decreto de quo . Avverso la decisione dei giudici della cautela ricorreva per Cassazione l’indagata, deducendo violazione di legge e vizio motivazionale della stessa, sia relativamente alla sussistenza dei presupposti applicativi della misura cautelare, che alla configurabilità stessa della fattispecie delittuosa contestata. I limiti del giudizio di legittimità in materia cautelare reale. In via preliminare, i Supremi Giudici hanno ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il ricorso per Cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Inoltre, l’impugnazione in Cassazione avverso ordinanze cautelari afferenti la materia del sequestro preventivo è, altresì, ammissibile allorquando la motivazione del provvedimento impugnato risulti del tutto assente o meramente apparente , poiché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata. Per le superiori ragioni, il vaglio di legittimità della Suprema Corte è, pertanto, limitato ai soli profili inerenti la possibile violazione di legge, nell’alveo della cui concezione giuridicamente rilevante non rientrano le valutazioni afferenti la fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformità tra la fattispecie legale ed il caso concreto, salvo ove rilevabili ictu oculi . L’istituto tributario della compensazione e la ratio della fattispecie delittuosa. La ratio giuridica della norma incriminatrice di cui all’articolo 10- quater d.lgs. n. 74/2000, così come profondamente riformata ed interamente riscritta ad opera del d.lgs. n. 158/2015, è quella di sanzionare quei comportamenti diretti ad evitare il pagamento dell’imposta dovuta attraverso l’indebito ricorso al meccanismo della compensazione, istituto previsto in ambito tributario dall’art. 17 d.lgs. n. 241/1997, sulla cui scorta i contribuenti titolari di partita Iva eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle Regioni o degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche. Quando la compensazione diventa indebita? Con la norma de qua , il legislatore ha inteso sanzionare la condotta omissiva supportata dalla redazione di un documento ideologicamente falso, come tale idoneo a prospettare una compensazione che, pertanto, non avrebbe potuto/dovuto avere luogo stante la inesistenza o comunque la non spettanza del credito. Donde, a rilevare è la natura sostanziale dell’operazione realizzata, e non la relativa dimensione procedurale infatti, la verifica giudiziaria dovrà incentrarsi non sull’ astratta regolarità formale della procedura compensativa quanto, piuttosto, sulla tipologia degli strumenti adoperati in concreto dal contribuente per sottrarsi ai pagamenti dovuti. Oggetto di incriminazione è, pertanto, il ricorso all’istituto de quo nonostante l’assenza di un valido titolo di credito opponibile in compensazione in effetti, la compensazione risulta indebita proprio laddove si manifesti estranea al modello legale dell’istituto previsto dalla legislazione tributaria e, in particolare, allorquando venga effettuata attraverso una distorta rappresentazione della realtà inerente la tipologia dei crediti apparentemente rivendicati per l’appunto, inesistenti o non spettanti .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 gennaio – 17 giugno 2020, n. 18459 Presidente Andreazza – Relatore Noviello Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 3 giugno 2019, il Tribunale di Napoli sezione del riesame, adito ai sensi dell'art. 309 avverso il provvedimento con cui il gip del medesimo tribunale aveva disposto il sequestro preventivo di taluni immobili, nei confronti di O.M., in relazione al reato ex artt. 110 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, confermava il decreto impugnato. 2. Avverso la pronuncia del tribunale della cautela propone ricorso per cassazione O.M., mediante il proprio difensore, deducendo due motivi di impugnazione. 3. Deduce i vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c ed e per violazione di legge in relazione al combinato disposto di cui all'art. 321 c.p.p. e art. 178 c.p.p., lett. b . Il decreto di sequestro sarebbe stato emesso in assenza di una corrispondente richiesta del P.M., con violazione dell'art. 178 c.p.p., lett. b , atteso che nella predetta domanda l'organo dell'accusa non avrebbe mai fatto riferimento alla ricorrente. La stessa sarebbe stata citata nell'ordinanza del Gip solo in virtù della posizione di taluni indagati nei cui confronti sarebbe stata formulata apposita richiesta dal P.M., in relazione alla contestazione n. 294. Con la conseguenza per cui nessuna misura ablativa poteva essere applicata nei confronti della ricorrente, atteso peraltro che la stessa non sarebbe comparsa tra i 62 indagati elencati nel suo provvedimento dal gip. Da qui la nullità della misura ablativa invece effettuata, per mancata corrispondenza tra la domanda del pm e la misura disposta dal gip ed anche l'adozione da parte del tribunale, a fronte dei predetti dati, di un provvedimento illegittimo, non avendo dichiarato sul punto la nullità del decreto di sequestro nei confronti della ricorrente. 