Il principio tempus regit actum ferma la Spazzacorrotti: no alla revoca del decreto di sospensione dell’esecuzione

L’entrata in vigore della l. n. 3/2019 ha determinato l’effetto riflesso di precludere, ex art. 656, comma 9, lett. b , c.p.p., l’applicazione della disciplina di favore prevista nel medesimo articolo ai commi da 5 a 8, imperniata sulla sospensione iniziale del titolo esecutivo, e ciò anche in relazione ad un ordine di esecuzione, con relativo decreto di sospensione, emesso nel vigore della normativa previgente.

Lo ha chiarito la Suprema Corte con sentenza n. 48499/19 depositata il 28 novembre. Il caso. Il GIP, in funzione di giudice dell’esecuzione, annullava il provvedimento di revoca del decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione per la carcerazione dell’imputato, condannato alla reclusione per i reati di cui agli art. 319, 321 e 110 c.p Secondo il Tribunale, in ragione del loro carattere non sostanziale, le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione non soggiacciono alle regole in materia di successione di leggi nel tempo di cui all’art. 2 c.p Pertanto, dovendo fare applicazione del principio tempus regit actum , il Procuratore della Repubblica non avrebbe potuto disporre la revoca del provvedimento di esecuzione della pena con conseguente sospensione, in quanto emesso in pieno rispetto della normativa all’epoca vigente e prima della l. n. 3/2019. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica. Il principio del tempus regit actum. La Suprema Corte, nel dichiarare il ricorso infondato, ribadisce che in virtù del principio tempus regit actum , secondo cui la validità degli atti è regolata dalla legge in vigore al tempo della loro formazione, il provvedimento di sospensione dell’esecuzione della pena, legittimamente emesso ex art. 656 c.p.p., non può essere revocato per effetto del sopravvenire di una legge che ampli il catalogo dei reati ostativi alla sospensione di cui all’art. 4-bis l. n. 354/1975, qualora il condannato abbia già fatto richiesta di concessione di misure alternative alla detenzione e ciò in quanto, con tale richiesta, si sono ormai realizzati gli elementi essenziali dell’atto processuale. Ciò premesso, e a valle di un complesso ragionamento, la Cassazione ricorda come è già stato più volte affermato che le modifiche normative sopravvenute non possono applicarsi ai rapporti esecutivi ormai pendenti, per i quali si siano già avviati procedimenti da definire secondo il quadro normativo in vigore nel momento genetico . Infatti, precisa la Corte, di un atto processuale la legge sopravvenuta piò disciplinare soltanto gli effetti non esauriti . Ne consegue, per quel che concerne il caso di specie, che una nuova legge, come la l. n. 3/2019, non può invalidare né il provvedimento di sospensione dell’esecuzione, ritualmente compiuto sotto il vigore della legge precedente, né gli effetti di esso ormai irreversibilmente prodottisi, ossia la possibilità del condannato di presentare l’istanza di misure alternative nel termine di trenta giorni, nonché il suo diritto a mantenere, osservato tale termine e il regime di sospensione sino alla decisione del competente tribunale di sorveglianza. Nella fattispecie in esame, l’esecuzione si era consolidata in concreto nei confronti dell’istante con l’emissione dell’ordine di carcerazione a far data dal 21 dicembre 2018, pertanto non era suscettibile di revoca o modifica pregiudizievole in ragione del mutamento normativo sopravvenuto con la l. n. 3/2019. Per tutti questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 settembre – 28 novembre 2019, n. 48499 Presidente Rocchi – Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1.1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha annullato il provvedimento di revoca del decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione per la carcerazione emesso nei confronti di V.U., condannato alla pena di anni quattro di reclusione per il delitto di cui agli artt. 319, 321 e 110 c.p., previa revoca dell’ordine e della contestuale sospensione precedentemente disposta alla luce della sopravvenienza normativa - L. 31 gennaio 2019, n. 3 - che ha inserito nel catalogo dei reati di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. 1.1. Il Tribunale ha premesso che le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione non hanno carattere di norme sostanziali e non soggiacciono perciò alle regole in materia di successione di leggi nel tempo di cui all’art. 2 c.p Ha quindi ricordato che la Corte di cassazione ha più volte in passato dichiarato la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità delle norme modificatrici della disposizione di cui all’art. 4-bis ord. pen. e della previsione di motivi ostativi alla concessione di misure alternative alla detenzione connessi alla tipologia di reato, evidenziando che la presunzione di pericolosità legata oggettivamente al titolo di reato fa prevalere la regola dell’esecuzione di una condanna definitiva sull’eccezione della sospensione dell’esecuzione. 