Misura alternativa alla detenzione revocata: legittima l’espulsione dello straniero

Confermata in Cassazione la linea seguita dal magistrato di sorveglianza e dal Tribunale di sorveglianza. Inutile il richiamo difensivo alla concessione della misura alternativa al carcere.

La concessione – poi revocata – della misura alternativa alla detenzione non è sufficiente per ritenere illegittimo il provvedimento con cui il magistrato ha deciso l’espulsione dello straniero extracomunitario irregolare detenuto in carcere. Irrilevante anche il richiamo difensivo alla scadenza del permesso e alla mancata richiesta di rinnovo a causa della costrizione nell’istituto penitenziario. Cassazione, sentenza n. 50487/19, sez. I Penale, depositata il 13 dicembre . Detenzione. Magistrato di sorveglianza e Tribunale di sorveglianza concordano sull’ espulsione dallo Stato del cittadino straniero come misura alternativa alla detenzione . In particolare, in Tribunale viene osservato che almeno al tempo della decisione lo straniero era in regime stabile i detenzione intramuraria poiché la misura alternativa, già sospesa, era stata revocata , e viene anche aggiunto che non risultava alcuna situazione di pregressa convivenza con familiari aventi cittadinanza italiana . Su questa linea si attesta anche la Cassazione, respingendo le obiezioni proposte dal legale del cittadino straniero. Da un lato, l’avvocato spiega che il suo cliente era stato ammesso alla misura alternativa alla detenzione, solo sospesa , e poi aggiunge che, peraltro, il suo cliente era già titolare di permesso di soggiorno, scaduto e non rinnovato solo per effetto dell’espiazione penale in atto . Espulsione. Per i Giudici della Cassazione, però, l’espulsione va confermata se il detenuto risulta, al momento della decisione del Tribunale, definitivamente ristretto in istituto, anche a seguito di revoca di misura alternativa che sia intervenuta in pendenza del giudizio di opposizione . Anche perché, in caso contrario, si arriverebbe a un esito paradossale il Tribunale dovrebbe annullare una misura espulsiva ormai di obbligatoria adozione, che poi il primo giudice sarebbe tenuto a disporre nuovamente . Per quanto concerne poi la scadenza del ‘permesso’ e la mancata domanda di rinnovo, i magistrati chiariscono che la detenzione non è giuridicamente di ostacolo alla presentazione della domanda amministrativa .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 ottobre – 13 dicembre 2019, n. 50487 Presidente Iasillo – Relatore Centofanti Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Trento confermava, in sede di opposizione ai sensi dell'art. 16, comma 6, T.U. imm., l'anteriore decreto del locale Magistrato di sorveglianza, che aveva ordinato l'espulsione dallo Stato di Lè. Ke. a titolo di sanzione alternativa alla detenzione. In replica alle doglianze dell'interessato, il Tribunale osservava come, almeno al tempo della decisione adottata in sede di impugnazione, l'interessato fosse in regime stabile di detenzione intramuraria la misura alternativa, già sospesa, era stata nelle more revocata , nonché osservava come non risultasse alcuna situazione di pregressa convivenza con familiari aventi la cittadinanza italiana. 2. Ke. ricorre per cassazione, con rituale ministero difensivo. Con un primo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, perché, al tempo dell'adozione del decreto di espulsione da parte del Magistrato di sorveglianza, l'interessato si sarebbe trovato nella condizione, ostativa, di soggetto ammesso a misura alternativa alla detenzione, solo provvisoriamente e cautelativamente sospesa. Né rileverebbero le sopravvenienze successive alla prima decisione. Con un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, perché l'interessato sarebbe già stato titolare del permesso di soggiorno, scaduto e non rinnovato solo per effetto dell'espiazione penale in atto. Con un terzo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, perché l'interessato sarebbe figlio, e nipote ex filia, di cittadine italiane, disposte ad accoglierlo all'atto della scarcerazione mentre, precedentemente ad essa, il ricorrente avrebbe altrove convissuto. Con un quarto motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, perché l'interessato più non avrebbe alcun legame con la terra di origine Albania , né alcuna possibilità di sostentarsi li con mezzi leciti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, essendo manifestamente infondati tutti i motivi proposti. 2. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l'espulsione dello straniero non appartenente all'Unione Europea, identificato, irregolare, il quale sia stato condannato e si trovi detenuto in esecuzione di pena, anche residua, non superiore a due anni per reati non ostativi, prevista dall'art. 16, comma 5, D.Lgs. n. 286 del 1998, e successive modificazioni, ha natura sostanzialmente amministrativa e costituisce una misura alternativa alla detenzione atipica, della quale è obbligatoria l'adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge Sez. 1, n. 50871 del 25/05/2018, Tello Sez. 1, n. 6814 del 09/07/2015, dep. 2016, Nakai Sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, dep. 29/12/2010, Turtulli, Rv. 249175-01 . A fondamento della disposizione vi è l'esigenza di ridurre la