Sentenza di patteggiamento e liquidazione delle spese legali

Ai sensi del d.m. n. 55/2014, per il procedimento davanti al GIP, per lo studio della controversia è riconosciuto un valore medio di 810 euro, per la fase iniziale del giudizio di 630 euro e per la fase decisionale di 1.170 euro, suscettibili di variazioni secondo le occorrenze.

Così la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10685/20, depositata il 27 marzo. La vicenda. La parte civile ricorre per cassazione avverso la sentenza che applica la pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p emessa dal GIP nei confronti dell'imputata, chiamata a rispondere del reato di omicidio stradale. Con il motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la mancanza di motivazione e l'erronea applicazione del d.m. n. 55/2014, poiché la liquidazione di 900 euro, oltre il rimborso forfettario al 15%, oltre IVA e CPA per legge, in favore delle parti civili è stata liquidata in violazione dell'art. 4 del suddetto d.m Per la parte civile le spese processuali relative al giudizio di fronte al GIP non possono ammontare a meno di 1530 euro. Liquidazione delle spese processuali in favore delle parti civili. È ammissibile il ricorso per cassazione avverso la statuizione di condanna alla refusione delle spese di parte civile contenute nella sentenza di patteggiamento, poiché si tratta di una questione sottratta all’accordo delle parti, rispetto alla quale non operano le limitazioni all’impugnabilità di cui all’art. 448, comma 2- bis , c.p.p E con riferimento all’obbligo motivazione gravante sul giudice, trattandosi di un autonomo capo della sentenza, esso deve essere adeguatamente motivato sulle singole voci riferibili all’attività svolta dal difensore della parte civile e sulla congruità delle somme liquidate. Nel caso in esame, il giudice si è limitato a sostenere che la misura di 900 euro complessivi, per ciascuna delle parti civili costituite, è stata individuata in virtù delle tariffe professionali vigenti 2 e della mancanza della fase di discussione”, senza considerare le singole voci riconosciute e il criterio utilizzato per valutare la congruità delle somme, violando anche il minimo previsto dalla tabella allegata al d.m. n. 55/2014. Tabella che prevede che per il procedimento davanti al GIP per lo studio della controversia è riconosciuto un valore medio di 810 euro, per la fase iniziale del giudizio di 630 euro e per la fase decisionale di 1.170 euro, suscettibili di variazioni secondo le occorrenze. Da qui l’annullamento della sentenza impugnata con riferimento alla liquidazione delle spese di giudizio in favore delle parti civili, con rinvio al Tribunale per nuovo esame sul punto.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 11 febbraio – 27 marzo 2020, n. 10685 Presidente Di Salvo – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. C.P. ha proposto ricorso avverso la sentenza di applicazione della penai ai sensi dell’art. 444 c.p.p., emessa dal G.i.p. del Tribunale di Catania nei confronti di Co.An. , tratta a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 589-bis c.p., in relazione al decesso di C.D. . Dopo aver premesso di essere legittimato ad impugnare il menzionato provvedimento siccome parte civile nel procedimento e titolare di un interesse a ricorrere determinato dalla affermazione, operata dal giudice, di un concorso di colpa della persona offesa nella determinazione dell’evento mortale, ha lamentato, con un primo motivo, la mancanza della motivazione e l’erronea applicazione del D.M. n. 55 del 2014, sostenendo che la liquidazione di 900,00 Euro, oltre rimborso forfettario al 15% e c.p.A. e I.V.A. come per legge, determinati per ciascuna delle costituite parti civili, è del tutto priva di motivazione, pur necessaria, trattandosi di statuizione di condanna inoltre equipara tutte le parti civili nonostante solo il difensore del C. avesse svolto attività di proposizione, impulso e sollecitazione dell’azione penale e presentato opposizione alla richiesta di archiviazione. Aggiunge che la somma è stata liquidata in violazione della previsione del D.M. n. 55 del 2014, secondo la quale il giudice tiene conto dei valori medi, nonché dell’art. 11 del medesimo decreto, laddove prevede che si tiene conto dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, oltre che di ulteriori caratteri di questa, e dell’esito ottenuto. Ad avviso del ricorrente le spese processuali, per la sola fase dinanzi al G.i.p. e quindi senza considerare le precedenti attività espletate nel corso delle indagini