Coronavirus ed emergenza carceri: le misure del ‘Cura Italia’

All’interno delle misure previste per contrastare la pandemia del COVID-19, l’art. 123 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, c.d. decreto ‘Cura Italia’, rubricato disposizioni in materia di detenzione domiciliare”, prevede che in deroga al disposto dei commi 1, 2 e 4 dell’articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2020, la pena detentiva è eseguita, su istanza, presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, ove non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena salve alcune ipotesi ostative di accesso .

Sempre in tale direzione di impedire il diffondersi del contagio all’interno delle mura del carcere a causa anche del sovraffollamento che va ridotto immediatamente si pone l'articolo 124 del decreto per il quale si prevede anche in deroga al complessivo limite temporale massimo , cioè 45 giorni, stabilito dall'ordinamento penitenziario, le licenze concesse al condannato ammesso al regime di semilibertà possono avere durata sino al 30 giugno 2020 . Nello speciale cerchiamo di approfondire tali misure per rispondere anche alle paure di chi si trova in carcere e teme per i contagi da coronavirus, dopo le proteste che sono scoppiate nelle strutture di detenzione, da Nord a Sud che, seppur timide, se applicate largamente, possono costituire un primo passo, comunque importante, per risolvere l’emergenza carceri che l’emergenza del coronavirus rischia di far saltare i già fragili equilibri della vita penitenziaria. Nell’auspicio che in sede di conversione del decreto legge possano essere apportare delle migliorie in primis quella relativa all’eliminazione o, al più, della facoltatività del braccialetto elettronico per le esecuzioni domiciliari a residui di pena superiori a sei mesi che si muovano nella predetta prospettiva.

Non confondere l’esecuzione presso il domicilio con la detenzione domiciliare. L’istituto regolato dall’art. 1 l. n. 199/2010 il cui perimetro applicativo viene esteso temporalmente, fino al 30 giugno 2020, avendo il decreto Cura Italia , non va confuso con la detenzione domiciliare regolata dall’art. 47-t er ord. pen., di cui differisce sia la competenza – quest’ultima in capo al tribunale di sorveglianza mentre l’esecuzione nel domicilio viene decisa dal magistrato di sorveglianza – che i requisiti per accedervi. Introduzione della misura per risolvere il sovraffollamento carcerario. L'istituto, che prevede l'esecuzione della pena detentiva presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, è stato introdotto dalla legge n. 199 del 2010 nel pieno dell’emergenza del sovraffollamento, già sotto la lente di ingrandimento della Corte Edu che nella sentenza Sulejmanovic del 16 luglio 2009 aveva condannato l’Italia per non avere assicurato al detenuto lo spazio vitale nelle celle di 3 metri quadrati e riconosciuto la grave violazione dell'art. 3 Cedu, relativo al divieto di trattamenti inumani e degradanti . Originaria efficacia temporanea dell’esecuzione presso il domicilio L’esecuzione della pena nel domicilio ab origine si caratterizzava per la sua efficacia temporanea, limitata temporalmente, ai sensi dell'art. 1, comma 1, l. 199/2010 alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013 . L’istituto è stato poi stabilizzato dal d.l. n. 146/2013 c.d. svuotacarceri, dopo che la questione del sovraffollamento e, più in generale, della detenzione disumana e degradante, non si era risolta ma era esplosa definitivamente con la sentenza pilota della Corte di Strasburgo nei casi dei reclusi Torreggiani e altri dell’8 gennaio 2013. La misura si applica soltanto ai condannati a pena detentiva non superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, ritenuti di scarsa pericolosità. L’esecuzione domiciliare ha mutato camaleonticamente pelle. Nella prassi tuttavia l’istituto dell’esecuzione domiciliare ha finito per sovrapporsi con la detenzione domiciliare. Dopo una prima fase in cui alcuni uffici giudiziari ne hanno fatto un ampio ricorso, disconoscendo all’istituto introdotto dalla l. 199 la natura di misura alternativa alla detenzione stricto sensu ritenuto soltanto una modalità speciale di esecuzione della pena , una parte della giurisprudenza di sorveglianza di merito ha inquadrato il suddetto beneficio speciale all’interno della cornice delle misure alternative. Di conseguenza, anche per l’esecuzione presso il domicilio si è ritenuta necessaria la meritevolezza” propria di tutti i benefici penitenziari all’interno della progressione trattamentale, con conseguente valutazione casu concreto della condotta complessivamente tenuta dal condannato sia in libertà che durante l’espiazione della pena , sul doppio versante del percorso rieducativo avviato e del livello raggiunto e della verifica dell’assenza dell’attualità della pericolosità sociale. Allungando così i tempi di istruzione. Ciò allunga notevolmente i tempi dell’istruzione del fascicolo procedimentale in quanto vengono richieste, oltre alla relazione comportamentale intramuraria, anche quella trattamentale dell’UEPE ufficio esecuzione penale esterna che valuta il contesto socio-familiare del condannato. Una volta ricevuta quest’ultima gli assistenti sociali del carcere devono redigere la relazione di sintesi che si basa proprio sulla comportamentale in carcere e sulla trattamentale esterna. Che non consente di rispettare il termine di cinque giorni per decidere. Ecco perché il termine di cinque giorni per decidere sulla richiesta previsto dal comma 5 dell’art. 1 l. 199 che ha adottato la procedura previsto dall’art. 69-bis ord. penit. per la liberazione anticipata ma riducendo ulteriormente i tempi della decisone diventa impossibile da rispettare . Ma l’applicazione dell’esecuzione presso il domicilio è automatica. Lo dice la Cassazione. Tuttavia, non sembra potersi condividere tale prassi applicativa in quanto come chiarito dalla Suprema Corte Sez. I, n. 37320/2015 , la l. 199/2010, come modificata e divenuta disciplina a regime, prevede che la pena detentiva non superiore a diciotto mesi, non ricorrendo le situazioni