Esigenze cautelari nei reati contro la P.A. e attualità del pericolo di recidiva

In tema di esigenze cautelari nei reati contro la pubblica amministrazione, il giudizio di prognosi sfavorevole sull’attualità del pericolo sociale dell’indagato non è impedito dal fatto che egli abbia lasciato l’ufficio nell’esercizio del quale ha realizzato la condotta delittuosa, poiché, in tali casi, è necessario verificare se in concreto persista il rischio di ulteriori condotte illecite.

Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 48251/19, depositata il 27 novembre. Il fatto. Il Tribunale, in funzione di giudice del riesame, rigettava l’impugnazione avverso il provvedimento con cui il GIP aveva applicato nei confronti dell’indagata assistente capo coordinatore della Polizia di Stato la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico servizio per contestazioni di reati di falso ideologico in atto pubblico. Avverso tale decisione l’indagata ricorre per la cassazione denunciando vizio motivazionale quanto alla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato. I giudici del riesame, per la difesa della ricorrente, non avrebbero valutato il trasferimento della propria cliente ad un nuovo e diverso incarico, motivando al riguardo che fa venir meno anche il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione dei reati. Sull’attualità del pericolo di reiterazione dei reati. In tema di esigenze cautelari, il pericolo di recidiva si considera attuale ogni volta che sia possibile una prognosi in ordine alla ricaduta nel delitto che indichi la possibilità di devianze prossime all’epoca in cui viene applicata la misura, anche se non individuate o imminenti. Pertanto, con riferimento al caso in esame il Supremo Collegio afferma che, in tema di esigenze cautelari nei reati contro la pubblica amministrazione, il giudizio di prognosi sfavorevole sull’attualità del pericolo sociale dell’indagato non è impedito dalla circostanza che egli abbia lasciato l’ufficio nell’esercizio del quale ha realizzato la condotta delittuosa, poiché, in tali casi, è necessario verificare se in concreto persista il rischio di ulteriori condotte illecite, reso più probabile da una permanente posizione soggettiva dell’agente che gli consenta di continuare a mantenere, pur nell’ambito di funzioni o incarichi pubblici diversi, condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso . Tale verifica dell’attualità può essere fatta dando valore alla pluralità di episodi delittuosi contestati e le modalità di commissione dei fatti. A ciò consegue il rigetto del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 settembre – 27 novembre 2019, n. 48251 Presidente Vessichelli – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Roma, decidendo quale giudice dell’appello cautelare, ha rigettato l’impugnazione avverso il provvedimento del 6.5.2019 con cui il GIP del Tribunale di Roma ha applicato nei confronti di P.S. - assistente capo coordinatore della Polizia di Stato presso la segreteria della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno - la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, prevista dall’art. 289 c.p.p. in relazione a plurime contestazioni di reati di falso ideologico in atto pubblico art. 476 c.p. , aggravato ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 9, e truffa ai danni dello Stato aggravata art. 640 c.p., comma 2, e art. 61 c.p., nn. 7 e 9 relativi alla documentazione attestante trasferte sostenute dall’indagata per missioni lavorative in realtà mai svolte ovvero utili all’attestazione dello svolgimento di ore di straordinario non effettuate. I falsi documenti sarebbero stati formati anche attraverso l’apposizione di firme in fotocopia del dirigente dell’ufficio di appartenenza. 