4. Con il secondo motivo deduce i vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e c in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, comma 2 e per omessa, contraddittoria ed illogica motivazione. Il tribunale non avrebbe considerato che il provvedimento di sequestro del gip era sia immotivato che mancante dei presupposti legittimanti la misura reale disposta, in ragione innanzitutto della circostanza per cui non esisteva una richiesta di sequestro nei confronti dell'indagata, cui il Gip potesse riferirsi, nè lo stesso avrebbe indicato la concreta condotta contestata alla ricorrente. Ciò in assenza di elementi atti a comprovare la partecipazione della ricorrente nel reato contestatole, mentre, di contro, il Gip avrebbe dovuto valorizzare taluni dati a lei favorevoli. Ed invero non si comprenderebbe dal provvedimento ablativo da quale elemento sarebbe stata dedotta la consapevolezza della ricorrente della compartecipazione al reato. Invero tale consapevolezza sarebbe stata tratta dal tribunale da quanto riportato genericamente nella richiesta del P.M. con riferimento alla posizione di tutti gli indagati, pur in assenza di riferimenti alla O. nonchè di elementi oggettivi ad essa riferibili e riconducibili alla condotta criminosa ascrittale. In tale quadro sarebbe contraddittoria la motivazione, nella parte in cui rileverebbe la sussistenza di ritenuti significativi elementi a carico della ricorrente, considerando nel contempo che per tali ragioni le dichiarazioni del D.L. in ordine alla mancata conoscenza, da parte sua, della ricorrente stessa, non sarebbero in grado di confutare il quadro indiziario a suo carico. Si aggiunge che i dati a carico sarebbero superati dalla circostanza per cui la ricorrente non avrebbe rilasciato alcun mandato volto ad effettuare le contestate compensazioni e si insiste per la insussistenza, nel decreto del gip, di qualsivoglia elemento attestante la conoscenza da parte della O. dell'invio degli F24. Sul piano oggettivo si sottolinea altresì come, diversamente da quanto assunto a carico della ricorrente, la stessa nell'anno di imposta del 2017 non avrebbe mai proceduto a compensazioni, in quanto esse avrebbero implicato la sussistenza, nel medesimo periodo del 2017, di un debito erariale da compensare con crediti, seppur inesistenti, del medesimo intervallo temporale, mentre invece le compensazioni sarebbero intervenute relativamente ai periodi di imposta del 2007, 2008 e fino al 2012, sia pure mediante la comunicazione telematica degli F24 del 21.11.2017. Con rilievo per la configurazione del contestato reato ex art. 10 quater citato, atteso che per le annualità predette ciascuna compensazione, da riferire a ciascun singolo periodo di imposta, sarebbe stata inferiore alla soglia di Euro 50.0000. In altri termini, si rileva come, per la corretta configurazione del fatto e del reato, le indebite compensazioni devono essere riportate al medesimo periodo di imposta nel quale è maturato il debito e il credito erariale, e che nel caso di specie i singoli debiti erariali - oggetto di ruoli esecutivi - ed i crediti inesistenti corrisponderebbero a periodi diversi e quindi non sarebbero compensabili tra loro. In tale quadro, mancherebbe l'illecito profitto, atteso che per le predette anomalie le compensazioni non potevano e non possono essere efficaci nei confronti della agenzia delle Entrate. Peraltro, l'invio dei due F24, incidendo su ruoli esecutivi, non avrebbe potuto spiegare alcuna rilevanza ai fini dell'accertamento del tributo dovuto all'Erario. Considerato in diritto 1. In ordine al primo motivo, integrante una questione procedurale che consente a questa Corte di prendere direttamente visione degli atti del procedimento cfr. Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017 dep. 05/06/2018 Rv. 273525 - 01 P.G. , rileva la richiesta del PM di Napoli avanzata a seguito della dichiarazione di incompetenza, formulata ai sensi dell'art. 27 c.p.p., dal gip del tribunale di Chieti e di seguito alla quale è intervenuto il decreto impugnato. Esso è successivo ad una precedente applicazione di altre misure cautelari e reali, intervenuta nella medesima complessa vicenda con decisione del Gip di Napoli dell'11.6.2018. In altri termini, come rilevato con l'ordinanza del tribunale del riesame impugnata in questa sede, il decreto di sequestro in contestazione, con cui il Gip di Napoli ha disposto, tra l'altro, il sequestro preventivo, diretto e per equivalente, di beni di O.M., - ritenuti corrispondenti al profitto del delitto di cui all'art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater come descritto sub n. 294 della incolpazione provvisoria - integra il seguito di misure cautelari personali e reali già emesse nella predetta data dal gip di Napoli. 