ostative indicate è eseguita a domicilio, ovvero presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico privato di cura o di accoglienza non che può essere , come si esprime la l. n. 354/1975, per tutte le altre misure alternative ivi previste e che il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo sulla richiesta se già dispone delle informazioni occorrenti art. 1, comma 1 . Speciale modalità di esecuzione della pena Sembra evidente che l’art. l. della 199, proprio per la sua primaria finalità di decongestionamento carcerario finalità drammaticamente attuale, e aggravata ulteriormente dall’emergenza Coronavirus , non costituisce una vera e propria misura alternativa alla detenzione, la cui concessione sarebbe rimessa alla discrezionalità della magistratura di sorveglianza, quanto a una speciale modalità di esecuzione della pena che va necessariamente applicata a meno che ricorrano le ipotesi di esclusione ivi indicate, Sez. I, n. 15747/2014 . applicabile anche in deroga alle regole della detenzione domiciliare. Pertanto, l'istituto dell'esecuzione della pena detentiva presso il domicilio, previsto dall'art. 1 l. 199/2010, è applicabile anche in deroga alle regole generali poste dall'art. 47-ter ord. pen. per la detenzione domiciliare, e quindi indipendentemente da ogni valutazione di meritevolezza in ordine alla concessione della misura Sez. I, n. 6138/2014 . Per gli Ermellini, la l. n. 199/2010 ha introdotto una speciale modalità di esecuzione della pena, volta ad attuare il principio del finalismo rieducativo, sancito dall’art. 27 Cost., e per rendere nel contempo possibile l'esecuzione delle pene detentive brevi in luoghi esterni ai carcere, attesa la situazione di emergenza nella quale si trovano le strutture penitenziarie italiane. Misura che prescinde dalla meritevolezza della misura. Il dettato normativo rende palese, ad avviso degli ermellini, che la detenzione domiciliare regolamentata dalla novella, al fini dichiarato di perseguire nel tempo limitato fissato dal legislatore lo scopo di alleggerire il carico carcerario, deve, e non soltanto può, essere eseguita nelle forme da essa fissata anche in deroga alle regole generali poste dall'art. 47-ter ord. pen., e col solo limite della ostatività indotta da un giudizio di pericolosità. Evitare di sovrapporre le due discipline. Anche perché una mera sovrapposizione della regolamentazione normativa della detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter ord. pen. con le modalità di cui alla L. 199/2010, priverebbe di senso legislativo la novella e la disciplina in essa contenuta ed essa è comunque esplicitamente esclusa dal disposto del comma 8 della norma in esame, laddove si chiarisce che le disposizioni dell'art. 47-ter ord. pen. sono applicabili in quanto compatibili con la nuova disciplina sempre Sez. I, n. 6138/2014 .

Troppi nodi applicativi. Dall’analisi effettuata, appare evidente come la novella, lungi dal costituire strumento espansivo dell’esecuzione domiciliare, si riveli in realtà restrittiva, oltre che inefficace. Occorre quindi eliminare i troppi nodi che ne riducono gli spazi applicativi. Eliminare o rendere facoltativo il braccialetto elettronico . Sarebbe auspicabile in sede di conversione del decreto legge eliminare o quantomeno rendere facoltativo il controllo mediante strumenti elettronici, come già previsto in via generale per la detenzione domiciliare dall’art. 58-quinquies ord. pen. D’altra parte, in assenza di una modifica di questo tenore, la disciplina si espone a censure di illegittimità costituzionale per violazione del principio di eguaglianza-ragionevolezza art. 3 Cost. , considerato che il controllo facoltativo ex art. 58-quinquies ord. pen. riguarda anche condannati a pene ben superiori a diciotto mesi. Ampliare il tetto massimo di pena residua. Necessario in sede di conversione l’ampliamento dell’esecuzione domiciliare. In sede di conversione andrebbe anche ampliato l’ambito del residuo di pena innalzandolo almeno a due anni per accedere all’esecuzione presso il domicilio. Eliminare i reati ostativi dei maltrattamenti e stalking. In sede di conversione del decreto legge si auspica poi l’eliminazione quanto meno dei condannati per maltrattamenti o per atti persecutori, in quanto, pur convenendo che la scelta appare di per sé coerente con la natura di tali reati necessariamente o spesso commessi in ambito familiare , tuttavia, la ragionevolezza di una preclusione assoluta appare a ben vedere dubbia, considerando che chi ha commesso tali reati potrebbe disporre di un nuovo e diverso domicilio rispetto a quello delle persone offese d’altra parte, l’esigenza di evitare una situazione criminogena parrebbe comunque soddisfatta dal requisito del domicilio idoneo in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese Dolcini-Gatta .

Allungata la durata della licenza. Il secondo strumento al quale il d.l. n. 18/2020 affida il contrasto al contagio da coronavirus nelle carceri e dalle carceri verso l’esterno , nonché l’attenuazione del sovraffollamento carcerario, è quello della licenza premio prevista all’art. 52 ord. pen. per il condannato ammesso alla semilibertà tale licenza può essere concessa anche in deroga al limite massimo di 45 giorni all’anno previsto all’art. 52 ord. pen. per una durata che può arrivare al prossimo 30 giugno 2020. Soluzione ragionevole. Si conviene che trattasi di una scelta ragionevole, considerando che chi viene ammesso alla semilibertà è un soggetto che di regola ha già scontato una parte consistente della pena, non è pericoloso in termini di propensione a commettere nuovi reati tale è stato ritenuto da un giudice in sede di concessione della misura , ma rappresenta, nella situazione attuale, un consistente pericolo per la salute collettiva, in ragione della continua spola cui è chiamato fra carcere e società esterna. In definitiva, la misura sembra in grado di produrre effetti apprezzabili sul versante della prevenzione del contagio, non anche peraltro sul versante del contenimento della popolazione carceraria, se si considera che al 15 febbraio 2020 i soggetti in semilibertà erano 1039.