popolazione carceraria. Per tale ragione ne è esclusa l'applicazione a quanti, in relazione alla pena da espiare, si trovino già sottoposti a una misura alternativa in senso proprio, o al regime di arresti domiciliari esecutivi di cui all'art. 656, comma 10, cod. proc. pen., mentre non è di ostacolo la sola applicazione dei benefici del lavoro esterno e dei permessi premio Sez. 1, n. 5171 del 29/09/2015, dep. 2016, Meta, Rv. 266218-01 Sez. 1, n. 44143 del 16/02/2016, Ben Fraj Zouhair, Rv. 268290-01 . La legge persegue l'obiettivo facendo in modo che fuoriescano dal circuito penitenziario, e siano subito reimpatriati, i condannati comunque non reintegrabili nella comunità nazionale, perché sprovvisti di titolo per rimanervi, già non avviati a percorsi proficui di risocializzazione e per i quali non sussistano prevalenti esigenze di tutela della loro incolumità e salute o delle loro relazioni familiari Sez. 1, n. 9425 del 18/02/2019, G., Rv. 274885-01 esigenze espresse, principalmente, dall'art. 19 T.U. imm. così come di recente integrato per effetto della legge n. 110 del 2017 e del d.l. n. 113 del 2018, conv. dalla legge n. 132 del 2018 , a tal fine espressamente richiamato dal comma 9 del precedente art. 16. 3. Ciò premesso, osserva il Collegio che la decisione del Tribunale di sorveglianza, adito come giudice dell'impugnazione in materia di espulsione costituente sanzione alternativa alla detenzione, è sostitutiva di quella inizialmente resa dal Magistrato. I presupposti dell'espulsione, positivi e negativi, devono essere dal Tribunale nuovamente apprezzati, sicché l'espulsione va confermata - sotto il profilo dal ricorrente specificamente dedotto con il primo motivo, in relazione a quanto in diritto già osservato - se il detenuto risulta, al momento della decisione del Tribunale, definitivamente ristretto in istituto, anche a seguito di revoca di misura alternativa che sia intervenuta in pendenza del giudizio di opposizione. Diversamente opinando, si giungerebbe, del resto, ad esito paradossale. Il Tribunale dovrebbe annullare una misura espulsiva ormai di obbligatoria adozione, che il primo giudice sarebbe tenuto, subito dopo, a disporre nuovamente. 4. L'espulsione postula, come evidenziato, una situazione di irregolare presenza dello straniero sul territorio nazionale, che si leghi art. 13, comma 2, T.U. imm. ad un ingresso o trattenimento illegali, anche per effetto del rifiuto dell'Autorità competente di accordare il titolo di soggiorno v., ora, art. 3, comma 1, lett. c, D.L. n. 89 del 2011, conv. dalla legge n. 129 del 2011 , ovvero si leghi all'intervenuta scadenza, da più di sessanta giorni, del titolo in origine rilasciato, senza che ne sia stato chiesto il rinnovo. Questa Corte ha correttamente affermato come la misura espulsiva non possa disporsi qualora lo straniero abbia presentato, sia pure fuori termine, l'anzidetta domanda di rinnovo, in ordine alla quale ancora non sia stata assunta la decisione da parte della competente Autorità amministrativa Sez. 1, n. 12547 del 16/03/2010, Tetenu, Rv. 246703-01 . Dall'attivazione dell'interessato non si può tuttavia totalmente prescindere l'intervenuta scadenza del permesso, cui non si accompagni affatto l'iniziativa di rinnovo, relega nuovamente lo straniero, decorso il termine indicato, nella condizione di soggetto irregolarmente soggiornante, secondo il chiaro disposto del comma 2 dell'art. 13 TU. imm., e palesemente legittima l'adozione del provvedimento di rigore. La condizione detentiva non è giuridicamente di ostacolo alla presentazione della domanda amministrativa, alla luce delle generali facoltà accordate dall'art. 123, comma 1, cod. proc. pen., e la ragione impeditiva di cui al secondo motivo il condannato avrebbe soprasseduto su indicazione della Comunità terapeutica, concordata con l'Ufficio di esecuzione penale esterna risulta assertiva e di puro fatto. 5. L'art. 19 T.U. imm. prevede senza meno, come ostativa all'espulsione, al comma 2, lett. b , la situazione di convivenza pregressa del detenuto con parenti, di primo o secondo grado, o con il coniuge, di nazionalità italiana. Quel che rileva appare, in tutta evidenza, la situazione di convivenza, così qualificata, preesistente alla carcerazione situazione di cui il ricorrente stesso, nel terzo motivo, riconosce l'insussistenza. 6. Il quarto motivo sollecita una valutazione comparativa tra il grado d'integrazione raggiunto in Italia, e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d'origine, la quale costituiva il presupposto per l'eventuale riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai sensi dell'art. 5, comma 6, T.U. imm. norma, tuttavia, ormai abrogata per effetto del D.L. n. 113 del 2018, conv. dalla legge n. 132 del 2018, citato. Con l'abolizione del relativo istituto è venuta meno ogni possibilità di assegnare rilievo, in sede di espulsione, alle circostanze di fatto l'assenza di persistenti legami con l'Albania, e di redditi leciti che possano essere li prodotti esposte nel motivo stesso. 7. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e -per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione Corte cost., sentenza n. 186 del 2000 - di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in tremila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.