Trattamento degradante in carcere e rideterminazione della pena per effetto del cumulo giuridico

Nell’individuare il perimetro di applicazione del principio di discontinuità tra le fasi esecutive, la S.C. ha spiegato che in funzione di una richiesta di decurtazione della pena da imputare all’esecuzione in atto, esso deve considerarsi preclusivo alla riparazione dei pregiudizi subiti durante l’espiazione di un tiolo pregresso e diverso rispetto a quello in corso.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 18171/20, depositata il 15 giugno. Il Magistrato di Sorveglianza respingeva l’istanza presentata nell’interesse di un detenuto con cui era stato invocato il rimedio risarcitorio per violazione dell’art. 3 CEDU , in relazione ai periodi si sua detenzione in carcere . Il Tribunale di sorveglianza, adito in secondo grado, dava atto dell’acquiescenza prestata alla decisione per un determinato periodo di tempo e rilevava per il restante arco temporale a decadenza dell’azione trattandosi di periodi riconducibili a precedenti titoli esecutivi con continuità rispetto all’attuale essi infatti risultavano riferibili al cumulo in esecuzione ma a diverso titolo emesso dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte d’Appello. Ricorre per la cassazione di tale decisione il detenuto deducendo erronea applicazione di legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b , c.p.p La S.C. ha più volte individuato il perimetro di applicazione del principio di discontinuità tra le fasi esecutive e ha spiegato che in funzione di una richiesta di decurtazione della pena da imputare all’esecuzione in atto, esso deve considerarsi preclusivo alla riparazione dei pregiudizi subiti durante l’espiazione di un tiolo pregresso e diverso rispetto a quello in corso. E la discontinuità trova applicazione anche per le detenzioni antecedenti al giugno 2014, con la precisazione che il detenuto, che richieda il rimedio risarcitorio di cui all’art. 35- ter l. n. 354/1975, per la restrizione degradante subita per un titolo diverso, se espia il nuovo titolo senza soluzione di continuità con il precedente, nell’ambito di un cumulo di pene unificate, può adire il magistrato di sorveglianza ed ottenere la riduzione della pena. Tale principio di discontinuità non trova quindi applicazione nel caso in esame, dove il riconoscimento del medesimo disegno criminoso è avvenuto sia in sede di cognizione, sia in executivis ex art. 671 c.p.p Non si può, pertanto, ritenere che vi fossero due esecuzioni distinte, in successione cronologica disgiunta. La pena, per effetto del cumulo giuridico, costituisce un unicum da ritenere come sanzione unitaria in corso di esecuzione. Risulta legittima, quindi, la domanda sull’affermata lesione dell’art. 3 CEDU, per il pregiudizio subito nel corso della prima fase esecutiva e relativa ai reati le cui pene sono state in tutto o in parte espiate anteriormente all’unificazione per il regime della continuazione e sono confluite nel nuovo tiolo che aggiorna il rapporto esecutivo. La decisione impugnata va dunque annullata con rinvio al tribunale di sorveglianza per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 maggio – 15 giugno 2020, n. 18171 Presidente Mazzei – Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 16/4/2019 il Magistrato di sorveglianza di Siracusa respingeva l’istanza presentata nell’interesse di C.A. , ex L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35-ter, con cui era stato invocato il relativo rimedio risarcitorio per violazione dell’art. 3 CEDU, in relazione ai periodi di detenzione compresi tra il 13/7/1997 e il 13/6/2001 e tra il 23/1/2004 e il 3/2/2006. La restrizione anzidetta si fondava su titolo -provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso all’esito dell’applicazione del regime della continuazione tra i fatti giudicati con le sentenze della Corte d’appello di Catania del 7/7/2000 e del 21/11/2013 sentenza, quest’ultima, in