Solo i disturbi della personalità consistenti, intensi e gravi incidono sulla capacità di intendere e volere

Per essere rilevante il disturbo della personalità va valutato solo qualora ricorra un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa e per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato da quello specifico disturbo mentale.

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 188/20, depositata il 7 gennaio. Nel secondo grado di giudizio, la Corte d’Appello riduceva la pena inflitta dal Tribunale all’imputato in ordine ai reati di estorsione, lesioni personali e violenza al pubblico ufficiale, a 3 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione più multa. Avverso tale decisione, l’imputato, a mezzo del difensore, ricorre in Cassazione sostenendo che la Corte territoriale aveva omesso di valutare la richiesta difensiva di concessione del vizio parziale di mente. Quali disturbi della personalità rientrano nel concetto di infermità? Secondo costante giurisprudenza di legittimità, per il riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità, non sempre inquadrabili tra le malattie mentali, possono rientrate nel concetto di infermità, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente e a condizione che vi sia un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Rifacendosi al caso in esame, correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto che il disturbo della personalità dell’imputato, pur rendendolo affetto da comportamento antisociale, non fosse idoneo in alcun modo ad incidere sulla sua capacità di intendere o di volere. A ciò consegue l’infondatezza del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 novembre 2019 – 7 gennaio 2020, n. 188 Presidente Cammino – Relatore Pardo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza in data 13 luglio 2018, la corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia del G.U.P. del tribunale di Palermo datata 23 marzo 2016, riduceva la pena inflitta a S.A. in ordine ai reati di estorsione, lesioni personali e violenza a pubblico ufficiale, concessa al predetto la circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 ritenuta equivalente alla contestata recidiva, ad anni 3, mesi 5, giorni 10 di reclusione ed Euro 800,00 di multa. 1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore del S. , avv.to Olga Piergallini, che deduceva con distinti motivi - vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e posto che la corte di appello aveva omesso di valutare la richiesta difensiva di concessione del vizio parziale di mente limitandosi a motivare il diniego del vizio totale sicché mancava qualsiasi giustificazione delle ragioni per le quali ritenere insussistente la circostanza di cui all’art. 89 c.p. - vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e , nonché travisamento della prova costituita dalla perizia psichiatrica del Dott. M. , laddove si era negato che il disturbo della personalità,pur riconosciuto, fosse di intensità tale da incidere sulla capacità dell’imputato, così negandosi applicazione ai principi dettati dalle Sezioni Unite con la pronuncia 9163 del 2005 erronea applicazione della legge penale ed in specie degli artt. 88 e 89 c.p. non potendosi fare riferimento al criterio ormai superato della malattia mentale - vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e ed erronea applicazione della legge penale quanto al riconoscimento della recidiva. Considerato in diritto 2.1 Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere respinto. Quanto al primo motivo, va osservato come la corte di appello di Palermo non abbia in alcun modo omesso di valutare la questione proposta con i motivi subordinati di appello del difetto parziale di capacità poiché, con le ampie osservazioni svolte alle pagine 2-4 della motivazione ed in specie a pagina 3, si è espressamente negato, sulla base delle conclusioni della perizia, che il disturbo della personalità riconosciuto all’imputato non risulta di una gravità ed intensità tale da avere inciso sulla capacità di intendere e volere così come risulta dalla disamina dei fatti che appaiono essere sintomatici di una spiccata capacità delinquenziale del S. piuttosto che di una grave patologia incidente sulla sua imputabilità . Pertanto, con tali precise affermazioni, il giudice di appello, dopo avere proceduto a perizia in fase di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, escludeva non soltanto il vizio totale ma, altresì, qualsiasi compromissione della capacità di intendere e volere penalmente rilevante, senza incorrere pertanto nel lamentato difetto di motivazione. 2.2 In relazione al secondo motivo con il quale si prospetta una errata applicazione di principi giurisprudenziali, va ricordato come, secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite di questa corte, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità , che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità , purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Rv. 230317 . E la corte di appello palermitana risulta pertanto avere fatto applicazione della seconda parte del suddetto principio rilevando proprio, anche alla luce delle modalità di consumazione dei delitti e quindi sulla base di un preciso giudizio di fatto non censurabile nella presente sede, che il disturbo della personalità del S. , pur rendendo lo stesso affetto da comportamento antisociale, non fosse in alcun modo idoneo ad incidere sulla sua capacità avendo mantenuto lo stesso le condizioni di valutare il rilievo dei propri atti. Del resto, la giurisprudenza successiva l’intervento delle citate Sezioni Unite ha sia chiarito che gli impulsi della azione, pur riconosciuta come riprovevole dall’agente, devono essere tali da vanificare la capacità di apprezzarne le conseguenze Sez. 5, n. 8282 del 09/02/2006, Rv. 233228 sia, ancora, affermato come per essere rilevante il disturbo della personalità va valutato solo ove ricorra un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato da quello specifico disturbo mentale Sez. 6, n. 18458 del 05/04/2012, Rv. 252686 . E l’applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame pare proprio fare concludere per l’infondatezza del ricorso posto che le modalità della estorsione compiuta in danno del codetenuto, perpetuata nel tempo al fine di ottenere la cessione di beni di poco valore, escludono comunque l’attuazione di condotte determinate da stati non controllabili mentre la consumazione delle condotte in danno dei pubblici ufficiali appare essere avvenuta in un contesto di chiara volontà di sopraffazione dell’attività degli agenti penitenziari ed al fine di impedire una perquisizione nei propri confronti con chiara valutazione delle conseguenze della propria azione. 2.3 Manifestamente infondato è il terzo motivo con le specifiche osservazioni svolte a pagina 6 della motivazione il giudice di appello ha motivato il riconoscimento della recidiva sulla base di precise circostanze di fatto correttamente valutate e non censurabili nella presente sede di legittimità. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3 alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle ammende.