1.2. Proprio in ragione della natura di norme penali non sostanziali occorre fare applicazione del principio del tempus regit actum. Il Procuratore della Repubblica non avrebbe, pertanto, potuto disporre la revoca del provvedimento di esecuzione della pena con conseguente sospensione, ordine che era stato emesso prima della novella normativa del gennaio 2019 e nel pieno rispetto della normativa all’epoca vigente. In particolare, l’ordine di esecuzione e il contestuale decreto di sospensione, datavano 21 dicembre 2018 ed erano stati notificati al solo difensore dell’interessato. Ciò imponeva di rinnovare la notificazione anche al V. al fine di permettergli di richiedere l’ammissione alle misure alternative. 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord che ha dedotto il vizio di violazione di legge. La revoca della sospensione dell’ordine di esecuzione è stata determinata dalle previsioni contenute nella L. n. 3 del 2019 che, senza dettare una disciplina transitoria, ha incluso nell’elenco dei delitti di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, anche i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La sopraggiunta ostatività alla concessione dei benefici penitenziari ha imposto la cessazione della sospensione dell’ordine di esecuzione, non sussistendo più i presupposti di legge. Osserva in diritto 1. Il ricorso va respinto. 1.1 Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in virtù del principio tempus regit actum , secondo cui la validità degli atti è regolata dalla legge in vigore al tempo della loro formazione, il provvedimento di sospensione dell’esecuzione della pena, legittimamente emesso ai sensi dell’art. 656 c.p.p., non può essere revocato per effetto del sopravvenire di una legge che ampli il catalogo dei reati ostativi alla sospensione di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, qualora il condannato abbia già fatto richiesta di concessione di misure alternative alla detenzione, atteso che, con detta richiesta, si sono ormai realizzati gli elementi essenziali dell’atto processuale a carattere complesso che si compone, in sequenza, della sospensione dell’esecuzione, della proposizione dell’istanza di misura alternativa e della decisione su di essa del tribunale di sorveglianza. Fattispecie relativa a condannato per il delitto di cui all’art. 322 c.p., che aveva ricevuto la notifica dell’ordine di carcerazione, contestualmente sospeso, e presentato domanda di misura alternativa anteriormente all’inserimento dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione tra quelli ostativi L. n. 354 del 1975, ex art. 4-bis ad opera della L. 9 gennaio 2019, n. 3 Sez. 1, n. 25212 del 3/05/2019, P.M. contro Pullo Maria, Rv. 276144 . 1.2. La questione da affrontare, in via preliminare, riguarda, dunque, l’incidenza del difetto di una normativa transitoria in materia e l’ammissibilità di una revoca dell’ordine di esecuzione per la carcerazione, con relativo decreto di sospensione, per effetto della nuova disposizione. Risulta infatti allargato il catalogo dei delitti ostativi e non permessa la fruizione di misure alternative, in difetto di una collaborazione con l’Autorità Giudiziaria. L’entrata in vigore della L. n. 3 del 2019 ha determinato l’effetto riflesso di precludere, ex art. 656 c.p.p., comma 9, lett. b , l’applicazione della disciplina di favore di cui ai commi da 5 a 8 del medesimo art. 656, imperniata sulla sospensione iniziale del titolo esecutivo. Ciò, prima facie, anche in relazione ad un ordine di esecuzione, con relativo decreto di sospensione, emesso nel vigore della normativa previgente e senza che l’interessato abbia chiesto le misure alternative alla detenzione, per mancato decorso del termine di legge di cui all’art. 656 c.p.p., comma 5 . Deve osservarsi, alla luce dell’orientamento sopra segnalato Sez. 1, n. 25212, del 03/05/2019, PMT c/ Pullo, Rv. 276144 , che non avrebbe significato razionale ipotizzare, pur essendo stato emesso ordine di carcerazione e relativo decreto di sospensione, nel vigore della normativa pregressa, che l’eventuale istanza di misura alternativa dovrebbe essere giudicata, secondo il quadro normativo sopravvenuto, con conseguente necessità di verificare la sussistenza dei nuovi presupposti per l’accesso al trattamento alternativo. Ciò perché, da un lato, si dovrebbe ammettere la ritualità dell’ordine e del decreto di sospensione, con la relativa istanza di misura alternativa e, dall’altro, pur a fronte della validità di quegli