cui erano già confluiti i fatti giudicati dalla Corte d’assise d’appello di Catania il 14/5/2001 . Il titolo era stato emesso dalla competente Procura generale, in data 21/2/2019, in sostituzione di cumulo precedente del 24/4/2015. Il Magistrato di sorveglianza respingeva la domanda, per la detenzione patita tra l’1/1/2008 e l’1/1/2018, presso la Casa di reclusione di , e dichiarava la prescrizione del diritto azionato, per il periodo compreso tra il 1997 e il 31/12/2007. Il Tribunale di sorveglianza di Catania, investito del reclamo, dava atto, con l’impugnata ordinanza, dell’acquiescenza prestata alla decisione per il periodo compreso tra il 2008 e il 2018 e rilevava, per l’arco temporale residuo, la decadenza dall’azione, trattandosi, a suo avviso, di periodi riconducibili a precedenti titoli esecutivi con soluzione di continuità rispetto all’attuale. Essi non risultavano riferibili al cumulo in esecuzione, ma a diverso titolo, emesso della Procura generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Catania in data 24/4/2015, con decorrenza della pena dal 18/3/2015 . Da ciò, pertanto, la necessità di agire ai sensi della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35-ter, comma 3, nel termine di sei mesi dalla cessazione della condizione detentiva o dall’entrata in vigore della L. 11 agosto 2014, n. 117 di conversione del D.L. 26 giugno 2014, n. 92, in vigore dal 28 giugno 2014 . 2. Ricorre per cassazione C.A. , con il ministero del difensore di fiducia e deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , oltre al vizio di motivazione. 2.1. Il Tribunale di sorveglianza aveva errato nella dichiarazione di improcedibilità, poiché aveva tenuto presente, osserva il ricorrente, un provvedimento di esecuzione delle pene concorrenti del 18/3/2015 . L’aggiornamento del titolo esecutivo, contrariamente, era avvenuto il 21/2/2019, prima, cioè, della trattazione del ricorso e le valutazioni degli organi giurisdizionali si erano sviluppate, tenendo in considerazione un cumulo antecedente e non più attuale al momento della domanda e della decisione. Era erronea, pertanto, la dichiarata decadenza dall’azione di C.A. , poiché con l’emissione del nuovo titolo esecutivo egli era legittimato a richiedere il beneficio, per tutti i periodi di detenzione. Il primo titolo esecutivo, emesso nel marzo 2015, già conteneva, del resto, il riconoscimento della continuazione tra i fatti di cui alla sentenza della Corte d’appello di Catania del 21/11/2013 e della Corte d’assise d’appello di Catania del 14/5/2001 e includeva i periodi di restrizione compresi tra il 13/7/1997 e il 13/6/2001. Non si era verificata, pertanto, la decadenza prevista dalla L. 11 agosto 2014, n. 117 di conversione del D.L. 26 giugno 2014, n. 92, in vigore dal 28 giugno 2014 , a norma della quale il detenuto avrebbe dovuto richiedere il beneficio nei sei mesi successivi, all’entrata in vigore della legge stessa, risalendo il titolo esecutivo al 18/3/2015. 2.2. L’attualità del pregiudizio non poteva essere intesa come condizione di accoglibilità della domanda riparatoria e il rinvio operato dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35-ter al pregiudizio di cui all’art. 69, comma 6, lett. b , Ord. Pen. era da intendersi in funzione della delimitazione del rimedio impugnatorio reclamo e del modello procedimentale applicabile, ma non postulava l’attualità del pregiudizio denunciato al momento della domanda e della decisione. Discendeva che l’anzidetta attualità non rilevava come condizione di accoglimento della richiesta riparatoria, con la conseguenza che sarebbe stato possibile prendere in considerazione anche periodi detentivi antecedenti, non direttamente riferiti al titolo esecutivo in corso di espiazione della pena. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato in entrambi i motivi proposti. 