Sì alla confisca penale dell’unico immobile del debitore

In tema di reati tributari, il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lett. a , dell’art. 76 d.P.R. n. 602/1973 – nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g , del d.l. n. 69/2013 convertito, con modifiche, dalla l. n. 98/2013 – si riferisce solo alle espropriazioni da parte del Fisco, e non a quelle promosse da altre categorie di creditori non riguarda la prima casa”, ma l’unico immobile di proprietà del debitore non trova comunque applicazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, né al sequestro preventivo ad essa preordinato.

Lo ha stabilito la terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8995, depositata il 5 marzo 2020. La confisca per equivalente La pronuncia in esame richiama diffusamente la giurisprudenza di legittimità formatasi in merito all’istituto della confisca per equivalente, cioè a quella che è stata definita una vera e propria sanzione, disposta su somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto e al profitto del reato. Mediante tale istituto, viene assolta una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l'imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile. Essa è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo, e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione, che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza. La misura in parola non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché si impone la valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto. La confisca per equivalente può essere applicata unicamente con riguardo a somme percepite anteriormente all’entrata in vigore delle norme che la consentono. In altri termini, essa non può essere applicata retroattivamente, in quanto – come detto – ha natura sanzionatoria, e non di misura di sicurezza patrimoniale. Proprio su tali basi è stata ritenuta manifestamente infondata, dalla Corte Costituzionale sentenza n. 97/2009 , la questione di legittimità degli artt. 200, 322 ter c.p. e 1, comma 143, l. n. 244/2007, censurati, in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., nella parte in cui prevedono la confisca obbligatoria cosiddetta per equivalente di beni di cui il reo abbia la disponibilità, con specifico riguardo ai reati tributari commessi anteriormente all'entrata in vigore della citata legge del 2007. Il problema si era posto, nella giurisprudenza di legittimità, sulla base della duplice considerazione che il comma 2 dell'art. 25 Cost. vieta l'applicazione retroattiva di una sanzione penale, e che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto, con i principi sanciti dall'art. 7 CEDU, l'applicazione retroattiva di una confisca di beni, riconducibile proprio ad un'ipotesi di confisca per equivalente. Al riguardo, si è confermato che la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all'assenza di un rapporto di pertinenzialità tra il reato e detti beni, conferiscono all'indicata confisca una natura eminentemente sanzionatoria, che impedisce l'applicabilità, a tale istituto, del principio generale dell'art. 200 c.p., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive. Altra caratteristica fondamentale dell’istituto de quo è che la confisca non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, il che sta a significare che la motivazione del provvedimento che la dispone dovrà dare atto della valutazione della equivalenza fra il valore dei beni confiscati e l’entità del profitto riveniente dal reato. e la nozione di profitto del reato. La sentenza in commento appare altresì particolarmente interessante, nella parte in cui precisa che, in tema di reati tributari, il profitto di delitti consistenti nell'evasione dell'imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende anche le sanzioni dovute a seguito dell'accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione. Peraltro, sempre in tema di profitto del reato tributario, le sanzioni tributarie concorrono a determinare il valore del profitto confiscabile solo nel caso in cui la condotta attenga la sottrazione fraudolenta al pagamento d'imposta. In tal caso e solo in tal caso si può assumere che la sanzione sia parte di un profitto che il reo consegue appunto negando all'Erario possibilità di esecuzione del debito sui propri beni non più limitato al debito erariale bensì riferibile a tutti gli accessori in quel momento già esigibili dal fisco quindi imposta e inoltre interessi e sanzioni . Diversamente, quanto alle ipotesi di reati dichiarativi caratterizzati dall'evasione d'imposta, la sanzione, rappresentando il costo del reato stesso, originato dalla sua commissione, dunque necessariamente successivo a essa, non può rientrare nel concetto di profitto del reato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 novembre 2019 – 5 marzo 2020, n. 8995 Presidente Liberati – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 14 giugno 2019, il Tribunale di Varese, in sede di riesame, ha confermato l’ordinanza del Gip del Tribunale di Busto Arsizio del 15 aprile 2019, con la quale era stato disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, delle giacenze attive sui conti della società della quale l’indagato era legale rappresentante, nonché alla confisca per equivalente su beni dello stesso indagato, fino alla concorrenza di Euro 957.696,17, quale profitto del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2. 2. Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si censura la mancanza assoluta della motivazione in relazione agli indizi del reato. Si sostiene che il Tribunale non si sarebbe confrontato con quanto argomentato dalla difesa in relazione alla documentazione depositata, ovvero 53 documenti riferiti a pagamenti, trasporti, certificati di conformità della merce e ulteriori elementi a dimostrazione dell’oggettiva esistenza delle operazioni fatturate . 2.2. Si deduce, in secondo luogo, la mancanza assoluta della motivazione in relazione alla non confiscabilità dell’abitazione prima casa . La difesa ricorda che il sequestro è stato eseguito per equivalente anche sui beni dell’indagato, fra cui l’abitazione, da considerare prima casa in base a quanto documentato con copia del rogito di acquisto e con le dichiarazioni di legge. Secondo la prospettazione difensiva, tale abitazione non potrebbe essere sottoposta a confisca, per il disposto del D.L. n. 69 del 2013, art. 52, come sostanzialmente affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 22581 del 2019, la quale non sarebbe stata presa in adeguata considerazione dal Tribunale. 2.3. Si deduce, in terzo luogo, la violazione del D.L. n. 69 del 2013, art. 52, sul rilievo che tale disposizione impedirebbe la confisca e, dunque, il prodromico sequestro della prima casa in relazione a reati fiscali. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 1.1. Il primo motivo di doglianza - riferito alla mancata considerazione della documentazione della depositata dalla difesa, ai fini della valutazione della non fittizietà delle operazioni oggetto delle fatture utilizzati in dichiarazione - è inammissibile per genericità. Il ricorrente non spiega - neanche con il ricorso per cassazione - quale sarebbe la rilevanza probatoria della documentazione in questione, di cui non riporta il contenuto. Non specifica, in particolare, come tale documentazione possa inficiare i risultati della complessa attività di indagine posta in essere dalla Guardia di Finanza, da cui - secondo quanto riportato nel provvedimento impugnato - era emerso che la società dell’indagato aveva intrattenuto rapporti commerciali con altre imprese, da queste ricevendo fatture fittizie per operazioni inesistenti, e successivamente aveva emesso, nei confronti delle società originariamente emittenti, fatture di vendita non imponibili Iva al fine di eseguire compensazioni di partite ed annullare il pagamento dovuto meccanismo fraudolento ampiamente descritto alle pagg. 1-2 dell’ordinanza impugnata . 1.2. Il secondo e il terzo motivo di doglianza, che possono essere trattati congiuntamente, perché attengono entrambi alla pretesa impignorabilità della prima casa dell’indagato, sono infondati, perché l’art. 52 in particolare, D.L. n. 69 del 2013, comma 1, lett. g , convertito, con modificazioni dalla L. n. 98 del 2013, non può trovare applicazione nel caso in esame, contrariamente a quanto affermato in un obiter dictum dalla sentenza Sez. 3, n. 22581 del 13/01/2019 punto 4.1. , richiamata dalla difesa. In particolare, per quanto qui rileva, la disposizione in questione ha modificato l’art. 76, comma 1, lettera a , Espropriazione immobiliare del D.P.R. n. 602 del 1973 Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito , inserito nella sezione 4^ Disposizioni particolari in materia di espropriazione immobiliare di tale testo normativo, nei seguenti termini Ferma la facoltà di intervento ai sensi dell’art. 499 c.p.c., l’agente della riscossione a non dà corso all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente . 1.2.1. Da tale formulazione letterale emerge, in primo luogo, che il limite posto dal legislatore all’espropriazione immobiliare non riguarda la prima casa , ma l’unico immobile di proprietà del debitore . Si tratta di un concetto evidentemente diverso da quello di prima casa , perché ha a che vedere con la consistenza complessiva del patrimonio del debitore e non semplicemente con la qualificazione del singolo immobile oggetto di pignoramento. Ne consegue che, per invocare l’applicazione della disposizione in tema di espropriazione immobiliare, il debitore non può limitarsi a prospettare che l’immobile pignorato è la sua prima casa , perché una tale prospettazione non esclude di per sé che lo stesso debitore sia proprietario di altri immobili. 