Concorso tra bancarotta per distrazione e sottrazione fraudolenta alle imposte: legittima la duplicazione della misura cautelare?

L’eventuale capienza dei beni di cui è stato disposto il sequestro in via diretta in relazione al reato di bancarotta fraudolenta, o comunque la loro idoneità a soddisfare il debito tributario, non impedisce di disporre anche il sequestro per equivalente dei beni dell’amministratore della società, stante l’attuale indisponibilità dei beni costituenti il profitto del reato derivante dalla apposizione del vincolo in relazione al reato di bancarotta, e la conseguente impossibilità di procedere in via diretta al sequestro del profitto del reato tributario.

Il caso. Il Tribunale di Roma rigettava la richiesta di riesame avanzata da M.C. e S.C. avverso il decreto di sequestro, sia diretto che per equivalente, emesso dal GIP sulla scorta della di loro imputazione per i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. In particolare, il GIP aveva proceduto al sequestro preventivo diretto dei beni oggetto di distrazione in relazione alla fattispecie di cui all’art. 216 l. fall., al fine di evitarne la dispersione, ed al sequestro per equivalente di ulteriori beni degli indagati in relazione al reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74/2000, al fine di confisca. La difesa. Avverso l’ordinanza reiettiva del Tribunale romano proponevano ricorso per Cassazione gli indagati, deducendo la insussistenza del presupposto, fattuale e giuridico, legittimante il sequestro per equivalente sui loro beni personali, osservando, in primis , che tale peculiare forma di ablazione cautelare sarebbe consentita solo nel caso di impossibilità a procedere a sequestro diretto del profitto del reato, sequestro che, invece, nel caso di specie, era stato regolarmente effettuato in capo ai beni oggetto di distrazione in relazione al reato di bancarotta. In secundis , rilevavano altresì che, in ogni caso, la circostanza che tali beni fossero già stati sottoposti a sequestro diretto non sarebbe da considerarsi sic et simpliciter ostativa alla possibile contestuale applicabilità, in capo ai medesimi, anche del sequestro per equivalente, sul presupposto argomentativo che i beni oggetto della distrazione fraudolenta sarebbero gli stessi di quelli oggetto della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, e che il valore dei medesimi sarebbe sufficiente a soddisfare il credito tributario, unico credito privilegiato insinuato nel passivo fallimentare. Il possibile concorso tra le due fattispecie. In via preliminare ed in linea di principio generale, osservano i Supremi Giudici, va statuita la configurabilità del concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, in quanto le relative disposizioni incriminatrici non regolano la stessa materia ai sensi dell’art. 15 c.p., stante la diversità del bene giuridico tutelato – interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva da un lato, ed interesse della massa dei creditori al soddisfacimento dei propri diritti dall’altro – la natura delle fattispecie astratte – di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare – la diversità del soggetto-autore degli illeciti – nel primo caso tutti i contribuenti, nel secondo soltanto gli imprenditori falliti – e dell’elemento soggettivo del reato – dolo specifico nel reato tributario, dolo generico in quello fallimentare. La possibile contestualità dei sequestri. La disposizione di un sequestro preventivo diretto sui beni oggetto di distrazione, finalizzato ad evitare il compimento di ulteriori atti di disposizione e la loro dispersione, apponendo un vincolo di indisponibilità dei beni preclude la possibilità di apporre sugli stessi un altro e differente vincolo strumentale alla di loro confisca, quale è il sequestro per equivalente che, nell’eventualità, sarebbe inutilmente apposto in quanto oggettivamente impossibilitato a produrre l’effetto cui è preordinato, ovvero la confisca del profitto del reato. Viceversa, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere legittimamente disposto nei confronti dei beni del legale rappresentante di una società allorquando risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nel patrimonio dell’ente avvantaggiato dalla commissione del medesimo, e ciò indipendentemente se tale impossibilità dipenda – come nel caso di specie – dalla precedente esistenza di un altro vincolo di indisponibilità. Donde, l’eventuale futuro soddisfacimento, totale o parziale, del credito erariale attraverso i beni oggetto di confisca diretta o sul ricavato dalla loro vendita, consentirà la riduzione o la revoca del sequestro per equivalente, non tanto per il venir meno del presupposto costituito dalla attuale impossibilità di procedere al sequestro diretto, quanto per il soddisfacimento del credito in relazione al quale esso è stato disposto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 ottobre 2019 – 9 marzo 2020, n. 9380 Presidente Izzo – Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 24 dicembre 2018 il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta di riesame presentata congiuntamente da C.M. e C.S. nei confronti del decreto del 19 novembre 2018 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli, con cui, ritenendo sussistenti indizi della realizzazione dei reati di bancarotta fraudolenta e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, era stato disposto il sequestro diretto dei beni trasferiti dalla S.r.l. Bruno Poggi e Figli ad altra società e anche per equivalente dei beni dei richiedenti, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11. 