1.1. Questa Corte ha tracciato il perimetro di applicazione del principio di discontinuità tra le fasi esecutive, spiegando che, in funzione di una richiesta di decurtazione della pena da imputare all’esecuzione in atto, esso deve ritenersi preclusivo alla riparazione dei pregiudizi subiti durante l’espiazione di un titolo pregresso e diverso da quello in corso Sez. 1, n. 54862 del 17/01/2018, Molluso, Rv. 274971 . La discontinuità trova applicazione anche per le detenzioni antecedenti al giugno 2014, con la precisazione che il detenuto, il quale richieda il rimedio risarcitorio di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35-ter, per la restrizione degradante subita per un titolo diverso, se espia il nuovo titolo senza soluzione di continuità con il precedente, nell’ambito di un cumulo di pene unificate, può adire il magistrato di sorveglianza per ottenere il rimedio compensativo della riduzione della pena stessa viceversa, nel caso in cui l’espiazione del nuovo titolo non avvenga in continuità con il precedente, sussistendo cesura temporale tra la precedente esecuzione -in cui si assume essersi verificata la violazione e quella in corso al momento della domanda, si potrà azionare il rimedio avente ad oggetto il solo ristoro monetario, entro il termine decadenziale di sei mesi dalla data di entrata in vigore del D.L. 26 giugno 2014, n. 92. Ritenere, infatti, che l’interessato possa ottenere una riduzione di pena imputabile al trattamento degradante vissuto nel corso di una precedente esecuzione, ormai esaurita e non unificata a quella attuale, contrasta con la correlazione che deve esistere tra esecuzione e titolo di riferimento e potrebbe interferire con la disciplina della fungibilità che non ammette crediti di pena spendibili in relazione a condotte di rilevanza penale non ancora poste in essere Sez. 1, n. 54862 del 17/01/2018, Molluso, Rv. 274971 Sez. 1, n. 16915 del 21/12/2017, dep. 2018, Gerbino, Rv. 272830, che anche si occupa del caso di successivo inizio di un nuovo periodo di detenzione del tutto slegato dal primo . L’indicato principio di discontinuità, cui si rimette l’adito Tribunale di sorveglianza, non trova applicazione nel caso in esame. Il titolo esecutivo -emesso dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Catania, il 24/4/2015 cui si è riferito il Tribunale di Siracusa risulta, nella fattispecie, già superato alla data di proposizione della domanda. Il cumulo in esecuzione, invero, è quello del 21/2/2019, emesso dalla medesima Procura generale ed è intervenuto, aggiornando il rapporto esecutivo pregresso, per effetto del riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati oggetto della precedente esecuzione. Il riconoscimento del medesimo disegno criminoso è avvenuto, in parte, in sede di cognizione, ex art. 81 cpv. c.p. sentenza della Corte d’appello di Catania in data 21/11/2013 decisione già inclusa nel cumulo del 2015 che aveva unificato anche la pena inflitta con la sentenza della Corte d’assise d’appello di Catania del 14 maggio 2001 e, in altra parte, in executivis, ex art. 671 c.p.p. con riguardo ai reati giudicati con la sentenza del 7/7/2000 della Corte d’appello di Catania . Non si può, pertanto, ritenere che vi fossero due esecuzioni distinte, in successione cronologica disgiunta. Nè può affermarsi che l’esecuzione in corso fosse slegata dalla precedente o che dovesse trovare applicazione il principio di discontinuità delle esecuzioni. Per effetto del riconoscimento del vincolo della continuazione, invero, le relative condanne, sono unificate quoad poenam e confluiscono in un unico titolo che, in parte, rinnova il precedente e, per altro profilo, si sostituisce a esso, aggiornando il rapporto esecutivo. Da ciò la conclusione che la pena, per effetto del cumulo giuridico, collegato al riconoscimento del regime della continuazione, costituisce un unicum e, confluendo nel nuovo cumulo, attraverso l’unificazione delle pene per i reati avvinti dal vincolo di cui all’art. 81 cpv. c.p. anche se