Se la Corte d’Appello si pronuncia dopo la declaratoria di incostituzionalità non è tenuta a diminuire automaticamente la pena

Qualora la Corte d’Appello si pronunci, in un momento successivo alla declaratoria di incostituzionalità resa dalla sentenza della Corte costituzionale n. 40/19, su una pena che era stata irrogata in primo grado, per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990, sulla base della cornice edittale precedente a detta sentenza, non è tenuta a diminuire automaticamente la pena, potendo anche confermarne la misura, alla luce dei parametri di cui all’art. 133 c.p

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 13903/20 depositata il 7 maggio. Il caso. La Corte d’Appello confermava la sentenza del GUP resa all’esito del giudizio abbreviato a carico dell’imputata, condannato per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, per aver importato nel territorio nazionale 120 ovuli di eroina occultandoli nell’apparato endoaddominale. L’imputata ricorre per cassazione lamentando violazione dell’art. 597, comma 3, c.p.p., tenuto conto dell’intervenuta pronuncia della sentenza della Corte Costituzionale n. 40/19 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990 nella parte in cui prevede come limite edittale minimo la pena detentiva di 8 anni di reclusione in luogo di 6. Cornice edittale. La Cassazione rileva immediatamente l’analogia con la situazione che era venuta a crearsi con la sentenza della Corte Costituzione n. 32/14 con cui era stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 4- bis , d.l. n. 272/2005, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 49/2006, che ha prodotto la conseguenza per cui lo spaccio e la detenzione di hashish risultano oggi sanzionate con la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 5164,00 a 77.468,00 euro. In particolare, afferma la Corte, l’analogia risiede nel fatto che le più favorevoli discipline sanzionatorie risultanti da suddette pronunce si applicano anche alle condotte precedenti alle pronunce stesse. Tuttavia, tale principio trova applicazione solo laddove la condanna di merito sottoposta al vaglio della Suprema Corte sia intervenuta prima della pronuncia di incostituzionalità. A tal proposito, la Cassazione ritiene di dover chiarire la questione affermano il principio di diritto secondo cui analogamente a quanto ritenuto all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 - qualora la Corte d’Appello si pronunci, in un momento successivo alla declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, su una pena che era stata irrogata in primo grado, per il reato del d.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, sulla base della cornice edittale precedente a detta sentenza, non è tenuta a diminuire automaticamente detta pena, potendo anche confermarne la misura, alla luce dei parametri di cui all’art. 133 c.p. rivalutati in relazione ai nuovi limiti edittali .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 dicembre 2019 – 7 maggio 2020, n. 13903 Presidente Ramacci – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 1 aprile 2019, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Civitavecchia del 19 dicembre 2018, resa all’esito di giudizio abbreviato, che aveva dichiarato O.D. colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, perché, proveniente dall’Olanda con volo di linea, aveva importato nel territorio nazionale, occultati nell’apparato endoaddominale, 120 ovuli contenenti eroina titolo medio 42,7%, principio attivo g 501.55, dosi singole medie 20.062 , e l’ha condannata, applicando le attenuanti generiche e la diminuente per il rito, alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa. 2. Avverso la sentenza l’imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell’art. 597 c.p.p., comma 3, sul rilievo che la pena irrogata alla ricorrente sarebbe illegale, tenuto conto dell’intervenuta pronuncia della sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, nella parte in cui prevede come limite edittale minimo la pena detentiva di anni otto di reclusione in luogo di anni sei, nonché della richiesta del Procuratore generale - motivata alla luce della sentenza stessa - di riduzione della pena a tre anni, un mese e dieci giorni di reclusione, coerentemente con il computo effettuata dal GUP. 2.2. Con un secondo motivo, si censura il vizio di motivazione in relazione alla quantificazione della pena, sul rilievo che la Corte d’appello ha ritenuto che il discostamento della individuazione della pena base dal minimo edittale è proporzionato all’obiettiva gravità del fatto, che evidenzia una elevata capacità criminale, poiché l’attuazione del reato ha richiesto una minuziosa preparazione protratta per un apprezzabile lasso di tempo. Per la difesa, si sarebbe dovuto tenere conto del fatto che l’imputata era una mera pedina di un’organizzazione criminale più ampia, che avrebbe accettato di trasportare gli ovuli di eroina nella propria parete addominale spinta da motivi economici, che sarebbero stati anche più forti del timore per la propria salute. Inoltre, la ritenuta gravità del fatto si scontrerebbe con la mancata contestazione dell’aggravante dell’ingente quantità prevista dall’art. 80, comma 2. Considerato in diritto 1. Il ricorso - i cui motivi possono essere trattati congiuntamente, perché attengono entrambi alla determinazione della pena - è infondato. 