Trattamenti estetico-sanitari caratterizzati da palpazioni ‘invasive’: medico condannato

Evidente la responsabilità per il reato di violenza sessuale, alla luce dei racconti fatti dalla paziente. Definitiva la pena diciotto mesi di reclusione. A rendere più grave la condotta del medico è il fatto che la donna soffrisse all’epoca di depressione.

La depressione della paziente rende più gravi le palpazioni ‘invasive’ messe in atto dal medico, che col pretesto di trattamenti estetico-sanitari l’ha costretta a subire una vera e propria violenza sessuale. Definitiva perciò la condanna, alla luce dei racconti fatti dalla donna Cassazione, sentenza n. 42518/19, sez. III Penale, depositata oggi . Manovra. Ricostruita nei dettagli la vicenda, le parole della donna, molestata con palpazioni ‘invasive’ dal medico di famiglia, sono valutate dai giudici come attendibili e sufficienti per una condanna dell’uomo, ritenuto colpevole di violenza sessuale e punito con diciotto mesi di reclusione. Pronta, e inevitabile, la replica del difensore dell’uomo, che con il ricorso in Cassazione prova soprattutto a mettere in discussione la versione fornita dalla donna. A questo proposito, il legale parla di semplici suggestioni da parte della persona offesa che, a suo dire, avrebbe travisato la manovra di medicina estetica subita, attribuendole connotazione sessuale . Allargando poi l’orizzonte, il legale aggiunge che durante lo svolgimento delle manovre incriminate la donna indossava degli occhiali scuri che le avrebbero impedito di avere contezza visiva di ciò che accadeva, e pone in evidenza anche il dato patologico della personalità della donna, sofferente all’epoca di uno stato depressivo . Tradimento. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’, però, va respinta l’ipotesi che i trattamenti estetico-sanitari praticati dal medico siano stati scorrettamente percepiti dalla donna come invasivi della propria sfera sessuale . Difatti, viene ritenuta evidente l’attendibilità dei racconti fatti dalla persona offesa, attendibilità che non può essere messa in dubbio dal semplice richiamo al suo stato depressivo . Anzi, a dirla tutta, per i Giudici lo stato patologico della donna è un elemento a discapito del medico, poiché il tradimento della professione medica appare tanto più grave se si tiene conto del fatto che le violazioni sono state poste in essere nei confronti di un soggetto altamente vulnerabile per le sue problematiche di depressione .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 maggio – 16 ottobre 2019, n. 42518 Presidente Rosi – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 6 febbraio 2017, la Corte d'appello di Brescia ha parzialmente riformato la sentenza del Gup del Tribunale di Bergamo del 19 novembre 2014, resa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale l'imputato era stato condannato, per il reato di cui agli 81, secondo comma, e 609 bis, ultimo comma, cod. pen., perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con violenza e abuso d'autorità, costringeva Gi. Fr. a subire atti sessuali, con il pretesto di verifiche o trattamenti estetico-sanitari, nella sua qualità di medico di famiglia, con le modalità analiticamente descritte nell'imputazione all'inizio del 2013 e il 14 maggio 2013 . La Corte territoriale ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai fatti aventi data diversa dal 14 maggio 2013 in quanto l'azione penale non doveva essere iniziata per tardività della querela, e ha ridotto, la pena inflitta per la residua imputazione ad anni uno, mesi sei e giorni venti di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, chiedendone l'annullamento. 2.1. - Con un primo motivo di ricorso, si censurano l'inosservanza degli artt. 27 Cost, 187, 442, commi 1 e 2, 530, comma 2, 533, comma 1, cod. proc. pen. circa il ragionevole dubbio sulla prova del fatto la mancata valutazione di tutti gli atti acquisiti al giudizio abbreviato la manifesta illogicità, mancanza ed insufficienza della motivazione in ordine all'ipotesi alternativa fornita dall'imputato e il travisamento della prova della connotazione sessuale degli atti contestati. A parere della difesa, avrebbe errato la Corte d'appello nel porre a fondamento del giudizio di colpevolezza la suggestione della persona offesa, secondo cui questa, mossa da peculiari sgradevoli sensazioni, stati d'animo o condizioni patologiche, avrebbe travisato la manovra di medicina estetica del medico attribuendole connotazione sessuale. Nel gravame di appello, la difesa non avrebbe contestato l'esistenza fenomenica delle manovre del medico, ma la percezione errata della paziente, che si desume anche dal fatto che, durante lo svolgimento di dette manovre, indossasse degli occhiali scuri a protezione del laser che le avrebbero impedito di avere contezza visiva di quanto accadesse e dal dato patologico della personalità della stessa, pacificamente sofferente di uno stato depressivo al momento dei fatti. Il giudice territoriale avrebbe violato il canone del ragionevole dubbio circa la