2. Avverso il provvedimento di rigetto del Riesame di Roma ricorre l’indagata mediante i difensori avv. Froio e avv. Vitali deducendo un unico motivo con cui si eccepisce vizio di motivazione manifestamente illogica quanto alla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato. I giudici del riesame non avrebbero ben valutato il trasferimento dell’indagata ad un nuovo e diverso incarico ufficio rapporti informativi del personale della Questura di Roma , del tutto avulso dal contesto precedente in cui ella aveva commesso i reati ed hanno motivato apoditticamente riguardo a tale circostanza, che fa, invece, venir meno anche il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione dei reati, illogicamente ed erroneamente ipotizzando una forma di presunzione assoluta di pericolosità insuperabile conseguente alla ritenuta gravità delle condotte. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 2. La motivazione del Riesame sulla persistenza del pericolo cautelare anche dopo il distacco temporaneo ad altra sede dell’indagata mediante un provvedimento con durata bimestrale che viene rinnovato di volta in volta e l’allontanamento dall’ufficio nel cui contesto sono avvenuti i fatti contestati è incentrata, effettivamente, intorno alla gravità della condotta ascritta all’indagata, sintomatica - a giudizio del Riesame di una personalità incline a violare quei principi di legalità che i giudici sottolineano ella avrebbe dovuto, invece, tutelare, in quanto appartenente alla Polizia di Stato. L’evidenziazione della circostanza che le condotte hanno riguardato un consistente lasso temporale gli anni dal 2013 al 2018 e della spregiudicatezza con cui sono state realizzate attraverso la falsificazione delle richieste di emolumenti anche mediante l’utilizzo della firma in fotocopia del dirigente dell’ufficio costituiscono per il Riesame indici sintomatici del fatto che anche in un ufficio diverso da quello ove i reati sono stati commessi, in cui peraltro è stata solo distaccata e non trasferita definitivamente, sussista il pericolo di reiterazione del reato. Tale motivazione, senza dubbio non manifestamente illogica, viene censurata deducendo sostanzialmente un vizio di violazione di legge quanto alla interpretazione del requisito dell’attualità, che non potrebbe essere fondato, alla luce della giurisprudenza di legittimità in materia, sull’astratta capacità a delinquere, presupposta nell’autore del delitto in ragione della gravità delle condotte poste in essere ed invece, sarebbe proprio tale convincimento ad aver guidato il Riesame nel rigetto della richiesta di parte . 2.1. Il Collegio ritiene che tale rilievo sia infondato. Nel caso di specie, con motivazione connotata da chiarezza argomentativa, il Riesame ha ritenuto che la reiterazione per anni delle condotte criminose da parte dell’indagata renda, allo stato, ancora attuale e concreto il pericolo di reiterazione dei reati, pur in altro ufficio, diverso da quello in cui ella prestava servizio, posto che anche in altre funzioni è sempre possibile che si determinino le condizioni per richiedere straordinari o emolumenti non dovuti mediante condotte di raggiro ai danni della pubblica amministrazione. Le modalità spregiudicate con le quali le condotte sono state pervicacemente poste in essere dalla ricorrente costituiscono un indice di pericolosità allo stato non superato dal mero distacco di costei in una diversa funzione, nella quale, tuttavia, pur sempre, ella conserva la sua qualifica e le sue prerogative di servizio, con quanto ne deriva circa l’astratta possibilità di poter reiterare i reati, sia pur adibita a diverse mansioni. 2.2. La giurisprudenza di legittimità richiamata dal ricorso, che richiede un onere motivazionale più ampio al giudice il quale, in presenza di un provvedimento della pubblica amministrazione di sospensione dal servizio o delle dimissioni del pubblico impiegato autore di un reato contro la P.A., ritenga di ravvisare comunque le esigenze cautelari, afferma, in realtà, proprio ed anzitutto il principio di astratta possibilità di ritenere la sussistenza delle esigenze cautelari, pur in presenza di un provvedimento di allontanamento dall’ufficio del soggetto in rapporto organico con l’amministrazione. Si è affermato, infatti, che nei reati contro la P.A., anche dopo l’introduzione, nell’art. 274 c.p.p., lett. c , ad opera della L. 16 aprile 2015, n. 47, del requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, il giudice di merito può ritenere sussistente