Chiudere le porte del carcere ai condannati liberi . L’obiettivo del decreto Cura Italia è stato non solo quello di aprire le porte del carcere dall’interno e di chiuderle all’ingresso di nuovi detenuti dall’esterno. Pertanto, quando la misura venga applicata dallo stato di libertà, è rimasta la previsione che il magistrato di sorveglianza provvede a seguito della sospensione dell’ordine di carcerazione disposto dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 1 comma 3 l. n. 199/2010. La quaestio sulla competenza territoriale un primo orientamento di legittimità. Chi è il magistrato di sorveglianza territorialmente competente a decidere sull’esecuzione della pena presso il domicilio? Sul punto si registra un contrasto all’interno della Corte Suprema. Secondo un primo indirizzo interpretativo, l’art. 1, comma 3, della 199, richiamando espressamente i casi di cui all’art. 656 c.p.p., comma 1 farebbe riferimento al medesimo pubblico ministero che agisce ex art. 656 c.p.p., comma 5, sicché la competenza territoriale a decidere sulla richiesta spetterebbe al magistrato di sorveglianza territorialmente competente rispetto alla procura della Repubblica presso il giudice dell’esecuzione competente. Non sarebbe, pertanto, applicabile la regola generale sulla competenza per territorio della magistratura di sorveglianza stabilita dall’art. 677 c.p.p., comma 2, la quale, con la clausola se la legge non dispone diversamente , intenderebbe riferirsi proprio a casi, come la l. n. 199/2010 che, richiamando espressamente l’art. 656 c.p.p., comma 1, derogherebbe alla regola generale Sez. I, n. 24059/2015 . La contrapposta posizione di legittimità. A questo indirizzo si oppone altro orientamento giurisprudenziale, secondo il quale la competenza per territorio a decidere sull'istanza di esecuzione domiciliare della pena presentata, ai sensi della 199 dal condannato non detenuto, appartiene al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo in cui l'interessato ha la residenza o il domicilio, in applicazione del generale principio di cui all’art. 677 c.p.p., comma 2, Sez. I, n. 57903/2018 n. 37978/2013 . Diversamente da quanto ritenuto dal primo orientamento, la normativa del 2010 non prevede una espressa deroga al predetto principio generale, tale non potendo ritenersi il riferimento ai casi previsti dall’art. 656 c.p.p., comma 1, il quale in realtà ritiene semplicemente i casi in cui debba farsi luogo all'esecuzione di una pena detentiva. Ne consegue, pertanto, che in assenza di una previsione derogatoria di univoco tenore, non è possibile applicare la speciale regola di competenza stabilita dall’art. 656 c.p.p., comma 5. La doppia sospensione prima negata. L’art. 656, comma 7, c.p.p. secondo cui la sospensione non può essere disposta più di una volta , sancisce il divieto di doppia sospensione. Un primo orientamento della Suprema Corte, appoggiandosi su tale norma, riteneva che il condannato che ha già beneficiato della sospensione dell'esecuzione della pena ex art. 656 c.p.p. e che non ha avanzato richiesta di misura alternativa non può usufruire di una ulteriore sospensione dell'esecuzione, ai sensi dall'art. 1 della l. n. 199 del 2010 Sez. I, nn. 25039 e 48425 del 2012 . Revirement della Suprema Corte. Superando tale orientamento, la stessa prima sezione della Suprema Corte con ritiene possibile la doppia sospensione, affermando adesso che nei confronti del condannato che ha già beneficiato della sospensione dell'esecuzione della pena ex art. 656 c.p.p. e che non ha avanzato la richiesta di misura alternativa, il pubblico ministero deve disporre una ulteriore sospensione dell'esecuzione, quando sussistono le condizioni previste dall’art. 1 l. n. 199/2010, per consentire al magistrato di sorveglianza di decidere se la pena vada eseguita presso il domicilio Sez. I, n. 4971/2015 . Ciò in quanto, la giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che la l. 119/2010 è successiva e speciale e ha piena idoneità a derogare alla normativa precedente, di portata generale. Si è poi aggiunto che, proprio per la sua primaria finalità di decongestionamento carcerario, che pure il ricorso menziona e che la differenzia significativamente dalla disciplina codicistica, la legge 199 ben può avere introdotto una deroga alla previsione del divieto poc'anzi richiamato senza che rilevi, in senso contrario, l'assenza di una espressa previsione in tale direzione Sez. I, n. 14987/2019 . Accertamento sull’idoneità del domicilio. La relazione illustrativa al decreto Cura Italia ricorda che il p.m. deve trasmettere al magistrato di sorveglianza gli atti del fascicolo dell’esecuzione sentenza, ordine di esecuzione e decreto di sospensione , oltre che il verbale di accertamento di idoneità del domicilio. Su tale ultimo punto, si è ritenuto che l’accertamento sull’idoneità del domicilio del condannato libero compete al p.m., non al magistrato di sorveglianza Trib. Sorv. Alessandria, 4.10.2019 .

