Manca la prova del danno arrecato all’assistito: avvocato prosciolto

L’evento del reato di patrocinio infedele è costituito dal nocumento arrecato dolosamente all’assistito, del quale va data rigorosa prova in giudizio. Quest’ultima, in ogni caso, non coincide automaticamente con la mera scadenza di un termine entro il quale compiere una determinata attività processuale.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la sentenza n. 8142 depositata il giorno 28 febbraio 2020. Quando l’avvocato diventa infedele. L’assunzione di un incarico difensivo, qualunque esso sia, genera – come tutti sappiamo – una serie di obblighi ben precisi per l’avvocato. Primo tra tutti, e ferme restando le responsabilità disciplinari, quello di adoperarsi con tutti i mezzi leciti, s’intende! per conseguire un risultato positivo nella causa che si sta trattando. Nessun difensore può mai promettere la vittoria in giudizio, e se lo facesse sarebbe anzi uno sconsiderato dal quale fuggire a gambe levate, ma deve necessariamente impegnarsi per – quantomeno – non danneggiare ulteriormente la posizione del proprio assistito. Chiunque svolga la professione di avvocato sa benissimo che esiste una certa tipologia di cause nelle quali non si può vincere saranno questi i casi nei quali non si potrà fare altro che limitare i danni e, attenendoci al settore del diritto penale, l’ottenere, ad esempio, il riconoscimento di una circostanza attenuante con conseguente sconto di pena costituisce, in alcune ipotesi disperate”, il massimo che può chiedersi ad un difensore diligente. Fatta questa premessa, va osservato che nel caso che ci occupa un avvocato civilista era stato condannato in primo e secondo grado per essere rimasto inerte in due giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo. La cassazione stronca la doppia conforme con un’argomentazione che dimostra grande sensibilità nei riguardi della classe forense e delle difficoltà che stanno dietro l’impostazione di una linea difensiva. Alcuni principi generali sempre validi. Prima di giudicare gravemente carente l’impianto motivazionale della decisione di appello impugnata, i giudici di piazza Cavour tracciano le linee essenziali del delitto di infedeltà del patrocinatore. Primo caposaldo la condotta del difensore, necessariamente sorretta dal dolo, deve essere irrispettosa dei propri doveri professionali. Secondo caposaldo questa condotta deve produrre un danno. Terzo caposaldo il danno è l’evento del reato e ne rappresenta un elemento costitutivo. Questo l’identikit della norma incriminatrice oggi alla nostra attenzione. Posto ciò, andiamo alle interpretazioni di questi punti essenziali. Il concetto di danno, intanto, non va inteso necessariamente come danno patrimoniale può benissimo coincidere anche con un nocumento morale e, ancora, con la perdita di chances processuali o difensive. Anche il mancato conseguimento di un vantaggio incidentalmente conseguibile in una delle fasi della procedura giudiziale può rilevare, così come il mero ritardo nella definizione di un determinato procedimento giurisdizionale spesso, si sa, la vera pena non è il trattamento sanzionatorio inflitto ad un soggetto, quanto piuttosto l’essere stato sottoposto a processo per lungo tempo . Il punto nodale, però, è la correlazione tra il danno lamentato e il consapevole mancato rispetto dei doveri professionali incombenti sul difensore. Per effetto di questo rilievo dobbiamo necessariamente escludere dal novero delle condotte che potrebbero integrare il reato in parola sia quelle volte ad adottare attività difensive discutibili, sia quelle colposamente erronee così testualmente afferma la Cassazione . La prova del danno è imprescindibile. E, aggiungono i supremi giudici, non coincide sic et simpliciter con la scadenza di un termine processuale occorre dimostrare che – se di inerzia dobbiamo parlare – il mancato, consapevole attivarsi del difensore abbia prodotto un danno nei termini sopra specificati al proprio assistito. Nel caso che ci occupa, per queste ragioni, viene salvata” la posizione dell’imputato l’unico addebito che gli era stato mosso, infatti, era quello di non essersi costituito in giudizio, ed in questo caso, difettando la prova di quale sia stato il pregiudizio processuale concretamente arrecato al cliente, non può nemmeno affermarsi l’ipotetica rilevanza penale della condotta ascritta all’avvocato. L’annullamento senza rinvio della decisione di secondo grado, in conclusione, è stata la soluzione obbligata cui sono pervenuti gli Ermellini.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 gennaio – 28 febbraio 2020, n. 8142 Presidente Petruzzellis – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Macerata il 15/09/2017 con cui l’imputata P.N. è stata condannata per il reato di cui al capo b relativo all’accusa di patrocinio infedele continuato, limitatamente alla persona offesa T.A. per due giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo che l’imputata ha seguito quale legale incaricato dalla predetta parte offesa fino alla rinuncia al mandato. 2. Con atto a firma del proprio difensore di fiducia, P.N. ha proposto ricorso, articolando i motivi di seguito indicati. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in merito al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria aie fini dell’acquisizione degli atti del giudizio civile iscritto al n. 1438/07 del r.g. del Tribunale di Macerata, con riguardo all’attestazione dell’avvenuta cancellazione del giudizio civile in questione con la conseguente esecutività del decreto ingiuntivo opposto, a riprova dell’assenza di un nocumento per la parte assistita dall’imputata. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla integrazione del reato di cui all’art. 380 c.p. sotto il profilo del mancato accertamento del nocumento conseguente all’inerzia del legale, sia con riferimento al giudizio di opposizione definitosi con la cancellazione della causa dal ruolo e conseguente esecutività del decreto ingiuntivo favorevole alla parte assistita dall’imputata, e sia con riferimento al secondo giudizio di opposizione, in cui, attesa la infondatezza della pretesa della parte assistita, l’inerzia dell’avvocato poteva essere considerata il comportamento migliore da tenere nel suo interesse. In ogni caso si osserva che non è stata apprezzata l’assenza di prova che una diversa condotta dell’imputata avrebbe potuto condurre ad esiti diversi e più favorevoli del giudizio per la parte. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in merito al mancato riconoscimento della prescrizione del reato il cui dies a quo è stato ricondotto alla rinuncia al mandato difensivo, mentre doveva essere ricondotto alle date in cui sono scaduti i termini previsti dal codice di procedura civile per il deposito di memorie e conclusioni per lo svolgimento della difesa, indicate nel 3 marzo 2009 per l’uno e nel 19 maggio 2010 per l’altro dei due giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni che di seguito si espongono. Innanzitutto, sebbene costituisca un principio non controverso, è bene ribadire che delitto di cui all’art. 380 c.p., comma 1, è un reato che richiede per il suo perfezionamento, in primo luogo, una condotta del patrocinatore irrispettosa dei doveri professionali stabiliti per fini di giustizia a tutela della parte assistita ed, in secondo luogo, un evento che implichi un nocumento agli interessi di quest’ultima. Pertanto, poiché l’evento del reato di patrocinio infedele va identificato con il nocumento arrecato al patrocinato, è da questa data che il reato può ritenersi consumato ed è quindi da questo momento che inizia a decorrere il termine di prescrizione. In merito alla nozione di nocumento, si è anche già osservato da questa Corte di Cassazione, che esso non deve essere inteso nel senso civilistico di danno patrimoniale, potendo essere integrato dal mancato conseguimento di benefici di ordine anche solo morale che alla stessa parte sarebbero potuti derivare dal corretto e leale esercizio del patrocinio legale vedi in tal senso, Sez. 5, 03/02/2017,Rv. 270200, relativamente ad una fattispecie in cui la condotta del professionista aveva determinato un allungamento dei tempi del processo penale, conclusosi con esito negativo per la persona offesa patrocinata . Inoltre è stato anche osservato come detto nocumento possa essere rappresentato anche dal mancato conseguimento di vantaggi formanti oggetto di decisione assunte dal giudice nelle fasi intermedie o incidentali di una procedura. Sez. 6, n. 2689 del 19/12/1995, P.M. in proc. Forti, Rv. 20450901 . Per quanto interessa nel caso in esame, è bene rimarcare anche che il nocumento per poter essere rilevante deve essere conseguente alla violazione dei doveri professionali, non potendo evidentemente assumere rilevanza effetti pregiudizievoli derivanti da ragioni diverse, eziologicamente indipendenti dalla suddette violazioni deontologiche. Si deve, inoltre, considerare che nell’ambito del rapporto professionale e durante lo svolgimento del procedimento giudiziario, tenuto conto delle diverse fasi in cui esso si articola, si possono individuare eventi pregiudizievoli per la parte assistita anche indipendenti dall’esito favorevole o sfavorevole del giudizio, potendo rilevare anche il mero ritardo della definizione del procedimento, o anche una semplice preclusione processuale conseguente alla scadenza di un termine che abbia reso impossibile per la parte allegare una prova a suo favore, o comunque di esercitare una facoltà spettante alla stessa quale parte processuale, rientrando nella nozione di nocumento anche la c.d. perdita di chances , consistente nella perdita di una concreta occasione favorevole al conseguimento di un bene determinato o di un risultato positivo. D’altra parte, proprio per la struttura del reato che prevede quale elemento necessario della fattispecie il nocumento ed a causa delle mutevoli variabili proprie di qualunque vicenda processuale, l’individuazione del nocumento presuppone una valutazione di tutte le peculiarità del singolo caso concreto, che non si prestano ad una schematica rappresentazione astratta, ben potendo una medesima condotta del patrocinatore assumere rilievo o meno a seconda degli effetti che in concreto ne siano derivati nella specifica vicenda processuale, assumendo rilevanza anche la linea difensiva adottata, nè dovendosi confondere l’infedeltà con attività difensive discutibili o colposamente erronee. Inoltre, non essendo l’esercizio dell’azione penale condizionato alla conclusione definitiva del procedimento giudiziario cui si riferisce la infedeltà professionale del patrocinatore, non vi è dubbio che nel corso di un medesimo