1.1. Per quanto di interesse, nella predetta ordinanza del Gip di Napoli cfr. pag. 365 , di accoglimento della citata istanza, emerge che il P.M. aveva, tra l'altro, avanzato una nuova richiesta nei confronti dei contribuenti per le fattispecie già esaminate nella prima ordinanza del 11 giugno 2018, sia in via diretta, quali persone fisiche - diretti beneficiari o rappresentanti legali delle società dagli stessi rappresentate - nonchè persone giuridiche, sia per equivalente, nel caso di incapienza del sequestro in via diretta, indicati nella tabella indicata a pagina 408 e ss. della richiesta e riportata di seguito . Nella citata tabella, rinvenibile nella ordinanza impugnata, compare effettivamente, tra gli altri contribuenti interessati, e con riguardo al capo di incolpazione n. 294, anche O.M 1.2. Consegue la palese infondatezza della censura, a fronte della sussistenza della domanda del P.M. e della piena corrispondenza tra la medesima e la decisione del gip e, quindi, del rispetto del principio della domanda cautelare cfr. in ordine al medesimo, con riguardo al sequestro preventivo, Sez. 2, n. 25375 del 07/05/2015 Rv. 264105 - 01 Simonini . Del resto, coerenti in tal senso sono anche le ulteriori notazioni del tribunale, che hanno valorizzato i passaggi motivazionali della decisione del Gip, idonei ad evidenziare il petitum formulato dall'ufficio inquirente sia in via generale che con specifico riguardo alla posizione della ricorrente. 2. Quanto al secondo motivo, anche esso è infondato. Occorre premettere che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017 Rv. 269656 - 01 Napoli Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692 . Si è altresì specificato che in caso di ricorso per cassazione proposto contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo esso, pur consentito solo per violazione di legge, è ammissibile quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perchè sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l' iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013 Rv. 254893 . Il controllo della Corte di Cassazione è, dunque, limitato ai soli profili della violazione di legge. La verifica in ordine alle condizioni di legittimità della misura cautelare è necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformità tra fattispecie legale e caso concreto possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi per tutte Sez. U, n. 6 del 27/03/1992 - dep. 07/11/1992, Midolini, Rv. 191327 Sez. U, n. 7 del 23/02/2000 - dep. 04/05/2000, Mariano, Rv. 215840 . La delibazione non può estendersi neppure all'elemento psicologico del reato se non nei casi di immediato rilievo Sez. 2, n. 2808 del 02/10/2008, dep. 21/01/2009, Rv. 242650 Sez. 1, n. 21736 del 11/05/2007, dep. 04/06/2007, Rv. 236474 Corte Cost., ord. n. 153 del 2007 . 2.1. Per le suesposte ragioni, le censure del motivo in esame, riferite a profili di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, sono inammissibili. Come anche in ordine alla mancanza di motivazione, in presenza di evidenti argomentazioni del tribunale, tanto da risultare censurate dal ricorrente, in maniera inammissibile per i predetti principi, sul piano della loro significatività e logicità. In tale contesto, privo di dati ictu oculi favorevoli per la ricorrente, non viene in rilievo neppure la questione inerente l'assenza dell'elemento psicologico del reato. Del resto, posto che è necessario procedere ad una lettura complessiva della motivazione cfr. Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012 dep. 2013 , Spezzacatena e altri, Rv. 255096, conf. Sez. 5, n. 8411 del 21/5/1992, Chirico ed altri, Rv. 191487 , occorre osservare come il tribunale, nel respingere l'analoga censura dedotta in sede di riesame, quanto alla mancata illustrazione di elementi dimostrativi della consapevole compartecipazione nel reato della ricorrente, dopo avere a pag. 9 sinteticamente evidenziato la sussistenza di argomentazioni del gip correlate a dati investigativi anche emergenti dalla integrazione della richiesta cautelare del PM, ha poi più specificamente e congruamente illustrato gli elementi, anche logici, dimostrativi della contestata partecipazione, rinvenuti tra l'altro - nella posizione soggettiva della O., quale titolare di un consistente debito erariale - nell'omesso versamento da parte della medesima della somma compensata con i crediti inesistenti - nella mancata richiesta, anche successivamente all'inoltro degli F24, di informazioni sulla propria situazione tributaria e sulle modalità tecniche seguite per ottenere la cancellazione del debito - nell'inesistenza obiettiva dei crediti compensati - nella predisposizione, da parte del D.L., di dichiarazioni integrative relative ad anni di imposta precedenti e riguardanti i crediti inesistenti compensati. Elementi ritenuti tali, dal collegio della cautela, da delineare in capo alla ricorrente la consapevolezza del meccanismo di indebita compensazione, ideato e realizzato dai suoi complici nei termini di cui al capo di incolpazione, così da avere inteso avvalersene, in accordo con i predetti, a proprio vantaggio, compulsandoli, dietro pagamento, verso la realizzazione della condotta criminosa. 