Vendita bluff online: i contatti coi compratori confermano l’intenzione di realizzare una truffa

Condanna definitiva per un uomo, punito con un anno di reclusione e 150 euro di multa. Inequivocabile il comportamento da lui tenuto e concretizzatosi nell’annuncio online relativo alla vendita di due cellulari inesistenti e nelle successive rassicurazioni offerte alle compratrici sulla bontà dell’offerta.

Porre in vendita online, utilizzando un sito ad hoc per l’e-commerce, prodotti in realtà inesistenti e riuscire a trovare clienti che effettuano concretamente il pagamento richiesto – per poi ritrovarsi con un pugno di mosche – vale una condanna per il reato di truffa” Cassazione, sentenza n. 198/20, sez. II Penale, depositata il 7 gennaio . Online. Contesto è un noto portale di annunci di compravendita on line lì un uomo pubblicizza la vendita di due telefoni cellulari, con relativo prezzo, e riesce a ottenere la risposta positiva di due donne, che si dicono pronte a concludere l’affare e gli versano quanto pattuito. A quel punto però arriva la sorpresa per le due compratrici, che, nonostante il trascorrere dei giorni, non ricevono il prodotto acquistato. Dal mondo virtuale del web a quello reale di un’aula di Tribunale il passo è breve il – presunto – venditore finisce sotto processo e si ritrova condannato, sia in primo che in secondo grado, per truffa e punito con un anno di reclusione e 150 euro di multa . Reato. Per contestare la condanna l’uomo mette in discussione, tramite il proprio legale, la lettura data dai giudici alla vicenda. A suo dire è illogico parlare di truffa. Ma questa osservazione non è per nulla condivisa dai giudici della Cassazione, che, invece, ritengono inequivocabile la condotta posta in essere dal venditore, condotta caratterizzata dalla pubblicazione di una inserzione per la vendita di un telefono cellulare a un prezzo conveniente e dalle rassicurazioni successivamente fornite alle due compratrici circa l’esistenza del bene e quindi sufficiente a configurare gli artifici e i raggiri previsti dal Codice Penale. A questo proposito, poi, i Giudici tengono a sottolineare che porre un bene in vendita su un sito internet, pubblicizzandone le caratteristiche ed ingenerando la legittima aspettativa del compratore circa l’esistenza del prodotto e la validità della offerta, è condotta anche da sola idonea a configurare gli artifici ed i raggiri richiesti dalla norma penale . E in questa vicenda si è appurato che nel corso della trattativa vi sono stati dei contatti telefonici e via email con cui il sedicente venditore ha rassicurato le compratrici sulla bontà dell’affare questi dettagli confermano, secondo i giudici, la presenza sia dell’elemento materiale che di quello psicologico tipici del reato di truffa .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 26 novembre 2019 – 7 gennaio 2020, n. 198 Presidente Gallo – Relatore Monaco Ritenuto in fatto La CORTE d'APPELLO di ANCONA, con sentenza in data 19/3/2019, confermava la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO il 7/4/2017, nei confronti di DE AN. MA. in relazione a due ipotesi di reato di cui all'art. 640 CP. 1. Ma. De An. veniva rinviato a giudizio perché, con artifici e raggiri, costituiti dall'avere pubblicizzato la vendita di due telefoni cellulari su di un noto portale di annunci di compravendita online, avrebbe indotto Al. Vi. e Ra. Ma. a versare il prezzo senza procedere alla consegna del bene e così si sarebbe procurato un ingiusto profitto. Il Tribunale in composizione monocratica, ritenuta la sussistenza degli elementi costitutivi dei reati e la continuazione tra gli stessi, esclusa la recidiva contestata, aveva condannato l'imputato alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 150,00 di multa. Avverso la sentenza ha presentato tempestivo appello l'imputato e la Corte territoriale, ritenute infondate le doglianze, ha confermato la condanna. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso l'imputato che, a mezzo del difensore, deduce i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi dei reati contestati con particolare riferimento all'assenza degli artifici e raggiri. La difesa rileva che la Corte territoriale, pure a fronte di specifiche doglianze sul punto, avrebbe erroneamente individuato gli artifici e raggiri nella modalità di vendita, qualificate come insidiose laddove, di contro, la pericolosità del mezzo utilizzato era ben conoscibile e conosciuta fin dall'inizio, quindi accettata, dalla persona offesa . Manifestamente illogiche, poi, sarebbero le considerazioni in ordine alla qualità del sito utilizzato, definito, accreditato e ben conosciuto, a voler indicare che già tale elemento sarebbe idoneo a configurare la condotta del ricorrente come fraudolenta. Anche sotto tale profilo, atteso che i giudici di merito avrebbero in tal modo individuato l'elemento costitutivo de reato nella mala fede , d'altro canto, si evidenzierebbe l'erronea applicazione della legge penale. L'esistenza di un eventuale proposito di non adempiere, inoltre, non consentirebbe di qualificare i fatti nei termini della truffa ma, piuttosto, in quelli dell'insolvenza fraudolenta di cui all'art. 641 cod. pen. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 640 cod. pen. piuttosto che di quello di cui all'art 641 cod. pen. Nel secondo motivo la difesa, evidenziando che la Corte territoriale avrebbe omesso di rispondere alla specifica doglianza sul punto, rileva che la qualificazione giuridica attribuita ai fatti sarebbe errata. Quanto accaduto, caratterizzato esclusivamente dal mancato adempimento ed in assenza di un dolo iniziale , infatti, dovrebbe al più essere qualificato come insolvenza fraudolenta e non come truffa. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Le doglianze, dedotte sia nei termini della violazione di legge che afferenti la logicità e la completezza della motivazione della sentenza pronunciata dalla Corte Territoriale, sono manifestamente infondate. La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo grado, ha infatti fornito corretta e congrua risposta alle critiche contenute nell'atto di appello ed ha esposto gli argomenti per cui queste non erano in alcun modo coerenti con quanto emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale. In specifico. La qualificazione giuridica attribuita ai fatti è corretta. La condotta posta in essere dal ricorrente, caratterizzata dalla pubblicazione di una inserzione per la vendita di un telefono cellulare a prezzo conveniente e dalle rassicurazioni successivamente fornite alle persone offese circa l'esistenza del bene, configura gli artifici e raggiri. Sul punto, d'altro canto, deve evidenziarsi che porre un bene in vendita su di un sito internet, pubblicizzandone le caratteristiche ed ingenerando la legittima aspettativa del compratore circa l'esistenza dello stesso e la validità dell'offerta, è condotta anche da sola idonea a configurare gli artifici ed i raggiri richiesti dalla norma. Artifici e raggiri, d'altro canto, che nel caso di specie hanno trovato significativo riscontro e conferma anche nella condotta immediatamente successiva alla pubblicazione dell'annuncio e precedente la conclusione del contratto. La circostanza che nel corso della trattativa vi siano stati dei contatti telefonici nel primo caso ed a mezzo mail nel secondo nei quali il sedicente venditore ha rassicurato il compratore della bontà dell'affare, infatti, conferma la sussistenza sia dell'elemento materiale che di quello psicologico, tipici del reato di truffa. Il delitto di truffa, d'altro canto, si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione esclusivamente del reale stato di insolvenza dell'agente da ultimo cfr. Sez. 2, 41421 del 11/9/2019, De Colombi, non massimata Sez. 7, n. 16723 del 13/01/2015, Caroli, Rv. 263360 . Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla cassa delle ammende.