Operazioni infragruppo? C’è bancarotta patrimoniale fraudolenta, se…

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per escludere la natura distrattiva di un’operazione di trasferimento di somme da una società ad un’altra, non è sufficiente allegare la mera partecipazione ad un gruppo di società”, dovendo invece l’interessato dimostrare in maniera specifica il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 c.c., per la società apparentemente danneggiata, giacché la destinazione di risorse da una società all’altra, sia pur collegata, integra comunque la violazione del vincolo patrimoniale nei confronti dello scopo strettamente sociale.

Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47216, depositata il 21 novembre 2019. Gli obblighi di legge in capo all’amministratore di società. In generale, occorre ricordare che l’amministratore in carica, ai sensi dell’art. 2392 c.c., è titolare di un obbligo di portata generalissima di responsabilità verso la società amministrata, attinente sia agli atti pregiudizievoli per quest’ultima, di cui egli sia a conoscenza, che devono essere impediti o dei quali devono essere neutralizzati gli effetti, sia agli atti dei quali l’amministratore può venire a conoscenza, vigilando sul generale andamento della gestione societaria e, quindi, adempiendo ai doveri primari di diligenza ed a quelli strumentali di informazione. Ne consegue che l’inerzia colpevole dell’amministratore di diritto espone questi a conseguenze penali, derivate dalla condotta fraudolenta tenuta, oltre che da egli stesso, da chiunque ponga in essere condotte atte ad arrecare pregiudizio alla società. Ciò implica pure la responsabilità penale dell’amministratore in carica il quale, violando l’obbligo di vigilare e quello di attivarsi per impedire atti pregiudizievoli per i soci, i creditori ed i terzi, abbia consentito che altri commettessero fatti di bancarotta. La responsabilità dell’amministratore apparente In passato la giurisprudenza ha tratto una fondamentale distinzione circa i criteri di imputazione della bancarotta fraudolenta patrimoniale, da un lato, e di quella documentale dall’altro, riconducibili alla figura dell’amministratore apparente cioè in concreto privo di poteri gestori dell’impresa . In generale, occorre ricordare che l’amministratore in carica risponde penalmente dei reati commessi dall’amministratore di fatto, dal punto di vista oggettivo, ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p., per non avere impedito l’evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire ai sensi dell’art. 2392 c.c Tale norma civilistica riflette infatti un obbligo di portata generalissima, attinente sia agli atti pregiudizievoli conosciuti, che devono essere impediti o dei quali devono essere neutralizzati gli effetti, sia agli atti dei quali l’amministratore può venire a conoscenza, vigilando sul generale andamento della gestione societaria e, quindi, adempiendo ai doveri primari di diligenza ed a quelli strumentali di informazione. Ne consegue che l’inerzia colpevole dell’amministratore di diritto espone questi alle conseguenze penali derivate dalla condotta fraudolenta dell’amministratore di fatto. In altri termini, è penalmente responsabile l’amministratore in carica che, violando l’obbligo di vigilare e quello di attivarsi per impedire atti pregiudizievoli per i soci, i creditori ed i terzi, abbia consentito che altri commettessero fatti di bancarotta. non può essere presunta in caso di bancarotta per distrazione. Diversamente, dal punto di vista soggettivo, affinché l’amministratore di diritto possa essere ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, occorre che sia raggiunta la prova che egli aveva la generica consapevolezza delle distrazioni, degli occultamenti, delle dissimulazioni e dissipazioni dei beni sociali effettuate dall’amministratore effettivo, sfociate in esposizioni o riconoscimenti di passività inesistenti. La sentenza in commento risulta particolarmente interessante, nella parte in cui ribadisce che tale consapevolezza non può essere semplicemente desunta dal fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire la carica di amministratore Cass. pen. 31142/09 . Pertanto, a sommesso avviso di chi scrive, non può condividersi l’orientamento giurisprudenziale Cass. pen. 7208/06 per il quale la testa di legno”, che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, possa essere