preliminari non avrebbero potuto ammontare a meno di 1.530,00 Euro. Con un secondo motivo viene censurata la violazione dell’art. 589-bis c.p. e l’erronea applicazione di norme processuali, avendo il g.i.p. riconosciuto l’attenuante di cui all’art. 589-bis c.p., comma 7 e tanto in assenza di un accertamento svolto in contraddittorio in ordine al ritenuto concorso di colpa della persona offesa, e ciò al solo fine di applicare una pena inferiore al minimo edittale. Inoltre, l’affermazione di un concorso di colpa della persona offesa è foriera di conseguenze sul piano civilistico e, non essendone stata determinata la percentuale, non si comprende l’iter logico che ha condotto a determinarne l’incidenza sino a giustificare la riduzione della metà della pena. Con un terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 444 e 448 c.p.p., e dell’art. 133 c.p., per aver il giudice omesso di operare un effettivo vaglio della congruità della pena proposta dalle parti. Con un quarto motivo. ha denunciato la falsa applicazione dell’art. 67 c.p. e degli artt. 444 e 448 c.p.p., nonché il vizio della motivazione, in relazione ad una pena che, non tenendo conto della previsione dell’art. 67 c.p., u.c., risulta illegale, perché inferiore al quarto del minimo edittale previsto dall’art. 589-bis c.p. 1. Se concorrono più circostanze attenuanti, 2. Le altre pene sono diminuite. In tal caso, quando non si tratta delle circostanze indicate nel secondo capoverso dell’art. 63, la pena non può essere applicata in misura inferiore ad un quarto . Ancora, si censura che siano state ritenute le attenuanti generiche sulla base di una motivazione scarna e che valorizza indebitamente la giovane età e lo stato di incensuratezza dell’imputata. Infine, si lamenta la violazione dell’art. 175 c.p. e artt. 444 e 448 c.p.p., per aver il gip accolto la richiesta di concessione della non menzione della condanna, nonostante tale effetto del reato non possa essere oggetto dell’accordo tra le parti. 2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza anche l’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada, lamentando la violazione dell’art. 589-bis c.p., comma 7, per essere stata riconosciuta l’attenuante di cui al menzionato comma 7 in assenza dei presupposti di legge. Inoltre, ha chiesto che questa Corte rimetta gli atti alla Corte costituzionale perché venga dichiarata la illegittimità dell’art. 447 c.p.p., nella parte in cui non prevede il diritto della persona offesa di interloquire all’udienza quando gli effetti della pronuncia possono influire sulla responsabilità civile della persona offesa. La richiesta è sostenuta dalla considerazione secondo la quale l’affermazione di un concorso di colpa della persona offesa non può avvenire senza che questa sia posta in condizione di partecipare al giudizio, incidendo sulla decisione del giudice. Persona offesa che, in questo modo, si trova costretta a subire gli effetti negativi della decisione anche sul piano della responsabilità civile. Il vizio di motivazione viene individuato laddove il giudice non ha tenuto in alcuna considerazione le istanze dell’Associazione contenute nella memoria depositata il 7 gennaio 2019 con essa si lamentava che potesse essere attribuita una colpa alla vittima del reato senza che la persona offesa potesse esercitare il diritto di difesa. Diritto di difesa che ad avviso dell’esponente trova fondamento anche nella direttiva 2012/29/Ue, nella quale si stabilisce il diritto della vittima a partecipare al procedimento penale a tale riguardo si richiamano due pronunce della sezione lavoro della Corte di cassazione, nelle quali si sostiene che la sentenza penale di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., pur non configurando una sentenza di condanna, presuppone comunque un’ammissione di colpevolezza ed esonera quindi la controparte dell’onere della prova e costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito quanto alla responsabilità dell’imputato. Ad avviso dell’esponente, anche se la pronuncia si riferisce ai riflessi della sentenza di patteggiamento sulla responsabilità dell’imputato, non è da escludersi che lo stesso principio venga fatto valere in sede civile con riferimento alla responsabilità concorsuale della vittima. Pertanto si ritiene che l’art. 589-bis c.p., comma 7 e l’art. 447 c.p.p., contrastino con gli artt. 3 e 24 Cost., perché non consentono alle persone offese di poter manifestare il proprio parere circa la congruità della pena e soprattutto la qualificazione giuridica del fatto laddove si pretende