2. Avverso tale ordinanza gli indagati hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione, affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo hanno lamentato l’errata applicazione dell’art. 321 c.p.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, a causa della mancanza del presupposto richiesto per poter disporre il sequestro per equivalente dei beni degli amministratori di una persona giuridica, a scopo di confisca del profitto dei reati tributari dagli stessi commessi agendo in nome e per conto di tale soggetto, costituito dalla impossibilità di procedere al sequestro diretto del profitto del reato come chiarito nella sentenza Lucci delle Sezioni Unite, n. 10561 del 2014 , consistente, nel caso di specie, nei beni oggetto delle simulate e fraudolente alienazioni che avevano determinato la contestazione a loro carico del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 , beni che erano stati individuati ed erano stato già oggetto di sequestro diretto, sia pure in relazione al diverso reato di bancarotta fraudolenta tale sequestro, benché disposto in relazione ad altro reato, non era ostativo alla esecuzione del sequestro sui medesimi beni anche in relazione al reato tributario contestato ai ricorrenti, essendo il loro valore pari a circa tre milioni di Euro idoneo a soddisfare il debito fiscale e costituendo tali beni, oggetto delle alienazioni ritenute fraudolente e volte a eludere il soddisfacimento delle obbligazioni tributarie, il profitto del reato contestato. Hanno quindi censurato l’affermazione del Tribunale, secondo cui le due misure applicate dal Giudice per le indagini preliminari sarebbero compatibili, in quanto consentirebbero di salvaguardare gli interessi protetti dalle due fattispecie di delitto contestate ai ricorrenti, atteso che, tenendo conto dell’interesse sottostante alla fattispecie di reato tributario, la tutela cautelare di quest’ultimo avrebbe dovuto essere considerata prevalente. Inoltre, l’Erario risultava essere l’unico creditore privilegiato e, quindi, sarebbe stato soddisfatto prioritariamente rispetto agli altri creditori, tutti chirografari, cosicché i beni sottoposti a sequestro risultavano sufficienti a soddisfare il debito tributario e doveva quindi ritenersi insussistente il presupposto per poter disporre il sequestro per equivalente. Contrariamente a quanto affermato dal Tribunale era stata dunque disposta una indebita duplicazione di garanzie, in quanto il medesimo credito tributario, pari a Euro 1.200.000,00, era stato oggetto di insinuazione nel passivo fallimentare e risultava garantito sia dal sequestro diretto dei beni oggetto delle distrazioni e delle alienazioni fraudolente in relazione alle quali era stato contestato il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 , sia dal sequestro per equivalente disposto sui beni degli amministratori della società. 2.2. Con un secondo motivo hanno lamentato l’insufficienza della motivazione in ordine alle ragioni per le quali i beni oggetto delle alienazioni fraudolente avrebbero dovuto essere sottoposti a sequestro in relazione al reato di bancarotta e non di quello tributario. Considerato in diritto 1. Il ricorso, congiuntamente proposto dagli imputati dovendo essere esaminata anche la posizione di C.S. , stante l’irritualità della sua rinuncia , non è fondato. 2. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli ha disposto il sequestro preventivo in via diretta dei beni oggetto delle distrazioni di cui al reato di bancarotta fraudolenta contestato al capo A, a fini impeditivi, allo scopo di evitarne ulteriori trasferimenti e la loro dispersione, e anche il sequestro per equivalente dei beni dei ricorrenti, in relazione al delitto di sottrazione fraudolenta di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, di cui al capo B, a fine di confisca. I ricorrenti contestano, con entrambi i motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente in considerazione della sovrapponibilità delle censure con essi formulate, la sussistenza del presupposto per poter disporre la confisca per equivalente dei loro beni, presupposto che pacificamente è costituito dalla impossibilità di procedere al sequestro in via diretta del profitto del reato. Ad avviso dei ricorrenti la circostanza che tale profitto costituito dai beni oggetto delle distrazioni, compiute mediante la conclusione di negozi simulati a scopo fraudolento, idonei anche a sottrarli all’adempimento delle obbligazioni tributarie sia già stato sottoposto a sequestro in relazione al reato di bancarotta fraudolenta non escluderebbe la possibilità di eseguire il sequestro in via diretta sui medesimi beni anche in relazione al reato tributario di sottrazione fraudolenta di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, sia perché i beni oggetto delle distrazioni e delle sottrazioni fraudolente compiute mediante atti negoziali ritenuti simulati sarebbero i medesimi, dunque assoggettabili a sequestro diretto anche quale profitto del reato tributario sia in considerazione del loro valore, che sarebbe sufficiente a soddisfare il credito tributario, unico credito privilegiato insinuato al passivo fallimentare con la conseguente indebita duplicazione di garanzie sia per la preferenza da accordare al sequestro disposto in relazione al reato tributario, preposto alla salvaguardia di interesse superiori l’interesse pubblico al pagamento dei tributi rispetto a quelli protetti dal reato di bancarotta gli interessi del ceto creditorio . 3. Tali rilievi non sono, ad avviso del Collegio, fondati. 