atti, si dovrebbe affermare, in applicazione dello ius supervenies, l’obbligo da parte del giudice investito di dichiarare inammissibile la domanda stessa, per difetto sopravvenuto dei presupposti legittimanti. Si applicherebbe, infatti, a una fattispecie processuale complessa un doppio regime normativo , caratterizzato da un’incompatibilità strutturale. Con la conseguenza che ordine di esecuzione sospeso e domanda di misura alternativa risulterebbero validamente emessi e proposti, in pendenza della sospensione, ma la verifica d’ammissibilità e di concessione nel merito sarebbe condizionata da un regime legislativo sopravvenuto incompatibile. Deriverebbe, pertanto, nel giudizio da operare ex post sul merito della questione, l’impossibilità di una sospensione dell’ordine di esecuzione e l’inammissibilità naturale di un’eventuale domanda di misura alternativa, avanzata in ragione di un ordine sospeso che a tanto legittimava, ma che incontra al momento della decisione lo sbarramento della L. n. 3 del 2019. Contrariamente l’ordine di esecuzione, il decreto di sospensione e la domanda di misura alternativa, sono attività processuali funzionalmente collegate, in una sequenza processuale necessaria e inscindibile. La fattispecie complessa - che si genera con l’emissione dell’ordine di esecuzione e del relativo decreto - secondo la normativa vigente al momento della emissione produce poteri e facoltà nella sfera dell’esecutando che non possono essere unilateralmente modificati o sottratti attraverso interventi postumi, sia pur assunti in forza di quadri normativi sopravvenuti, ma privi di regole transitorie. L’indicata sequenza processuale apre all’esercizio di facoltà acquisite alla sfera giuridica del destinatario e, come tali, non più retrattabili sul giusto processo, delineato dall’art. 111 Cost. e art. 6 CEDU, e sul tendenziale diritto dell’interessato, nell’ambito di ciascun segmento processuale omogeneo, al mantenimento delle posizioni legittimanti acquisite, viepiù a fronte di scelte processuali Sez. 6, n. 12541 del 14/03/2019, Ferraresi, non massimata sul punto e relativa a questioni di diritto intertemporale, nascenti dall’approvazione della L. n. 3 del 2019 per applicazioni in generale del principio, nello specifico settore dell’acquisizione dei mezzi di prova, v. Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, Borragine, Rv. 220999-01, e Sez. 6, n. 1977 del 19/01/1994, Montini, Rv. 198587-01 . Ciò comporta che alla facoltà di chiedere una misura alternativa per effetto dell’emissione dell’ordine di esecuzione e della relativa sospensione si accompagna quella parallela che fonda il diritto a ottenere la valutazione dell’istanza nel merito, secondo il regime naturalmente vigente al momento della emissione dell’ordine di esecuzione stesso e del contestuale decreto di sospensione, atti dal cui collegamento strutturale ha tratto scaturigine il diritto di domandare un trattamento alternativo alla detenzione. Ragionare diversamente indurrebbe una contradictio in terminis. Si dovrebbe ammettere, cioè, la richiesta di misure alternative, che fa seguito al decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione e, al pari, ritenere, per ius superveniens, l’obbligo di revocare il decreto di sospensione stesso o di valutare la domanda susseguente, alla luce del quadro riformato, ritenendola inammissibile per difetto sopravvenuto delle condizioni legittimanti. 1.2. A ben vedere l’inizio della pendenza del rapporto in executivis, che costituisce una sequenza unitaria, a carico del singolo, segna lo statuto normativo applicabile. Da ciò la conseguenza che le modifiche normative sopravvenute non possono applicarsi ai rapporti esecutivi oramai pendenti, per i quali si siano già avviati procedimenti da delibare secondo il quadro normativo in vigore nel momento genetico. Di un atto processuale la legge sopravvenuta può disciplinare soltanto gli effetti non esauriti. Si era già osservato Sez. 1, n. 24831 del 15/06/2010, Castaldi, Rv. 248046 che tra gli effetti da considerare esauriti rientrava la ritualità formale dell’istanza avanzata dal condannato ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 5, . da proporsi a pena di decadenza nel termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’ordine di esecuzione sospeso . Sulla scorta di premessa siffatta si era concluso che il provvedimento di sospensione dell’esecuzione della pena, emesso ai sensi dell’art. 656 c.p.p. ratione temporis vigente, non potesse essere revocato per effetto del sopravvenire della L. 6 febbraio 2006, n. 38, che aveva a sua volta esteso il perimetro dei reati di cui all’art. 4 - bis Ord. pen., per i quali la sospensione non si sarebbe più potuta disporre, in relazione alle fattispecie di agli artt. 609-bis, 609-ter e 609-quater c.p La conseguenza è che una nuova legge non può invalidare nè il provvedimento di sospensione dell’esecuzione, ritualmente compiuto sotto il vigore della legge precedente, nè gli effetti di esso ormai irreversibilmente prodottisi, ossia la possibilità del condannato di presentare l’istanza di misure alternative nel termine di trenta giorni, nonché il suo diritto a mantenere, osservato esso termine e il regime di sospensione sino alla decisione del competente tribunale di sorveglianza Sez 1, n. 2388 del 19/7/2019, P.M. c/ Coci Pietro . 