Le SS.UU. stabiliscono qual è il termine ultimo per determinare il riparto di competenza tra le diverse composizioni del Tribunale

La Corte di legittimità sentenza n. 48590/19, depositata il 29 novembre , nella sua più alta espressione, interviene per dirimere un conflitto di competenza sul riparto tra composizioni differenti del medesimo Tribunale ed occuparsi, al contempo, di una contrapposizione – invero, insorta con due sole decisioni – sviluppatasi sul momento utile a rendere immutabile la competenza – anche con riferimento al riparto d’attribuzione in seno al Tribunale – che potrebbe comportare l’obbligo di far regredire il procedimento alla fase delle indagini.

Il caso. Il giudizio a quo riguardava un gruppo di soggetti, tutti operanti presso un’unica azienda locale, imputati in concorso per numerose contravvenzioni in materia ambientale per una solo di loro, poi, era stato contestato anche il reato d’abuso di ufficio. Sulla base della connessione esistente tra le diverse contestazioni, la più grave tra le quali attraeva la cognizione dell’affare alla competenza del Tribunale in composizione collegiale, il Pubblico Ministero presentava richiesta di rinvio a giudizio. Il GUP, tuttavia, non condividendo la tesi accusatoria, decretava il non luogo a procedere per il reato di cui all’art. 323 c.p. e così, in forza della competenza risultante ad esito della fase, ordinava il rinvio a giudizio per i restanti capi di imputazione dinanzi al Tribunale in composizione monocratica conformemente a Cass., Sez. VI Pen., 9.7.2003, n. 38298, RV. 227047 . Il Giudice assegnatario, però, sul presupposto che la capacità di conoscere dei fatti dovesse valutarsi al momento in cui era stata esercitata – seppur in forma, a posteriori, irrituale – l’azione penale, trasmetteva gli atti alla Composizione Collegiale in linea con Cass., Sez. I Pen., 17.10.2013, n. 69, RV. 258395 . Il Tribunale cui perveniva il fascicolo, dunque, sollevava conflitto ex art. 28, comma 2, c.p.p., censurando l’esegesi promossa dal singolo Magistrato che aveva trasmesso gli atti, poiché il consolidamento della competenza si realizzerebbe solo a conclusione dell’udienza preliminare. La Sezione I Penale, accertata la stasi processuale, ha rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla portata più o meno estesa del criterio previsto dall’art. 33 quater c.p.p., rimettendo così il ricorso alle Sezioni Unite, cui è stato indirizzato, poi, dal Primo Presidente Aggiunto. La sentenza. Il Massimo Consesso interpretativo – su parere conforme del Procuratore generale – dichiara la competenza del Tribunale di Genova in composizione monocratica, disponendo la trasmissione degli atti a tale Ufficio e confermando in toto, così, il provvedimento reso dal Giudice dell’Udienza Preliminare. L’Estensore descrive con il giusto grado di dettaglio i passaggi logici che avvalorano tale prospettiva, a partire da una ragionata rassegna dei più significativi orientamenti, costituzionali e di legittimità, in relazione agli istituti giuridici coinvolti. La soluzione del quesito posto dalla Sezione semplice, infatti, rende necessario affrontare due punti nodali il primo, inerente il momento in cui si cristallizzi la competenza a giudicare, stabilizzando la trattazione del caso il secondo, relativo alle modalità con le quali, in fattispecie analoghe, il procedimento debba proseguire, sulla scorta delle prerogative esercitabili dal Giudice all’esito dell’udienza preliminare. La perpetuatio iurisdictionis meglio, competentiae nel processo penale. In proposito, il Collegio chiarisce, preliminarmente, come un simile principio – proprio del processo civile – non trovi fondamento codicistico, ma piuttosto si correli all’esigenza, superata una data fase, di rendere stabile il rapporto processuale, evitando che evoluzioni, sostanziali e procedurali, o sopravvenienze normative possano incidervi si cita, sul punto, SS. UU. Pen., 27.9.2018, n. 28909, RV. 275870 . Ed allora, stanti, da un lato, l’instabilità della contestazione nella fase delle indagini preliminari e, dall’altro, la funzione di garanzia svolta dall’udienza preliminare, in casi simili l’immutabilità della competenza non potrà che discendere dal vaglio del G.U.P. sulle imputazioni e dalla conseguente individuazione del giudice naturale. Le modalità di prosecuzione del giudizio. Una volta definito il momento processuale utile a sancire la competenza, gli Ermellini passano a dirimere il dubbio circa la necessità che, in virtù delle diverse modalità di esercizio dell’azione penale da seguire, il fascicolo debba tornare al Pubblico Ministero, quale dominus dell’Accusa. Per risolvere l’interrogativo, partono dal considerare, per un verso, le più ampie garanzie fornite all’imputato dal rito con udienza preliminare, tanto da potersi escludere che averlo seguito, quando si sarebbe dovuto procedere con citazione diretta a giudizio, rappresenti una violazione del diritto di difesa vedi Corte costituzionale, ordinanza n. 183 del 2003 e, per l’altro, come la decadenza prevista per l’eccezione di inosservanza della regola di riparto di attribuzioni, ex art. 33- quinquies c.p.p., non possa riferirsi al mutamento dell’imputazione causato da una diversa valutazione del Giudice dell’Udienza Preliminare, evento che, nel nostro sistema, risulta del tutto fisiologico, ma attenga unicamente ad un’eventuale errata valutazione del P.M Pertanto, non avrebbe senso imporre una regressione del procedimento in presenza di un vaglio ulteriore che rafforza le garanzie difensive, potendo il G.U.P. disporre direttamente il rinvio a giudizio dinanzi al Tribunale in composizione monocratica quando, invece, il mutamento delle contestazioni abbia provocato l’omissione dell’udienza preliminare, andranno restituiti gli atti al Pubblico Ministero, affinché eserciti correttamente l’azione penale, ripristinando l’ordinario riparto di competenza. Conclusioni. Con la pronuncia in esame si afferma, conclusivamente, il seguente principio di diritto Gli effetti della connessione sull’attribuzione monocratica o collegiale si determinano al momento del rinvio a giudizio e, qualora venga meno la connessione per effetto di pronuncia di sentenza di proscioglimento e residuino solo reati per i quali è previsto il decreto di citazione a giudizio, il giudice dell’udienza preliminare deve disporre il rinvio a giudizio dinanzi al Tribunale in composizione monocratica”. Si tratta di una lettura che può condividersi, lasciando intatte le garanzie difensive e nel solco di un principio di economia processuale che, tanto più in presenza di sviluppi fisiologici del rito, deve trovare piena operatività.

Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 18 aprile – 29 novembre 2019, n. 48590 Presidente Carcano – Relatore Mogini Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Genova in composizione collegiale ha, con ordinanza del 17 maggio 2018, sollevato conflitto ai sensi dell’art. 28 c.p.p., comma 2, in riferimento al provvedimento in data 22 febbraio 2018 con il quale lo stesso Tribunale in composizione monocratica ha ritenuto che la cognizione del procedimento nei confronti di S.C. , C.P. , D.P.A. , F.P. , B.M. e Br.Ce. - imputati dei reati loro rispettivamente contestati, commessi nella gestione della discarica di Scarpino - appartenesse al Tribunale in composizione collegiale ed ha conseguentemente disposto la trasmissione degli atti al collegio. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova aveva chiesto il rinvio a giudizio dei suddetti imputati per plurimi illeciti contravvenzionali in materia ambientale F.P. era invece accusata anche del delitto di abuso di ufficio. L’azione penale è stata esercitata con richiesta di rinvio a giudizio, in applicazione dell’art. 551 c.p.p., sulla base della ravvisata esistenza di connessione tra l’imputazione di cui all’art. 323 c.p. ascritta alla sola F. , comportante la cognizione del tribunale in composizione collegiale e la celebrazione dell’udienza preliminare, e tutte le altre imputazioni. In data 30 giugno 2016 il giudice dell’udienza preliminare ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere per il reato di cui all’art. 323 c.p. e, ritenendo che tale pronuncia avesse determinato il venir meno della cognizione del tribunale in composizione collegiale, ha ordinato il rinvio a giudizio per i residui capi di imputazione dinanzi al tribunale in composizione monocratica. Con ordinanza del 22 febbraio 2018, il tribunale in composizione monocratica ha disposto la trasmissione degli atti al tribunale in composizione collegiale, ritenendo che l’attribuzione della cognizione derivante da connessione divenga definitiva con la presentazione della richiesta di rinvio a giudizio, sicché l’attribuzione al collegio non viene meno per effetto della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere in relazione al reato che ha determinato l’attrazione dell’intero procedimento alla cognizione del tribunale collegiale. A fronte di tale decisione, il tribunale in composizione collegiale ha, con l’ordinanza sopra citata, sollevato conflitto ai sensi dell’art. 28 c.p.p., comma 2, contestando il principio secondo cui la competenza per connessione si radica nel momento in cui il pubblico ministero esercita l’azione penale e ritenendo che, almeno nel caso in cui l’azione penale viene esercitata con richiesta di rinvio a giudizio ed è sottoposta, prima del dibattimento, a vaglio giurisdizionale, gli effetti della connessione sulla composizione del giudice si producono definitivamente solo a partire dalla conclusione dell’udienza preliminare, di tal che, se all’esito dell’udienza preliminare interviene il proscioglimento per il reato attributo al collegio, il rinvio a giudizio va disposto per le restanti imputazioni dinanzi al tribunale in composizione monocratica, anche qualora per i reati residui sia prevista la citazione diretta. 2. La Prima Sezione Penale, cui il ricorso è stato assegnato, ha in primo luogo dato atto dell’ammissibilità del conflitto di competenza tra il tribunale in composizione monocratica e collegiale, atteso che il contrasto tra due organi giurisdizionali in ordine al riparto di attribuzione determina una stasi processuale riconducibile ad uno dei casi analoghi disciplinati dall’art. 28 c.p.p., comma 2. Ha poi rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla portata dell’art. 33-quater c.p.p., osservando che sono state date soluzioni difformi al quesito se la norma in questione è istitutiva di un criterio originario ed autonomo di attribuzione della cognizione, irrevocabile dopo l’esercizio dell’azione penale e quindi indifferente al venir meno della connessione in conseguenza di decisioni adottate dal giudice dell’udienza preliminare, ovvero se ha una portata più limitata ed è operante solo qualora la connessione tra reati attribuiti al tribunale in diversa composizione permanga anche all’esito dell’udienza preliminare. L’ordinanza di rimessione richiama in primo luogo l’orientamento - affermato da Sez. 1, n. 69 del 17/10/2013 - dep. 2014, confl. comp. in proc. Mone, Rv. 258395 - secondo cui l’attribuzione dei procedimenti alla cognizione del giudice collegiale, determinata da ragioni di connessione, diviene definitiva ed irrevocabile per effetto dell’esercizio dell’azione penale mediante deposito della richiesta di rinvio a giudizio nella cancelleria del giudice, in applicazione del principio di perpetuatio iurisdictionis. Questa lettura della disposizione in esame non è condivisa da altra e più risalente decisione di questa Corte Sez. 6, n. 38298 del 09/07/2003, Gastaldello, Rv. 227047 , secondo cui la forza attrattiva della competenza del tribunale in composizione collegiale, prevista dall’art. 33-quater c.p.p., viene meno qualora il giudice dell’udienza preliminare ritenga - a seguito dell’attribuzione al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa ovvero del venir meno delle ragioni di connessione - di essere stato erroneamente investito della richiesta di rinvio a giudizio in relazione ad un reato per il quale è prevista la citazione diretta, dovendo egli disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero, a norma dell’art. 33-sexies c.p.p., perché quest’ultimo emetta il decreto di citazione a giudizio nei confronti degli imputati per diverso reato attribuito al tribunale in composizione monocratica. La Sezione rimettente individua un primo profilo problematico con riferimento alla rilevanza o meno delle decisioni assunte all’esito dell’udienza preliminare in ordine al riparto di attribuzione tra la cognizione del giudice collegiale e monocratico. Qualora tale quesito dovesse essere risolto nel senso che la cognizione si stabilisce definitivamente solo all’esito dell’udienza preliminare e, quindi, tenendo conto anche di quelle decisioni che possono far venir meno la cognizione del tribunale in composizione collegiale, la Prima Sezione chiede di stabilire se, in tal caso, in presenza di reati di competenza monocratica per i quali non sarebbe stata necessaria la celebrazione dell’udienza preliminare, il giudice debba disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero affinché proceda con la citazione a giudizio, ovvero possa disporre ugualmente il rinvio a giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica. Sulla base del rilevato contrasto il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite. 3. Con decreto del 28 gennaio 2019, il Primo Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza. Considerato in diritto 1. La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite può essere riassunta nei seguenti termini Se gli effetti della connessione sull’attribuzione monocratica o collegiale si determinano al momento