Integra bancarotta la distrazione di beni illecitamente entrati a fare parte del patrimonio del fallito?

I beni illecitamente sopravvenuti, qualora siano fungibili, entrano a fare parte del patrimonio del fallito ed essendo perciò destinati alla soddisfazione dei creditori sono, comunque, oggetto di bancarotta se dal fallito dolosamente distratti, occultati o dissimulati, distrutti o dissipati.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 45372/19, depositata il 7 novembre, ha, altresì, chiarito che tale principio vale anche per i beni infungibili che siano rimasti distinti dal patrimonio del fallito, che devono essere restituiti dal curatore agli aventi diritto, con la conseguenza che, se siano stati distratti, la curatela dovrà pagarne l’integrale valore al titolare”. Una distrazione dopo l’altra. Il principale motivo di doglianza sollevato dal ricorrente avverso la sentenza della Corte di Appello, che aveva confermato l’affermazione della penale responsabilità per bancarotta, si risolve essenzialmente nell’osservazione che il bene del quale si deduce, quale fatto costituente reato, la distrazione era pervenuto al patrimonio del fallito proprio in conseguenza di una pregressa condotta distrattiva in danno di altra impresa. Nei propri motivi di ricorso, osserva la difesa dell’imputato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, solo se i beni illecitamente pervenuti nel patrimonio della fallita fossero stati di natura fungibili si sarebbero confusi con il patrimonio della società fallita, entrandone a fare parte. Poiché oggetto della condotta distrattiva di bancarotta possono essere solo i beni che fanno parte del patrimonio della fallita – osserva il ricorrente – la conseguenza necessitata è che se i beni illecitamente sopravvenuti sono, invece, infungibili, gli stessi rimangono distinti dal patrimonio della fallita, non entrano a farne parte e, dunque, non possono essere oggetto di una ulteriore distrazione penalmente rilevante. La non punibilità della seconda condotta distrattiva su detti beni troverebbe la propria giustificazione nel fatto che si tratterebbe di una sorta di post factum non punibile. La corretta ricostruzione dei precedenti giurisprudenziali. Osservano gli Ermellini, nella sentenza in commento, come sia assolutamente condivisibile l’orientamento giurisprudenziale richiamato dal ricorrente, secondo cui, nel caso di distrazione commessa su beni provenienti da una precedente azione delittuosa dell’imprenditore, poi dichiarato fallito, è ben possibile il concorso fra il reato anche comune attraverso il quale venne procacciato il bene ed il reato fallimentare. Ciò perché, secondo detto orientamento, i beni di provenienza delittuosa entrano comunque a fare parte del patrimonio dell’imprenditore in quanto con questo si confondono. Tuttavia, detto orientamento, osserva la Corte, non è in reale contrasto con quel filone giurisprudenziale che afferma l’incondizionata punibilità dei fatti di distrazione commessi su beni illecitamente acquisiti dal fallito, dovendosi aver riferimento solo alla consistenza obbiettiva del patrimonio e prescindere dalle modalità di formazione del medesimo. Il fatto che si tratti di beni fungibili o di beni infungibili e che, dunque, si siano o meno confusi con il restante patrimonio del fallito non ha alcuna rilevanza al fine di escludere penale rilevanza ad eventuali condotte che li abbiano resi oggetto di distrazione. Il patrimonio del fallito suscettibile di distrazione, prosegue la Corte, è tutto quello che appartiene” all’imprenditore e quindi, quando un bene proviene da attività illecita, entra comunque a far parte di tale patrimonio a prescindere dalla sua natura di bene fungibile o infungibile. L’irrilevanza della distinzione tra bene fungibile ed infungibile. Osserva la Corte che è senza dubbio vero che i beni fungibili si confondono con il restante patrimonio del fallito, mentre questo non accade con i beni infungibili. Tuttavia, tale distinzione non indice sull’evidente e del tutto analogo danno alla massa fallimentare che consegue al fatto che detti beni siano oggetto di condotte distrattive da parte dell’imprenditore poi dichiarato fallito. Se trattasi di beni fungibili diverranno parte indistinta del patrimonio dell’imprenditore e, dunque, garanzia per tutti i creditori ivi compresa la vittima della prima condotta illecita se trattasi, invece, di beni infungibili, qualora non distratti dovranno essere restituiti all’avente diritto se, invece, oggetto di distrazione, la curatela fallimentare sarà obbligata a rifondere, all’avente diritto, un valore pari a quello di detto bene, attingendo dall’attivo fallimentare. Ciò rende evidente come una