già espiate , è da ritenere come sanzione unitaria , in corso di esecuzione. Risulta legittima, pertanto, la domanda e la decisione, nel merito, sull’affermata lesione dell’art. 3 CEDU, per il pregiudizio subito nel corso della prima fase esecutiva e relativa ai reati le cui pene sono state in tutto o in parte espiate anteriormente all’unificazione per il regime della continuazione e sono confluite nel nuovo titolo che aggiorna il rapporto esecutivo. La pena complessiva, all’esito dell’unificazione per la continuazione, non genera, infatti, una nuova e diversa esecuzione, slegata dalla precedente, neppure a fronte dell’emissione del nuovo cumulo esecutivo, che vale quale provvedimento di formale rideterminazione della sanzione da mettere in attuazione. In questa ipotesi, dunque, la sanzione rideterminata è unica per effetto dell’art. 81 cpv. c.p. e induce l’applicazione del diverso principio di unitarietà dell’esecuzione art. 76 c.p. . All’interno del cumulo, del resto, riprendono vigore, anche le pene già espiate che ivi sono state incluse per un orientamento analogo in materia di liberazione anticipata Sez. 1, n. 11446 del 03/03/2015, Prronaij, Rv. 262886 Sez. 1, n. 12430 del 20/07/2016, dep. 2017, Corso, Rv. 269509 , permettendo una rivalutazione delle condizioni di detenzione subite, anche per le parti di esecuzione già avvenuta, là dove esse non siano state esaminate nel merito, in funzione del trattamento conforme al principio di umanità. Nella specifica vicenda, come anticipato, con la condanna del 21/11/2013 emessa dalla Corte d’appello di Catania, è stata inflitta la pena di anni dodici e mesi quattro di reclusione ed Euro 2.000 di multa in cui risultava già unificata la pena di cui alla sentenza della Corte d’assise d’appello di Catania del 14/5/2001 e la sanzione anzidetta è confluita anche nel nuovo cumulo del 21/2/2019. Per effetto della rideterminazione complessiva, la confluenza nel nuovo cumulo legittima una valutazione nel merito della domanda avanzata e una verifica sulla conformità al divieto posto dall’art. 3 della Cedu dei relativi periodi di restrizione già subiti, per effetto dell’esecuzione già avviata. Il trattamento sanzionatorio, determinato in ragione della ritenuta continuazione, concerne fatti antecedenti agli altri, con la conseguenza che non si profila neppure, in tesi, un possibile contrasto con la regola di fungibilità fissata dall’art. 657 c.p.p., comma 4. Trattandosi, pertanto, di esecuzione ancora in corso e non di una nuova esecuzione slegata dalla precedente, non si sarebbe potuta configurare l’ipotizzata decadenza cui si è richiamato il Tribunale di sorveglianza investito del reclamo. 1.2. Esclusa la decadenza dal diritto al rimedio risarcitorio per il denunciato trattamento degradante riferito ai periodi di detenzione più remoti e, tuttavia, ricompresi nell’unico titolo in attuale esecuzione, va affermata la fondatezza anche del secondo motivo di ricorso che esclude il necessario requisito dell’attualità del pregiudizio, in conformità del costante indirizzo interpretativo della Corte di legittimità, qui ribadito, a termini del quale l’attualità del pregiudizio non è condizione necessaria di accoglibilità della domanda, essendo sufficiente il solo stato di detenzione, ed il suo fondamento non risiede nella legge ordinaria che lo ha introdotto, ma direttamente nella CEDU, di tal che la domanda, con la quale si prospetta una violazione del divieto di sottoporre un soggetto detenuto a trattamenti inumani o degradanti, è ammissibile anche per i pregiudizi subiti anteriormente al 26 giugno 2014 Sez. 1, n. 9658 del 19/10/2016, dep. 2017, De Michele, Rv. 269308 conformi Sez. 1, n. 876 del 16/07/2015, dep. 2016, Ruffolo, Rv. 265856 Sez. 1, n. 38801 del 19/07/2016, Commisso, Rv. 268118 . 2. Alla luce di quanto premesso l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Catania per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catania.