dell’esercizio dell’azione penale ovvero del rinvio a giudizio da parte del giudice dell’udienza preliminare e se, a seguito di tale udienza, qualora venga meno la connessione per effetto della pronuncia di sentenza di proscioglimento, il giudice possa disporre il rinvio a giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica anche nel caso in cui residuino solo reati per i quali è previsto il decreto di citazione diretta a giudizio ovvero debba restituire gli atti al pubblico ministero . La questione, così come prospettata nell’ordinanza della Prima Sezione, si compone di due nuclei problematici, collegati tra loro, rispettivamente relativi alla portata dell’art. 33-quater c.p.p. e alla sua articolazione con i successivi articoli del codice di rito in materia di inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale. Il primo aspetto del problema attiene alla determinazione del momento nel quale gli effetti della connessione sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale assumono carattere definitivo e irreversibile. Il secondo, eventualmente consequenziale, profilo della questione riguarda l’individuazione del provvedimento che il giudice dell’udienza preliminare deve adottare allorché, all’esito di tale udienza, la connessione prefigurata nella richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero venga meno per effetto della pronuncia di sentenza di proscioglimento e residuino solo reati per i quali è previsto il decreto di citazione diretta a giudizio. 2. Correttamente la Sezione rimettente ha registrato un contrasto interpretativo, peraltro limitato a due sole pronunce, circa il momento in cui l’attribuzione della cognizione al tribunale in composizione collegiale o monocratica per ragioni di connessione diviene irrevocabile. 2.1. L’orientamento più recente radica la cognizione con riferimento al momento in cui viene esercitata l’azione penale Sez. 1, n. 69 del 17/10/2013 - dep. 2014, Confl. comp. in proc. Mone, Rv. 258395 . Chiamata a risolvere il conflitto tra il tribunale in composizione monocratica e quello in composizione collegiale sorto dopo che per il reato determinante l’attribuzione al tribunale in composizione collegiale era intervenuta sentenza di non luogo a procedere, la Corte ha affermato che le regole sulla competenza derivante dalla connessione costituiscono un criterio originario ed autonomo di attribuzione della competenza, il quale, in applicazione del principio della perpetuatio iurisdictionis, opera per tutto il corso del processo anche nel caso in cui, in seguito a provvedimento di separazione o per altro motivo, siano venute meno le ragioni che hanno determinato l’originario radicamento della competenza per connessione. Secondo tale impostazione, quindi, il termine a decorrere dal quale diviene definitiva ed irrevocabile l’attribuzione della competenza per connessione deve individuarsi nel momento in cui il procedimento penale assume natura giurisdizionale, mediante l’esercizio dell’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio depositata dal pubblico ministero nella cancelleria del giudice, essendo irrilevanti le vicende successive. 2.2. La Corte si è pronunciata in senso difforme Sez. 6, n. 38298 del 09/07/2003, P.G. in proc. Gastaldello, Rv. 227047 , decidendo su ricorso proposto dal pubblico ministero avverso il provvedimento con il quale il giudice dell’udienza preliminare, dopo aver dichiarato non doversi procedere in relazione al reato che determinava la competenza collegiale, aveva disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero in quanto le restanti imputazioni non solo non erano rimesse alla cognizione del collegio, ma non richiedevano neppure la celebrazione dell’udienza preliminare, trattandosi di reati per i quali era prevista la citazione diretta a giudizio. In quell’occasione, la Corte ha affermato che la forza attrattiva della competenza del tribunale in composizione collegiale, prevista dall’art. 33-quater c.p.p., viene meno qualora il giudice dell’udienza preliminare ritenga - a seguito dell’attribuzione al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa ovvero del venir meno delle ragioni di connessione - di essere stato erroneamente investito della richiesta di rinvio a giudizio in relazione ad un reato per il quale è prevista la citazione diretta, dovendo in tal caso il giudice disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero, a norma dell’art. 33-sexies c.p.p., perché emetta il decreto di citazione a giudizio nei confronti degli imputati per il diverso reato attribuito al Tribunale in composizione monocratica. 2.3. Le due pronunce esaminate si pongono evidentemente in contrasto tra di loro, nella misura in cui la prima esclude che le vicende dell’imputazione intervenute nel corso od all’esito dell’udienza preliminare possano incidere sul criterio di attribuzione della cognizione la seconda pronuncia, al contrario, attribuisce rilievo all’eventuale diversa qualificazione od alla pronuncia di sentenza di non luogo a procedere che determini il venir meno della connessione ex art. 33-quater c.p.p 3. Il primo profilo del contrasto si concentra, come si è accennato, sull’individuazione del momento in cui l’attribuzione della cognizione al tribunale in composizione collegiale o monocratica per ragioni di connessione diviene irrevocabile. 3.1. A tal riguardo occorre preliminarmente sottolineare che, come espressamente indicato nell’ordinanza di rimessione, il meccanismo della connessione opera con riguardo sia alla determinazione della competenza artt. 15 e 16 c.p.p. che al riparto di attribuzione tra l’organo monocratico e collegiale del tribunale art. 33-quater c.p.p. . Si tratta peraltro di ambiti che presentano al tempo stesso similarità e differenze. In entrambe le ipotesi la connessione costituisce la ragione che determina l’attrazione e la conseguente deroga rispetto agli ordinari criteri di competenza o di attribuzione della cognizione di un determinato reato. Tuttavia, mentre nel caso della competenza per connessione si determina lo spostamento della cognizione del procedimento ad un diverso ufficio giudiziario, nel caso dell’attribuzione per connessione disciplinata dall’art. 33-quater c.p.p. l’ufficio competente rimane il medesimo ciò che muta è solo l’articolazione interna deputata a conoscere del processo. La nozione di riparto di attribuzione è, pertanto, un concetto che solo in via descrittiva può assimilarsi alla nozione di competenza, atteso che quest’ultima contraddistingue esclusivamente i rapporti tra uffici giudiziari diversi e non all’interno del medesimo ufficio vedi, Sez. U civ., n. 1374 del 10/2/1994, Rv.485275 . L’ontologica differenza fra competenza ed attribuzione trova del resto conferma nel disposto dell’art. 33 c.p.p., comma 3, che esclude espressamente il vizio di attribuzione tra quelli concernenti la capacità del giudice, nonché nella collocazione sistematica degli artt. 33 bis e seg. c.p.p., inseriti in Capi separati VI e VI bis e non all’interno di quello disciplinante il riparto di competenza Capo II . La disciplina del riparto di attribuzione è dunque un mero criterio interno di assegnazione dei procedimenti tra tribunale in composizione monocratica e collegiale, basato sul dichiarato principio per cui dove sussiste la connessione tra più procedimenti, alcuni dei quali rimessi alla cognizione del tribunale collegiale, a quest’ultimo organo spetta la cognizione dell’intero procedimento, sul presupposto della necessaria attrazione delle imputazioni meno gravi a quelle più gravi. 