1.1. Nelle more tra la sentenza di primo e quella di secondo grado, è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, nella parte in cui prevede come limite edittale minimo la pena detentiva di anni otto di reclusione, anziché quella di anni sei. La situazione che si è venuta a creare è analoga a quella creatasi a seguito della sentenza la Corte costituzionale n. 32 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 272 del 2005, art. 4-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 49 del 2006, con la conseguenza che lo spaccio e la detenzione di hashish risultano oggi sanzionate, in forza della più favorevole disciplina previgente, con la reclusione da due a sei anni e la multa da Euro 5164,00 a Euro 77.468,00. La rilevata analogia risiede nel fatto che le più favorevoli discipline sanzionatorie risultanti da dette pronunce si applicano anche alle condotte precedenti alle pronunce stesse e ciò, anche quando la pena irrogata nel caso concreto non sia tecnicamente illegale, perché comunque compresa nella nuova forbice edittale. Nondimeno, qualora la pena sia determinata in una misura che si discosta dai nuovi limiti minimi edittali, deve ritenersi ragionevolmente ipotizzabile l’irrogazione di una sanzione ad essa inferiore proprio sulla base di tali limiti con la conseguenza che deve farsi richiamo all’orientamento - affermato dalla giurisprudenza di questa Corte sempre in relazione alla sentenza C. Cost. n. 32 del 2014 - secondo cui, in presenza di un mutamento della cornice edittale, deve farsi luogo ad annullamento della sentenza in punto di determinazione della pena, qualora dalla motivazione emerga con sufficiente chiarezza che il giudice ha utilizzato i parametri edittali antecedenti a tale mutamento e la motivazione stessa non possa, dunque, essere ritenuta adeguata quanto ai nuovi parametri ex plurimis, sez. 4, 21 ottobre 2014, n. 47020, rv. 260672 sez. 4, 16 ottobre 2014, n. 47750, rv. 260671 . Deve altresì richiamarsi il principio secondo cui la Corte di cassazione può, anche d’ufficio, ritenere applicabile il più favorevole trattamento sanzionatorio per l’imputato, anche in presenza di un ricorso inammissibile, disponendo, ai sensi dell’art. 609 c.p.p., l’annullamento sul punto della sentenza impugnata sez. un., 26 giugno 2015, n. 46653 . Tali principi trovano, però, applicazione nel caso in cui la condanna di merito sottoposta al vaglio della Corte di cassazione sia intervenuta prima della pronuncia di incostituzionalità. Invece, qualora la condanna sia intervenuta dopo la pronuncia di incostituzionalità, deve trovare applicazione l’orientamento - formatosi a seguito della richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 - secondo cui, in tema di stupefacenti, il giudice di appello o di rinvio, che procede alla rideterminazione della pena in applicazione della disciplina più favorevole determinatasi per effetto della sentenza della Corte costituzionale, deve tenere conto dei parametri di cui all’art. 133 c.p. e rivalutarli in relazione ai nuovi limiti edittali, con il solo limite costituito dal divieto di sovvertire il giudizio di disvalore espresso dal precedente giudice. Si esclude, insomma, che, in sede di rideterminazione, il giudice debba seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico correlato alla pena calcolata prima della declaratoria di incostituzionalità ex multis, Sez. 2, n. 29431 del 08/05/2018, Rv. 273809 Sez. 6, n. 6850 del 9/02/2016, Rv. 266105 . Deve dunque affermarsi che - analogamente a quanto ritenuto all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 - qualora la Corte d’appello si pronunci, in un momento successivo alla declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, su una pena che era stata irrogata in primo grado, per il reato del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, sulla base della cornice edittale precedente a detta sentenza, non è tenuta a diminuire automaticamente detta pena, potendo anche confermarne la misura, alla luce dei parametri di cui all’art. 133 c.p. rivalutati in relazione ai nuovi limiti edittali. 1.2. Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, in cui la Corte d’appello ha fornito una motivazione completa e coerente in merito alla rideterminazione della pena all’esito della pronuncia della Corte costituzionale n. 40 del 2019, affermando che la pena base individuata dal primo giudice - anni nove di reclusione ed Euro 45.000 di multa - si pone in armonia anche con la cornice edittale oggi vigente, in quanto il discostamento dal minimo edittale appare proporzionato, ai sensi dell’art. 133 c.p., alla obiettiva gravità del fatto, che evidenzia una elevata capacità criminale, poiché l’attuazione del reato ha richiesto una minuziosa preparazione protratta per un apprezzabile lasso di tempo. Ciò denota obiettivamente la persistenza di forte e decisa intenzionalità a delinquere, supportata dalla piena consapevolezza di fare parte di un’organizzazione operante a livello internazionale, con grande disponibilità di mezzi. Ed è manifestamente infondato il rilievo difensivo secondo cui la fattispecie non avrebbe potuto essere ritenuta grave, in mancanza della contestazione della circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, perché la concreta gravità del reato è stata valutata alla luce della disposizione incriminatrice, rappresentata dall’art. 73 comma 1, dello stesso di D.P.R., con applicazione di una pena che si pone ben al di sotto della media edittale. 2. - Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio, per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a .