di attribuire una responsabilità concorsuale alla vittima senza che i familiari di questa possano intervenire nel processo. Con un secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 546 c.p.p. e della direttiva 2012/29/UE ed il vizio della motivazione sotto il profilo della mancata interpretazione del diritto interno in modo conforme al riconoscimento del diritto alla vittima di partecipare al processo penale. Si ritiene che da tale diritto conseguo non soltanto la partecipazione della persona offesa all’udienza camerale ma anche il diritto della medesima di essere ascoltata, anche attraverso il difensore, e fornire elementi per il giudizio. Tale diritto nel corso del presente giudizio non è stato rispettato perché nè all’Associazione nè alle altre persone offese è stato consentito di esprimere le loro perplessità in ordine alla qualificazione giuridica del fatto e alla congruità della pena. Con un terzo motivosi deduce la violazione dell’art. 541 c.p.p. e il vizio di motivazione avendo il giudice pronunciato una condanna alle spese senza motivare in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto di liquidare una cifra inferiore ai minimi stabiliti dal D.M. n. 55 del 2014, artt. 1 e 3 e artt. 12 e 17. In ossequio a tali minimi il giudice avrebbe dovuto liquidare la somma di 1.242,00 Euro. 3. Il 4.2.2020 è pervenuta richiesta dell’AIFVS di consentire la partecipazione all’udienza ai familiari di C.D. . Considerato in diritto 1. Per ragioni di economia della presente motivazione appare opportuno trattare unitariamente i motivi che entrambi i ricorrenti hanno proposto con riferimento alle statuizioni della sentenza impugnata che avallano i contenuti dell’accordo intervenuto tra il pubblico ministero e l’imputata, ai sensi dell’art. 444 c.p.p Tali motivi sono tutti inammissibili. La giurisprudenza di legittimità è ferma nell’insegnamento secondo il quale, in tema di patteggiamento, è inammissibile il ricorso proposto avverso la sentenza di patteggiamento dalla persona offesa danneggiata dal reato, in quanto soggetto non legittimato ad impugnare e nei confronti del quale la sentenza non esplica alcun effetto trattandosi di pronuncia che, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., comma 1-bis, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi Sez. 4, n. 1804 del 12/12/2018 - dep. 16/01/2019, Bartolomeo, Rv. 27543401 . La stessa giurisprudenza civile afferma che la sentenza penale di patteggiamento, nel giudizio civile di risarcimento e restituzione, non ha efficacia di vincolo nè di giudicato e neppure inverte l’onere della prova, costituendo, invece, un indizio utilizzabile solo insieme ad altri indizi se ricorrono i tre requisiti previsti dall’art. 2729 c.c., atteso che una sentenza penale può avere effetti preclusivi o vincolanti in sede civile solo se tali effetti siano previsti dalla legge, mentre nel caso della sentenza penale di patteggiamento esiste, al contrario, una norma espressa che ne proclama l’inefficacia agli effetti civili art. 444 c.p.p. Sez. 3 -, Sentenza n. 20170 del 30/07/2018, Rv. 650182 - 01 . Anche in tema di prescrizione del risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, si ritiene che la sentenza di patteggiamento non abbia, nel giudizio civile, l’efficacia di una sentenza di condanna sicché il termine di prescrizione èdue anni e non quello di dieci anni Sez. 3, Sentenza n. 25042 del 07/11/2013, Rv. 628709 - 01 . Alla medesima matrice si connette il principio per il quale, in tema di risarcimento dei danni derivanti da fatto illecito costituente reato, il danneggiato che abbia chiesto il risarcimento dei danni alla persona con l’atto di costituzione di parte civile nel giudizio penale ed abbia contestualmente introdotto un autonomo giudizio civile per il risarcimento dei danni alle cose, non viola il principio di infrazionabilità della domanda qualora, a seguito della definizione del giudizio penale con sentenza di patteggiamento, introduca una nuova domanda innanzi al giudice civile per i medesimi danni già richiesti in sede penale, stante il carattere necessitato della riproposizione dell’azione risarcitoria, giacché imposto dalla disposizione dell’art. 444 c.p.p., comma 2, Sez. 3 -, Sentenza n. 929 del 17/01/2017, Rv. 642700 - 02 . D’altronde, il principio evocato dall’associazione ricorrente - secondo il quale la sentenza penale di patteggiamento costituisce elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale vi abbia prestato fede Sez. L, n. 30328 del 18/12/2017, Rv. 646556 - 01 Sez. 5, n. 13034 del 24/05/2017, Rv. 644241 01 - attiene alla prova di responsabilità dell’imputato e non certo a quella del contributo causale eventualmente dato dal soggetto passivo del reato. 