3.2. La giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che i criteri di attribuzione interna dei procedimenti non incidono sul principio del giudice naturale. In particolare, la Corte, chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimità dell’art. 33 c.p.p. nella parte in cui esclude che la violazione dei criteri di assegnazione dei processi tra le sezioni del medesimo ufficio giudiziario attengano alla capacità del giudice, ha affermato che il principio costituzionale di precostituzione del giudice non implica che i criteri di assegnazione dei singoli procedimenti nell’ambito dell’ufficio giudiziario competente, pur dovendo essere obiettivi, predeterminati o comunque verificabili, siano necessariamente configurati come elementi costitutivi della generale capacità del giudice, alla cui carenza il legislatore ha collegato la nullità degli atti Corte Cost., sent. n. 419 del 1998 . In relazione all’analogo problema insorto nell’ambito del processo civile, l’ordinanza della Corte costituzionale n. 181 del 2001 ha escluso la violazione del principio del giudice naturale con riguardo al riparto di attribuzioni tra il giudice monocratico e il giudice del lavoro in quanto non essendo configurabile una questione di competenza fra giudici addetti alle diverse sezioni nelle quali si articola un medesimo ufficio giudiziario, non può sussistere l’asserita lesione del principio del giudice naturale precostituito per legge . Da ultimo, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alla compatibilità con il principio di precostituzione del giudice naturale di cui all’art. 25 Cost., comma 1, della norma che, nel processo dinanzi alla Corte dei Conti, consente al Presidente della Corte di disporre che le Sezioni riunite si pronuncino sui giudizi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni giurisdizionali, centrali o regionali, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza, la Corte Costituzionale ha ritenuto infondato il dubbio di costituzionalità, affermando che il principio di precostituzione del giudice naturale non può operare nella ripartizione, tra sezioni interne, dei compiti e delle attribuzioni spettanti ad un determinato ordine giurisdizionale Corte Cost., sentenza n. 30 del 2011 . 3.3. Pur avendo, come si è visto, diretto riferimento ai rapporti tra diverse composizioni del medesimo organo giudicante, l’art. 33-quater c.p.p. rappresenta all’evidenza l’adattamento a tale specifico ambito della regola prevista dall’art. 15 c.p.p. per il riparto della competenza per materia nel caso di connessione tra reati di spettanza del tribunale e della corte d’assise. Utili riferimenti per la soluzione del segnalato contrasto possono pertanto essere rinvenuti esaminando la giurisprudenza formatasi in relazione all’art. 15 codice di rito. 3.3.1. Anche a tale riguardo la giurisprudenza di legittimità non è univoca. Secondo l’orientamento minoritario e più risalente nel tempo, pur dovendosi ritenere che la connessione, nel sistema del vigente codice di procedura penale, operi come criterio autonomo e originario di attribuzione della competenza, la competenza determinata da ragioni di connessione assume i connotati della definitività solo una volta che, dopo l’eventuale rinvio a giudizio, risulti cristallizzato il thema decidendum sul quale il giudice del dibattimento deve pronunciarsi. Ne consegue che, prima che il simultaneus processus abbia raggiunto la fase del giudizio, quando vengano meno le ragioni di connessione per reati di competenza per materia o territoriale di altri giudici, i relativi procedimenti devono essere a tali giudici restituiti con pronuncia di incompetenza, dichiarata dal giudice per le indagini preliminari, nel corso o dopo la chiusura delle medesime indagini, ai sensi dell’art. 22 c.p.p. Sez. 1, n. 2739 del 14/5/1998, confl. comp. in proc. Campigli, Rv. 210722 Sez. 1, n. 3308 del 12/5/1997, confl. comp. in proc. Olivieri, Rv. 207757 Sez. 6, n. 2211 del 2/6/1997, Avagnano, Rv. 209329, pronunciata in relazione ad una fattispecie simile a quella oggetto di rimessione, nella quale il giudice dell’udienza preliminare aveva dichiarato il non luogo a procedere con riferimento ad alcuni dei reati che determinavano lo spostamento della competenza per connessione, conseguentemente ordinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero territorialmente competente in base ai criteri ordinari, evidenzia che, diversamente opinando, sarebbe rimessa alla insindacabile valutazione del pubblico ministero la sussistenza della connessione e la individuazione del giudice competente, in palese violazione dell’art. 25 Cost., comma 1 e art. 101 Cost., comma 2 vedi, con riferimento a competenza per connessione determinata in relazione ai delitti di cui all’art. 51 c.p.p., comma 3-bis, Sez. 6, n. 22426 del 22/4/2008, P.M. in proc. Sarandria, Rv. 240512 Sez. 6, n. 21840 del 24/05/2012, Cava, Rv. 252793 . Secondo un diverso orientamento la competenza per connessione va necessariamente determinata all’atto dell’esercizio dell’azione penale, con la conseguenza che, una volta formalizzata l’imputazione, le vicende successive ai limiti temporali di rilevazione della questione risultano inidonee ad incidere sul riparto di competenza, che va determinato con criterio ex ante, sulla scorta degli elementi disponibili al momento della formulazione dell’imputazione, in attuazione del principio della perpetuatio jurisdictionis Sez. 6, n. 33435 del 4/5/2006, Battistella, Rv. 234350 Sez. 6, n. 1131 del 12712/1996 - dep. 1997, Cama, Rv. 206901 Sez. 1, n. 3312 del 8/7/1992, Maltese, Rv. 191755 Sez. 4, n. 14699 del 12/12/2012, Perez, Rv. 255498 . 