Cani chiusi in un recinto ed esposti al freddo e alla sporcizia: logico parlare di maltrattamenti

Respinte le obiezioni difensive dall’uomo finito sotto processo per le condizioni di detenzione di ben diciotto cani. Evidenti, per i Giudici, le sofferenze subite dai quadrupedi. Palese anche la crudeltà manifestata nei loro confronti.

Nutriti in maniera regolare, quindi fisicamente a posto, ma costretti in recinti privi di regolare apertura. Logico parlare di maltrattamenti” ai danni di diciotto cani, di diverse razze, così ‘gestiti’ da un uomo. Cassazione, sentenza n. 49791/19, sez. III Penale, depositata il 9 dicembre . Recinto. Linea dura già in Tribunale, dove l’uomo sotto processo viene ritenuto colpevole di avere detenuto i quadrupedi in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze . A certificarlo il resoconto fornito dai carabinieri dopo un sopralluogo ad hoc in sostanza è emerso che gli animali si trovavano in sei recinti chiusi con reti metalliche arrugginite e spuntoni pericolosi, su superficie in terra battuta ricoperta da escrementi stratificati ed impregnati dai liquidi degli animali, divenuti fanghiglia a causa delle condizioni atmosferiche, poiché i recinti erano riparati solo in parte e in maniera rudimentale con pannelli coibentati e fogli di lamiera precari, del tutto inadatti a proteggere i cani . Per difendersi l’uomo sotto accusa spiega di avere raccolto cani abbandonati dai loro padroni e di avere provato a fornire loro una sistemazione, seppure non perfetta, e di averli trattati bene. A questo proposito, egli sottolinea che i cani erano in condizioni di nutrizione sufficiente, non erano a contatto con ferri arrugginiti o spuntoni e aggiunge che le avverse condizioni meteo avevano impedito le operazioni di pulizia ed avevano alterato le qualità del terreno . Per completare la propria linea difensiva, poi, l’uomo chiarisce di avere successivamente risolto il problema creatosi col maltempo e di avere ottenuto l’autorizzazione a tenere gli animali, e ribadisce che vi era alcuna prova sul fatto che essi rimanessero sempre chiusi nel recinto . Crudeltà. Le obiezioni proposte dall’uomo non convincono affatto, però, i giudici della Cassazione, i quali ritengono invece sacrosanto la condanna pronunciata in Tribunale. Decisiva l’applicazione del buonsenso, che permette di affermare che tenere i cani chiusi nel recinto, ricoperti da escrementi, al freddo, in mezzo al fango e alla sporcizia costituisce una condotta penalmente rilevabile alla luce di quanto stabilito dal Codice Penale col reato di abbandono di animali”. A inchiodare l’uomo, quindi, sono le terribili condizioni in cui ha tenuto i diciotto cani. E questo dato permette anche di escludere, chiariscono i Giudici, l’ipotesi del proscioglimento per fatto di particolare tenuità”, poiché è lampante, in questo caso, la crudeltà dell’uomo nei confronti degli animali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 luglio – 9 dicembre 2019, n. 49791 Presidente Sarno – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 27.11.2018 il Tribunale di Termini Imerese ha condannato Lu. Lu. alle pene di legge per il reato di cui all'art. 727, secondo comma, cod. pen., avendo detenuto diciotto cani di varie razze in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze gli animali si trovavano in sei recinti chiusi con reti metalliche arrugginite e spuntoni pericolosi, su superficie in terra battuta, ricoperta da escrementi stratificati ed impregnata dai liquidi degli animali, divenuti fanghiglia a causa delle condizioni atmosferiche, poiché i recinti erano riparati solo in parte ed in maniera rudimentale da pannelli coibentati e fogli di lamiera precari del tutto inadatti a proteggere i cani. 2. Con il primo motivo di ricorso l'imputato deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione. Espone a che i cani erano in condizioni di nutrizione sufficiente, b che non erano a contatto con ferri arrugginiti o spuntoni, c che le condizioni meteo avverse avevano impedito le operazioni di pulizia ed avevano alterato la qualità del terreno, d che, risolto il problema, egli aveva avuto l'autorizzazione, e che, a seguito della verifica del 14.2.2014, il maresciallo dei Carabinieri aveva potuto constatare che le condizioni di salute e nutrizionali degli animali erano buone, f che non v'era alcuna prova che i cani rimanessero sempre rinchiusi nel recinto, g che il sopralluogo si era svolto in poche ore in cui era stato impossibile apprezzare se ai cani fosse stata garantita la deambulazione. Ritiene non raggiunta la prova delle gravi sofferenze. Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione, in relazione al diniego dell'art. 131-bis cod. pen., sussistendone i relativi presupposti. Precisa, in particolare, che era incensurato, che la sua condotta non era mossa da ragioni di crudeltà ma di generosità verso i cani che erano abbandonati dai proprietari, che aveva tempestivamente eseguito i lavori di adeguamento dei recinti, che aveva sollecitamente ottenuto le autorizzazioni di legge, che aveva accettato di trattenere gli animali in custodia gratuita mostrando un atteggiamento collaborativo, che i cani non avevano riportato danni non essendo né denutriti né disidratati. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato, perché si risolve in generiche censure di fatto che non si confrontano criticamente con la motivazione del provvedimento impugnato. Il Tribunale ha accertato che i cani, sebbene nutriti a sufficienza, si trovavano in recinti privi di regolare apertura, chiusi con una rete metallica arrugginita e con vari spuntoni pericolosi, con superficie in terra battuta ricoperta da escrementi stratificati ed impregnata delle deiezioni liquide degli animali, divenuta fanghiglia a causa delle condizioni atmosferiche e riparati solo in parte in modo rudimentale da pannelli coibentati e fogli di lamiera precari del tutto inadatti a proteggere i cani dagli agenti atmosferici. Ha quindi osservato che la circostanza di tenere i cani chiusi nel recinto, ricoperti da escrementi, al freddo, in mezzo al fango ed alla sporcizia, costituiva una condotta penalmente rilevante ai sensi dell'art. 727 cod. pen., trattandosi di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di sofferenza. La decisione è in linea con la giurisprudenza di legittimità che va in questa sede ribadita, secondo cui anche l'ipotesi della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura non può prescindere, al pari delle altre, per la sua configurabilità, dalla presenza dell'elemento della sofferenza, intesa come lesione dell'integrità fisica dell'animale. E tale sofferenza, che deve caratterizzare la condotta, deve risultare da una prova adeguata, nella specie raggiunta, non superabile sulla base di semplici presunzioni circa le conseguenze negative sul benessere fisico degli animali Cass., Sez. 3., n. 601 del 01/10/1996, dep. 1997, Dal Prà, Rv. 206821-01 e n. 139 del 13/11/2000, dep. 2001, Moreschi, Rv. 218697-01 . Adeguata è la motivazione sul diniego del proscioglimento per il fatto di particolare tenuità, poiché il Giudice ha valorizzato la circostanza della crudeltà nei confronti degli animali. Gli elementi evidenziati dal ricorrente, che attengono in particolare ad una condotta successiva dell'imputato, non inficiano la razionalità dell'argomentazione in ordine all'apprezzamento del fatto. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.