Spazio minimo vitale in cella e art. 3 Cedu: giurisprudenza sempre più elastica

Lo spazio individuale minimo di disponibilità del singolo detenuto in cella collettiva, individuato in tre metri quadrati, costituisce un indice di riferimento dal quale è possibile ipotizzare una forte presunzione di violazione dell’art. 3 Cedu. Tale presunzione non è assoluta, in quanto è superabile dalla dimostrazione da parte dell’amministrazione della contestuale presenza di fattori compensativi idonei.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 43440/19 depositata il 23 ottobre. Il caso. Il Ministero della Giustizia propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Sorveglianza accoglieva, limitatamente ai periodi di pena vissuti presso il carcere di Messina, il reclamo ex art. 35- ter ord. pen. del detenuto. In particolare, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Cedu con riferimento all’individuazione dello spazio disponibile e del carattere disumano della detenzione. Le Corti adottano criteri sempre meno rigidi. In tema di compatibilità degli spazi carcerari con i principi espressi dall’art. 3 Cedu, e in sintonia con le più recenti conclusioni pervenute dalla Corte EDU, la Cassazione si è progressivamente attenuta a criteri piuttosto elastici, così da consentire una globale valutazione delle condizioni generali di detenzione, assestandosi sull’opzione interpretativa che individua la superficie di 3 metri quadrati come c.d. spazio individuale minimo di disponibilità del singolo detenuto in cella collettiva. Tale spazio, così individuato, costituisce un indice di riferimento a partire dal quale si ipotizza una forte presunzione di violazione rilevante ex art. 3 Cedu, suscettibile di essere superata attraverso la dimostrazione della sussistenza di altri aspetti del regime restrittivo in grado di compensare, in maniera adeguata, la mancanza di spazio personale. Si tratta dunque di una presunzione non assoluta, in quanto superabile dalla dimostrazione da parte dell’amministrazione della contestuale presenza di fattori compensativi idonei. Essa non opera però se lo spazio individuale minimo è superiore a 3 ma comunque inferiore a 4 metri quadrati tuttavia tale circostanza potrà costituire un elemento di peso che, se accompagnato da altri elementi fattuali indicativi di cattive condizioni materiali di detenzione, potrà fondare il giudizio sull’avvenuta violazione dell’art. 3 Cedu. Nella fattispecie, il Tribunale di Sorveglianza non si è attenuto a tali principi, considerando decisivo il superamento dello spazio individuale minimo, senza valutare fattori compensativi proporzionati alla maggiore libertà di movimento, nonché le altre condizioni materiali di detenzione. Per tali motivi, la Suprema Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 settembre – 23 ottobre 2019, n. 43440 Presidente Rocchi – Relatore Aliffi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 14.2.2019 il Tribunale di sorveglianza di Perugia, accogliendo il reclamo di P.F. avverso il provvedimento di parziale rigetto del reclamo ex art. 35 ter ord. pen. limitatamente ai periodi di pena vissuti presso la Casa circondariale di Messina, ha ridotto la pena detentiva ancora da espiare di giorni due, liquidando una somma di denaro in applicazione del criterio sussidiario di cui alla citata norma. 1.1. A ragione della decisione osservava che il P. durante il periodo di esecuzione penale presso la Casa circondariale di Messina era stato ristretto in una stanza in cui aveva avuto a disposizione uno spazio di circa 3,2 mq scomputati gli spazi occupati dai due letti, dagli arredi fissi e tenuto conto della presenza di due compagni di detenzione e che questa dimensione, prossima a quella che determina una forte presunzione di violazione dell’art. 3 Convenzione EDU, non risultava adeguatamente compensata dai tempi che l’interessato poteva trascorrere fuori stanza 4 ore all’aria aperta e due ore ulteriori in sale di socialità . 2. Avverso detta ordinanza il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della Convezione EDU con precipuo riferimento all’individuazione dello spazio disponibile e del carattere disumano della detenzione. Secondo il ricorrente, il Tribunale di sorveglianza si sarebbe discostato dalle regole di giudizio in tema di determinazione dei c.d. spazi vitali ripetutamente affermate dalla giurisprudenza nazionale in conformità alle pronunce della Corte EDU ed in particolare a quella resa dalla Grande Camera nel caso Mursic c. Croazia in data 20.10.2016. La decisione impugnata, infatti, ha, infatti, esteso la applicazione della forte presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU, in tema di divieto di trattamenti inumani o degradanti, dall’ipotesi in cui il detenuto abbia avuto a disposizione durante la detenzione una superfice minima di tre metri quadrati alla diversa fattispecie in cui il detenuto ha avuto a disposizione uno spazio, sia pure di poco, superiore ai tre metri quadrati. A seguito dell’equiparazione ha erroneamente ritenuto necessario procedere anche in questa diversa ipotesi alla valutazione del complessivo trattamento carcerario al fine di individuare l’esistenza di adeguati fattori compensativi utili a superare la citata presunzione che, tuttavia, opera solo quando non sia garantito al detenuto il già citato spazio carcerario minimo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è meritevole di accoglimento per le ragioni di seguito esposte. 