ritenuta responsabile di bancarotta per distrazione sulla base della sola consapevolezza che, dalla propria condotta omissiva, possono scaturire gli eventi tipici del reato dolo generico o l'accettazione del rischio che questi si verifichino dolo eventuale . Invero, la valenza di tale principio cede ove consti che l’amministratore apparente sia rimasto estraneo alle vicende societarie, di fatto gestite da altri. Del resto, una lettura siffatta appare senz’altro maggiormente rispondente al principio di personalità della responsabilità penale art. 27, comma 1, Cost. ed alla conseguente necessità di garantire la maggiore effettività della fattispecie penale d’impresa, con l’ulteriore e non trascurabile conseguenza di prevedere e punire il reato in capo a chi effettivamente lo ha commesso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 giugno – 21 novembre 2019, n. 47216 Presidente Vessichelli – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19 maggio 2017 la Corte di Appello di Trento ha confermato la pronunzia del giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Rovereto, con la quale veniva affermata la penale responsabilità di Z.G. e Z.L. per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione. 2. Gli imputati erano stati tratti a giudizio poiché, in concorso tra loro e in qualità di amministratori della società Immobiliare LO.GI. s.r.l. , dichiarata fallita in data 13 marzo 2013 si veda sentenza di primo grado - pag. 3 , distraevano dalle casse sociali la somma complessiva di circa Euro 1.300.000,00, che veniva reimpiegata per finanziare la società Immobiliare Elle Zeta s.r.l. , dichiarata fallita in data 11 aprile 2013 si veda sentenza di primo grado - pag. 3 e della quale gli imputati erano sia soci che amministratori. 3. Avverso la predetta sentenza gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, con diversi atti sottoscritti, però, dallo stesso difensore. 4. Il ricorso presentato nell’interesse di Z.L. consta di due motivi. 4.1. Con il primo si deduce violazione di legge con riferimento alla L. Fall., artt. 216 e 217. Il difensore del ricorrente sostiene che la Corte di Appello, così come il Tribunale, abbia erroneamente sussunto il caso concreto nella fattispecie di cui alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, anziché in quella di bancarotta semplice. Invero, le risultanze istruttorie hanno dimostrato che la genesi del fallimento della società Immobiliare LO.GI. s.r.l. sia da rinvenire nella crisi del settore immobiliare - causata dalla globale crisi economico-finanziaria - unitamente all’incapacità di farvi fronte da parte dei fratelli Z. , i quali hanno tentato di mantenere in vita le società da loro gestite mediante iniezioni di liquidità dall’una all’altra al fine di non pregiudicare i rispettivi creditori. Inoltre, in ordine all’elemento soggettivo del reato contestato il giudice di appello avrebbe operato una presunzione di fraudolenza della condotta distrattiva sulla base degli importi dei prelievi, cui avrebbe fatto seguito la dolosa perdita di garanzia per il ceto creditorio. Nondimeno, si sostiene che la volontà di frodare i creditori sociali non è elemento costitutivo solo del delitto di bancarotta fraudolenta, bensì il motivo ispiratore di quasi tutte le disposizioni penali della disciplina fallimentare, inclusa la fattispecie di bancarotta semplice. Pertanto, i fatti contestati afferiscono in realtà ad un’avventata gestione, consistita in trasfusioni di liquidità dall’una all’altra società nell’intento di conseguire il salvataggio di entrambe e non di arrecare pregiudizio ai creditori di esse. Una siffatta ricostruzione dei fatti ricondurrebbe alla fattispecie di bancarotta semplice, nelle forme di cui alla L. Fall., art. 217, comma 1, nn. 2 e 3. 