Semplificazione della procedura. La richiesta di esecuzione nel domicilio della pena residua non superiore a 18 mesi pena prevista dall’art. 123 D.L. n. 18/2020 ossia anche quella in deroga all’art. 1 della 199 va presentata – su istanza dell’interessato o su iniziativa della direzione dell’istituto penitenziario – all’ufficio di sorveglianza competente per territorio in relazione alla casa circondariale o di reclusione dove si trova recluso il condannato. La rapida istruttoria compiuta dall’amministrazione penitenziaria. Rispetto a quella prevista in generale dal comma 4 l. n. 199/2010, il comma 6 dell’art. 123 d.l. n. 18/2020, per non gravare in questo momento di estrema complicazione, l’amministrazione penitenziaria di compiti e attività onerosi – come si legge nella relazione illustrativa – ha previsto che la direzione dell’istituto non debba trasmettere al magistrato di sorveglianza la relazione comportamentale come invece previsto dalla 199 , ma deve solo indicare il luogo esterno di detenzione abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza , dopo aver previamente verificato la sua idoneità, l’attestazione di tutti i presupposti, anche ostativi, che la legge introduce, nonché l’effettivo consenso prestato dal condannato all’applicazione di procedure di controllo. Controllo dell’idoneità del domicilio a cura della polizia penitenziaria. L’elemento di più significativa novità rispetto allo schema della legge 199 sta nel fatto che l’accertamento sull’idoneità del domicilio è prioritariamente effettuato dalla medesima polizia penitenziaria e, solo eventualmente, da altri ad esempio ove già presente agli atti in relazione a precedenti richieste . Nel caso di condannato sottoposto ad un programma di recupero dalla tossico o alcoldipendenza è inoltre previsto che sia allegata la documentazione richiesta dall’art. 94 Dpr 309/90. Ridotto al minimo il margine di discrezionalità del magistrato di sorveglianza. Come si legge nella relazione illustrativa al D.L. 18/2020, l’eliminazione della relazione sul complessivo comportamento tenuto dal condannato durante la detenzione è dovuta alla necessità di semplificare gli incombenti, ma anche alla considerazione che gli unici elementi rilevanti che infatti devono essere comunicati al magistrato di sorveglianza, al quale rimarrà solo la valutazione dei gravi motivi ostativi sono quelli indicati come preclusivi nel comma 1, tra i quali vi sono anche aspetti rilevanti circa il comportamento tenuto in carcere . L’unica finestra discrezionale che resta al magistrato di sorveglianza, come visto, è quella relativa alla verifica dei gravi motivi ostativi”, situazioni in cui occorre fronteggiare eccezionali ragioni di sicurezza pubblica. L’adozione del provvedimento. In mancanza di ragioni ostative descritte nel comma 1 dell’art. 123 e gravi motivi, il magistrato di sorveglianza, come dice il comma 2 adotta” il provvedimento che dispone l’esecuzione della pena presso il domicilio. Confermando ancora che l’adozione della misura è come è sempre stata, pur con le resistenze di certa magistratura di sorveglianza automatica – quale modalità di esecuzione della pena – e non legata alla meritevolezza. Decisione in tempi brevi. La semplificazione della procedura per giungere alla decisione sull’esecuzione domiciliare in deroga sussiste pertanto solo con riferimento alla piattaforma istruttoria, decurtata dalla relazione comportamentale. Le successive cadenze procedimentali ricalcano quanto descritto dall’ordinaria esecuzione domiciliare. Il magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza in camera di consiglio, senza la presenza delle parti ex art. 69-b is ord. pen. entro cinque giorni. Tale termine ristretto è ordinatorio e assolutamente non rispettato, passando spesso parecchi mesi, come visto, per avere dapprima una istruzione completa e successivamente la decisione nel merito. La situazione di emergenza deve abbattere notevolmente i tempi della decisione. Comunicazioni ed eventuali impugnazioni. L’ordinanza viene comunicata, a cura della cancelleria dell’ufficio di sorveglianza, entro 48 ore all’istituto penitenziario che provvede all’esecuzione, nonché all’UEPE e alla questura competenti per territorio. Il contraddittorio è pertanto eventuale e differito in quanto l’ordinanza viene notificata al condannato e al difensore e comunicata al pubblico ministero i quali, entro dieci giorni di tale comunicazione, possono proporre reclamo dinanzi al tribunale di sorveglianza. In una prima fase si pensava che l’unico gravame esperibile era il ricorso per cassazione, ma è stata la stessa Suprema Corte che ha stabilito come la decisione sulla richiesta di esecuzione della pena presso il domicilio è reclamabile dinanzi al tribunale di sorveglianza atteso il richiamo operato dall'art. 1, comma 5, l. n. 199 del 2010 all’art. 69-bis ord. pen, e non è pertanto immediatamente ricorribile per Cassazione Sez. I, n. 7290/2014 e 7943/2013 .