3.3.2. Le Sezioni unite hanno in primo luogo affermato, sulla scia di plurime pronunce della Corte costituzionale, che anche quello basato sulla connessione è un criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza, operante nelle ipotesi tassativamente descritte dall’art. 12 c.p.p. in tal senso anche Corte Cost., ord. n. 247 del 1998 , ed hanno sottolineato come tale connotato sia intrinsecamente finalizzato ad escludere ogni discrezionalità nell’individuazione del giudice cui è demandata la cognizione e a dare in tal modo attuazione al principio del giudice naturale precostituito per legge Sez. U, n. 27343 del 28/2/2013, Taricco, Rv. 255345 . La stessa sentenza, intervenuta a dirimere il contrasto esistente sulla questione se l’applicazione delle regole sulla competenza derivante dalla connessione fosse subordinata alla pendenza dei procedimenti nello stesso stato e grado, ha affrontato, sia pur in via incidentale e non conclusiva, la problematica relativa all’effetto che determinati esiti processuali possono produrre sulla competenza per connessione. Dopo aver precisato che il criterio di riparto della competenza basato sulla connessione opera su un piano distinto ed autonomo rispetto all’istituto della riunione e separazione dei procedimenti artt. 16 e 17 c.p.p. , essendo quest’ultimo mero strumento organizzativo del lavoro giudiziario, rimesso alla valutazione discrezionale del giudice e subordinato alla condizione che la celebrazione cumulativa dei processi non ne pregiudichi la rapida definizione, questo consesso ha affrontato incidenter la questione relativa al momento nel quale il criterio di riparto della competenza per connessione determina la definitiva individuazione del giudice cui è rimessa la cognizione del processo e la concreta operatività della regola della perpetuatio iurisdictionis. A tal proposito la sentenza Taricco afferma testualmente che nell’attuale codice di procedura penale la contestazione è, nella fase delle indagini preliminari, per così dire fluttuante, cosicché il thema decidendum del processo si cristallizza soltanto con il rinvio a giudizio . Essa precisa ulteriormente che se i criteri di attribuzione della competenza riguardano sia la fase delle indagini che quella del giudizio, è pure vero che la competenza diviene definitiva soltanto con la fase del giudizio . Le affermazioni contenute nei passaggi argomentativi della sentenza Taricco presentano tuttavia un margine di incertezza, in quanto se da un lato si afferma recisamente che l’imputazione si cristallizza soltanto con il rinvio a giudizio , dall’altro si sostiene che, al di fuori delle ipotesi espressamente considerate, proprio perché la competenza per connessione è criterio originario di attribuzione della competenza, una volta stabilita, detta competenza è indifferente agli epiloghi processuali delle singole regiudicande in qualunque stato del processo, dovendo in siffatte situazioni essere rispettato il principio della perpetuatio iurisdictionis. Va peraltro sottolineato che, con motivazione calibrata sul quesito al tempo sottoposto all’esame della Corte, la sentenza, nell’esplicitare le fattispecie nelle quali si dovrebbe escludere l’operatività della competenza per connessione, fa riferimento ai casi dell’archiviazione e, quindi, ad un esito procedimentale antecedente all’esercizio dell’azione penale, nonché all’intervenuta definizione con sentenza passata in giudicato del processo per il reato che esercita la vis attractiva. Rimane dunque aperta la questione circa l’incidenza che l’eventuale sentenza di non luogo a procedere può determinare rispetto alla competenza per connessione. 3.4. I segnalati dubbi interpretativi possono peraltro essere superati e risolti ove si consideri che, come pure affermato da questo consesso Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007 - dep. 2008, Battistella, Rv. 238239 in ordine al diverso problema della genericità dell’imputazione e dei poteri del giudice per l’udienza preliminare per porvi rimedio, se l’udienza preliminare resta connotata da una maggiore fluidità dell’addebito, che si cristallizza solo con il decreto che dispone il giudizio, deve pure convenirsi che l’intervento del giudice per assicurare la costante corrispondenza dell’imputazione a quanto emerge dagli atti costituisca un atto doveroso e un’esigenza insopprimibile, non solo a garanzia del diritto di difesa dell’imputato e dell’effettività del contraddittorio, ma anche al fine di consentire che il controllo giurisdizionale sul corretto esercizio dell’azione penale si svolga in piena autonomia e si concluda eventualmente con una decisione di rinvio a giudizio che, nel fissare il thema decidendum, abbia ad oggetto un’imputazione riscontrabile negli atti processuali e sia supportata da specifiche fonti di prova in ordine ai fatti storici contestati con chiarezza e precisione, anziché un’imputazione priva di concreto contenuto materiale, inidonea a reggere l’urto della verifica preliminare di validità nella fase introduttiva del dibattimento . Sarebbe infatti del tutto incongruo con il ruolo attribuito al giudice dell’udienza preliminare in ordine alla corretta formulazione dell’imputazione, che perciò diviene definitiva solo all’esito della predetta udienza, non tener conto dell’eventuale pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere anche ai fini del corretto riparto di competenza o dell’attribuzione della cognizione del processo al tribunale in composizione collegiale o monocratica. Poiché l’addebito si cristallizza solo con il decreto che dispone il giudizio, e dunque col passaggio dall’udienza preliminare al dibattimento, le modifiche della regiudicanda prodotte dalla sentenza di non luogo a procedere che determini il venir meno dell’imputazione dotata di vis attrattiva si riflettono necessariamente sull’individuazione del giudice - monocratico o collegiale - dinanzi al quale si dovrà celebrare il giudizio. Tale soluzione salvaguarda la funzione di vaglio preliminare attribuita al giudice dell’udienza preliminare in ordine all’imputazione formulata dal pubblico ministero e impedisce che le scelte dell’organo dell’accusa possano - pur quando manifestamente erronee o infondate - rendere immodificabile l’attribuzione della competenza a un giudice che, in difetto dell’operatività del criterio della connessione, ne sarebbe privo. 3.5. A tale conclusione non osta il menzionato principio della perpetuatio iurisdictionis rectius competentiae così, Sez. U, n. 28909 del 27/09/2018, Treskine, Rv. 275870 . Si tratta invero di un principio che il codice di procedura penale non menziona, ma che nel nostro ordinamento è espressamente considerato dall’art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo . Frutto di una risalente esperienza giudiziaria penale, ribadita anche con l’avvento del processo del 1988, tale principio trova la sua origine nell’esigenza di rendere stabile l’attribuzione di un determinato procedimento al giudice naturale, evitando che vicende processuali, sostanziali od anche normative sopravvenute possano incidere sul rapporto processuale Sez. U, Treskine, cit. . La finalità, pertanto, è essenzialmente quella evitare che la competenza, una volta stabilizzata perché sottoposta al vaglio del giudice in relazione all’addebito definitivamente determinato, possa subire modifiche in corso di svolgimento del giudizio, garantendo anche