2.2. In relazione alla ulteriore censura secondo cui il reato ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater sarebbe inconfigurabile a fronte di crediti compensati non afferenti al medesimo periodo di imposta del debito erariale del 2017, deve premettersi che il reato di indebita compensazione è disciplinato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, introdotto dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 7, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248. L'art. 10 quater è stato in parte riscritto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 9, essendo la fattispecie attualmente strutturata in questi termini E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila Euro. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila Euro . 2.3. La ratio della norma è quella di sanzionare quei comportamenti diretti a evitare il pagamento dell'imposta dovuta attraverso l'indebito ricorso al meccanismo della compensazione, istituto previsto in ambito tributario dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, secondo cui i contribuenti titolari di partita Iva eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche. L'intento perseguito dal legislatore del 2006 è stato, dunque, quello di sanzionare la condotta omissiva supportata dalla redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo, in particolare per l'inesistenza o la non spettanza del credito, dovendosi quindi incentrare la verifica giudiziaria non tanto sull'astratta regolarità formale della procedura compensativa, quanto piuttosto sulla tipologia degli strumenti adoperati in concreto dal contribuente per sottrarsi ai pagamenti dovuti. In altri termini, l'essenza della condotta contestata è il ricorso a un istituto applicato nonostante l'assenza di un valido titolo di credito opponibile in compensazione, dovendosi sottolineare che la stessa denominazione del reato suggerisce di ritenere che la compensazione è indebita proprio qualora, per come messa in atto, si riveli estranea al modello legale dell'istituto delineato dalla legislazione tributaria e in particolare venga attuata attraverso una distorta rappresentazione della realtà inerente la tipologia dei crediti rivendicati inesistenti o non spettanti per cui a rilevare, più che la dimensione formale, è la natura sostanziale dell'operazione realizzata, con particolare riferimento alla circostanza dell'utilizzo, in compensazione, di titoli di credito connotati nei termini immediatamente prima evidenziati. Consegue, per quanto detto, che nessun rilievo assume nel caso concreto la circostanza della riferibilità dei vari crediti , inesistenti, a periodi di imposta diversi da quello del 2017 cui afferisce il debito falsamente compensato . Ciò perchè l'ipotesi disciplinata dall'art. 10 quater associa al disvalore di evento omesso versamento di somme dovute uno specifico disvalore di azione, consistente nell'abusiva utilizzazione dell'istituto della compensazione di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997 siccome incentrata sul dato sostanziale ed essenziale della rivendicazione infondata di crediti perchè inesistenti o non spettanti , venendo in rilievo un meccanismo che implica un elevato grado di affidamento nella correttezza del protagonista del versamento, chiamato ad effettuare, tramite la compilazione del modello, l'operazione di calcolo del dovuto cfr. in tal senso Sez. 3, Sentenza n. 48017 del 2019, Bonetti, non massimata . Del resto esplicativo è anche il riferimento nella norma alla condotta di indebita compensazione, che evidenzia come il disvalore del fatto non si incentri su una frode e dunque su una idoneità all'inganno della condotta criminosa quanto piuttosto e, ancor prima, sull'utilizzo strumentale e non consentito, e quindi indebito , dell'istituto citato della compensazione, con particolare riferimento alla rivendicazione non ammessa - all'interno del modulo procedurale utilizzato - di crediti, perchè inesistenti o non spettanti. 2.4. Tale ragione giuridica è idonea a far ritenere infondato il motivo proposto pur a fronte di una diversa motivazione elaborata dal tribunale della cautela nel respingere l'analoga critica, atteso l'art. 619 c.p.p., comma 1 che consente di correggere, ove necessario, la motivazione, quando la decisione in diritto sia comunque corretta cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 - 01 Emmanuele . 3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.