1.3. Nel caso di specie, dunque, dal giudicato sulla sentenza di condanna, che titolava il Pubblico Ministero all’actio iudicati e all’emissione dell’ordine di esecuzione, si legittimava l’anzidetto Pubblico Ministero a dar seguito alla all’actio stessa e ad avviare la pendenza del procedimento di esecuzione, fattispecie complessa in cui convergevano i singoli atti processuali sia pur in materia di misure coercitive non custodiali, secondo cui il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna a pena detentiva, suscettibile di esecuzione, comporta la caducazione immediata della misura stessa, estinzione che opera di diritto Sez. U, n. 18353 del 31/03/2011, Maida, Rv. 249480 e che determinerebbe ipso iure l’avvio del rapporto esecutivo . L’esecuzione si era, dunque, nel caso di specie, consolidata in concreto nei confronti dell’istante con l’emissione dell’ordine di carcerazione con decreto di sospensione già a far data dal 21/12/2018. L’atto processuale era, pertanto, regolato, secondo il disposto dell’art. 11 disp. prel. c.c., quanto alla sua validità e agli effetti prodotti, dalla legge in vigore al tempo in cui esso è stato compiuto, con la conseguenza che leggi successive non possono, se non è diversamente stabilito, invalidarlo o pregiudicare gli effetti suddetti Sez. 6, n. 10260 del 14/02/2019, Cesi, Rv. 275201-01 Sez. 1, n. 52650 del 26/10/2018, Carrino, Rv. 274549 Sez. 2, n. 50213 del 25/10/2018, Ceratti, Rv. 275514-01 Sez. 5, n. 39455 del 17/05/2018, Petracchini, Rv.273799-01 Sez. 4, n. 20112 del 29/03/2018, Nesturi, Rv. 272746-01 . Da ciò discende che gli atti formati sotto il vigore della normativa anteriormente vigente che ne ha determinato la genesi, la formazione e il profilo funzionale, in ragione dello scopo per i quali sono stati previsti dal legislatore e posti in essere dalla parte, non sono suscettibili di revoche o modifiche pregiudizievoli, in ragione del mutamento normativo sopravvenuto. In altri termini, i rapporti esecutivi pendenti, in difetto di una disciplina transitoria, non risentono delle modifiche legislative successive. Rapporto e diritti esecutivi si valutano secondo il quadro normativo pregresso e in vigore nel momento di avvio del procedimento stesso. Con la conseguenza che ai rapporti processuali complessi non risulta applicabile congiuntamente il doppio regime di norme in successione. A ben vedere, allora, il nucleo centrale della questione non sta nella natura processuale delle disposizioni, natura che determinerebbe l’applicazione della regola del tempus regit actum. Non si è, infatti, al cospetto di un atto unisussistente o che non si esaurisce, sul piano effettuale, sotto il vigore della normativa in vigore nel momento in cui è assunto. Rileva, piuttosto, una fattispecie complessa, in cui convergono atti susseguenti, tra loro collegati in un rapporto retto da un nesso di funzionalità necessaria. Apertosi il rapporto esecutivo, esso porta con sé la sequenza di atti necessari con diritti e facoltà collegate, in funzione dello scopo unitario cui il procedimento protende. Gli anzidetti diritti e facoltà, che qui coincidono con l’interesse ad ottenere ab initio un trattamento esecutivo alternativo alla restrizione carceraria, sono intangibili perché, appunto, regolamentati dalla normativa in vigore al momento dell’esercizio dell’actio esecutiva, la cui disciplina resta assoggetta a quella che ne ha determinato l’emissione. Essa opera in una sorta di forza espansiva ultrattiva fino alla chiusura del procedimento e ne regolamenta l’andamento, perché già instauratosi. Persiste, dunque, sino all’esaurimento della fattispecie complessa cui ordine di esecuzione, decreto di sospensione, domanda di misura alternativa e decisione, sono funzionalmente e inscindibilmente protesi. Ciò posto il decreto di sospensione non era revocabile e correttamente il giudice dell’esecuzione ha assunto il provvedimento qui impugnato. Pertanto il rapporto esecutivo apertosi con l’emissione dell’ordine di esecuzione e del relativo decreto di sospensione segue il regime vigente anteriormente alla L. 31 gennaio 2019, n. 3, per l’intero procedimento e fino al suo esaurimento. Il ricorso va, dunque, respinto. P.Q.M. Rigetta il ricorso.