Condannati 4-bis. Possibile sciogliere il cumulo? Come visto, l’art. 123 del decreto Cura Italia ha previsto, analogamente a quanto accade per la misura adottata ai sensi della l. n. 199/2010, una serie di eccezioni all’applicazione, che esclude innanzitutto i condannati per uno dei delitti inseriti nell’art. 4- bis ord. pen. aggiungendo anche quelli condannati per maltrattamenti e atti persecutori ex artt. 572 e 612-bis c.p., in controtendenza rispetto al proposito che la misura debba espandere l’ambito di applicabilità dell’esecuzione domiciliare . Si riproporrà, in questa sede, l’annosa querelle relativa alla possibilità di sciogliere il cumulo in caso di compresenza di titoli di condanna che comprendano quote di pena legate a reati di 4-bis e quote invece riferibili a reati comuni Gianfilippi . L’inziale posizione contraria della Cassazione. La cassazione ha assunto nel tempo posizioni negative con riferimento all’esecuzione domiciliare di cui alla l. 199 ritenendo che l’esecuzione presso il domicilio della pena detentiva non superiore ad un anno, anche come parte residua di maggior pena, non può essere disposta nel caso in cui sia in esecuzione un provvedimento di cumulo comprensivo di titolo per uno dei reati di cui all’art. 4- bis ord. pen., pur quando la pena ad esso relativa sia stata interamente espiata e sia in corso di esecuzione la pena riferibile alla condanna per un reato estraneo al predetto art. 4-bis Sez. I, n. 25046/2012 . Il diverso orientamento della giurisprudenza di merito e il revirement della Suprema Corte. Invece, larga parte della giurisprudenza di merito, sulla scorta del principio generale deducibile dall’insegnamento della cassazione Sez. Unite, 30.06.1999, Ronga , ritiene possibile lo scorporo delle diverse condanne anche in questa ipotesi. Ed anche la Suprema Corte pronunciandosi successivamente in senso opposto rispetto al passato ha consentito la scissione del cumulo in materia di liberazione anticipata speciale ex multis, Sez. I, n. 24104/2017 . Quindi possibile la scissione del cumulo per i condannati 4-bis Per cui qualora l’istante della esecuzione domiciliare in deroga della 199 ex art. 123 D.L. 18/2020 è stato condannato anche” per altri reati non ostativi o diversi dai maltrattamenti in famiglia e atti persecutori , occorrerà procedere alla scissione del cumulo di pene concorrenti per verificare se il condannato ha scontato interamente la parte di pena relativa al delitto ostativo. e della continuazione interna tra reati ostativi e non. Stesse conclusioni anche nel caso di cumulo interno”, o continuazione interna, ossia qualora il soggetto sia stato condannato all’interno dello stesso procedimento per più reati, alcuni ostativi e altri non, portati in continuazione. Il magistrato di sorveglianza, per decidere sulla richiesta di esecuzione presso il domicilio ai sensi dell’art. 123 d.l. Cura Italia dovrà prima verificare se nella residua pena non sia ancora in espiazione la condanna per il delitto ostativo ivi previsto nello stesso art. 123, oppure se al momento della presentazione dell’istanza, abbia già scontato la pena riferibile alla condanna per il reato ostativo Trib. sorv. Torino, 19 marzo 2013, est. Fiorentin . Per i procedimenti disciplinari legate a eventuali sommosse future, niente preclusione se non vengono irrogate sanzioni. Di stretta attualità è poi l’ulteriore esclusione legata all’essere destinatari di un rapporto disciplinare per aver preso parte alle sommosse iniziate il 7 marzo 2020. Per tali episodi non si è potuto infatti ancora provvedere ai sensi dell’art. 81 reg. pen. d.p.r. n. 230/2000 , ma si voleva comunque evitare che i detenuti che avevano a tal punto perturbato l’ordine potessero beneficiare della misura oggi prevista. Deve però immaginarsi che, al di là del rapporto disciplinare, ove nelle prossime settimane il procedimento dovesse concludersi e, ad esempio, condurre alla non irrogazione di una sanzione, perché sia riconosciuto che il detenuto non ha apportato un proprio contributo alla sommossa, la preclusione dovrebbe intendersi superata da quell’accertamento. Allo stesso modo ove il magistrato di sorveglianza dovesse annullare nel merito il provvedimento disciplinare eventualmente irrogato, ove adito ai sensi degli art. 35-bis e 69 comma 6 lett. a ord. pen. Gianfilippi .

La novità del braccialetto introdotta all’esecuzione domiciliare dal decreto Salva Italia. L’art. 123, comma 3 del d.l. n. 18/2020 prevede che qualora la pena, anche residua, supera i sei mesi, per disporre l’esecuzione domiciliare da intendersi come abitazione o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza occorre applicare all’interessato un dispositivo di controllo, ed è condicio sine qua non che l’interessato presti il consenso all’attivazione del dispositivo art. 123, comma 4 . Inoltre quando, nel corso dell’esecuzione della misura concessa, la soglia di pena espianda scende al di sotto dei sei mesi la procedura di controllo viene disattivata. L’esecuzione in questi casi è quindi subordinata al concreto reperimento del mezzo di controllo ed è data priorità all’esecuzione in favore dei condannati che presentino un residuo pena inferiore. Le esigenze di sicurezza pubblica comunque assicurate con il braccialetto elettronico per le pene superiori a sei mesi. Pertanto, non sono state soppresse le esigenze di sicurezza pubblica peraltro in questa fase di limitazione dei movimenti di tutti i consociati e dei controlli sempre più stringenti è ancora più contenuto il pericolo di commissione di nuovi delitti , ma il recupero di tali esigenze viene sancito con la previsione dei braccialetti elettronici o altri strumenti tecnici di controllo. Il braccialetto ha come finalità quella di elidere il rischio concreto di fughe, ma anche di reiterazione di condotte delittuose . Quindi in questi casi il braccialetto elettronico funge da contrappeso per bilanciare la scelta del legislatore di escludere a priori il rischio di fuga e di recidiva, non richiedendo in questo limitato arco temporale al magistrato di sorveglianza una valutazione in concreto del pericolo di fuga e delle specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti. Per le pene detentive entro i sei mesi basta la minaccia della condanna per evasione Il rapporto di tutela scalare delle esigenze di sicurezza pubblica vede il pericolo di fuga e di recidiva contrastato con la esecuzione della pena detentiva presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, con l’aggiunta del braccialetto elettronico quando la pena da scontare superi i sei mesi fino al tetto massimo dei diciotto e con l’esecuzione nel domicilio senza braccialetto per il residuo degli ultimi sei mesi di esecuzione della pena. In quest’ultimo caso, viene ritenuto sufficiente che l’allontanamento dal domicilio è punito a titolo di evasione e ciò rende improbabile la violazione della restrizione domiciliare. punita quale che sia la sua durata. Peraltro, sul punto, di recente la Suprema Corte ha statuito che L'allontanamento dall'abitazione da parte del condannato ammesso all'esecuzione domiciliare della pena detentiva ex art. 1 l. n. 199/2010, è punito a titolo di evasione quale ne sia la durata, non trovando applicazione la previsione di cui all'art. 47- sexies , comma 2, ord. pen., che limita la punibilità ai sensi dell'art. 385 c.p. al solo allontanamento che si protragga per più di dodici ore Sez. IV, n. 16182/2019 . Come vengono distribuiti i braccialetti elettronici? Il comma 5 dell’art. 123 prevede che, ai fini della corretta distribuzione tra le carceri dei dispositivi elettronici di controllo, è necessario che venga stilato un programma elaborato dal Capo del D.A.P., d’intesa col Capo della Polizia, adottato tenendo conto degli indici di affollamento” a cui fa riferimento la relazione illustrativa e concrete esigenze sanitarie” rappresentate dalle autorità competenti. Inoltre, qualora i braccialetti” non siano sufficienti, si dovrà seguirsi un ordine in cui prima i dispositivi di controllo verranno assegnati ai detenuti con minor residuo di pena quindi quelli più vicini al tetto minimo dei 6 e 1 giorno rispetto a quelli che arrivano al limite massimo . I braccialetti non basteranno. Facile prevedere che i braccialetti non basteranno, anche perché – come ricorda il comma 9 dell’art. 123 D.L. 18/2020, dall’attuazione del presente articolo non nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica . Quindi occorrerà fare ricorso alle somme già stanziate per i braccialetti elettronici già previsti dalle norme in tema di misure cautelari degli arresti domiciliari, l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento alla persona vittima di maltrattamenti e stalking e per quelle della detenzione domiciliare. Ciò conferma la carenza cronica dei braccialetti che – come afferma Caiazza, il presidente dell’Unione camere penali italiane, non bastano neanche per la custodia cautelare. Il Governo deve chiarire quanti sono i braccialetti disponibili ora, altrimenti la misura è ineseguibile. Oltre il fatto che per gestire una eventuale diffusione del virus devono uscire almeno 10.000 persone . In ogni caso arriveranno in tempo? I tempi con cui si diffonde il virus potrebbero essere incompatibili con quelli necessari per reperire i braccialetti. Il decreto prevede in merito che entro 10 giorni dalla sua entrata in vigore, quindi entro il 27 marzo, il numero di quelli da rendere disponibili con provvedimento periodicamente aggiornato è individuato il numero dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici da rendere disponibili, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, che possono essere utilizzati per l’esecuzione della pena con le modalità stabilite dal presente articolo, tenuto conto anche delle emergenze sanitarie rappresentate dalle autorità competenti . Per i condannati minorenni non occorre il braccialetto e programma educativo successivo. Il comma 3 dell’art. 123 del Cura Italia ha escluso i braccialetti elettronici per tutte le esecuzioni domiciliari concernenti i condannati minorenni, quindi pure per quelle ricomprese nell’arco detentivo superiore a sei mesi e fino a un anno e mezzo di pena detentiva anche residua. Inoltre, non dimenticando che il minore più che rieducato, va alla luce del mancato completamento del percorso di maturazione educato”, al comma 7 si è specificato che l’ufficio servizio sociale per i minorenni, in raccordo con l’equipe educativa, provvederà alla successiva redazione del programma educativo secondo le modalità indicate nell’art. 3 decreto legislativo n. 121/2018.

Il disposto normativo. L’art. 123 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, c.d. decreto cura Italia, rubricato disposizioni in materia di detenzione domiciliare”, prevede che In deroga al disposto dei commi 1, 2 e 4 dell’articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2020, la pena detentiva è eseguita, su istanza, presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, ove non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena salve alcune ipotesi ostative che vedremo più vanti . Finalità. Come si legge nella relazione illustrativa al decreto, si estende il modello operativo nato nel 2010 per ridurre il cronico sovraffollamento a cui si unisce oggi l’emergenza sanitaria che all’interno degli istituti penitenziari può tanto più agevolmente può essere gestita quanta minore è la popolazione carceraria . Condivisibile la selezione dell’istituto per fronteggiare le emergenze. La scelta del provvedimento governativo di aggrapparsi temporaneamente” all’esecuzione domiciliare vale a dire all’unico strumento di rapida fuoriuscita dal carcere previsto perché presenta normativamente dei meccanismi di applicazione automatica è una scelta giusta ma che – a parte molti profili di criticità applicativa – presuppone un ripensamento dell’istituto da parte di alcuna magistratura di sorveglianza che gli ha impropriamente cucito addosso il vestito di misura alternativa alla detenzione. Occorre invece riportare l’esecuzione domiciliare solo l’ombrello della modalità automatica esecutiva della pena. Concessione automatica” della misura domiciliare. Pure l’art. 123 d.l. n. 18/2020 alla stessa stregua dell’art. 1 l. n. 