il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie ex art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c , pure quando il soggetto in posizione di rapporto organico con la P.A. risulti sospeso o dimesso dal servizio, purché fornisca adeguata e logica motivazione in merito alla mancata rilevanza della sopravvenuta sospensione o cessazione del rapporto, con riferimento alle circostanze di fatto che concorrono a evidenziare la probabile rinnovazione di analoghe condotte criminose da parte dell’imputato nella mutata veste di soggetto ormai estraneo all’amministrazione, in situazione, perciò, di concorrente in reato proprio commesso da altri soggetti muniti della qualifica richiesta Sez. 5, n. 31676 del 4/4/2017, Lonardoni, Rv. 270634 Sez. 6, n. 55113 del 8/11/2018, Lupelli, Rv. 274648 Sez. 6, n. 8060 del 31/1/2019, Romanò, Rv. 275087 . Ebbene, nel caso della ricorrente, è anzitutto evidente che manca il dato - non meramente formale - della insussistenza di un provvedimento di sospensione dalle funzioni ovvero di un atto di dimissioni, che implichino la cesura del contatto di servizio tra l’autore del reato e la pubblica amministrazione, laddove il trasferimento temporaneo per distacco non determina un allontanamento effettivo dalle funzioni pubbliche, del tutto analoghe a quelle pregresse dal punto di vista degli obblighi di esecuzione della prestazione lavorativa, a prescindere dai compiti specifici ai quali si venga assegnati. Sotto diversa prospettiva, la motivazione spesa dal Tribunale del Riesame ha dato conto - in maniera logica, plausibile e conforme alle disposizioni normative dettate in tema dal codice di rito nonché all’interpretazione di questa Corte di legittimità - delle ragioni specifiche che concorrono alla prognosi sfavorevole all’indagata e determinano la persistenza delle esigenze cautelari nei suoi confronti. Del resto, già prima della riforma attuata con la L. n. 47 del 2015 che ha posto l’accento sul requisito necessario dell’attualità del pericolo cautelare, la giurisprudenza della Corte di cassazione ne aveva ampiamente tenuto conto e tuttavia aveva chiarito, con affermazione ancora oggi da ribadire, che, nei reati contro la P.A., il giudizio di prognosi sfavorevole sulla pericolosità sociale dell’incolpato non è di per sé impedito dalla circostanza che l’indagato abbia dismesso la carica o esaurito l’ufficio nell’esercizio del quale aveva realizzato la condotta addebitata, pur se, in tali ipotesi, la validità del principio deve essere rapportata al caso concreto, là dove il rischio di ulteriori condotte illecite del tipo di quella contestata deve essere reso probabile da una permanente posizione soggettiva dell’agente che gli consenta di continuare a mantenere, pur nell’ambito di funzioni o incarichi pubblici diversi, condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso Sez. 6, n. 19052 del 10/1/2013, De Pietro, Rv. 256223 . Dunque, a diventare essenziale per la scelta cautelare è proprio la verifica, nel caso concreto, della permanenza delle condizioni soggettive che consentano di commettere nuovamente altri reati della stessa specie, pur se l’agente sia stato assegnato ad incarichi o funzioni diverse nella pubblica amministrazione nella fattispecie sottoposta al Collegio, il diverso ufficio cui la ricorrente è stata temporaneamente assegnata non si presenta differente, per le modalità formali di esecuzione della prestazione lavorativa, da quello di assegnazione passata, potendosi in astratto ipotizzare anche in tal caso, ad esempio, lo svolgimento di orario straordinario. Del tutto corretta, pertanto, è la conclusione dei giudici del Riesame, che hanno ritenuto persistere le esigenze cautelari sulla base di tale constatazione relativa alle nuove funzioni e dinanzi a condotte che, effettivamente, presentano allarmanti caratteri di reiterazione nel tempo e rivelano singolare capacità delittuosa. Nessun pregio può riconoscersi, poi, al paradosso difensivo secondo cui, una volta ritenuta la sua pericolosità, pur in altro ufficio di destinazione provvisoria, la ricorrente sarebbe considerata, in ultima analisi, oramai inidonea per sempre allo svolgimento di attività