4.2. Con il secondo motivo si denunziano violazione di legge e correlati vizi motivazionali in merito alla ritenuta sussistenza della recidiva ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Quanto al primo profilo, il ricorrente osserva che la recidiva infraquinquennale contestata sia stata oggetto di applicazione automatica da parte di entrambi i giudici di merito, sebbene essa sia soggetta ad applicazione facoltativa, dovendo il giudice valutare a tal fine se il fatto concretamente commesso sia sintomatico di una maggiore pericolosità. Nella specie tale valutazione sarebbe assente o comunque illogica, in quanto l’unico elemento valorizzato in ordine alla quantificazione della pena è stato l’ammontare dei prelievi ritenuti distrattivi, inidoneo a dimostrare la propensione a delinquere del ricorrente. Peraltro, il precedente penale, sulla cui base la recidiva è stata applicata, si riferisce ad un risalente caso di omesso versamento di IVA per un ammontare di circa Euro 7.000,00, sempre determinato dalla crisi del settore immobiliare. Per quanto concerne la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, il ricorrente censura l’omessa valorizzazione di elementi quali la presentazione dell’istanza di concordato preventivo e poi di quella di fallimento, che sarebbero indicativi del senso di responsabilità verso i creditori. 5. Il ricorso presentato nell’interesse di Z.G. risulta articolato in tre motivi. 5.1. Con il primo si deduce violazione di legge in relazione alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1. Si chiede in particolare la riqualificazione del fatto nell’ipotesi normativa di bancarotta semplice, ripercorrendo sul punto le medesime argomentazioni svolte dal ricorrente Z.L. si veda sopra sub n. 4.1 . 5.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale, infatti, pur a fronte di uno specifico motivo di appello, non avrebbe illustrato le ragioni che hanno giustificato il mancato riconoscimento di tali circostanze. 5.3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge in relazione alll’art. 37 c.p. e L. Fall., art. 216, comma 4. Nello specifico il giudice di appello avrebbe erroneamente affermato che la durata delle pene accessorie previste in tema di bancarotta fraudolenta è determinata dalla L. Fall., art. 216, u.c La difesa sostiene invero che debba al riguardo trovare applicazione l’art. 37 c.p., essendosi limitata la legge fallimentare a stabilire la durata massima delle pene accessorie. Considerato in diritto Tutti i motivi di ricorso sono inammissibili ad eccezione di quello sulla determinazione delle pene accessorie. 1. Possono essere trattati unitariamente i motivi proposti da entrambi gli imputati in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti. 1.1. Le censure sono pedissequamente reiterative di quelle proposte con gli atti di appello, avendo i ricorrenti già sostenuto che errata sarebbe stata la decisione del Giudice dell’udienza preliminare che aveva disatteso le doglianze difensive sull’insussistenza dell’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta e sulla riqualificazione dei fatti in bancarotta semplice. La Corte territoriale, in risposta alle suddette censure pagg. 11 e ss. , ha in primo luogo dato atto di quanto emerge dalla relazione circa la riferibilità agli imputati di diverse società, fra cui la Immobiliare Elle Zeta s.r.l., collegata alla LO.GI s.r.l. non da rapporti di partecipazione, ma da rapporti commerciali o finanziari . Ha quindi rilevato che non sono stati offerti dagli imputati elementi e riscontri in merito alle connessioni fra le varie realtà societarie dagli stessi amministrate, tanto da non chiarire se esse fossero in effetti riconducibili alla figura del gruppo di società . In ragione di ciò, ha escluso che il travaso di risorse dalla LO.GI alla Immobiliare ELLE ZETA fosse spiegabile in termini di gestione unitaria di società appartenenti allo stesso gruppo, da una parte evidenziando la genericità delle allegazioni difensive a giustificazione delle operazioni e, dall’altra, dando atto che Z.L. aveva dedotto di aver agito in modo avventato .nel tentativo di salvare le due società , mentre Z.G. aveva fatto riferimento ad una sorta di prestito dalla LO.GI alla ELLE ZETA, con previsione quindi di restituzione, per sopperire a momentanee esigenze di cassa . 1.2. Le suesposte argomentazioni sono in linea con i principi enucleati sul tema dalla giurisprudenza di questa Corte. Si è infatti affermato che, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, il concetto di gruppo di società ha solo valenza finanziaria e programmatica, ma lascia intatta la distinzione giuridico-patrimoniale tra le diverse società. Pertanto la destinazione di risorse da una società all’altra, sia pur collegata, integra perfettamente la violazione del vincolo patrimoniale nei confronti dello scopo strettamente sociale e configura la condotta del delitto sopra menzionato Sez. 5, n. 1070 del 14/12/1999, Tonduti ed altri, Rv. 215668 si veda anche Sez. 5, n. 28520 del 24/04/2013, Avesani e altro, Rv. 257250 . Si è inoltre precisato che, per escludere la natura distrattiva di un’operazione infragruppo invocando il maturarsi di vantaggi compensativi, non è sufficiente allegare la mera partecipazione al gruppo, ovvero l’esistenza di un vantaggio per la società controllante, dovendo invece l’interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l’operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, P.G. e altro in proc. Coatti e altri, Rv. 26867501 precedenti conformi n. 48518 del 2011 Rv. 251536, n. 29036 del 2012 Rv. 253031, n. 44963 del 2012 Rv. 254519 . Si può allora escludere la natura distrattiva di un’operazione infra-gruppo solo in presenza di vantaggi compensativi che riequilibrino gli effetti immediatamente negativi per la società fallita e neutralizzino gli svantaggi per i creditori sociali Sez. 5, n. 16206 del 02/03/2017, Magno, Rv. 26970201 . 1.3. Ciò precisato, nel caso in esame si osserva in primo luogo che gli elementi per la ravvisabilità di un gruppo di società non si ricavano sulla base degli elementi fattuali descritti nelle sentenze di merito. In secondo luogo, al fine di confutare le allegazioni difensive appare decisiva la circostanza, messa in risalto senza illogicità dai giudici di merito, secondo cui neppure sono individuabili i vantaggi compensativi di cui all’art. 2634 c.c., comma 3. Va in proposito ricordato che tale previsione normativa, in relazione alla fattispecie incriminatrice dell’infedeltà patrimoniale degli amministratori, esclude la rilevanza penale dell’atto depauperatorio in presenza appunto dei vantaggi dei quali la società apparentemente danneggiata abbia fruito, o sarebbe stata in grado di fruire, in ragione della sua appartenenza a un più ampio gruppo di società. Essa conferisce valenza normativa a principi - già desumibili dal sistema, in punto di necessaria considerazione della reale offensività - che sono senz’altro applicabili anche alle condotte sanzionate dalle norme fallimentari e, segnatamente, a fatti di disposizione patrimoniale contestati come distrattivi o dissipativi Sez. 5, n. 49787 del 05/06/2013, Bellemans, Rv. 257562 . Quindi l’art. 2634 c.c. prevede una clausola che consente all’interprete di comprendere i vantaggi fondatamente prevedibili ovvero caratterizzati da concretezza non è pertanto sufficiente la mera speranza, per cui i vantaggi compensativi della ricchezza perduta devono essere prevedibili su elementi sicuri, pressoché certi e non meramente aleatori o costituenti una semplice aspettativa si veda in tal senso, in motivazione, Sez. 5, n. 8253 del 26/06/2015, Moroni e altri, Rv. 27114901 . Insomma, l’interesse che può escludere l’effettività della distrazione non può ridursi al fatto stesso dell’esistenza di un gruppo, perché il collegamento tra le società e l’appartenenza a un gruppo imprenditoriale unitario è solo la premessa dalla quale muovere per individuare uno specifico e concreto vantaggio per la società che compie l’atto di disposizione del proprio patrimonio, perdurando l’autonomia soggettiva delle singole società Sez. 5, n. 44963 del 27/09/2012, Bozzano e altri, Rv. 254519 si vedano anche Sez. 5, n. 37370 del 07/06/2011, Bianchi e altri, Rv. 250492 Sez. 5, n. 21251 del 10/02/2010, Belleli, Rv. 247471 Sez. 5, n. 36595 del 16/04/2009, Bossio ed altri, Rv. 245136 Sez. 5, n. 41293 del 25/09/2008, Mosca, Rv. 241599 . Pertanto, qualora il fatto si riferisca a rapporti intercorsi fra società appartenenti al medesimo gruppo, solo il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo può consentire di ritenere legittima l’operazione temporaneamente svantaggiosa per la società sacrificata nel qual caso - si ribadisce - è l’interessato a dover fornire la prova di tale circostanza. E, nella specie, la Corte territoriale correttamente osserva che i ricorrenti non hanno assolto a tale onere di allegazione al di là della esistenza o meno di un gruppo, infatti, non è stato offerto alcun elemento per valutare le circostanze che hanno determinato l’azione e le asserite prospettive di risanamento perseguite pag. 13 . Peraltro, anche nei ricorsi in esame si deduce solo che le iniezioni di liquidità dalla LO.GI. s.r.l. alla Immobiliare ELLE ZETA sono state determinate dal fatto che quest’ultima era meno ricca in punto di cespiti immobiliari e con l’intento di un disperato salvataggio di entrambe . Tutto ciò conferma la riconducibilità della condotta contestata alla fattispecie di cui alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, giacché integra distrazione rilevante quale ipotesi di bancarotta fraudolenta anche il finanziamento erogato in favore di una società dello stesso gruppo che presenti una situazione economica tale da non potere corrispondere gli interessi o garantire la conservazione della garanzia del credito e, dunque, in assenza di qualsiasi vantaggio compensativo per la società finanziatrice Sez. 5, n. 10633 del 30/01/2019, Scambia Gianni, Rv. 27602901 . 