Il “no” del giudice dell'esecuzione: il rimedio è l'opposizione

Avverso i provvedimenti emessi dal giudice dell'esecuzione in esito ad istanze proposte per investigazioni difensive in vista della revisione del giudicato di condanna, il rimedio corretto è quello dell'opposizione, mentre il ricorso per cassazione è esperibile soltanto nei casi di abnormità.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 48475/19, depositata il 28 novembre Le investigazioni difensive funzionali alla revisione del giudicato. L'ordinanza che oggi commentiamo nasce nel contesto dell'attività di investigazione difensiva predisposta dalla difesa di due condannati per omicidio lo scopo ultimo è quello di tentare la strada della revisione del giudicato. Alcune iniziative investigative, a ciò funzionali e prodromiche, erano state già avviate non entriamo volutamente nel merito, fornendo ulteriori ragguagli, per non frustrare la strategia del caso concreto ma si erano scontrate con un iniziale diniego dell'autorità giudiziaria una richiesta di incidente probatorio era stata dichiarata inammissibile. Poi, a questa erano seguite altre istanze, rivolte al giudice dell'esecuzione, finalizzate a compiere specifiche attività investigative. Niente da fare dall'autorità giudiziaria arriva un altro no”. La ragione del diniego è duplice da un lato si valorizza il principio secondo cui non devono trovare accoglimento richieste investigative esplorative” dall'altro lato, invece, si afferma che deve essere la difesa a dimostrare la decisività dell'accertamento che intende compiere se non lo fa, la richiesta va rigettata. Non ricorso, ma opposizione. La difesa tenta di scalare il muro alzato dal giudice dell'opposizione criticando la legittimità del provvedimento di diniego. Gli Ermellini, nel merito del ricorso non entrano. In forza del principio di conservazione degli atti, però, riqualificano il ricorso in opposizione e mandano tutto al giudice dell'esecuzione, che dovrà decidere se ritornare sui propri passi o meno. Il principio di diritto è lapidario quando vi sono provvedimenti emessi dal giudice dell'esecuzione senza alcun contraddittorio come quelli oggetto del caso concreto, dato che riguardavano reperti in sequestro , il rimedio da esperire è quello dell'opposizione, mentre il ricorso per cassazione va proposto soltanto nel caso di abnormità del provvedimento. Le ragioni possiamo rintracciarle facilmente le norme che concernono i provvedimenti emessi senza formalità costituiscono un gruppo di disposizioni certamente speciali che, in quanto tali, prevalgono sulle altre. La strada del ricorso per cassazione, invece, è garantita nei casi di abnormità – sia strutturale che funzionale – per scongiurare le ben note paralisi” processuali che possono derivare dall'adozione di un provvedimento del tutto avulso dalla realtà processuale. Una tutela debole. La decisione della Suprema Corte risolve il problema contingente, ma lascia irrisolto quello principale quale garanzia di un effettivo riesame del provvedimento impugnato possiamo rinvenire nel caso in cui quest'ultimo debba essere riesaminato dallo stesso giudice che lo ha emesso? È lecito ritenere che l'estensore di un determinato provvedimento giudiziario non ritornerà facilmente sui propri passi sol perché il destinatario di quella decisione ne effettua una – anche serrata – critica. Per non parlare degli effetti di un assetto normativo del genere se l'interlocuzione con il giudice dell'esecuzione è inevitabile in vista del ricorso per revisione, che si vorrebbe fondare – per non renderlo inammissibile o pretestuoso – su seri dati di fatto oggettivi, dobbiamo renderci conto che nei casi in cui ogni istanza è rigettata vi è una sostanziale preclusione all'esperimento di un mezzo di impugnazione straordinaria, con buona pace della concretizzazione delle esigenze di giustizia. Non sarebbe sbagliato, a nostro avviso, introdurre invece un subprocedimento impugnativo dedicato a questa specifica casistica, con la garanzia della diversità del giudice dell'opposizione rispetto a quello che ha adottato il provvedimento oggetto di censura.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 settembre – 28 novembre 2019, n. 48475 Presidente Di Tomassi – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di assise di Como, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava le istanze proposte dai difensori di B.R. e R.O., condannati alla pena dell’ergastolo per omicidio volontario. 