condotta distrattiva avente ad oggetto beni illecitamente acquisiti dal fallito si ripercuota con uguale danno sulla procedura concorsuale a prescindere dalla natura fungibile o infungibile di detti beni. Il ricorso viene pertanto rigettato sul punto e la pronuncia annullata con rinvio limitatamente alla mera durata delle sanzioni interdittive accessorie in conseguenza della nota sentenza n. 222/2018 della Corte Costituzionale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 ottobre – 7 novembre 2019n. 45372 Presidente Palla – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Salerno ha confermato la condanna di M.C. e M.R. per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale continuata, commesso dagli imputati con titolo proprio ovvero come concorrenti esterni in riferimento ai beni distratti dalla ditta individuale del padre M.E. , dalla omissis s.n.c. e dalla omissis s.r.l., tutte dichiarate fallite tra il maggio del 2000 e il settembre del 2001. 2. Avverso la sentenza ricorrono congiuntamente gli imputati con atto a firma del comune difensore articolando tre motivi. 2.1 Con il primo deducono violazione di legge e vizi della motivazione in merito all’affermazione della responsabilità di M.R. quale concorrente esterno nella distrazione dei beni della omissis in favore della omissis , asseritamente amministrata di fatto dal medesimo. In proposito la Corte territoriale non avrebbe dimostrato che l’imputato, quale amministratore della società cessionaria, abbia istigato quello della fallita alla distrazione dei beni di quest’ultima, requisito invece necessario per la configurabilità del concorso esterno nel reato di bancarotta patrimoniale, posto che altrimenti l’acquisizione di tali beni deve ritenersi costituisca mera manifestazione del libero esercizio d’impresa. Analoghi vizi vengono dedotti con il secondo motivo in merito all’affermazione di responsabilità di entrambi gli imputati per la distrazione operata ai danni della ditta individuale del padre medesime argomentazioni. 2.2 Gli stessi vizi vengono denunziati anche con il terzo motivo, riguardo alle condotte distrattive contestate ai danni di omissis . 2.2.1 Una prima doglianza riguarda la cessione a s.p.a. riconducibile alla famiglia M. della licenza di trasporto per conto terzi di cui era titolare la fallita. In proposito la Corte avrebbe travisato le risultanze processuali riportate nella pronunzia di primo grado, da cui si evincerebbe come tale cessione, contrariamente a quanto affermato dai giudici dell’appello, non è avvenuto in assenza di corrispettivo. Ed in tal senso la sentenza impugnata non si sarebbe nemmeno confrontata con le conclusioni del consulente di parte, il quale ha attestato come il prezzo pattuito fosse congruo. 2.2.2 Sotto altro profilo i ricorrenti lamentano poi la configurabilità del reato in riferimento alla cessione alla stessa dell’impianto di frantumazione e raffinazione di argilla e del connesso diritto di sfruttamento della cava, beni che la fallita aveva acquistato in precedenza dalla ditta individuale di M.E. . Posto che di tale ultima operazione è stata affermata a sua volta la natura distrattiva e che pertanto si assume che i beni in oggetto siano pervenuti illecitamente alla fallita, gli stessi potevano ritenersi far parte del patrimonio della medesima - presupposto ineludibile per la configurabilità del reato contestato - solo qualora in esso si fossero confusi e non anche, come invece avvenuto, qualora fossero individuabili nella loro materialità, rimanendo parte integrante del patrimonio dell’originario titolare. 2.2.3 Le restanti censure riguardano la distrazione degli ulteriori beni della fallita per cui è intervenuta condanna e cioè le somme prelevate a titolo di anticipo soci , nonché le attrezzatture della fallita cedute alla . Quanto alle prime illogica sarebbe la motivazione della sentenza nella misura in cui si fonda sulle scritture contabili contestualmente ritenute inaffidabili dai giudici di merito, rimanendo così indimostrata l’effettiva esistenza delle risorse di cui viene affermata la distrazione. Quanto alle attrezzature, invece, non sarebbe dimostrato l’elemento soggettivo del reato. Una volta accertato, infatti, che versò alla fallita centinaia di milioni di lire per l’acquisto dei veicoli della stessa, non si comprenderebbero le ragioni della volontaria sottrazione ai creditori di beni del valore di pochi milioni come quelli di cui si tratta. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono nel complesso infondati e devono conseguentemente essere rigettati. 