Si appropria di somme versate dai condomini invocando un presunto diritto di credito: amministratore condannato

Il reato di appropriazione indebita contestato all’amministratore di un condominio per l’appropriazione di somme versate dai condomini non viene meno laddove l’imputato invochi di aver trattenuto le somme come compensazione di propri preesistenti crediti, laddove non sia in grado di fornirne adeguata documentazione.

La vicenda. Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12618/20, depositata il 21 aprile, decidendo sul ricorso presentato da un amministratore di condominio condannato dal Tribunale di Milano e poi dalla Corte d’Appello per appropriazione indebita in relazione ad alcune somme versate dai condomini dello stabile amministrato. Il ricorrente si duole per il vizio di motivazione della sentenza impugnata in quanto egli avrebbe legittimamente esercitato il proprio diritto di ritenzione per il soddisfacimento di ragione creditorie nei confronti dei condomini, di cui però la Corte aveva negato la sussistenza di adeguati mezzi di prova. Sempre secondo il ricorrente, la condotta avrebbe dunque dovuto essere qualificata come esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Sussistenza del reato di appropriazione indebita. Il ricorso risulta inammissibile per genericità dei motivi proposti. Il Collegio evidenzia infatti come la motivazione offerta dalla pronuncia impugnata si sottragga ad ogni censura avendo correttamente valutato tutti gli elementi probatori acquisiti. È infatti emerso che l’amministratore si era appropriato del denaro depositato su conti correnti intestati ai condomini del quale aveva possesso in qualità di mandatario e unico delegato ad operare. Tali somme risultavano gravate da vincolo di destinazione il ricorrente aveva infatti l’obbligo di incassare i canoni con l’accordo di restituirli ogni 3 mesi ai proprietari dopo aver detratto il proprio compenso professionale nella misura del 3% annuo del monte locazioni e le spese documentate. Le somme di cui si era appropriato il ricorrente corrispondevano invece ad un presunto diritto di credito, non documentato e comunque irrilevante ai fini della sussistenza del reato. La giurisprudenza afferma infatti pacificamente che il reato di appropriazione indebita non viene meno laddove l’imputato invochi di aver trattenuto le somme come compensazione di propri preesistenti crediti, privi dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità. Deve essere inoltre esclusa la configurabilità, invocata dal ricorrente, del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni art. 392 c.p. in quanto tale fattispecie non sussiste nel caso in cui il soggetto che si è appropriato di denaro o beni a preteso soddisfacimento di un credito avesse sugli stessi piena signoria, oltre a piena coscienza e volontà di appropriarsene. Tali elementi corrispondono infatti all’elemento psicologico del reato di cui all’art. 464 c.p. non potendo parlarsi di buona fede rispetto all’azione compiuta. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 dicembre 2019 – 21 aprile 2020, n. 12618 Presidente Cammino – Relatore Beltrani Ritenuto in fatto 1. M.M. ha proposto, tempestivamente e nei modi di rito, ricorso contro la sentenza indicata in epigrafe che, in parziale riforma della sentenza emessa nei confronti dell’imputato dal Tribunale di Milano in data 25/10/2018, ha dichiarato estinti per prescrizione i reati di appropriazione indebita di cui ai punti 7.8.9. del capo d’imputazione, ha confermato le residue affermazioni di responsabilità in ordine ai reati di appropriazione indebita di cui ai punti 1.2.10.11.12.13.14.15. del capo d’imputazione, ha conseguentemente ridotto la pena ritenuta di giustizia dal Tribunale, ed ha confermato le statuizioni accessorie in favore delle parti civili , lamentando violazione dell’art. 646 c.p., art. 539 c.p.p., art. 392 c.p.p., artt. 605 e 592 c.p.p. e art. 133 c.p., con vizi di motivazione l’imputato avrebbe legittimamente esercitato il diritto di ritenzione per soddisfare propri crediti che erroneamente la Corte di appello avrebbe ritenuto sforniti di prova la sua condotta potrebbe al più integrare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni i suoi rendiconti non sarebbero mai stati formalmente impugnati egli ha riconosciuto unicamente un credito delle parti civili pari ad Euro 9.040,91, cui la disposta provvisionale andava asseritamente limitata l’imputato sarebbe stato, comunque, meritevole delle attenuanti generiche . Nelle more è stata separatamente disattesa l’istanza di sospensione dell’esecutività agli effetti civili della sentenza impugnata. All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, le parti presenti hanno concluso come indicato in epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. d e art. 591 c.p.p., perché presentato per motivi privi della necessaria