1.2.2. Deve poi rilevarsi che - contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente - la disposizione in questione non fissa un principio generale di impignorabilità, perché si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco per debiti tributari e non a quelle promosse da altre categorie di creditori per debiti di altro tipo. Nè, a ben vedere, la disposizione in questione può trovare applicazione in relazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, perché l’oggetto della confisca è il profitto del reato e non il debito verso il fisco. E i due concetti devono essere tenuti distinti, perché il profitto di delitti consistenti nell’evasione dell’imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende nè le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione Sez. 3, n. 17535 del 06/02/2019, Rv. 275445 Sez. 3, n. 28047 del 20/01/2017, Rv. 270429 , nè gli interessi maturati in favore dello Stato Sez. 3, n. 40358 del 05/07/2016, Rv. 268329 mentre il debito verso il fisco è sempre comprensivo dell’originario debito tributario, degli interessi e delle sanzioni sostanzialmente in tal senso, Sez. 3, n. 7359 del 04/02/2014, Rv. 261500 . 1.2.3. Tali conclusioni si pongono in consapevole parziale contrasto con quanto già affermato da questa Corte di cassazione, oltre che con la citata sentenza n. 22581 del 2019, anche con la sentenza Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 20/01/2017, Rv. 268797, la quale afferma che, in tema di reati tributari, la disposizione di cui al D.L. n. 69 del 2013, art. 52, comma 1, lett. g , - che vieta all’agente della riscossione, in specifiche ipotesi e condizioni, di procedere all’espropriazione della prima casa del debitore preclude l’applicazione del sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, dell’abitazione di soggetto indagato per il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, comma 1, commesso mediante l’alienazione simulata del cespite immobiliare. La pronuncia giunge a tale conclusione evidenziando che il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte - cui la stessa si riferisce - è reato di pericolo concreto ed esige, pertanto, che la condotta sia idonea a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, sull’assunto che la stessa sia ex ante non consentita, per mancanza dei relativi presupposti normativi. Si rileva, in particolare, che il principio espresso da Sez. 3, n. 7359 del 04/02/2014 - secondo cui la preclusione fissata dal D.L. n. 69 del 2013, art. 52, comma 1, lett. g , non trova applicazione nell’ambito del processo penale e, pertanto, non impedisce il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dell’abitazione dell’indagato - era riferito a una fattispecie concreta in cui l’imputato rispondeva del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter e la questione riguardava esclusivamente la possibilità di sottoporre a sequestro penale l’immobile destinato ad abitazione del contribuente, il cui valore costituiva l’equivalente delle imposte non versate. Mentre, nella vicenda oggetto della sentenza n. 3011 del 2016, l’immobile rileva di per sé quale oggetto materiale della condotta e la norma violata prevede espressamente che la condotta sia idonea a rendere inefficace la procedura esecutiva. Si giunge così - senza espressamente contestare il principio espresso dalla sentenza n. 7359 del 2014 alla conclusione che consentire la confisca diretta di un bene che non può più essere oggetto di espropriazione immobiliare e che dunque non costituisce più profitto del reato, equivale a consentire in modo surrettizio quel che il legislatore espressamente esclude , perché la confisca costituirebbe, di fatto, una misura inutilmente punitiva e ingiustamente afflittiva che si aggiungerebbe alla pena principale prevista per il reato, trasformandosi in una vera e propria confisca di valore Come anticipato, tali conclusioni non possono essere condivise, perché - pur non ponendosi in contrasto con il principio dell’inapplicabilità del limite dell’espropriazione nel procedimento penale per reati tributari - si basano sull’assunto che la disposizione limitativa dell’espropriazione esprima un principio generale applicabile alla prima casa del debitore tributario. Bisogna, invece, ribadire che il limite alla pignorabilità fissato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 76, comma 1, lett. a , - nel testo introdotto dal D.L. n. 69 del 2013, art. 52, comma 1, lett. g , convertito, con modificazioni dalla L. n. 98 del 2013 si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco e non a quelle promosse da altre categorie di creditori non riguarda la prima casa , ma l’unico immobile di proprietà del debitore non trova comunque applicazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, nè al sequestro preventivo ad essa preordinato. 2. Da quanto precede consegue che il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.