1.4. Si può conclusivamente affermare il seguente principio di diritto In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per escludere la natura distrattiva di un’operazione di trasferimento di somme da una società ad un’altra non è sufficiente allegare la mera partecipazione ad un gruppo di società , dovendo invece l’interessato dimostrare in maniera specifica il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 c.c., per la società apparentemente danneggiata, giacché la destinazione di risorse da una società all’altra, sia pur collegata, integra comunque la violazione del vincolo patrimoniale nei confronti dello scopo strettamente sociale . 2. La situazione di fatto come delineata dai giudici di merito porta comunque ad escludere che nella specie ricorra il reato di bancarotta semplice. 2.1. I ricorrenti sostengono che sarebbero configurabili le condotte previste dalla L. Fall., art. 217 dell’imprenditore che ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti ovvero ha computo operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento . Va qui ricordato che la fattispecie di bancarotta fraudolenta per dissipazione si distingue da quella di bancarotta semplice per consumazione del patrimonio in operazioni aleatorie o imprudenti, sotto il profilo oggettivo, per l’incoerenza, nella prospettiva delle esigenze dell’impresa, delle operazioni poste in essere e, sotto il profilo soggettivo, per la consapevolezza dell’autore della condotta di diminuire il patrimonio della stessa per scopi del tutto estranei alla medesima Sez. 5, n. 47040 del 19/10/2011, Presutti, Rv. 25121801 . Questa Corte ha in proposito precisato che non ricorre l’ipotesi di bancarotta semplice di cui alla L. Fall., art. 217, comma 1, n. 2, integrata da operazioni di manifesta imprudenza, ma quella più grave della bancarotta fraudolenta, allorché si tratti di operazioni che - come nella specie - comportino un notevole impegno sul patrimonio sociale, essendo quasi del tutto inesistente la prospettiva di un vantaggio per la società, mentre le operazioni realizzate con imprudenza costitutive della fattispecie incriminatrice della bancarotta semplice sono quelle il cui successo dipende in tutto o in parte dall’alea o da scelte avventate e tali da rendere palese a prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo, fermo restando che, in ogni caso, si tratta pur sempre di comportamenti realizzati nell’interesse dell’impresa Sez. 5, n. 35716 del 09/06/2015, Scambia, Rv. 26587101 . Come si è visto, nella specie gli imputati hanno genericamente imputato le somme prelevate dalle casse sociali al finanziamento in favore della Immobiliare ELLE ZETA s.r.l., senza però dimostrare su quali basi previsionali e negoziali si fondasse l’attesa di un vantaggio per la società LO.GI., per esempio anche in previsione di restituzione delle ingentissime somme versate. 2.2. Nè tale situazione può ritenersi rilevante per escludere l’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva. L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli e altro, Rv. 26680501 Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella e altro, in motivazione Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014, Rebuffo, Rv. 26173901 Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Lelli, Rv. 261348 Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 26144601 . Non è quindi affatto necessario - come si sostiene nei ricorsi - il fine specifico di danneggiare i creditori Sez. 5, n. 49635 del 02/10/2009, Ariola e altri, Rv. 24573101 . Nella specie è evidente che gli imputati, finanziando la società Immobiliare ELLE ZETA con generiche aspettative di salvataggio , hanno consapevolmente dato al patrimonio sociale della LO.GI. s.r.l. una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte con i creditori di tale ultima società. Ciò peraltro risulta evidente dalla sequenza dei fatti oggetto di