specificità. I motivi proposti difettano della necessaria specificità, risultando meramente reiterativi i rilievi critici del ricorrente rispetto alle ragioni di fatto e/o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, in difetto del compiuto riferimento alle argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede in virtù delle quali la Corte di appello ha ritenuto la configurabilità del reato ascritto all’imputato, confermandone l’affermazione di responsabilità, valorizzando, anche attraverso il rinvio alle condivise argomentazioni del Tribunale come è fisiologico, in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità , gli elementi probatori acquisiti dichiarazioni testimoniali delle parti civili, dichiarazioni parzialmente confessorie dell’imputato, esiti della documentazione acquisita , in virtù dei quali si è pervenuti ad un puntuale accertamento dei fatti verificatisi riepilogati a f. 3 s. della sentenza di primo grado e delle tre categorie di somme di denaro delle quali l’imputato si è indebitamente appropriato riepilogate a f. 4 s. della sentenza di primo grado . Sulla base di tali premesse, il Tribunale aveva ritenuto integrata la condotta appropriativa contestata all’imputato, essendo stata raggiunta prova ragionevolmente certa del fatto che l’imputato si sia appropriato del denaro depositato sui conti correnti intestati ai condomini del quale aveva il possesso in qualità di mandatario e quale unico delegato ad operare sui predetti conti correnti. Tali somme erano gravate da un vincolo di destinazione, posto che l’imputato aveva l’obbligo di incassare i canoni con l’accordo di restituirli ogni tre mesi ai proprietari, dopo aver detratto a titolo di compensi professionali la percentuale del 3% annuo del monte locazioni e le spese documentate necessarie alla gestione. È poi emerso e confermato dall’imputato che al momento della revoca del mandato, il M. abbia omesso di corrispondere e quindi si sia appropriato anche i canoni di locazione versati per il trimestre giugno ottobre 2013, senza che il motivo posto alla base della condotta criminosa pagamento per un presunto e non documentato diritto di credito possa incidere sulla rilevanza penale della stessa. L’esame degli estratti dei conti correnti ha, inoltre evidenziato il compimento di prelievi e bonifici sprovvisti di giustificativo compiuti, per stessa ammissione dell’imputato, da lui medesimo. Dalle dichiarazioni rese dallo stesso imputato, confermate anche dalla vicenda speculare del condominio OMISSIS , è emerso il seguente modus operandi il M. , amministratore di diversi stabili oltre a quelli di proprietà delle parti civili, era solito utilizzare il denaro presente sui conti correnti intestati ai diversi condomini come fosse cosa propria sia per coprire ammanchi di altri conti corrente sia per fini personali tale condotta esorbita sicuramente i limiti consentiti al M. in qualità di mandatario ed integra la condotta appropriativa tipizzata all’art. 646 c.p. . Recependo tali rilievi, la Corte d’appello ha correttamente disatteso i motivi di gravame, rilevando quanto segue ampia parte delle doglianze difensive risulta generica, perché dall’esame degli estratti dei conti correnti intestati ai Condomini di OMISSIS , sui quali veniva accreditato mensilmente quanto dovuto dai conduttori ed inquilini degli immobili, emergono de plano versamenti effettuati in favore di terzi privi di giustificativo o chiaramente in violazione del vincolo di destinazione basti pensare alle distrazioni a favore di altri Condomini di somme proprie dei Condomini di OMISSIS . L’imputato ha dichiarato che si trattava di restituzioni per anticipazioni fatte confessando in ogni caso di essere stato lui ad aver compiuto le operazioni risultanti dagli estratti dei conti correnti, essendo lui l’unico soggetto a gestirli. Dall’esame di detti estratti emerge ictu oculi, il seguente modus operandi il M. , amministratore di diversi stabili oltre a quelli di proprietà delle parti civili, era solito utilizzare il denaro. presente sui conti correnti intestati ai diversi Condomini come fosse cosa propria sia per coprire ammanchi di altri conti correnti afferenti ad altri Condomini, sia per fini personali tale condotta esorbita sicuramente i limiti consentiti al M. in qualità di mandatario ed integra la condotta appropriativa tipizzata dall’art. 646 c.p. La conferma di tale illecito modus operandi appare all’evidenza anche dalla vicenda speculare del condominio OMISSIS le doglianze riguardanti le contestazioni di cui ai numeri 1, 2, 16 e 17 del capo di imputazione, riguardanti somme corrisposte dagli inquilini dei due Condomini per i periodi di giugno/ottobre 2013 ed ottobre/dicembre 2013, sono specifiche ma infondate poiché, come emerge dalla lettera di conferimento incarico del 08.07.99, il compenso concordato è pari al 3% del monte locazioni amministrati. Su