responsabilità del medico, non considerando l'incompletezza del materiale probatorio dovuta all'utilizzo del rito abbreviato. Inoltre, non sarebbe stata tenuta in debito conto la ricostruzione alternativa fornita dall'imputato in sede di interrogatorio, in cui egli aveva ripercorso l'intera storia clinica della paziente, le visite, la somministrazione di farmaci, le manovre e la manipolazioni necessarie all'applicazione dei trattamenti di medicina estetica consistiti nell'uso di un prodotto anticellulite che, però, non interessava direttamente i genitali, bensì solo le zone colpite da un disturbo dell'ipoderma e nella rimozione definitiva del follicolo pilifero con la tecnica della luce pulsata, che hanno determinato necessariamente un'azione di palpazione e di costrizione per evidenziare il bulbo pilifero. 2.2. - In secondo luogo, il ricorrente lamenta, ancora, l'inosservanza delle norme giuridiche già richiamate, in relazione al ragionevole dubbio circa la prova del fatto e vizi della motivazione circa la ritenuta irrilevanza della prova a favore dell'imputato, costituita dalle intercettazioni ambientali e telefoniche, e circa gli atti di integrazione probatoria, nonché il travisamento del fatto della consapevolezza dell'imputato stesso circa le indagini in corso. Si contesta il fatto che - sebbene siano state disposte intercettazioni ambientali e telefoniche in cui l'imputato dava prova dell'assoluta assenza di responsabilità rispondendo alle richieste di spiegazioni provenienti dalla persona offesa e dalla madre della stessa e la Corte territoriale abbia riferito che l'imputato non si sia mai tradito, nonostante le plurime provocazioni della persona offesa e della di lei madre - tale circostanza sia stata ritenuta del tutto irrilevante così come sarebbero stati valutati contra reum, la pacatezza dell'imputato, il suo comportamento collaborativo e il suo avere sempre fornito spiegazioni in linea con la pratica di medicina estetica, nonché il suo dispiacere, a seguito della presa di coscienza delle accuse. 2.3. - Con un terzo motivo, il ricorrente censura l'inosservanza degli artt. 187, 442 comma 1 e comma 2, cod. proc. pen., in relazione alla mancata valutazione delle consulenze tecniche, nonché il travisamento del fatto con riferimento alla prova della presenza di saliva dell'imputato e alle modalità di trasferimento della stessa sulla cute della persona offesa. Si sostiene che, dalla consulenza tecnica di parte, con riferimento al reperto biologico prelevato a distanza di ore sulla cute della persona offesa nel corso della visita al pronto soccorso, era emersa l'impossibilità di determinare - oltre alla modalità di contatto - da quale liquido biologico provenisse la traccia di DNA rilevata e, soprattutto, che quella traccia fosse riconducibile alla saliva dell'imputato, ravvisandosi l'esistenza di una traccia mista riconducibile a due soggetti. La Corte territoriale avrebbe, invece, posto a fondamento del giudizio di responsabilità il materiale genetico rinvenuto sui seni della persona offesa, nonostante fosse stato dimostrato che non si potesse con certezza assoluta ritenere che quel materiale fosse saliva e non anche sudore, lacrime o altri fluidi corporei che potevano essere finiti sul corpo della persona offesa in maniera del tutto accidentale, come ad esempio tramite uno starnuto. 2.4. - La difesa censura, poi, l'inosservanza delle norme giuridiche più volte richiamate, in relazione all'omessa valutazione delle condizioni patologiche della persona offesa, risultanti dagli atti e dalle certificazioni del centro psicosociale di riferimento. La stessa era affetta da disturbo depressivo, gestito con l'assunzione, prolungata e attuale al momento dei fatti, di farmaci la cui posologia riporta il rischio di acatasia, agitazione psicomotoria, irrequietezza , che potrebbero aver influenzato le sue percezioni tanto da farle apparire reali, situazioni che non lo erano. 2.5. - Con un quinto motivo, la difesa lamenta l'inosservanza delle stesse norme giuridiche, nonché vizi della motivazione in riferimento alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa. Secondo la prospettazione difensiva, la Corte territoriale avrebbe errato nel non valutare le contraddizioni e i riscontri negativi alle dichiarazioni della persona offesa o, quantomeno, l'evidente dubbio circa il reale svolgersi dei fatti e l'inidoneità soggettiva della dichiarante. 2.6. - Infine, il ricorrente censura l'erronea applicazione degli artt. 62 bis e 133 cod. pen. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. La Corte territoriale non avrebbe tenuto in debito conto la condotta processuale dell'imputato, sin da subito disponibile al prelievo del DNA e a farsi interrogare, nonché presente a tutte le udienze del giudizio abbreviato, e mai sottrattosi al confronto con la persona offesa. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è inammissibile, perché basato sulla mera ripetizione di doglianze fattuali già formulate nei precedenti gradi di giudizio e motivatamente disattese dai giudici di merito, che non appaiono riconducibili a nessuna delle categorie di cui all'art. 606 cod. proc. pen., non essendo effettivamente riferite a violazioni di legge, né a lacune o vizi logici della motivazione. 3.1. - Tali considerazioni si attagliano pienamente al primo motivo di censura, in quanto essenzialmente basato su una ricostruzione alternativa dei fatti, secondo la quale i trattamenti medico-estetistici svolti dall'imputato sarebbero stati scorrettamente percepiti dalla persona offesa come invasivi della sfera sessuale. Come ampiamente evidenziato dai giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione, vi è una contraddittorietà intrinseca nella linea difensiva dell'imputato, la quale, da un lato, si fonda sulla pretesa inattendibilità della persona offesa, mentre, dall'altro, visto l'insuperabile dato oggettivo offerto dalla consulenza biologica, tende ad affermare che le palpazioni nelle zone erogene sono corrispondenti a manovre di chirurgia estetica. Del resto, il fondamento scientifico di tali pratiche risulta del tutto asserito dalla difesa, la quale non riesce a spiegare la presenza del profilo genetico dell'imputato sul seno destro della paziente, se non attraverso la ricostruzione - palesemente inattendibile - secondo cui lacrime, saliva o sudore sarebbero inspiegabilmente caduti proprio su tale parte del corpo della vittima. Né la difesa può lamentarsi in questa sede della pretesa incompletezza del materiale probatorio, perché la mancanza dell'istruttoria dibattimentale e la decisione allo stato degli atti sono le normali conseguenze della scelta del rito abbreviato. 3.2. - Il secondo motivo è inammissibile, per analoghe ragioni. Come ben evidenziato dei giudici di merito, con conforme valutazione, la circostanza che l'imputato non si sarebbe mai tradito, nel corso delle intercettazioni, ad onta delle numerose provocazioni poste in essere dalla vittima e dalla di lei madre, appare del tutto rilevante, a fronte di un quadro probatorio univoco, rappresentato dalle attendibili dichiarazioni accusatorie, direttamente riscontrate dal reperimento di materiale salivare dell'imputato sul corpo di questa proprio in corrispondenza delle zone nelle quali aveva riferito di avere subito contatti con la bocca dell'imputato. 3.3. - Il terzo motivo è parimenti inammissibile. La generica prospettazione difensiva, già ampiamente confutata nel giudizio di merito, si basa sulla circostanza, del tutto irrilevante, che la saliva dell'imputato ritrovata sul seno della vittima faccia parte di una traccia mista di DNA, riconducibile alla vittima e all'imputato. A tale prospettazione la difesa aggiunge la ricostruzione, palesemente inverosimile, secondo cui la saliva dell'imputato sarebbe trovata in quella del corpo della vittima per ragioni inspiegabili. In ogni caso, la circostanza che tale traccia sia stata rinvenuta sul seno che la giovane ha indicato come quello oggetto di minore attenzione e non sull'altro, appare profilo del tutto marginale, come ben evidenziato già in primo grado, perché conferma in ogni caso la versione accusatoria. 3.4. - Anche il quarto motivo è inammissibile. Del tutto correttamente la Corte d'appello valorizza lo stato patologico della persona offesa come elemento a discapito dell'imputato, ai fini della giustificazione dello scostamento dal minimo edittale nel trattamento sanzionatorio, sul rilievo che il tradimento della professione medica appare tanto più grave se si tiene conto del fatto che le violazioni ontologiche sono state poste in essere nei confronti di un soggetto altamente vulnerabile per le sue problematiche di depressione. E lo stato di depressione della persona offesa non può essere preso in considerazione al fine di escludere la sua attendibilità, visto il tenore della sua versione accusatoria, ampiamente riscontrata dai rilievi biologici. 3.5. - Il quinto motivo, parzialmente ripetitivo dei precedenti, è inammissibile per analoghe ragioni. Come già più volte evidenziato, i giudici di merito hanno ben individuato le ragioni della ritenuta credibilità della persona offesa, oltre che nella plausibilità della dinamica dei fatti da questa descritta e nelle spontanee modalità della denuncia, anche nel già menzionato riscontro oggettivo. 3.6. - Il sesto motivo è anch'esso inammissibile. La difesa non tiene adeguatamente conto della motivazione della sentenza impugnata, la quale, del tutto coerentemente evidenzia che l'incensuratezza e la condotta specchiata del sanitario non sono elementi di per sé meritevoli per giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, secondo quanto previsto dall'art. 62 bis, terzo comma, cod. pen. Quanto poi all'asserita collaborazione processuale, la stessa non è apparsa particolarmente significativa, nella difesa anche solo prospettato concrete ragioni per la sua ritenuta significatività, cosicché il trattamento sanzionatorio appare, nel suo complesso, pienamente proporzionato ai fatti e alla personalità dell'imputato. 4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.