2. Ne consegue l’inammissibilità per carenza di interesse dei motivi che attengono al riconoscimento di circostanze attenuanti e all’esito del giudizio di comparazione tra le concorrenti circostanze eterogenee, nonché alla congruità della pena applicata peraltro, non illegale . 3. Ne discende, quale ulteriore corollario, l’assenza della premessa dalla quale l’associazione ricorrente muove per sollecitare la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale l’art. 589-bis c.p., comma 7 e l’art. 447 c.p.p. per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost 4. Del pari manifestamente infondato è il rilievo che chiama in causa la direttiva 2012/29/UE sulla tutela delle vittime di reato. La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di scrutinare la relazione corrente tra lo speciale procedimento previsto dagli artt. 444 ss. c.p.p. e le disposizioni Eurounitarie, alle quali è stata data attuazione con il D.Lgs. n. 15 dicembre 2015, n. 212, concludendo che esse non incidono sull’ambito di esplicazione dei poteri di intervento della vittima, alla quale è attribuito il diritto ad essere informata dell’eventuale scarcerazione dell’imputato ma non quello di interloquire sulla congruità della pena Sez. 5, n. 30941 del 08/06/2016 - dep. 19/07/2016, P.O. in proc. V e altro, Rv. 26742601 . Evidenziando come le nuove norme disciplinino facoltà della persona offesa che possano rivestire interesse per la sua protezione e per i suoi interessi di carattere civile, limitando gli interventi, sul piano strettamente penale, alla disciplina degli istituti che ne prevedono un diretto coinvolgimento. 5. Per contro, risultano fondati i motivi che investono la statuizione concernente il quantum della condanna dell’imputata al pagamento delle spese del procedimento in favore delle parti civili. In primo luogo, è opportuno ribadire che è ammissibile il ricorso per cassazione avverso la statuizione di condanna alla refusione delle spese di parte civile contenuta nella sentenza di patteggiamento, trattandosi di questione sottratta all’accordo delle parti, rispetto alla quale non operano le limitazioni all’impugnabilità previste dall’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, Sez. 5, n. 29394 del 10/05/2019 - dep. 04/07/2019, Zamboni, Rv. 27690001 Sez. 6, n. 28013 del 21/03/2019 - dep. 26/06/2019, Matteucci, Rv. 27622501 in tal senso già Sez. U, n. 40288 del 14/07/2011 - dep. 07/11/2011, Tizzi e altro, Rv. 25068001 . Con riguardo all’onere motivazionale gravante sul giudice, vige il principio secondo il quale, trattandosi di un autonomo capo della sentenza, esso deve essere adeguatamente motivato sulle singole voci riferibili all’attività svolta dal patrono di parte civile e sulla congruità delle somme liquidate Sez. 4, n. 6538 del 09/01/2018 - dep. 09/02/2018, Calderan, Rv. 27234201 . Nel caso di specie, il giudice si è limitato ad asserire che la misura di 900,00 Euro complessivi, per ciascuna delle parti civili costituite, è stata individuata in virtù delle tariffe professionali vigenti e della mancanza della fase della discussione, senza dare conto delle singole voci riconosciute e del criterio utilizzato per valutare la congruità delle correlative somme e finanche violando il minimo previsto dalla tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, che per il procedimento dinanzi al G.i.p. prevede per lo studio della controversia un valore medio di 810 Euro, per la fase introduttiva del giudizio di 630 Euro e per la fase decisionale di 1.170 Euro, suscettibili di variazioni in aumento o in diminuzione in misure diversificate a seconda delle particolari occorrenze qui basta considerare che il totale dei valori medi per le menzionate voci, pur decurtato nella misura massima del 50%, secondo la previsione dell’art. 4, è comunque maggiore di 900 Euro. La sentenza impugnata va quindi annullata limitatamente alla liquidazione delle spese di giudizio in favore delle parti civili, Associazione italiana familiari e vittime della strada e C.P. , con rinvio al Tribunale di Catania per nuovo giudizio sul punto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla liquidazione delle spese di giudizio in favore delle parti civili, Associazione italiana familiari e vittime della strada e C.P. , e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, al Tribunale di Catania. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.