1.1. Con una prima istanza i difensori avevano chiesto l’autorizzazione a procedere, in forza dell’art. 391 decies c.p.p., ad accertamenti tecnici non ripetibili da eseguirsi su campioni biologici, reperti e corpi di reato raccolti nel procedimento penale al fine di isolare profili genetici non rilevati durante le indagini. Secondo l’istanza, alcuni reperti non erano mai stati analizzati, mentre altri erano meritevoli di nuove analisi. L’istanza si fondava sulla motivazione della sentenza della Corte di Cassazione emessa sul ricorso proposto avverso l’ordinanza della Corte di appello di Brescia, che aveva dichiarato inammissibile la richiesta di incidente probatorio finalizzata alla richiesta di revisione la Cassazione aveva rigettato il ricorso ma, in motivazione, aveva esposto i poteri di indagine difensiva volta alla presentazione della domanda di revisione. Con una seconda istanza i difensori avevano chiesto alla Corte di autorizzare la difesa, in forza dell’art. 391 septies c.p.p., all’accesso presso la sede della società s.p.a. di al fine di consentire l’individuazione dei server ove risiederebbero i files originali delle intercettazioni ambientali e, una volta individuati, a procedere ad accertamenti non ripetibili su detti server. Secondo i difensori, dalle copie dei fi/es delle intercettazioni consegnate dal consulente della Procura della Repubblica sarebbero mancanti numerosi files audio delle intercettazioni ambientali svolte presso l’Ospedale di e presso l’abitazione di . La Corte di Assise osservava che la aveva comunicato di essersi limitata a noleggiare gli apparati di intercettazione e di registrazione alla Procura della Repubblica di Como e aveva negato di essere mai stata in possesso di alcun supporto e/o intercettazione. Con una terza istanza, integrativa della prima, i difensori avevano chiesto l’autorizzazione a procedere ad accertamenti non ripetibili su un telefono cellulare, su cinque coltelli e un affilacoltelli per analizzare i dati informatici e isolare profili genetici non rilevati nel corso delle indagini. Con riferimento a tale ultima istanza, l’ordinanza ricordava che, con provvedimento del 20/4/2015, la Corte d’assise aveva rigettato l’istanza di autorizzazione al prelievo di reperti biologici custoditi presso il Dipartimento di Medicina Forense dell’Università di e presso il RIS di Parma e aveva ordinato la confisca e la distruzione dei corpi di reato ancora presenti presso l’Ufficio dei corpi di reato del Tribunale, sia pure differendone l’esecuzione. I due provvedimenti non erano mai stati impugnati. L’esecuzione dell’ordine di distruzione era stata ripetutamente differita fino all’esito della decisione definitiva sull’istanza di incidente probatorio finalizzata alla revisione del processo presentata alla Corte di appello di Brescia. L’istanza di incidente probatorio era stata dichiarata inammissibile con ordinanza del 16/1/2018, divenuta definitiva il 12/7/2018, data della sentenza della Corte di Cassazione che aveva rigettato il ricorso proposto contro la stessa. Il 12/7/2018 l’Ufficio Corpi di reato aveva dato corso alla distruzione ma, in data 14/1/2019, nel corso del riordino dei plichi, ne era stato rinvenuto uno, appartenente al procedimento in oggetto, contenente il telefono cellulare e i coltelli oggetto della terza istanza. 1.2. La Corte rigettava la prima istanza applicando il principio di diritto in base al quale l’autorizzazione a svolgere attività investigativa finalizzata ad una richiesta di revisione deve essere negata in presenza di istanze meramente esplorative ovvero mirate ad accertamenti che appaiano, all’evidenza, superflui o inidonei a determinare modificazioni sostanziali del quadro probatorio principio che impone alla parte di dedurre la decisività dello specifico atto di indagine difensiva richiesto e di indicare l’utilità che si mira a conseguire attraverso l’esercizio del diritto. Secondo la Corte, i difensori non avevano dedotto la decisività dell’atto di indagine richiesto e l’utilità che essi miravano a conseguire. Per di più, la prima istanza costituiva la riproposizione parziale di quella già valutato dalla Corte di appello di Brescia nel dichiarare inammissibile la richiesta di incidente probatorio finalizzato al giudizio di revisione la Corte aveva ritenuto che l’impianto probatorio che aveva permesso la condanna irrevocabile non sarebbe stato distrutto dall’accertata presenza di tracce biologiche di soggetti diversi rispetto a coloro che frequentavano o avevano avuto accesso all’abitazione. Secondo la Corte di assise, poi, la seconda e la terza istanza erano del tutto immotivate. Inoltre, la non aveva la disponibilità delle registrazioni digitali delle intercettazioni, di cui aveva la disponibilità la Procura della Repubblica nei propri server, ai quali non poteva essere concesso l’accesso ai privati per la tutela della segretezza delle indagini passate e presenti e della riservatezza dei soggetti coinvolti. Del resto, i difensori avevano già la copia delle registrazioni. La Corte disponeva che, divenuto definitivo il provvedimento, fosse data esecuzione all’ordine di distruzione dei corpi di reato ancora in custodia dell’Ufficio dei Corpi di Reato. 