2. La giurisprudenza di legittimità più recente, in sintonia con le conclusioni cui è pervenuta la Corte EDU nelle più recenti sentenze in particolare nella pronuncia resa dalla Grande Camera in data 20 ottobre 2016 nel caso Mursic c. Croazia , occupandosi del tema della compatibilità degli spazi carcerari con i principi espressi dall’art. 3 CEDU, ha fatto riferimento a criteri non rigidi, quanto piuttosto elastici, onde consentire una globale valutazione delle condizioni generali di detenzione, conformemente all’evoluzione della stessa giurisprudenza convenzionale. Per questa via, la Corte di cassazione si è progressivamente assestata sull’opzione interpretativa che individua la superficie di tre metri quadrati come c.d. spazio individuale minimo di disponibilità del singolo detenuto in cella collettiva, il quale costituisce un indice di riferimento a partire dal quale viene ipotizzata una forte presunzione di violazione rilevante ex art. 3 CEDU, suscettibile di essere superata attraverso la dimostrazione della sussistenza di altri aspetti del regime restrittivo che, alla luce delle globali condizioni della detenzione e della sua durata, siano in grado di compensare, in maniera adeguata, la mancanza di spazio personale. Si tratta, quindi, di una presunzione non assoluta perché superabile dalla dimostrazione da parte dell’amministrazione della contestuale presenza di fattori compensativi idonei individuati a titolo di esempio nella libertà di movimento sufficiente fuori cella nella fruizione di attività fuori cella adeguate nella reclusione in un istituto che offre in linea generale condizioni dignitose in assenza di altri aspetti negativi del trattamento in rapporto alle condizioni igieniche e ai servizi forniti. 3. Se lo spazio individuale minimo di cui dispone il detenuto è superiore a tre ma inferiore ai quattro metri quadrati non opera la individuata forte presunzione di violazione dell’art. 3 tuttavia, detta specifica circostanza costituisce un elemento di peso che può fondare il giudizio sulla avvenuta violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti solo se accompagnato da altri elementi fattuali ulteriori comunque indicativi delle cattive condizioni materiali di detenzione quali a titolo esemplificativo la mancanza di accesso al cortile o all’aria e alla luce naturale, la cattiva areazione, una temperatura insufficiente o troppo elevata nei locali, l’assenza di riservatezza nella toilette, le cattive condizioni sanitarie e igieniche, la carenza di assistenza sanitaria o l’assenza di offerte ricreative o culturali, l’inadeguatezza dei locali destinati allo svolgimento di attività lavorativa interna, sotto i profili di deficienze strutturali o dell’esistenza di rischi per la salute dei lavoratori da ultimo in tal senso Sez. 1, n. 5835 del 15/11/2018, dep. 2019, Rv. 274874 Marsano Nel caso di superamento dello spazio individuale minimo contenuto perché limitato fino ai quattro metri quadrati, inoltre, devono, essere presi in considerazione fattori compensativi funzionali a sopperire ad una limitazione della libertà di movimento del detenuto di minore consistenza se lo spazio individuale minimo è inferiore ai tre metri quadrati al detenuto devono essere garantiti una più prolungata libertà di movimento fuori cella, mentre se lo spazio è superiore la libertà di movimento supplementare, pur sempre necessaria, può anche essere di minore durata o di minore qualità in relazione all’ambiente in cui è esercitata a parità di complessive condizioni carcerarie comunque dignitose. In tal senso, la già citata pronuncia della Corte EDU nel caso Mursic c. Croazia ha precisato che quando la superficie calpestabile di cui dispone un detenuto in una cella collettiva è inferiore a 3 m2, la mancanza di spazio personale è ritenuta talmente grave da dare luogo a una forte presunzione di violazione dell’art. 3 che non può normalmente essere vinta se non ricorrono insieme tutti i fattori seguenti 1 le riduzioni dello spazio personale in rapporto al minimo obbligatorio di 3 m2 sono brevi, occasionali e minori 2 si accompagnano a una libertà di movimento sufficiente fuori della cella e ad attività fuori cella adeguate 3 il ricorrente è recluso in un istituto che offre, in linea generale, delle condizioni di detenzione dignitose e non è sottoposto ad altri elementi ritenuti circostanze aggravanti delle cattive condizioni di detenzione e che invece quando un detenuto dispone nella cella di uno spazio personale compreso fra 3 e 4 m2, il fattore spaziale resta un elemento di peso nella valutazione da parte della Corte del carattere adeguato delle condizioni di detenzione. In tal caso concluderà per una violazione dell’art. 3 se la mancanza di spazio si accompagna ad altre cattive condizioni materiali di detenzione, in particolare la mancanza di accesso al cortile o all’aria e alla luce naturale, la cattiva aereazione, una temperatura insufficiente o troppo elevata nei locali, un’assenza di riservatezza nelle toilette o delle cattive condizioni sanitarie e igieniche . 4. Il provvedimento impugnato non si è adeguato a questi principi perché ha applicato la regola di giudizio prevista per individuare il trattamento disumano e degradante in caso di detenzione in spazi inferiore ai 3 metri al diverso caso in cui la superfice è superiore, sia pure di poco, ai tre ma inferiore ai quattro metri quadri in quest’ottica, ha considerato decisivo il superamento dello spazio individuale minimo e non ha valutato fattori compensativi proporzionati alla maggiore libertà di movimento possibilità dell’interessato di trascorrere fuori stanza 4 ore all’aria aperta e due ore ulteriori in sale di socialità di dimensioni e caratteristiche imprecisate nonché le altre condizioni materiali di detenzione. 5. Ciò posto il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio per nuovo esame. Il Tribunale di sorveglianza, in sede di rinvio, verificherà se, in concreto, la detenzione, tenuto conto dello spazio a disposizione del detenuto nonché dell’offerta trattamentale aggiuntiva e delle altre condizioni materiali, fosse stata conforme al principio di umanità nei termini fissati dai principi giurisprudenziali indicati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Perugia.