procedimento anche una medesima condotta infedele possa produrre plurimi esiti giudiziari sfavorevoli, in relazione alla progressione processuale e rispetto alle decisioni che possono intervenire nelle diverse fasi e gradi del giudizio, come nel caso in cui al rigetto di una istanza istruttoria non depositata per tardività, segua poi una sentenza sfavorevole alla parte, confermata nei successivi gradi, con la conseguente rilevanza di detti esiti giudiziari anche ai fini della valutazione unitaria e conclusiva del nocumento, che potrebbe essere integrato dal complesso di tutte le decisioni sfavorevoli alla parte che ne siano derivate. Inoltre, nello sviluppo del procedimento, nell’ipotesi di sostituzione dell’avvocato patrocinatore, come nel caso di specie, il pregiudizio arrecato dalla condotta infedele del precedente avvocato conserva la propria penale rilevanza anche se nel corso delle fasi processuali successive, o negli ulteriori gradi di giudizio, il nuovo patrocinatore possa essere riuscito a porvi rimedio, dovendosi tenere conto del pregiudizio arrecato nelle fasi intermedie e nei gradi in cui il patrocinio si è svolto e della detta ampia nozione di nocumento che include anche il prevedibile ritardo e l’allungamento dei tempi di definizione del procedimento. 2. Ciò detto, appare evidente come nel caso in esame, sia risultato innanzitutto carente l’accertamento del nocumento, non potendo assumere rilevanza la mera scadenza di un termine processuale per l’esercizio di un diritto, in assenza di riferimenti al pregiudizio in concreto arrecato alla linea difensiva adottata. La mancata costituzione in giudizio, come anche la contumacia, rappresenta un dato processuale neutro rispetto all’incidenza che una tale scelta processuale può esplicare sulla tutela dell’interesse della parte assistita, tanto da non poter essere considerata neppure alla stregua di una condotta infedele ove si prescinda dalle peculiarità del procedimento giudiziario e dagli effetti che in concreto tale scelta possa avere per la migliore difesa della parte assistita. Sebbene con specifico riferimento al contenzioso civile, relativo ad un procedimento monitorio seguito da opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore della parte assistita, si possa anche in linea astratta presumere che la costituzione in giudizio del creditore-opposto rappresenti la condotta processuale più corretta, ai fini della integrazione della fattispecie penale prevista dall’art. 380 c.p. è tuttavia pur sempre necessario che in concreto siano indicati e verificati gli effetti pregiudizievoli che la mancata costituzione ha comportato nel complesso della linea difensiva da seguire in rapporto alle peculiarità del contenzioso in corso. Invece, nel caso di specie, la stessa descrizione del fatto, per come contestato nel capo di imputazione ometteva di costituirsi nel relativo giudizio di opposizione tanto che la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza del non consente di individuare il nocumento penalmente rilevante agli effetti della fattispecie prevista dall’art. 380 c.p., atteso che la mancata costituzione nel giudizio di opposizione conseguente all’emissione del decreto ingiuntivo, di per sé non assume alcun rilievo ai fini penali, a meno che non si specifichi quale attività istruttoria sia stata pregiudicata per effetto della mancata costituzione in giudizio. D’altra parte, sebbene la valutazione del nocumento vada apprezzata in rapporto alla fase processuale che si assume compromessa dall’infedele condotta del patrocinatore, senza che rilevino gli esiti giudiziari delle fasi successive che potrebbero in astratto anche essere comunque favorevoli alla parte, è tuttavia necessario che l’accertamento del nocumento sia condotto attraverso una indagine accurata che evidenzi i concreti effetti pregiudizievoli derivati dalle omissioni ascritte al patrocinatore con riferimento al quadro complessivo della linea difensiva adottata. Nel caso in esame la Corte di appello non ha fatto corretta applicazione di detti principi, avendo operato una valutazione del nocumento rilevante agli effetti penali valorizzando unicamente le scadenze dei termini processuali previsti per l’esercizio della facoltà spettanti alla parte assistita, prescindendo da qualunque verifica in concreto della effettiva incidenza di siffatte scadenze sulla tutela degli interessi della parte. Le considerazioni del giudice dell’appello sulla irrilevanza degli esiti del procedimento non hanno pregio, perché ciò che risulta carente non è la verifica dell’incidenza della condotta processuale incriminata sull’esito delle successive fasi processuali, ma l’assenza di ogni accertamento sul pregiudizio in concreto arrecato attraverso la scadenza del termine di decadenza nella fase processuale considerata, in relazione alle allegazioni e produzioni difensive che in concreto era lecito attendersi per la migliore difesa della parte patrocinata. In conclusione, per le carenze evidenziate, si impone l’annullamento della sentenza impugnata, che deve essere disposto senza rinvio perché il fatto per come contestato nell’imputazione è privo di rilevanza penale, non giustificandosi lo svolgimento di accertamenti istruttori del tutto ultronei rispetto alla stessa formulazione del capo di imputazione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.