Confisca e debito tributario: presupposti e limiti

La confisca diretta o di valore dei beni costituenti il profitto o il prodotto del reato non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro, quando viene assunto un impegno formale con le modalità previste per legge, permanendo, invece, per le parti residue.

Il caso. Il Tribunale del riesame di Novara, in esito alla richiesta di riesame proposta da alcuni indagati avverso un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ai sensi dell’art. 12- bis d.lgs. n. 74/2000, relativo al reato di cui all’art. 2 medesima legge Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti , riduceva l’importo in sequestro in esito ad alcuni pagamenti effettuati dagli indagati in relazione al proprio debito tributario, dissequestrando parte dei beni già sottoposti a misura ablativa. Avverso tale ordinanza, nondimeno, proponevano ricorso gli indagati, lamentando violazione dell’art. 12- bis , comma 2, d.lgs. n. 74/2000 che dispone che La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta . Deducevano, invero, che il Tribunale aveva errato nel non ritenere la dichiarazione di impegno al saldo dell’intero debito tributario ostativa all’applicazione del sequestro preventivo, nonostante avesse ritenuto che la definizione della controversia tributaria fosse idonea ad incidere sulla quantificazione del profitto sequestrabile e confiscabile in sede penale. Sul necessario integrale pagamento del debito. La Corte, ritenuto manifestamente infondato il motivo di ricorso, ha precisato quanto segue. Affermata la correttezza del percorso giuridico seguito dal giudice di merito, gli Ermellini hanno ritenuto che, affinchè non operi la confisca, occorre l’integrale pagamento del debito tributario, non bastando la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento o ad un semplice parziale pagamento, atteso che la ratio della norma è quella di evitare una duplicazione del pagamento delle somme ad esso imputabili. Quantificazione del profitto. Il profitto suscettibile di confisca, dunque, corrisponde all’ammontare dell’imposta evasa. Pertanto, con il pagamento integrale dell’imposta, manca il presupposto del provvedimento cautelare che giustifica la successiva confisca, pagamento, per l’appunto, che evita che in capo al reo si consolidi il conseguimento dell’indebito profitto del reato. Tra l’altro, spiegano i Giudici, nonostante la natura sanzionatoria della confisca, la stessa non va necessariamente applicata in caso di riconoscimento di responsabilità, perché l’adempimento del pagamento dell’obbligazione tributaria, fa venire meno il profitto del reato che la legge, tramite la norma di cui all’art. 12- bis d.lgs. n. 74/2000, vuole aggredire. Date tali premesse, pertanto, e posta la necessaria corrispondenza tra pagamento del debito ed elisione del profitto, solo in caso di integrale pagamento può ritenersi inoperante la confisca. Diversamente, in caso di parziale pagamento del debito, la confisca dovrà essere mantenuta per la parte di debito residua. Sull’impegno dell’evasore. Quando la norma di cui all’art. 12- bis , comma 2, dispone che La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro , secondo la Corte, va quindi intesa nel senso che la confisca può essere adottata anche nel caso di assunzione di un impegno di pagamento, ma che avrà effetti solo ove venga a mancare, in effetti, detto pagamento. In tali ipotesi, dunque, il giudice di merito, ben può applicare un sequestro preventivo diretto o di valore delle somme corrispondenti al profitto derivante dal mancato versamento delle imposte. Oltre ciò, viene precisato che l’impegno di cui alla norma deve essere assunto in maniera formale, attraverso ipotesi di accertamento con adesione, di conciliazione giudiziale, di transazione fiscale, di attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda così anche Cass. Sez. 3, n. 42470/2016 . Sull’accertamento dell’ammontare dell’imposta evasa. Resta, comunque, sempre compito del giudice penale quello di verificare e stabilire il quantum di imposta evasa, che potrebbe, in ipotesi, anche differire da quanto accertato in sede amministrativa. Così come previsto dall’art. 20 d.lgs. n. 74/2000, il processo penale è del tutto autonomo da quello tributario o dal procedimento amministrativo di accertamento del debito, cosicchè la valutazione del giudice penale è, in tal senso, del tutto sganciata per ciò che concerne l’individuazione dell’ammontare al fine di adottare o mantenere il provvedimento cautelare del sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto. Evidentemente, però, ove il giudice si discosti nella quantificazione del profitto rispetto a quanto risultante da pregressi accordi conciliativi con la P.A., dovrà darne una congrua motivazione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 ottobre – 25 novembre 2019, n. 47837 Presidente Di Nicola – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 31/05/2019, il Tribunale di Novara, pronunciandosi sulla richiesta di riesame presentata nell’interesse degli attuali ricorrenti avverso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12- bis, emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Novara in data 26.4.2019 in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, ed avente ad oggetto i conti correnti di tre società Shunfa 1 srl, Vestidee srl, Max Casa srl nonché, in via gradata, i beni nella disponibilità degli amministratori, di fatto e di diritto delle predette società, riduceva l’importo in sequestro in ragione dei pagamenti effettuati dagli indagati a seguito della domanda di adesione alla procedura introdotta dal D.L. n. 119 del 2018 e disponeva, quindi, il parziale dissequestro dei beni in sequestro. 2. Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione W.S. e L.J. , a mezzo del difensore di fiducia, e le società Vestidee srl e Ahunfa 1 srl, a mezzo del difensore e procuratore speciale, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi di seguito enunciati. Con il primo motivo si deduce violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, comma 2. Si argomenta che il profitto confiscabile è strettamente correlato al debito tributario, tanto che l’entità del secondo definita in sede amministrativa incide sull’entità del primo definita in sede penale il Tribunale, si osserva, aveva ammesso che la definizione della controversia tributaria ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, in quanto finalizzata ad estinguere il debito del contribuente, era idonea ad incidere sulla quantificazione del profitto sequestrabile e confiscabile in sede penale i Giudici di merito avevano, però, errato nel non ritenere la dichiarazione di impegno effettuata dalle società ostativa all’applicazione del sequestro preventivo in ogni caso il Tribunale avrebbe dovuto dedurre il pagamento già effettuato non dal quantum confiscabile individuato dal Giudice per le indagini preliminari ma dal debito risultante dall’applicazione della pace fiscale , pari al 90 per cento del valore della controversia, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 1 bis, come modificato dalla L. n. 136 del 2018. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge per motivazione apparente in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in capo agli amministratori di diritto delle società ricorrenti, lamentando che su tale questione, che era stata sollevata con i motivi di riesame, il Tribunale aveva offerto una motivazione apparente, avendo reputato implicitamente sufficiente la pretesa violazione dell’obbligo giuridico di impedire la commissione del reato tributario. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge per motivazione apparente in ordine alla sussistenza della qualità di amministratore di fatto in capo all’indagato L.J. , contestando la valutazione delle dichiarazioni rese in sede di s.i.t. dal ragioniere R. e l’omessa valutazione della documentazione prodotta dalla difesa all’udienza del 29.5.2019, dalla quale emergerebbe il predetto era un semplice interprete degli amministratori di diritto. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Il Tribunale del riesame, dando atto che le società Shunfal s.r.l. e Vestidee s.r.l., a seguito della domanda di adesione alla procedura introdotta dal D.L. n. 119 del 2018 per la rateizzazione dell’importo dovuto per il debito tributario, avevano versato parte di quanto dovuto all’Erario, riduceva l’importo assoggettato a sequestro sino alla somma di Euro 134.929,21 sui conti correnti della Shunfal srl e di Euro 146.733,59 sui conti correnti della Vestidee srl e, in subordine, sui beni mobili ed immobili nella diretta disponibilità degli indagati fino alla concorrenza della predette somme, somme pari alla differenza tra il debito originario e quanto versato. Il Collegio cautelare ha fatto corretta applicazione del consolidato principio di diritto affermato da questa Corte, secondo il quale solo l’integrale pagamento del debito tributario, in virtù della necessità di evitare la sostanziale duplicazione dello stesso, può condurre alla non operatività della confisca e, correlativamente, alla obliterazione del sequestro imposto a tal fine, essendo invece insufficiente la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale ultimo titolo cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 5681 del 27/11/2013, Crocco, Rv. 258691 si è precisato che il profitto suscettibile di confisca corrisponde all’ammontare dell’imposta evasa e che, quindi, col pagamento viene meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire col provvedimento ablatorio, ovvero, in sostanza, la stessa ragione giustificatrice della confisca, da rinvenirsi proprio nella necessità di evitare che il conseguimento dell’indebito profitto del reato si consolidi in capo al reo nè dalla natura sanzionatoria della confisca per equivalente può discendere la conclusione che essa debba sempre e comunque trovare applicazione nel caso di accertamento della responsabilità , anche quando l’indagato abbia provveduto a sanare il suo debito verso l’erario giacché con l’adempimento, sia pure tardivo, dell’obbligazione tributaria, viene meno quel profitto del reato che la misura ablatoria è destinata ad aggredire ne consegue, pertanto, che il mantenimento del sequestro preventivo in vista della confisca, nonostante l’intervenuta sanatoria fiscale, darebbe luogo ad una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato Sez, 3, n. 46726 del 12/07/2012, Lanzalone, Rv. 253851 Sez. 6, 17.3.09 n. 26176, Sez. 23.11.2010 n. 45504 . Si è, conseguentemente, osservato che attesa la necessaria corrispondenza tra pagamento del debito ed elisione del profitto, solo l’integrale pagamento può condurre alla inoperatività in toto della confisca e, corrispondentemente, del sequestro ad essa finalizzato mentre in caso di pagamento solo parziale, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca opera relativamente agli importi non ancora corrisposti. Tali principi sono stato ribaditi a seguito della introduzione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis ad opera del D.Lgs. n. 158 del 2015, affermandosi che la disposizione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, comma 2 introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015 , secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro , deve essere intesa nel senso che la confisca - così come il sequestro preventivo ad essa preordinato - può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito Sez. 3, n. 42470 del 13/07/2016, Orsi Rv. 268384 il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, comma 2, norma introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015 , nel disporre che la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro e che nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta , non preclude l’adozione del sequestro preventivo ad essa confisca finalizzato, relativamente agli importi non ancora corrisposti Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Orsetto, Rv. 266038/01 . E si precisato anche che la disposizione contenuta al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, comma 2, deve essere circoscritta ai soli casi di obblighi assunti in maniera formale, tra i quali rientrano le ipotesi di accertamento con adesione, di conciliazione giudiziale, di transazione fiscale, di attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda Sez. 3, n. 42470 del 13/07/2016, Rv. 268383, cit. Sez. 3, n. 28225 del 09/02/2016, Rv. 267334 . Le censure difensive, pertanto, risultano del tutte destituite di fondamento, avendo il Tribunale fatto corretta applicazione dei principi di diritto suesposti. Nè risulta fondata la censura afferente alla determinazione del profitto del reato. Va ricordato che la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa è rimessa al giudice penale, al quale spetta di compiere una verifica che, privilegiando il dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento fiscale, può sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata in sede amministrativa o dinanzi al giudice tributario. Costituisce, infatti, principio pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui spetta esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria Sez. 3, n. 5490 del 26/11/2008, Crupano, Rv. 243089 Sez. 3, n. 28710 del 19/04/2017, P.G. in proc. Mantellini, Rv. 270476 Sez. 3, n. 15899 del 02/03/2016, Colletta, Rv. 266817 Sez. 3, n. 38684 del 04/06/2014, Agresti, Rv. 260389 Sez. 3, n. 37335 del 15/07/2014, Buonocore, Rv. 260188 Sez. 3, n. 36396 del 18/05/2011, Mariutti, Rv. 251280 . Si è, dunque, osservato che l’autonomia del processo penale da quello amministrativo, sancita dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20, secondo cui Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione , non può non valere anche ai fini, che qui che qui rilevano, dell’individuazione dell’ammontare dell’imposta evasa per l’adozione e il mantenimento del provvedimento cautelare in funzione della confisca, nei casi di raggiunti accordi conciliativi con l’erario. In altri termini, deve ammettersi che il giudice penale ben possa, sulla scorta di elementi di fatto, discostarsi dalla quantificazione del profitto come risultante dalla conclusione di accordi conciliativi con l’agenzia delle entrate, ma nell’esercizio di tale autonomo potere deve darne congrua argomentazione, diversamente ragionando si perverrebbe alla introduzione di una pregiudiziale tributaria non prevista nell’ordinamento giuridico Sez. 3 n. 50157 del 27/09/2018, Rv. 275439 . Nella specie, il Tribunale, in linea con il suesposto principio, ha ritenuto corretto l’ammontare del profitto del reato indicato nel provvedimento di sequestro, richiamando e condividendo il contenuto dell’annotazione della G.d.F del 26.11.2018, così assolvendo in maniera adeguata all’obbligo motivazionale. 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. In relazione alla questione della configurabilità dell’elemento soggettivo, il Tribunale del riesame ha escluso la fondatezza delle argomentazioni difensive, mostrando di fare corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di misure cautelari reali, diversamente dalle misure cautelari personali, non solo non sono necessari gravi indizi di colpevolezza atteso che, come è stato anche di recente ribadito, in tema di sequestro preventivo, non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018 - dep. 27/04/2018, Armeli, Rv. 273069 , ma nemmeno può porsi una questione di sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, atteso che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, donde ne consegue che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché esso emerga ictu oculi Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, Rv. 240521 Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e altro, Rv. 266896 . Orbene, nel caso di specie, per quanto evidenziato dal Tribunale, ciò non solo non risultava palese ma, anzi la questione risultava particolarmente complessa ed implicante apprezzamenti di fatto, donde corretto risulta il differimento della valutazione di tale profilo da parte dei giudici del riesame alla sede di merito. 3. Il terzo motivo ha ad oggetto censure non consentite in sede di legittimità. Va osservato che, a norma dell’art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 . Il ricorso per cassazione per violazione di legge, a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, quindi, può essere proposto solo per mancanza fisica della motivazione o per la presenza di motivazione apparente, ma non per mero vizio logico della stessa il vizio motivazionale, infatti, va distinto dalla motivazione meramente apparente essendo il primo configurabile solo in relazione ad una motivazione presente Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710 Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129 Sez. 2, n. 5807 del 8/01/2017, Rv. 269119 . Nella specie, il ricorrente articola motivo che si sostanzia in censure di merito e, quindi, in rilievi in fatto concernenti la motivazione del provvedimento del Tribunale che ha argomentato in ordine alla questione relativa alla allegata qualifica di amministratore di fatto del LI, anche menzionando nel corpo del provvedimento la documentazione e le circostanze allegate dalla difesa, implicitamente confutate dalle ragioni esposte , censure che, alla luce dei principi di diritto suesposti, non è consentito proporre in questa sede. 4. Essendo i ricorsi inammissibili e, in base al disposto dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000 , alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle ammende.