2. Manifestamente infondati sono i primi due motivi. La Corte territoriale ha infatti esaurientemente motivato in merito al contributo causale offerto da M.R. ovvero da entrambi gli imputati alla consumazione delle distrazioni operate, rispettivamente, ai danni di omissis e della ditta individuale di M.E. . Motivazione con la quale i ricorrenti non si sono sostanzialmente confrontati, preferendo eccepire la violazione di un inesistente principio per cui il concorso dell’extraneus nella bancarotta patrimoniale, sotto il profilo oggettivo, dovrebbe necessariamente consistere nell’istigazione dell’autore proprio da parte del concorrente. Principio che echeggia sì quello affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ma in riferimento alla diversa ipotesi di bancarotta preferenziale, nella quale effettivamente l’eventuale contributo del concorrente esterno si risolve tendenzialmente nell’istigazione dell’autore proprio del reato, fermo restando che anche in tale ipotesi valgono i principi generali ritraibili dagli artt. 110 c.p. e ss. e che, dunque, la condotta concorsuale non è in alcun modo vincolata nella forma. Come correttamente evidenziato nella sentenza, tale ultimo principio è a maggior ragione valido con riguardo alla diversa fattispecie di bancarotta patrimoniale, dove anche secondo l’esperienza giudiziaria la condotta concorsuale può assumere la forma più varia, rilevando esclusivamente la sua effettiva idoneità a contribuire causalmente alla consumazione del reato. 3. Infondate o generiche sono altresì le censure proposte con il terzo motivo in merito alle distrazioni ai danni di omissis , contestate ai punti j e k del capo A dell’imputazione. Quanto a quelle relative all’indebito prelievo di contanti dalle casse sociali a titolo di anticipo soci , deve rilevarsi come la doglianza relativa al difetto della prova della effettiva esistenza della liquidità che si assume distratta non era stata avanzata con il gravame di merito. Non di meno va osservato che la Corte territoriale ha fornito motivazione sul punto, quantomeno con riguardo alle risorse acquisite a seguito del parziale pagamento del prezzo dei beni ceduti a . Con tale giustificazione i ricorrenti comunque non si sono confrontati, eccependo dunque un inesistente difetto di motivazione. Per quanto concerne la cessione dell’attività di trasporto in conto terzi appare evidente che la Corte, trattando di tale asset congiuntamente ad altri, abbia inteso riferirsi alla mancata corresponsione di un corrispettivo adeguato, mentre le obiezioni relative all’omessa confutazione delle conclusioni del consulente tecnico della difesa risultano del tutto generiche, posto che non viene indicata la decisività di queste ultime. Con riguardo all’elemento soggettivo della distrazione delle attrezzature, l’obiezione difensiva è intrinsecamente priva di qualsivoglia fondamento, confondendosi con la stessa, tra l’altro, il dolo del reato con il movente del medesimo. 4. Infondata è anche la prima doglianza avanzata con il terzo motivo. 4.1 Secondo l’indirizzo giurisprudenziale più risalente evocato dai ricorrenti, la punibilità a titolo di bancarotta patrimoniale delle condotte aventi ad oggetto i beni di provenienza illecita sussisterebbe con riguardo a quelli fungibili Sez. 5, n. 23318 del 17/03/2004, Spartà ed altri, Rv. 228863 Sez. 5, n. 2057/94 del 15/12/1993, Lantieri, Rv. 197270 Sez. 3, n. 3852 del 28/02/1992, Duval ed altri, Rv. 189801 Sez. 5, n. 2373/90 del 14/12/1988, Giacuzzi, Rv. 183399 Sez. 5, n. 4708 del 06/02/1986, Febbo, Rv. 172921 Sez. 5, n. 1768/84 del 08/02/1983, Dorio, Rv. 162860 Sez. 5, n. 4830 del 12/02/1980, Ario, Rv. 144973 . In tal senso si è ritenuto configurabile il reato nel caso di distrazione commessa su beni provenienti da una precedente azione delittuosa dell’imprenditore fallito con la conseguenza della possibilità di concorso tra il reato comune attraverso il quale venne procacciato il bene e quello fallimentare sul presupposto che i beni di provenienza delittuosa, finché non siano individuati o separati dal patrimonio dell’imprenditore, costituiscono parte integrante del medesimo e restano in esso confusi e quindi soggetti alla procedura concorsuale, concretandosi la certezza dell’appartenenza del bene alla vittima del reato e il consequenziale obbligo di restituzione o di risarcimento del danno solo con la sentenza irrevocabile di condanna. Sulla scorta, dunque, di questo criterio, andrebbe esclusa la responsabilità per bancarotta, quando il bene di provenienza illecita non abbia fatto effettivo ingresso nel patrimonio dell’imprenditore poi fallito. Pertanto, gli atti ulteriormente effettuati sul bene costituirebbero sostanzialmente un post-fatto non punibile mentre integrerebbe il reato fallimentare la distrazione di quanto ricavato dall’eventuale vendita dei beni illecitamente acquisiti invece, e per contro, andrebbe affermata la bancarotta in rapporto ai beni fungibili primo fra tutti il danaro che, una volta appresi, si confonderebbero in ogni caso nel patrimonio del fallito. 