lavorative al servizio della pubblica amministrazione. L’argomento prova troppo, soprattutto se si tiene conto che la valutazione di persistenza dell’attualità delle esigenze cautelari, e gli obblighi motivazionali del giudice, sono comunque influenzati dal tempo trascorso tra l’applicazione della misura e la data di realizzazione delle condotte delittuose, nel caso di specie da ritenersi ancora ravvicinate cfr. Sez. 5, n. 43083 del 24/9/2015, Maio, Rv. 264902, che ha ben chiarito come, in tema di presupposti per l’applicazione delle misure cautelari personali, la L. 16 aprile 2015, n. 47, introducendo nell’art. 274 c.p.p., lett. c , il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato deve essere specificamente valutato dal giudice emittente la misura, avendo riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidivanza al momento della adozione della misura in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato ed alle peculiarità della vicenda cautelare cfr. ex multis anche Sez. 3, n. 12477 del 18/12/2015, dep. 2016, Mondello, Rv. 266485 . In futuro, la valutazione, dunque, potrà essere rimessa in discussione per effetto di un rinnovato bilanciamento delle diverse variabili in gioco. E sulla rilevanza, per tale verifica di attualità cautelare, della ripetizione delle condotte delittuose per un lungo lasso di tempo, tanto più se in periodi recenti, la giurisprudenza di legittimità si esprime in senso nettamente favorevole cfr. ex multis Sez. 6, n. 1082 del 12/11/2015, dep. 2016, Capezzera, Rv. 265958 Sez. 2, n. 18745 del 14/4/2016, Modica, Rv. 266749 Sez. 2, n. 15511 del 14/12/2016, dep. 2017, Verga, Rv. 269684 Sez. 2, n. 55216 del 18/9/2018, S., Rv. 274085 . Gli stessi orientamenti interpretativi specificamente dedicati al tema della sussistenza della prognosi negativa cautelare, in caso di sospensione o dismissione delle funzioni pubbliche già esercitate, evidenziano che è corretto ritenere sussistente il pericolo attuale di reiterazione nei confronti dell’autore del delitto il quale sia stato sospeso in via cautelare dal servizio, valorizzando la pluralità di episodi delittuosi contestati e le modalità di commissione dei fatti in tal senso, cfr. la già richiamata Sez. 6, n. 55113 del 8/11/2018, Lupelli, Rv. 274648 . Infine, in linea generale, deve essere ribadito che, in tema di esigenze cautelari, il pericolo di recidiva è attuale ogni qual volta sia possibile una prognosi in ordine alla ricaduta nel delitto che indichi la probabilità di devianze prossime all’epoca in cui viene applicata la misura, seppur non specificatamente individuate, nè tantomeno imminenti, ovvero immediate ne consegue che il relativo giudizio non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione prognostica fondata su elementi concreti, desunti sia dall’analisi della personalità dell’indagato, sia attraverso l’esame delle modalità del fatto per cui si procede, ciò perché modalità della condotta e circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati Sez. 2, n. 47891 del 7/9/2016, Vicini, Rv. 268366 Sez. 5, 49038 del 14/6/2017, Silvestrin, Rv. 271522 Sez. 2, n. 55216 del 18/9/2018, S., Rv. 274085 . In conclusione, deve affermarsi il seguente principio di diritto In tema di esigenze cautelari nei reati contro la P.A,, il giudizio di prognosi sfavorevole sulla attualità della pericolosità sociale dell’indagato non è di per sé impedito dalla circostanza che egli abbia lasciato l’ufficio nell’esercizio del quale ha realizzato la condotta delittuosa nel caso di specie, per temporaneo distacco ad altre funzioni , poiché, in tali ipotesi, è necessario verificare se in concreto persista il rischio di ulteriori condotte illecite del tipo di quella contestata, reso più probabile da una permanente posizione soggettiva dell’agente che gli consenta di continuare a mantenere, pur nell’ambito di funzioni o incarichi pubblici diversi, condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso. La verifica di attualità può essere condotta valorizzando la pluralità di episodi delittuosi contestati e le modalità di commissione dei fatti. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.