2. Ricorrono per cassazione i difensori di R.O. e B.R. . In un primo motivo i ricorrenti deducono violazione dell’art. 666 c.p.p., art. 667 c.p.p., comma 4, e art. 676 c.p.p., con riferimento all’adozione del provvedimento senza fissazione di udienza da parte della Corte di Assise di Como. Tale procedura è consentita solo in ipotesi specificamente determinate dalla legge e, quindi, il provvedimento era affetto da nullità assoluta, in quanto le istanze avanzate dalla difesa non erano comprese nelle predette ipotesi. In un secondo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge processuale e vizio di motivazione. Secondo i ricorrenti, il provvedimento emesso dalla Corte di Assise di Como mirava ad impedire alla difesa di effettuare le indagini difensive volte alla revisione del processo e, quindi, creava una nuova situazione di stallo così come quella creata dalla Corte di appello di Brescia nel dichiarare inammissibile la richiesta di incidente probatorio con l’ordinanza ritenuta abnorme dalla Cassazione. La difesa aveva inutilmente tentato di impedire la distruzione dei reperti, ordinata con provvedimento abnorme della Corte di assise di Como. Tuttavia, era recentemente emerso che la Cancelleria dei Corpi di reato del Tribunale di Como non aveva distrutto determinati reperti. I difensori sottolineano che la Corte di Cassazione, pur rigettando il ricorso avverso l’ordinanza di inammissibilità della richiesta di incidente probatorio, aveva affermato il principio di diritto secondo cui le attività di investigazione difensiva finalizzate al giudizio di revisione possono avere carattere esplorativo e non debbano essere circoscritte ai casi nei quali gli elementi abbiano l’idoneità a fondare un giudizio di revisione. La Corte di assise di Como aveva, invece, richiamato il principio opposto che, peraltro, la Cassazione non aveva affatto affermato. Del resto, nell’istanza era stato documentato che molti dei reperti indicati non erano mai stati analizzati, con la conseguente possibilità di effettuare gli accertamenti. Se, tramite gli accertamenti, si fossero individuati profili genetici appartenenti a soggetti rimasti sconosciuti alle indagini e non quelli dei due condannati, sarebbe stato possibile avanzare richiesta di revisione. Con riferimento al rigetto dell’istanza di accesso ai files audio, la difesa aveva evidenziato la mancanza di alcuni di essi era indispensabile ascoltarli per comprendere, ai fini della revisione, cosa o chi aveva spinto il testimone F. a cambiare le sue dichiarazioni e ad indicare R.O. come suo aggressore. La motivazione del rigetto non teneva conto che la difesa aveva chiesto esclusivamente di ascoltare i files audio relativi alla cd. OMISSIS , cosicché non vi era alcun problema di segretezza delle indagini. Per di più, la Cassazione aveva affermato il diritto della difesa ad accedere alle registrazioni originali. Nel caso di specie, era necessario accedere alle registrazioni in quanto nella copia che era stata rilasciata alla difesa mancavano alcuni files audio, circostanza di cui la Procura della Repubblica aveva fornito una spiegazione congetturale. In un terzo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge in relazione al provvedimento di confisca e di distruzione dei reperti ordinato dal giudice dell’esecuzione e reiterato con l’ordinanza impugnata. I ricorrenti segnalano di avere proposto anche opposizione ai sensi dell’art. 667 c.p.p., comma 4, trattandosi di provvedimento che, al contrario degli altri, doveva essere adottato de plano. Secondo i ricorrenti, l’ordinanza del 20/4/2015 con la quale la Corte di assise di Como aveva disposto la confisca e la distruzione dei reperti era abnorme e, quindi, affetta da nullità assoluta la difesa ne aveva più volte chiesto la revoca. Il provvedimento era abnorme in quanto adottato senza richiesta di parte inoltre, il giudice dell’esecuzione non poteva emettere un provvedimento di confisca facoltativa non emesso dal giudice della cognizione. Del resto, la maggior parte degli oggetti confiscati e distrutti appartenevano alle vittime o a soggetti estranei al reato ai quali avrebbero dovuto essere restituiti. I ricorrenti concludono per l’annullamento dell’ordinanza impugnata. 