3.1. Va, anzitutto, ribadito che è configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, in quanto le relative disposizioni incriminatrici non regolano la stessa materia ai sensi dell’art. 15 c.p., stante la diversità del bene giuridico tutelato interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, da un lato, ed interesse della massa dei creditori al soddisfacimento dei propri diritti, dall’altro , la natura delle fattispecie astratte di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare , la diversità del soggetto-autore degli illeciti nel primo caso, tutti i contribuenti, nel secondo, soltanto gli imprenditori falliti e dell’elemento soggettivo dei due reati dolo specifico quanto alla prima, generico quanto alla seconda, v. Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, dep. 17/01/2012, Mazzieri, Rv. 253479 Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015, dep. 27/01/2016, Cepparo, Rv. 266133 Sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, Fagioli, Rv. 270810 . 3.2. Ciò premesso va, anzitutto, rilevato che il sequestro preventivo dei beni oggetto delle distrazioni mediante le quali sarebbe stato commesso il delitto di bancarotta fraudolenta è stato disposto a fini impeditivi, allo scopo di evitare il compimento di ulteriori atti di disposizione e la loro dispersione, che pregiudicherebbero ulteriormente il soddisfacimento dei creditori sociali, ed è dunque destinato, in caso di condanna, a permanere in caso di confisca o a convertirsi in sequestro conservativo, secondo quanto previsto dall’art. 323 c.p.p., commi 3 e 4. Tale sequestro determina, dunque, un vincolo di indisponibilità dei beni che a esso sono stati assoggettati, destinato a determinare un provvedimento ablatorio o un ulteriore vincolo quello del pignoramento, strumentale alla espropriazione mediante esecuzione forzata , cosicché esso preclude, a causa della sua esistenza, la possibilità di imporre sui medesimi beni un ulteriore vincolo strumentale allo loro confisca il sequestro preventivo a fine di confisca diretta del profitto del reato di sottrazione fraudolenta di cui all’art. 11 cit. , giacché tale ulteriore vincolo risulterebbe inutilmente apposto qualora dei beni venga disposta la confisca in relazione al reato di bancarotta o se il precedente sequestro preventivo sia mantenuto a fini conservativi, in quanto tali esiti impedirebbero al secondo sequestro, disposto in relazione al reato tributario, di esplicare l’effetto cui è preordinato, e cioè la confisca del profitto di tale reato. 3.3. Correttamente, dunque, è stata esclusa la possibilità di eseguire il sequestro in via diretta del profitto del reato costituito, quanto al reato tributario, dalla riduzione, simulata o fraudolenta, del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, consistente nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma, v. Sez. 3, n. 10214 del 22/01/2015, Chiarolanza, Rv. 262754 Sez. 5, n. 32018 del 14/03/2019, Lascarache, Rv. 277251 , in quanto il suddetto vincolo di indisponibilità impedisce di utilmente apporne un altro successivo, e quindi si versa in una ipotesi di impossibilità di procedere al sequestro diretto del profitto del reato tributario. Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può, infatti, essere disposto nei confronti del legale rappresentate di una società quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nel patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo necessaria, ai fini dell’accertamento di tale impossibilità, l’inutile escussione del patrimonio sociale se già vi sono elementi sintomatici dell’inesistenza di beni in capo all’ente v. Sez. 3, n. 3591 del 20/09/2018, dep. 24/01/2019, Bennati, Rv. 275687 , come avvenuto nel caso in esame, nel quale l’esistenza di un altro vincolo di indisponibilità è stata, correttamente, ritenuta come determinante l’impossibilità di eseguire il sequestro in via diretta. 4. L’eventuale capienza dei beni di cui è stato disposto il sequestro in via diretta in relazione al reato di bancarotta fraudolenta, o, comunque, la loro idoneità a soddisfare il debito tributario privilegiato ex art. 2752 c.c. , non impedisce di disporre anche il sequestro per equivalente dei beni degli amministratori della società, stante l’attuale indisponibilità dei beni costituenti il profitto del reato derivante dalla apposizione del vincolo in relazione al reato di bancarotta e la conseguente impossibilità di procedere in via diretta al sequestro del profitto del reato tributario di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, agli stessi contestato. L’eventuale futuro soddisfacimento, totale o parziale, del credito erariale, attraverso i beni oggetto di confisca diretta o sul ricavato dalla loro vendita, consentirà la riduzione o la revoca del sequestro per equivalente, non tanto per il venire meno del presupposto costituito dalla attuale impossibilità di procedere al sequestro diretto, quanto per il soddisfacimento del credito in relazione al quale esso è stato disposto. 5. L’affermazione dei ricorrenti, secondo cui il credito tributario dovrebbe ricevere tutela in via preferenziale rispetto a quelle derivante dalla realizzazione del reato di bancarotta, e quindi il sequestro del profitto del reato tributario dovrebbe prevalere su quello dei medesimi beni disposto in relazione alla bancarotta, è manifestamente infondata, non essendo prevista da alcuna disposizione una tale preferenza. 6. Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto, stante l’infondatezza delle censure cui è stato affidato. Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.