al giudice di poter adeguare la qualificazione giuridica del fatto senza privarsi della competenza. Al contempo, la perpetuatio iurisdictionis assicura il rispetto dei principi di certezza ed economia processuale, ed è funzionale all’interesse dell’amministrazione giudiziaria alla ragionevole durata del processo, tutelato dall’art. 111 Cost., comma 3. Proprio in considerazione della funzione della perpetuatio iurisdictionis, si comprende la ragione per cui il suo ambito operativo si collochi dopo il passaggio alla fase del giudizio, allorché si rende necessario garantire quella stabilità di competenza che, invece, non è funzionale nel corso delle indagini preliminari. Va a tale riguardo evidenziato che il ruolo del giudice dell’udienza preliminare è finalizzato anche alla verifica della corretta individuazione della competenza da parte del pubblico ministero. In base all’art. 21 c.p.p., comma 3, l’incompetenza derivante da connessione è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall’art. 491 c.p.p., comma 1. Analoga disciplina è contenuta nell’art. 33-quinquies c.p.p. per il caso di inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale. Da ciò consegue che la competenza per connessione, pur essendo un criterio autonomo ed originario di attribuzione della competenza, si determina stabilmente soltanto attraverso il vaglio giurisdizionale sull’esercizio dell’azione penale compiuto dal giudice nei termini stabiliti dal codice di rito a pena di decadenza. Tale soluzione è del resto coerente con la funzione stessa dell’udienza preliminare che, pur a seguito del notevole ampliamento dei poteri istruttori e degli esiti possibili, rimane un momento di verifica delle modalità di esercizio dell’azione penale in vista della successiva fase del giudizio di merito. In quest’ottica, l’eventuale proscioglimento relativo al reato che determina lo spostamento della competenza per connessione deve essere necessariamente considerato al fine di ripristinare l’ordinario riparto di competenza erroneamente alterato dalla contestazione di un reato ritenuto - nei termini di irreversibile evidenza richiesti per l’adozione di una sentenza di non luogo a procedere - non sussistente o in concreto non perseguibile. Solo in tal modo, del resto, si evita di delegare interamente all’autorità requirente l’individuazione del giudice dinanzi al quale celebrare il giudizio, salvaguardando la cognizione del giudice naturale precostituito per legge. Il riconoscimento della competenza per connessione quale criterio originario di riparto della competenza e il principio della perpetuatio iurisdictionis vanno dunque necessariamente articolati con il principio costituzionale di precostituzione del giudice naturale, evitando che l’individuazione della competenza sia frutto di valutazioni del pubblico ministero sulle quali non si riconosca al giudice delle indagini preliminari un adeguato potere di controllo. In definitiva, il principio della perpetuatio iurisdictionis, inteso come immutabilità della competenza a fini di certezza ed economia processuale e di tutela della ragionevole durata del processo, non può che riferirsi alla determinazione della regiudicanda risultante dal complessivo vaglio del giudice dell’udienza preliminare sull’accusa formulata dal pubblico ministero e alla conseguente individuazione del giudice naturale operata sulla base dell’esito di quel controllo e degli addebiti contestati nel decreto di rinvio a giudizio. A maggior ragione, deve ritenersi che l’applicazione delle regole di riparto dell’attribuzione della cognizione tra tribunale in composizione collegiale o monocratica vada operata sulla scorta dell’esito dell’udienza preliminare, con la conseguenza che ove venga meno il reato che esercita l’attrazione del procedimento dinanzi al collegio, la cognizione in ordine alle ulteriori contestazioni è attribuita al giudice monocratico. Nel caso disciplinato dall’art. 33-quater c.p.p., infatti, la disciplina non attiene al riparto di competenza e, non venendo in considerazione il principio di precostituzione del giudice naturale, risulta preminente l’interesse ad attuare la corretta distribuzione dei procedimenti all’interno delle diverse articolazioni monocratica o collegiale - del medesimo ufficio giudiziario. La più attenta dottrina ha a tal proposito sottolineato come, sebbene anche il criterio di attribuzione per connessione previsto all’art. 33-quater c.p.p. operi come criterio autonomo ed originario, tanto da determinare la sua operatività fin dalla fase procedimentale, ciò non comporta che il principio della perpetuatio iurisdictionis si applichi prima della definitiva cristallizzazione dell’imputazione conseguendone che gli effetti della connessione sul riparto di attribuzione devono ritenersi definitivi solo quando il procedimento sia pervenuto alla fase del dibattimento. Alla luce di quanto finora osservato, pertanto, può concludersi nel senso che il principio della perpetuatio iurisdictionis, applicato alle diverse fattispecie della competenza per connessione e del riparto di attribuzione tra giudice collegiale e monocratico, non è di ostacolo alla verifica della correttezza dell’imputazione, formulata dal pubblico ministero, in sede di udienza preliminare. L’imputazione si cristallizza solo al momento del passaggio dall’udienza preliminare al dibattimento e, pertanto, le modifiche che intervengano all’esito dell’udienza preliminare producono effetto sulla determinazione dell’individuazione del giudice - monocratico o collegiale - dinanzi al quale si dovrà celebrare il giudizio. 4. La risposta affermativa data al primo quesito impone di affrontare l’ulteriore questione proposta con l’ordinanza di rimessione. Di stabilire, cioè, se, venuta meno la connessione per effetto della pronuncia di sentenza di proscioglimento, il giudice dell’udienza preliminare possa disporre il rinvio a giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica anche nel caso in cui residuino solo reati per i quali è previsto il decreto di citazione diretta a giudizio, ovvero debba restituire gli atti al pubblico ministero. Le fattispecie in concreto ipotizzabili si distinguono, infatti, a seconda che, per i reati attribuiti al giudice monocratico, sia o meno prevista l’udienza preliminare. Nella prima eventualità, il venir meno del reato che determinava l’attribuzione al collegio non incide sul regime della fase precedente al giudizio, poiché il residuale reato di competenza del giudice monocratico richiede anch’esso la celebrazione dell’udienza preliminare. La modifica del thema decidendum che il giudice dell’udienza preliminare determina per effetto della sentenza di non luogo a procedere ripristina dunque l’attribuzione monocratica prevista per i reati residui, ma lascia inalterata la necessità dell’udienza preliminare. Diversa è la fattispecie, oggetto dell’ordinanza