4.2 Tale indirizzo non è però in reale contrasto con l’orientamento, oramai consolidatosi, cui si richiama la pronunzia impugnata, il quale afferma l’incondizionata punibilità dei fatti di distrazione commessi sui beni illecitamente acquisiti, dovendosi in proposito avere riguardo alla consistenza obiettiva del patrimonio, prescindendo dai modi della sua formazione, con la conseguenza che detti beni, una volta entrati nel patrimonio della società, diventano cespiti sui quali i creditori possono soddisfare le loro ragioni Sez. 5, n. 51248 del 05/11/2014, Cutrera, Rv. 261740 Sez. 5, n. 8373/14 del 27/09/2013, Mancinelli, Rv. 259041 Sez. 5, n. 39610 del 21/09/2010, Meschieri e altro, Rv. 248652 Sez. 5, n. 45332 del 09/10/2009, Rapisarda, Rv. 245156 Sez. 5, n. 44159 del 20/11/2008, Bausone e altro, Rv. 241692 Sez. 5, n. 42635 del 04/10/2004, Collodo ed altri, Rv. 229908 Sez. 5, n. 23318 del 17/03/2004, Spartà ed altri, Rv. 228863 Sez. 5, n. 31911 del 16/03/2001, Cortesi A, Rv. 220225 Sez. 5, n. 9378 del 28/09/1993, D’Elia, Rv. 196003 Sez. 5, n. 2334/89 del 15/12/1988, Grespan, Rv. 180526 Sez. 5, n. 1341/87 del 22/10/1986, Sonson, Rv. 175009 Sez. 3, n. 5350 del 16/01/1986, Brunello, Rv. 173081 Sez. 5, n. 1295/83 del 13/12/1982, Lipera, Rv. 157403 Sez. 5, n. 10407 del 07/10/1981, Malvento, Rv. 151038 . Orientamento che il Collegio intende qui ribadire, poiché il concetto di beni del fallito si identifica con quello di appartenenza , non essendovi dubbio che, quando l’imprenditore ricava delle attività da un illecito, le stesse entrano a far parte del suo patrimonio senza che possa farsi alcuna distinzione circa la loro provenienza, come si evince, tra l’altro, dalla L. Fall., art. 42, il quale garantisce uniformità di trattamento a tutti i beni del fallito. Ne consegue che, quando i beni illecitamente sopravvenuti siano fungibili, essi entrano a far parte del patrimonio del fallito ed essendo perciò destinati alla soddisfazione dei creditori, sono, comunque, oggetto di bancarotta, se dal fallito dolosamente distratti, occultati, dissimulati, distrutti o dissipati. Quando i beni illecitamente sopravvenuti siano invece infungibili - e questo è l’esatto significato del principio affermato dalle pronunzie evocate dal ricorrente - e siano rimasti formalmente distinti dal patrimonio del fallito, il curatore, che ne assume la disponibilità, deve senz’altro restituirli agli aventi diritto e, tuttavia, il fallito risponde di bancarotta se, rendendo impossibile la restituzione, fa sorgere l’obbligo dell’amministrazione fallimentare di pagarne l’integrale valore al titolare, fermo restando che, qualora li abbia alienati verso corrispettivo, la sottrazione di quest’ultimo integra parimenti il reato. Ed in tal senso è irrilevante, qualora a fallire sia una società, che i beni acquisiti illecitamente dall’amministratore siano solo strumentalmente transitati nel patrimonio della medesima, per essere poi distratti in favore di quest’ultimo o di terzi, giacché, poiché in ogni caso tali beni hanno fatto ingresso nel patrimonio della fallita, rimanendo irrilevante l’intenzione dell’agente di utilizzare eventualmente quest’ultima come mero schermo. 4.3 La sentenza impugnata ha fatto buon governo di questi principi ed ha dunque correttamente ritenuto la natura distrattiva della cessione a XXXXXX senza corrispettivo dei beni di cui ai punti c e d del capo A , indipendentemente dal fatto che gli stessi fossero pervenuti alla fallita in conseguenza di precedente distrazione ai danni dell’impresa individuale del padre degli imputati. 5. Nonostante i motivi di ricorso siano infondati o inammissibili deve però prendersi atto che la Corte Costituzionale sent. n. 222 del 2018 ha nelle more dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 216, u.c. nella parte in cui determinava nella misura fissa di dieci anni, anziché fino a dieci anni, la durata delle pene accessorie previste per i reati fallimentari. Deve quindi rilevarsi l’illegittimità della commisurazione delle suddette pene accessorie nel caso di specie, essendo le stesse state applicate agli imputati sulla base del dettato normativo ritenuto incostituzionale. Conseguentemente la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli per nuovo esame sul punto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione della durata delle pene accessorie di cui alla L. Fall., art. 216, u.c., con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto i ricorsi.