tali somme, pertanto, l’imputato aveva il diritto di trattenere una quota pari al 3%, con l’obbligo di versare la restante quota alle parti civili. Dalla prodotta documentazione risulta che l’appellante ha trattenuto integralmente le predette somme asserendo l’esistenza di un credito per dei compensi che mai egli aveva concordato con i comproprietari e dei quali, dal 2007 anno in cui avrebbe ricevuto l’ulteriore incarico in poi non aveva mai chiesto il pagamento, ma sostenendone la sussistenza solo al momento della revoca del mandato. È pertanto evidente che la condotta posta in essere da M. integri il delitto di cui all’art. 646 c.p., avendo egli integralmente trattenuto, al termine del mandato, le somme ricevute a titolo di pagamento dei canoni di locazione che egli aveva l’obbligo di ritrasferire, opponendo in compensazione un presunto e non documentato diritto di credito, con comportamento comunque inoperante a scriminare le appropriazione commesse . D’altro canto, questa Corte Sez. 2, sentenza n. 293 del 04/12/2013, dep. 2014, Rv. 257317 ha già chiarito che il reato di appropriazione indebita non viene meno quanto l’imputato invochi di aver trattenuto le somme in contestazione a compensazione di propri preesistenti crediti, ove si tratti di crediti non certi, non liquidi e non esigibili. I fatti accertati non integrano il reato di cui all’art. 392 c.p. è, infatti, tradizionale l’insegnamento per il quale non ricorre il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nel caso in cui il soggetto che si sia appropriato di denaro o beni a preteso soddisfacimento di un credito abbia piena signoria sui predetti denaro o beni e piena coscienza e volontà di farli propri, sussistendo in questo caso l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 646 c.p., non potendo parlarsi di buona fede rispetto ad una azione esecutiva privatamente esercitata, e non ricorrendo conseguentemente alcuno dei casi che potrebbero giustificare l’esclusione del dolo Sez. 2, sentenza n. 10282 del 29/04/1975, Rv. 131104 . Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla presunta eccessiva severità del trattamento sanzionatorio, la Corte di appello ha condivisibilmente evidenziato che la difesa si è limitata ad indicare in maniera del tutto generica, senza alcun reale rilievo critico alle motivazioni operate in sentenza, gli elementi da valutare positivamente , e che, considerati i precedenti penali dell’imputato e intensità del dolo che emerge dalla reiterazione delle condotte illecite non vi è ragione alcuna per il riconoscimento delle invocate attenuanti. D’altronde proprio in ragione della intensità del dolo e della personalità dell’imputato, in modo condivisibile il Tribunale, pur potendosi valutare positivamente le parziali ammissioni dell’odierno appellante, ha irrogato la pena base nella media del range edittale, mentre gli aumenti comminati per l’aggravante e la continuazione appaiono oggettivamente modesti c opportunamente differenziati in relazione alla gravità degli episodi . La Corte di appello ha, infine, correttamente stabilito che la provvisionale concessa alle parti civili merita conferma, essendo stata raggiunta piena prova del montante liquidato il difensore ha fatto riferimento in via generica al quantum di debito riconosciuto dall’imputato nell’ambito della scrittura privata prodotta in atti, senza reale censura alle poste liquidate in sentenza come già ampiamente provate per tabulas . A tale evidente genericità del motivo non è possibile porre successivamente rimedio cfr. art. 591 c.p.p., comma 4 . Con tali argomentazioni della Corte di appello il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente, limitandosi a riproporre una diversa lettura delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti. La declaratoria d’inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa d’inammissibilità per colpa Corte Cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186 e tenuto conto dell’entità di detta colpa, desumibile dal tenore della rilevata causa d’inammissibilità della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria. Il ricorrente va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese delle parti civili, liquidate come da dispositivo, per tutte nella misura-base di Euro duemilacinquecento oltre due aumenti nella misura del 20% per le parti civili assistite dal medesimo difensore indicata dall’unica parte che le ha quantificate, oltre agli accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione in favore delle parti civili B.S.M. , B.M.F. , T.L.E. , W.L.G. delle spese del grado, che liquida per le prime tre parti civili in Euro tremilacinquecento/00, oltre spese forfetarie nella misura del 15%, c.p.A. ed I.V.A., e per la quarta in Euro duemilacinquecento/00, oltre spese forfetarie nella misura del 15%, c.p.a. ed I.V.A. Sentenza con motivazione semplificata.