di rimessione, che si verifica ove per i residui reati attribuiti al giudice monocratico sia prevista la citazione diretta a giudizio. In tal caso, il giudice dell’udienza preliminare, una volta determinato il venir meno della cognizione collegiale, potrebbe disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero al fine di consentirgli di esercitare l’azione mediante la citazione diretta a giudizio. Si tratta di una soluzione che, se da un lato riconduce il procedimento nell’iter che avrebbe dovuto assumere fin dal principio, al contempo determina la sua regressione dalla fase dell’udienza preliminare a quella delle indagini preliminari per consentire al pubblico ministero il nuovo esercizio dell’azione nelle forme corrette della citazione diretta a giudizio. In alternativa, il giudice per l’udienza preliminare che abbia pronunciato sentenza di non luogo a procedere per il reato attribuito al collegio, potrebbe direttamente disporre il rinvio a giudizio dinanzi al giudice monocratico per le residue imputazioni, ivi comprese quelle per le quali sarebbe stata sufficiente la citazione diretta a giudizio. Verrebbe in tal modo evitata la regressione del procedimento, in ossequio ai principi di economia processuale e di ragionevole durata del giudizio, determinandosi in tal modo l’immediato passaggio del procedimento alla fase del dibattimento. 4.1. Orbene, l’art. 33-sexies c.p.p. dispone testualmente Se nell’udienza preliminare il giudice ritiene che per il reato deve procedersi con citazione diretta a giudizio pronuncia, nei casi previsti dall’art. 550, ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero per l’emissione del decreto di citazione a giudizio . Occorre premettere che la previgente formulazione dell’art. 33-sexies c.p.p. non contemplava la regressione del procedimento dinanzi al pubblico ministero, prevedendo invece che fosse il giudice dell’udienza preliminare, una volta ritenuta la cognizione del tribunale in composizione monocratica, ad emettere il decreto di citazione a giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al pubblico ministero. La differente scelta compiuta con la modifica dell’art. 33-sexies c.p.p. operata con la L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 47 nel senso di prevedere la regressione del procedimento è stata generalmente ricondotta alla prevalente necessità di garantire la netta separazione tra le diverse forme dell’esercizio dell’azione penale per i reati attribuiti alla cognizione del tribunale in composizione monocratica, risultando la citazione diretta una prerogativa propria all’organo dell’accusa. Il rispetto delle forme previste per l’esercizio dell’azione penale, peraltro, non è un valore di per sé assoluto. Il rito che contempla l’udienza preliminare rappresenta infatti un’alternativa procedimentale maggiormente garantita per l’imputato, sicché l’eventuale passaggio per l’udienza preliminare, anche ove essa non fosse stata necessaria, non determina alcuna nullità. La Corte costituzionale - chiamata a pronunciarsi sulla questione di costituzionalità dell’art. 33-sexies c.p.p., prospettata con riferimento agli artt. 2, 34 e 111 Cost. relativamente alla mancata previsione della restituzione in termini dell’imputato per la richiesta di riti alternativi nel caso in cui il giudice dell’udienza preliminare abbia erroneamente disposto il rinvio a giudizio, anziché ordinare la restituzione degli atti al pubblico ministero affinché procedesse con citazione diretta - ha escluso il dubbio di costituzionalità osservando che il rito con udienza preliminare offre, nel suo complesso, maggiori garanzie all’imputato rispetto al rito con citazione diretta, sicché deve escludersi che l’adozione della sequenza processuale non richiesta per il titolo di reato, ma comunque più garantita, possa comportare la violazione dei diritti della difesa Corte Cost., ord. n. 183 del 2003 . In vero, la disciplina dell’art. 33-sexies c.p.p. va necessariamente correlata a quella relativa al termine entro il quale rilevare od eccepire l’inosservanza delle disposizioni relative alla cognizione monocratica o collegiale. L’art. 33-quinquies c.p.p., infatti, stabilisce che l’erronea individuazione dell’attribuzione collegiale o monocratica deve essere eccepita o rilevata a pena di decadenza prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall’art. 491, comma . Dalla lettura coordinata delle norme sopra richiamate, quindi, si desume che il modulo procedurale previsto all’art. 33-sexies c.p.p. è riferito ai casi in cui il vizio nella modalità dell’esercizio dell’azione è desumibile dalla stessa formulazione dell’imputazione ha riguardo, cioè, ai fatti-reato così come contestati dal pubblico ministero, non già a quelli, eventualmente ridotti o diversi, ritenuti dal giudice all’esito dell’esame nel merito della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti sui quali essa si fonda vedi, Sez. 5, n. 31975 del 10/07/2008, Ragazzoni, Rv. 241162 . La previsione di termini preclusivi richiede infatti necessariamente la preesistenza, e quindi la conoscibilità per le parti, del presupposto per l’esercizio della facoltà, sicché il regime dell’eccezione di parte di cui all’art. 33-quinquies c.p.p. e la relativa decadenza devono necessariamente riferirsi all’imputazione originaria così come formulata dal pubblico ministero e non si applicano alla diversa ipotesi del mutamento dell’imputazione per effetto di una sopravvenuta diversa valutazione da parte del giudice dell’udienza preliminare. Diversamente opinando, si determinerebbe un vulnus all’esercizio dei poteri della difesa. Nel caso in cui la modifica nell’attribuzione, monocratica o collegiale, consegua all’adozione di una sentenza di non luogo a procedere che determini il venir meno della connessione rilevante ex art. 33-quater c.p.p., l’imputato verrebbe in concreto privato della possibilità di sollevare la relativa eccezione, atteso che quella pronuncia e la contestuale adozione del decreto di rinvio a giudizio per i reati residuali intervengono a chiusura dell’udienza preliminare e, quindi, egli non avrebbe più la possibilità di sollevare l’eccezione nei termini perentori previsti dall’art. 33-quinquies c.p.p Del resto, la modifica dell’attribuzione della cognizione - monocratica e non più collegiale derivante dal vaglio esercitato dal giudice dell’udienza preliminare sull’imputazione formulata dal pubblico ministero è evento processuale, per un verso, del tutto fisiologico, rientrando a pieno titolo nelle generali attribuzioni di quel giudice, e, per altro verso, non collegato ad un’iniziale erronea individuazione del rito da seguire da parte dell’organo di accusa. Sicché, in assenza di qualsivoglia violazione dei diritti della difesa o delle prerogative del pubblico ministero, preminente rilievo deve essere attribuito, in tal caso, alle esigenze di celerità e ragionevole durata del processo, attuabili esclusivamente mediante il rinvio a giudizio. 