199/2010 non sembra lasciare dubbi nella sua interpretazione letterale e nella intenzione del legislatore manifestata nitidamente nella relazione illustrativa che accompagna il decreto legge n. 18/2020 la concessione dell’esecuzione presso il domicilio della pena residua degli ultimi 18 mesi per tutti condannati già detenuti – salve alcune eccezioni ivi espressamente previste – è automatica”. Ipotesi ostative a quelle previste dalla legge 199 Per poter usufruire dell’esecuzione domiciliare il magistrato di sorveglianza dovrà soltanto verificare l’assenza delle ipotesi ostative, essendo esclusa l’esecuzione domiciliare soltanto” in tali circostanze, indicate tassativamente nello stesso comma 1 dell’art. 123 del Cura Italia alcune delle quali sono state mutuate dal comma 2 art. 1 l. n. 199/2010. Si tratta, sotto tale ultimo versante, dalle deroghe alle concessioni della misura previste nelle lettera a soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall'articolo 4-bis, con l’aggiunta nell’elenco dei reati ostativi per accedere alla nuova misura delle condanne per maltrattamenti in famiglie e stalking , b delinquenti abituali, professionali o per tendenza , c detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, salvo che sia stato accolto il relativo reclamo ed f detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato . si aggiungono quelle previste ad hoc dal decreto Salva Italia. Le altre ipotesi di sbarramento all’esecuzione presso il domicilio si riferiscono ad alcune gravi condotte intramurarie. Si tratta da quelle previste nelle lettere d detenuti che nell’ultimo anno sono stati sanzionati disciplinarmente per promosso o partecipato a disordini o sommosse, essere evasi o per aver commesso reati a danni di compagni, operatori penitenziari o visitatori ed e detenuti nei cui confronti sia stato emesso rapporto disciplinare perché coinvolti nei disordini e nelle sommosse a far data dal 7 marzo scorso . Tali ragioni di esclusione sono state inserite per mandare un messaggio chiaro ai detenuti facinorosi tali condotte non pagano” e per garantire quella tranquillità nella vita all’interno delle mura carceraria, messa a dura prova dell’emergenza Coronavirus che ha fatto riemergere l’emergenza delle condizioni penitenziarie. La clausola di chiusura dei gravi motivi ostativi alla concessione della misura. L’unica valutazione rientrante nella sua discrezionalità è, come previsto dal comma 2 dell’art. 123 l’eventuale presenza di gravi motivi ostativi alla concessione della misura”. Si tratta tuttavia di una disposizione oscura nel contenuto, risultando difficile immaginare altri gravi motivi al di là di quelli indicati nel comma 1. Sicuramente non sono riconducibili in tale clausola il pericolo di fuga o di commissione di nuovi reati altrimenti si farebbe rientrare dalla finestra la valutazione che il legislatore ha sottratto a monte al giudice come si evince dalla relazione illustrativa . Potrebbero semmai rientrare casi limite in cui occorre fronteggiare gravi”, pertanto eccezionali ragioni di sicurezza pubblica. Niente valutazione del pericolo di fuga e di recidiva. Se l’esecuzione delle residua pena detentiva fino a diciotto mesi è disposta, come dice l’art. 123 D.L. 18/2020, in deroga anche al comma 4 dell’art. 1 l. n. 199/2010, ciò significa la valutazione sulla concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sulle specifiche ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti, viene emessa in termini negativi, a monte, dal legislatore e non più rimessa alla magistratura di sorveglianza a valle della valutazione della loro concretezza . Questo perché, come si legge nella relazione illustrativa al decreto Salva Italia, si tratta di due presupposti che limitano l’utilizzo dell’istituto e che in questa fase di urgenza sono di complesso accertamento .

Il virus, una volta entrato in carcere, non rimane dietro le sbarre. Come detto, il fallimento della prima strategia governativa di chiudere le carceri al fine di evitare dell’ingresso del Coronavirus nel carcere non ha funzionato. E, una volta che il virus ha varcato le soglie del carcere, si è dovuto virare nella direzione opposta. Mentre le autorità statali e regionali infatti vietano assembramenti e cercano di evitare contatti ravvicinati tra le persone con provvedimenti sempre più restrittivi e limitativi delle libertà costituzionali , è del tutto evidente la necessità e l’urgenza di intervenire sul carcere. Si tratta di salvaguardare non soltanto la salute dei detenuti e degli operatori penitenziari, ma quella dell’intera collettività il virus, una volta entrato in carcere, non rimane dietro le sbarre, ma esce facilmente verso l’esterno Dolcini, Gatta . Rischio più ampio di espansione del COVID-19 a causa del sovraffollamento carcerario. In Italia il rischio è ulteriormente accentuato dalle condizioni di sovraffollamento in cui le carceri sono ripiombate dopo la tregua segnata dai provvedimenti seguiti alla sentenza pronunciata dalla Corte Edu sul caso Torreggiani contro Italia del 2013. Al 29 febbraio 2020 la popolazione penitenziaria ammontava a 61.230 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 rispetto a una situazione fisiologica, le carceri italiane ‘ospitavano’ dunque 10.299 persone in eccesso, per un tasso di sovraffollamento del 120%. Aprire le porte del carcere o chiederle ai nuovi ingressi. Di qui il nuovo intervento del governo, che nell’ambito del c.d. decreto ‘cura Italia’ d.l. 17 marzo 2020 n, 18 ha cercato in qualche modo di aprire le porte del carcere dall’interno e di chiuderle all’ingresso di nuovi detenuti dall’esterno prevedendo il ricorso ad alcuni istituti già presenti all’interno dell’apparato della fase esecutiva della pena e dell’ordinamento penitenziario, con presupposti e procedure semplificate rispetto alla disciplina ordinaria, allo scopo di ridurre in tempi brevi il numero dei detenuti. Le misure adottate l’esecuzione della pena nel domicilio . Lo strumento principale è stato individuato non – come si legge nella rubrica dell’art. 123 – nella detenzione domiciliare disciplinata nell’art. 47-ter e seguenti l. n. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario , ma più correttamente nella particolare forma di esecuzione della pena nell’abitazione o in altri luoghi di cura e assistenza disciplinata dalla l. 199/2010, un istituto che sia pure, come vedremo, non correttamente applicato da parte della magistratura di sorveglianza che lo ha trasformato in una vera e propria misura alternativa aveva dato buona prova nella stagione più critica del sovraffollamento carcerario basti pensare che dall’entrata in vigore della legge n. 199 del 2010 al 31 dicembre 2019 sono usciti dalle carceri per effetto di questa misura 26.849 detenuti. Misura temporanea e in deroga a quella prevista nella 199. Si tratta però di una misura, temporanea ed emergenziale con durata temporanea, fino al 30 giugno 2020, proprio per superare la fase acuta dello sviluppo del contagio del COVID-19 , che consente di accedere all’esecuzione domiciliare prevedendone una forma in deroga rispetto a quella già prevista dalla 199 sempre per i condannati a pena non superiore a 18 mesi, anche residui attraverso l’eliminazione della valutazione inerente al pericolo di fuga e di recidiva sia pure bilanciato con il recupero delle esigenze di sicurezza pubblica con il braccialetto elettronico per le pene residue superiori a sei mesi e l’ulteriore semplificazione della procedura. Licenze ai semiliberi. Il secondo strumento al quale il d.l. n. 18/2020 affida il contrasto al contagio da coronavirus nelle carceri e dalle carceri verso l’esterno , nonché l’attenuazione del sovraffollamento carcerario, è quello della licenza premio prevista all’art. 52 ord. pen. per il condannato ammesso alla semilibertà tale licenza può essere concessa anche in deroga al limite massimo di 45 giorni all’anno previsto all’art. 52 ord. pen. per una durata che può arrivare anche qui al prossimo 30 giugno 2020. Spese per interventi sulle carceri. Infine, proprio al fine di ripristinare la piena funzionalità e garantire le condizioni di sicurezza degli istituti penitenziari danneggiati nel corso delle proteste dei detenuti anche in relazione alle notizie sulla diffusione del Covid-19, l'art. 86 del decreto Cura Italia indica una spesa di 20 milioni di euro nel 2020 per la realizzazione di interventi urgenti di ristrutturazione e di rifunzionalizzazione delle strutture e degli impianti danneggiati .

Un primo intervento per chiudere” le carceri. L’ingresso del Coronavirus nel carcere, dove sono stati riscontrati i primi casi di positività, ha indotto il Governo ha cambiare la strada normativa intrapresa in una prima fase della gestione dell’emergenza. Infatti, con un primo intervento d.l. 8 marzo 2020, n. 11, art. 2 commi 8 e 9 l’esecutivo ha previsto che i colloqui con i detenuti avvengano ‘da remoto’ e che la concessione dei permessi-premio e della semilibertà possa essere sospesa fino al 31 maggio 2020. Ciò per evitare che il virus entrasse dentro le strutture penitenziarie. Le carceri rischiano di essere una bomba sanitaria. La chiusura delle porte del carcere è stato uno dei motivi che ha provocato le note rivolte dei detenuti in molte carceri italiane, rischiando di fare saltare i già delicati equilibri e facendo riemergere l’emergenza delle carceri legata in particolare al sempre cronico problema del sovraffollamento e alle condizioni igieniche spesso precarie che l’emergenza Coronavirus rischia di fare esplodere. Come affermato infatti da Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, il 67% dei reclusi ha almeno una patologia pregressa, con la conseguenza che le carceri rischiano di diventare una bomba sanitaria che si può ripercuotere sulla tenuta del sistema sanitario nazionale . Rischio di rapida espansione del contagio all’interno delle mura carcerarie. Ben presto, peraltro, ci si è resi conto che la lotta all’epidemia da coronavirus non poteva essere condotta semplicemente chiudendo le porte dei penitenziari e adottando qualche precauzione al suo interno. Anche perché è accaduto quel che si temeva, in ragione delle condizioni di vita all’interno del carcere un luogo caratterizzato da una forzata convivenza a stretto contatto gli uni con gli altri, in spazi estremamente ridotti e in condizioni igieniche spesso precarie. Non a caso, il virus ha iniziato ad espandersi anche all’interno delle mura degli istituti di pena. La richiesta della magistratura di sorveglianza di misure di immediata applicazione. Alla luce della gravissima situazione degli istituti penitenziari della Lombardia a seguito dell’emergenza derivante dalla diffusione del contagio da COVID-19 sono stati quindi gli stessi presidenti dei tribunali di sorveglianza di Milano e Brescia a richiedere, nella segnalazione al Ministro della giustizia inviata il 15 marzo a richiedere misure urgenti e di immediata applicazione . In assenza di automatismi e di immediata applicabilità – conclude la nota – non è possibile fronteggiare l’emergenza così drammaticamente insorta il virus corre più veloce di qualunque decisione che, alle condizioni, è certo perverrebbe fuori tempo massimo . Le raccomandazioni del CTP. Anche il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e delle punizioni e dei trattamenti inumani e degradanti , il 20 marzo 2020 ha stilato dieci raccomandazioni formulate quali principi , indirizzate alle autorità degli stati membri e volte a ricordare, in questo particolarissimo momento emergenziale, il divieto della tortura e di trattamenti inumani e degradanti art. 3 Cedu . In particolare, nella raccomandazione n. 5, vi è l’invito del CPT agli stati membri è di ricorrere il più possibile a misure alternative alla detenzione una strada che diventa un imperativo, in particolare, in situazioni di sovraffollamento”, quali notoriamente sono quelle italiane. Non solo, secondo il CPT gli stati membri dovrebbero fare un uso maggiore di alternative alla carcerazione preventiva ad es. agli arresti domiciliari e valutare ulteriori misure, come il rilascio anticipato che potrebbe essere realizzata richiamando in vita la liberazione anticipata speciale di cui all’art. 4 d.l. n. 146/2013 Dolcini-Gatta .