contestazione. Così come chiarito dalla sentenza di primo grado, è emerso che gli imputati hanno prelevato dalle casse della LO.GI. complessivi Euro 1.300.000,00 a vario titolo tali prelievi risultano effettuati principalmente negli anni 2010 e 2011 e sono proseguiti anche nel 2012 ovvero nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento. I giudici di merito hanno sottolineato come dalla relazione del curatore era emerso che all’epoca dei fatti il patrimonio netto della società LO.GI. era esiguo e nel 2011 quello contabile era negativo pag. 4 della sentenza . Le operazioni di prelievo sono state contabilizzate come finanziamenti e relativi rimborsi a favore dei due soci, secondo una modalità per cui i rimborsi eccedevano i finanziamenti per Euro 1.272.000,00, ovvero come pagamenti di debiti della società Immobiliare ELLE ZETA s.r.l. pari ad Euro 27.000,00 ulteriori prelievi per Euro 4.000,00 sono risultati variamente contabilizzati si veda sentenza di primo grado - pag. 3 . 3. Il motivo afferente l’applicazione della recidiva non è stato proposto dal ricorrente Z.L. con l’atto di appello, sicché legittimamente al Corte territoriale non si è occupata di tale profilo. Peraltro, nella sentenza di primo grado si rinviene specifica ed articolata motivazione sulla applicazione della recidiva, con valutazioni di merito che sfuggono al sindacato di legittimità. 4. Sfuggono pure a tale sindacato le censure svolte dai ricorrenti in ordine al diniego delle attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, giacché la Corte territoriale ha risposto con argomentazioni logiche e coerenti alle analoghe doglianze proposte con gli atti di appello. Si è infatti sottolineato in primo luogo che la pena irrogata è stata già contenuta, sebbene i fatti siano di obiettiva gravità, giacché la società LO.GI. è stata per un triennio reiteratamente depauperata anche quando le operazioni, erodendo completamente il capitale sociale, avevano inciso sulla garanzia posta a tutela dei creditori. In ordine, poi, ai danni causati agli acquirenti degli immobili, sebbene gli acconti versati da questi fossero garantiti da fideiussione, la Corte territoriale ha valutato come il fallimento avesse alterato il normale svolgimento del rapporto contrattuale, comportando pregiudizi derivanti anche soltanto dal ritardo con cui ogni acquirente ha potuto ottenere il completamento e dunque la disponibilità dell’immobile o rientrare in possesso dell’acconto pag. 14 della sentenza . 5. Fondato è il motivo sull’entità delle pene accessorie. 5.1. Con sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 216, u.c., nella parte in cui dispone la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa , anziché la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni così testualmente il dispositivo della menzionata sentenza . 5.2. La sostituzione della cornice edittale, operata dalla sentenza n. 222 del 2018, determina l’illegalità delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente applicate rientrino comunque nel nuovo parametro, posto che il procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata incostituzionale Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon Sez. U. n. 6240 del 27/11/2014, in motivazione . 5.3. L’illegalità sopravvenuta delle pene accessorie in rassegna impone quindi l’annullamento sul punto della sentenza impugnata, con rinvio al giudice di merito che provvederà alla determinazione della durata delle stesse in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p Invero le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p. e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 c.p. In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva irrogato agli imputati le pene accessorie conseguenti al reato di bancarotta fraudolenta per il periodo fisso di dieci anni richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018 Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Suraci Domenico, Rv. 27628601 . 6. La sentenza impugnata va quindi annullata limitatamente alle pene accessorie di cui alla L. Fall., art. 216, u.c., con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Bolzano. Nel resto i ricorsi sono da dichiararsi inammissibili. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie L. Fall., ex art. 216, u.c., con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Bolzano. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.