4.2. Tale ricostruzione è, in vero, coerente con il regime previsto per la fase dibattimentale dall’art. 33-septies c.p.p., secondo il quale se nel dibattimento di primo grado instaurato a seguito dell’udienza preliminare il giudice ritiene che il reato appartiene alla cognizione del tribunale in composizione diversa, trasmette gli atti, con ordinanza, al giudice competente a decidere sul reato contestato qualora, invece, sia il giudice monocratico a ritenere che il reato appartiene alla cognizione del collegio, dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero. Quest’ultima previsione va interpretata nel senso che la trasmissione degli atti al pubblico ministero si rende necessaria solo qualora il procedimento sia giunto alla cognizione del giudice monocratico a seguito di citazione diretta e, quindi, senza la celebrazione dell’udienza preliminare. Tale omissione comporta l’impossibilità di una traslatio iudicii diretta tra il giudice monocratico e quello collegiale, posto che, se così fosse, si determinerebbe una lesione dei diritti di difesa dell’imputato che si vedrebbe privato di una fase processuale. Questo consesso ha a tale riguardo recentemente affermato che l’art. 33 septies c.p.p. non può che essere interpretato nel senso che l’accertamento dell’inosservanza delle disposizioni che regolano l’attribuzione dei reati al giudice collegiale o al giudice monocratico comporta, per regola generale, la mera trasmissione degli atti al giudice competente, senza alcuna regressione di fase e, dunque, senza alcuna restituzione degli atti al pubblico ministero. Solo nel caso, residuale, in cui all’imputato spettava il passaggio alla fase processuale dell’udienza preliminare e tale passaggio gli sia stato arbitrariamente negato, il giudice del dibattimento deve invece trasmettere gli atti al pubblico ministero, così che l’imputato possa essere rimesso nella condizione di accedere alla udienza preliminare e di avanzare richiesta di riti alternativi nella sede che era per essi propria sicché dell’art. 33 septies, il comma 2 va riferito esclusivamente all’ipotesi in cui il giudice del dibattimento rilevi non solo che il reato è stato erroneamente ritenuto tra quelli attribuibili alla cognizione del giudice in composizione monocratica anziché collegiale, ma che a causa di tale errore è stata altresì erroneamente omessa l’udienza preliminare Sez. U, n. 29316 del 26/02/2015, De Costanzo, Rv. 264262 per l’affermazione di analogo principio con riguardo alla similare ipotesi della trasmissione degli atti dal tribunale alla Corte d’assise, nel caso di sentenza dichiarativa di incompetenza per materia, si veda, Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270935, ove si è sottolineato come non sussista la necessità della regressione del procedimento e di una nuova celebrazione dell’udienza preliminare, avendo le parti già potuto liberamente esercitare i propri diritti in quella precedente, legittimamente svoltasi dinanzi al giudice naturale, palesandosi la ripetizione dell’udienza preliminare come adempimento in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo per una recente applicazione della regola in relazione al giudizio direttissimo che, contemplando l’omissione dell’udienza preliminare, prevede un iter identico sia che il reato rientri tra quelli attribuiti al giudice monocratico che collegiale, non assumendo rilievo neppure la diversa modalità di esercizio dell’azione penale, nelle forme della citazione diretta o della richiesta di rinvio a giudizio, Sez.5, n. 55261 del 23/10/2018, Zahir Mohamed, Rv. 274606 . Va del resto osservato, con la più attenta dottrina, che nel caso in cui il giudice monocratico, pur ritenendo che il processo non sia tra quelli attribuiti al collegio, rilevi che si è proceduto con l’udienza preliminare in relazione ad un reato che consentiva la citazione diretta a giudizio, non dovrà far altro che proseguire nel dibattimento, proprio perché la celebrazione - non necessaria - di una fase processuale che rafforza le garanzie dell’imputato, non giustificherebbe in alcun caso la regressione del procedimento con la restituzione degli atti al pubblico ministero, il cui unico fine sarebbe quello di esercitare correttamente l’azione penale. In definitiva, una volta che il procedimento è pervenuto alla fase dibattimentale, gli eventuali errori concernenti l’attribuzione al giudice monocratico o collegiale trovano di regola soluzione mediante la mera trasmissione orizzontale dall’uno all’altro giudice, senza che occorra la regressione del procedimento. La necessità della restituzione degli atti al pubblico ministero sorge nei soli casi in cui l’erronea individuazione del giudice cui spetta la cognizione del processo abbia comportato anche l’omissione dell’udienza preliminare, nel qual caso si determina una violazione dei diritti della difesa che può essere sanata esclusivamente mediante la regressione degli atti al pubblico ministero affinché eserciti correttamente l’azione penale. Riprova di ciò è desumibile anche dalla disciplina contenuta all’art. 521 bis c.p.p., secondo cui nel caso di diversa qualificazione giuridica del fatto, ovvero di modifiche all’imputazione o di contestazioni suppletive, il giudice è tenuto a disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero nel solo caso in cui il reato risulti tra quelli per i quali è prevista l’udienza preliminare e questa non si sia tenuta per effetto della diversa imputazione originaria. 5. In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto Gli effetti della connessione sull’attribuzione monocratica o collegiale si determinano al momento del rinvio a giudizio e, qualora venga meno la connessione per effetto di pronuncia di sentenza di proscioglimento e residuino solo reati per i quali è previsto il decreto di citazione a giudizio, il giudice dell’udienza preliminare deve disporre il rinvio a giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica . 6. Alla luce delle precedenti considerazioni, la Corte ritiene che correttamente il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova, dopo aver pronunciato sentenza di non luogo a procedere per il reato di cui all’art. 323 c.p. contestato a F.P. e ritenendo che tale pronuncia avesse determinato il venir meno della cognizione del Tribunale in composizione collegiale, ha ordinato il rinvio a giudizio per i residui capi di imputazione dinanzi al Tribunale di Genova in composizione monocratica. Va pertanto affermata la competenza del Tribunale di Genova in composizione monocratica, cui vanno trasmessi gli atti. La Cancelleria curerà gli adempimenti previsti dall’art. 32 c.p.p., comma 2. P.Q.M. Dichiara la competenza del Tribunale di Genova in composizione monocratica, a cui dispone trasmettersi gli atti.