Sorpasso troppo stretto sul ciclista: la sua caduta è colpa dell’automobilista

Confermata la condanna per una donna che alla guida della propria vettura ha provocato il capitombolo di un ciclista. Evidente l’imprudenza da lei compiuta con una manovra azzardata e realizzata non in condizioni di sicurezza.

Azzardato e troppo stretto il sorpasso compiuto dall’automobilista. Legittima, quindi, la sua condanna per la caduta riportata da un ciclista, vistosi affiancare, in curva, dalla vettura Cassazione, sentenza n. 2873/20, sez. IV Penale, depositata il 24 gennaio . Sorpasso. Il fattaccio si verifica lungo una strada provinciale nella zona di Voghera. La ricostruzione tracciata tra primo e secondo grado viene ritenuta sufficiente per condannare l’automobilista – una donna –, ritenuta colpevole del reato di lesioni colpose ai danni di un uomo in sella alla propria bici, reato commesso con violazione delle norme in materia di circolazione stradale . In sostanza, si è appurato che il ciclista procedeva tenendosi a destra, sul ciglio della strada quando nell’affrontare una curva a destra era stato travolto dalla vettura condotta dalla donna che procedeva nella stessa direzione e aveva posto in essere una manovra di sorpasso pericolosa, con un affiancamento eccessivo rispetto alla bicicletta. Distanza. In Appello, in particolare, si è sostenuto che anche solo uno spostamento d’aria, causato dall’auto durante la manovra di sorpasso, aveva cagionato sicuramente la perdita di equilibrio per il ciclista e la conseguente collisione tra i due veicoli . Questa visione, checché ne dica l’automobilista, è ritenuta plausibile anche dai Giudici della Cassazione. A inchiodare la donna alle proprie responsabilità, però, è soprattutto il fatto che ella era consapevole della presenza del ciclista che la precedeva tenendo un’andatura non regolare e perciò, spiegano i magistrati, ella avrebbe dovuto astenersi dal sorpasso oppure compiere tale manovra in assoluta sicurezza, mantenendo una distanza laterale adeguata ad evitare ogni possibile urto, anche tenendo conto che il sorpasso stava avvenendo all’altezza di una curva .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 – 24 gennaio 2020, numero 2873 Presidente Bricchetti – Relatore Menichetti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 22 maggio 2019 il Tribunale di Pavia confermava, anche relativamente alle statuizioni civili, la condanna pronunciata dal Giudice di Pace di Voghera nei confronti di Li. Va., quale responsabile del reato di lesioni colpose ai danni di Go. Gh., commesso con violazione delle norme in materia di circolazione stradale. 2. Secondo la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito, la persona offesa, mentre procedeva in bicicletta sulla s.p.10 da Casteggio a Voghera, tenendosi a destra sul ciglio della strada, nell'affrontare una curva a destra era stata travolta dall'auto dell'imputata, che procedeva nella stessa direzione di marcia e poneva in essere una manovra di sorpasso. Tale manovra - si legge nell'impugnata sentenza - era stata compiuta in violazione degli articolo 140 e 148 CdS che, nello stabilire le regole prudenziali da osservare durante la circolazione, impongono di mantenere una distanza di sicurezza laterale in caso di sorpasso. Nella specie, la stessa Li. aveva dichiarato in sede di esame di aver tentato il sorpasso della bicicletta, che la precedeva tenendo un'andatura non regolare orbene, posta l'assenza di ostacoli, la buona visibilità del tratto rettilineo di percorrenza ed il manto stradale asciutto, l'affiancamento eccessivo del ciclista da parte dell'imputata aveva cagionato la perdita di equilibrio del Go. e la conseguente collisione tra i due veicoli, circostanza che ha fatto ritenere priva di pregio la tesi difensiva di una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento e costituita da una manovra inopinata del ciclista. 3. Ha proposto ricorso l'imputata, tramite il difensore di fiducia, lamentando con un unico motivo violazione di legge in relazione agli articolo 192, comma 1, cod.proc.penumero e 41 cod.penumero Osserva che l'affermazione della Corte di Appello che anche solo uno spostamento d'aria causato dall'auto durante la manovra di sorpasso aveva cagionato sicuramente la perdita di equilibrio della persona offesa e la conseguente collisione tra i due veicoli era totalmente infondata, in quanto non basata su elementi di fatto, valutazioni tecniche o massime di esperienza. Era stata invece l'andatura irregolare del ciclista, che si era portato improvvisamente a sinistra mentre l'auto dell'imputata era già in fase di sorpasso, a sfuggire totalmente al controllo ed alla prevedibilità dell'automobilista e costituiva quindi causa autonoma che escludeva il nesso di causalità con l'evento lesivo. Di qui la richiesta di annullamento dell'impugnata sentenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato dovendosi escludere che il Tribunale sia incorso nel vizio di violazione di legge in ordine alla valutazione delle prove ed all'applicazione dei principi in tema di concorso di cause. Ed invero - al di là dell'affermazione secondo la quale lo sbandamento del ciclista era stato provocato dallo spostamento d'aria dovuto all'affiancamento da parte della vettura in fase di sorpasso, considerazione dotata di una certa logicità ma non supportata da obiettivi riscontri - non vi è dubbio che vi sia stata una corretta valutazione del materiale probatorio, atteso che l'imputata, consapevole della presenza del ciclista che la precedeva tenendo un'andatura non regolare, avrebbe dovuto astenersi dal sorpasso ovvero compiere tale manovra in assoluta sicurezza, mantenendo una distanza laterale adeguata ad evitare ogni possibile urto, tenendo anche conto del fatto che il sorpasso stava avvenendo all'altezza di una curva. La percezione dell'andatura irregolare del ciclista da parte della Liberati esclude in radice la imprevedibilità dell'evento e dunque l'interruzione del nesso di causalità. Il denunciato vizio di violazione di legge non può poi configurarsi neppure sotto il profilo della motivazione apparente, sia perché trattasi di un aspetto non dedotto nell'odierno ricorso, sia perché il ragionamento del giudice di appello appare argomentato in maniera corretta e congrua. 2. Ne deriva la inammissibilità dei ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria di duemila Euro alla Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero Corte Cost., sent.numero 186/2000 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle ammende.