3. Il Procuratore generale, Dott. Giovanni Di Leo, nella requisitoria scritta, conclude per la declaratoria di inammissibilità del ricorso e, in linea subordinata, per la conversione del ricorso in opposizione dinanzi al giudice dell’esecuzione. 4. La difesa del ricorrente ha depositato memoria di replica. Considerato in diritto In accoglimento delle conclusioni avanzate in via subordinata dal Procuratore generale, il ricorso deve essere qualificato come opposizione e gli atti devono essere trasmessi alla Corte di Assise di Como. Come esposto in precedenza, avverso l’ordinanza in questa sede impugnata gli odierni ricorrenti hanno già presentato opposizione davanti alla stessa Corte di Assise di Como ai sensi dell’art. 667 c.p.p., comma 4, e art. 676 c.p.p., comma 1, limitatamente all’ordine di confisca e di distruzione dei reperti rinvenuti nell’Ufficio Corpi di Reato, sulla esatta considerazione che si tratta di provvedimenti che il giudice dell’esecuzione deve adottare senza formalità con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata ai richiedenti. Il terzo motivo di ricorso per cassazione, quindi, è proposto ad abundantiam, atteso che il provvedimento deve essere discusso davanti alla Corte di Assise di Como. Tuttavia, anche gli ulteriori provvedimenti adottati dal Giudice dell’esecuzione devono seguire la medesima procedura. In effetti, una volta stabilito il principio che spetta al giudice dell’esecuzione la competenza a provvedere sulle istanze difensive di prelievo di campioni su reperti sequestrati ed in custodia all’A.G. Sez. 1, n. 1599 del 05/12/2006 - dep. 19/01/2007, Confl. comp. in proc. Piemonte, Rv. 236236 il principio è stato incidentalmente confermato con la sentenza di questa Sezione n. 40917/2017 di annullamento dell’ordinanza di inammissibilità dell’istanza di incidente probatorio , tale Giudice deve provvedere secondo le forme previste dal codice di rito cosicché, per ogni provvedimento attinente alle cose sequestrate o confiscate, deve adottare ordinanza de plano ex art. 676 c.p.p., comma 1, avverso la quale l’interessato può proporre opposizione ai sensi dell’art. 667 c.p.p., comma 4. Questo principio risolve direttamente la questione dell’impugnazione avverso il rigetto della prima istanza, che aveva ad oggetto accertamenti tecnici su campioni biologici, reperti e corpi di reato raccolti nel procedimento penale del resto, la terza istanza - relativa ai corpi di reato non distrutti - era integrativa della prima e aveva la medesima natura. Il principio, peraltro, può essere applicato anche alla seconda istanza. In effetti, l’art. 391 septies c.p.p., concernente l’accesso ai luoghi privati in mancanza del consenso di chi ne ha la disponibilità, non specifica se il decreto di autorizzazione del giudice debba essere adottato de plano ovvero a seguito di celebrazione di udienza in camera di consiglio in base ai principi stabiliti dalle norme generali in materia di provvedimenti del Giudice artt. 125 e 127 c.p.p. , il decreto dovrebbe essere adottato senza particolari formalità art. 125 c.p.p., comma 6 , mentre la celebrazione di udienza in camera di consiglio sfocia nell’emissione di un’ordinanza art. 127 c.p.p. . Il coordinamento tra tali norme e l’art. 391 septies cit., quindi, induce a ritenere applicabile, anche nel caso di specie, la procedura di cui all’art. 667 c.p.p., comma 4, che, da una parte, corrisponde alla tipologia del provvedimento adottato decreto motivato , dall’altra permette una revisione della decisione da parte del giudice sulla base delle argomentazioni dell’opponente e, se del caso, di accertamenti che si rendessero necessari. In definitiva, deve essere affermato il principio in base al quale avverso i provvedimenti adottati de plano con riferimento alle istanze avanzate al giudice dell’esecuzione per esigenze di investigazioni difensive, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto in caso di abnormità del provvedimento mentre, nei casi ordinari, deve essere proposta opposizione davanti allo stesso giudice che li ha emessi. P.Q.M. Qualificato il ricorso come opposizione, dispone trasmettersi gli atti alla Corte di Assise di Como per quanto di competenza.