Il definitivo accertamento del disconoscimento di paternità può scagionare l’imputato accusato di omessa assistenza familiare

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’imputato può dirsi liberato dagli stessi solo in caso di passaggio in giudicato della sentenza civile che abbia accolto la domanda di disconoscimento di paternità.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8144/20, depositata il 28 febbraio. Il fatto. La Corte d’Appello di Messina confermava la sentenza di prime cure con cui un imputato era stato condannato per il reato di cui all’art. 570 c.p. per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore. L’uomo ha proposto ricorso in Cassazione dolendosi per il mancato accertamento dell’errore di fatto conseguente all’errore sulla legge extra-penale in cui sarebbe incorso. Egli infatti aveva appreso che la minore era in realtà figlia di un altro uomo e riteneva di non essere più tenuto a provvedere al suo mantenimento. Disconoscimento di paternità. Il Collegio sottolinea che correttamente i Giudici di merito hanno escluso che l’instaurazione del giudizio civile di disconoscimento di paternità condizionasse, in termini di pregiudizialità, la pronuncia sull’imputazione atteso che la sentenza del giudice civile sul rapporto di paternità naturale esplica con riferimento al caso in esame effetti solo ex nunc e non ex tunc . Secondo i consolidati principi giurisprudenziali, infatti, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il soggetto obbligato non può liberarsi dagli stessi adducendo che il minore non sia il proprio figlio, essendo in tal senso necessario il passaggio in giudicato della sentenza civile che abbia accolto la domanda di disconoscimento di paternità. Aggiunge inoltre la pronuncia in oggetto che, ai fini dell’integrazione del delitti di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il disconoscimento di paternità opera comunque ex nunc e non ex tunc . In conclusione, la motivazione della Corte d’Appello risulta immune da ogni doglianza e il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 gennaio – 28 febbraio 2020, n. 8144 Presidente Petruzzellis – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di Appello di Messina ha confermato la sentenza emessa il 07/02/2017 dal Tribunale di Messina con la quale il ricorrente è stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa, nonché al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede in favore della parte civile costituita, per il reato di cui all’art. 570 c.p., commi 1 e 2, per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore, S.I. , nata il omissis , dal luglio 2014 con condotta perdurante. 2. Tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso N.R.F. articolando i motivi di seguito indicati. 2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dell’errore sul fatto conseguente all’errore sulla legge extra-penale addotto dall’imputato, che avendo appreso che la figlia da lui riconosciuta era figlia di un altro padre, riteneva di non essere più tenuto a provvedere al suo mantenimento, censurandosi la decisione della Corte di appello sul punto che ha qualificato, invece, l’errore come errore di diritto non scusabile perché incidente sul precetto penale. 2.2. Con il secondo motivo ha dedotto violazione di legge in relazione all’omessa sospensione del giudizio penale in attesa del passaggio in giudicato della sentenza civile sulla questione pregiudiziale rilevante ai sensi dell’art. 3 c.p.p. essendo ancora pendente alla data del giudizio in appello la causa civile per il disconoscimento di paternità. Sul punto il ricorrente si duole della decisione della Corte di appello che non ha accolto la richiesta di sospendere il giudizio penale in attesa dell’attestazione del passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale civile che dichiarava l’inefficacia del riconoscimento di paternità. 2.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio di motivazione circa l’accertamento dell’indisponibilità dei mezzi finanziari da parte dell’imputato. 2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione di legge in merito al mancato riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. censurandosi la valutazione in merito alla ritenuta abitualità del reato. 2.5. Con il quinto motivo si deduce la violazione di legge ed il vizio della motivazione in riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche, per non essere stato apprezzato il fatto che il comportamento dell’imputato fosse giustificato dall’acquisita conoscenza durante una lite con la compagna che la figlia non era la sua. 3. La parte civile costituita in data 30/12/2019 ha depositato una memoria scritta con cui chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia rigettato perché infondato. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso sono inammissibili in parte perché manifestamente infondati ed in parte perché afferenti questioni in fatto. Manifestamente infondate sono le censure sulle questioni in diritto relative alla rilevanza della causa civile per il disconoscimento di paternità quale questione pregiudiziale e quella sul dedotto errore di diritto. Sulla questione pregiudiziale si rileva che correttamente è stato escluso che il giudizio civile condizionasse, in termini di pregiudizialità, la pronuncia sull’imputazione, atteso che la sentenza del giudice civile sul rapporto di paternità naturale esplica con riferimento al caso in esame effetti solo ex nunc e non ex tunc. Costituisce, infatti, un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il soggetto obbligato non può liberarsi dagli stessi adducendo che il minore cui si fanno mancare i mezzi di sussistenza non sia il proprio figlio, dovendosi ritenere necessario al riguardo il passaggio in giudicato della sentenza civile che accolga la relativa domanda di disconoscimento della paternità Sez. 6, 11/02/2010, Rv. 246414 . Ed è stato altresì precisato che ai fini dell’integrazione del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare,il disconoscimento di paternità, sebbene accertato con sentenza passata in giudicato, opera ex nunc e non ex tunc , atteso che il rapporto di discendenza cui fa riferimento la fattispecie incriminatrice è collegato ad una situazione ex lege , non alla filiazione naturale, con la conseguenza che l’elemento materiale del reato non può ritenersi cancellato dal successivo accertamento dell’inesistenza del rapporto di filiazione Sez. 6,14/04/2008, Rv. 240557 . Quanto al dedotto errore su legge diversa da quella penale art. 47 c.p., comma 3 si deve ribadire che non rileva nel caso di norme da ritenersi incorporate nel precetto penale, come nel caso delle norme privatistiche che disciplinano gli obblighi di assistenza economica nei confronti delle persone legate da rapporti di filiazione, anche se destinate in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale. La Corte di appello ha correttamente osservato come l’ignoranza della legge extra-penale, trattandosi di norma che integra il precetto penale, non può essere intesa come errore di fatto, e quindi non elide il dolo, essendo stato accertato che l’imputato si è sottratto in modo arbitrario agli obblighi di assistenza verso la figlia naturale, ancora prima che venisse dichiarata l’inefficacia del riconoscimento, tenuto conto anche del lungo lasso temporale intercorso tra l’omissione dei pagamenti iniziata nel 2014 e la pronuncia della sentenza di inefficacia del riconoscimento intervenuta nel 2018. I motivi terzo, quarto e quinto motivo dedotti in merito alla asserita incapacità economica dell’imputato a contribuire al mantenimento della figlia, come anche quelli relativi al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p., propongono deduzioni che implicano una rivalutazione nel merito della sentenza non consentita in sede di legittimità. È stato più volte ribadito che il giudice di legittimità non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099 . Le censure dedotte dal ricorrente non evidenziano alcuna palese illogicità della motivazione della sentenza impugnata, tenuto conto di quanto osservato dalla Corte distrettuale sulla gravità dei fatti per la durata della omessa contribuzione e sulla intensità del dolo. 2. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro. Il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile, in questo grado, che si liquidano come in dispositivo. Considerato che il procedimento riguarda reati commessi in ambito familiare si deve disporre nel caso di diffusione del presente provvedimento l’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti private a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile C.A.M. , che si liquidano in Euro 3.510,00, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.