Confermata la condanna per marito e moglie che concordavano le offerte alle gare d’appalto

In tema di turbata libertà degli incanti, il collegamento tra società partecipanti alla gara costituisce solo un elemento indiziario al quale deve aggiungersi la prova che dietro la costituzione di imprese apparentemente distinte sia celato un unico centro decisionale di offerte coordinate oppure che le imprese abbiano presentato offerte concordate proprio grazie al rapporto di collegamento.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 42371/19, depositata il 15 ottobre. La vicenda. La Corte d’Appello di Milano confermava la pronuncia di prime cure con cui due coniugi erano stati condannati per il reato di cui agli artt. 110 e 353 c.p La coppia, di cui lui in qualità di amministratore unico e legale rappresentante di una s.r.l. e lei amministratrice delegata di un’altra società, era stata ritenuta responsabile della turbativa di una gara d’appalto per l’affidamento di lavori pubblici mediante collusioni e mezzi fraudolenti consistiti nella presentazione di offerte concordate. La sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione contestando la sussistenza del reato. Sussistenza del reato. Sottolineando la correttezza del ragionamento con cui la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il reato, non limitandosi a valorizzare il collegamento tra le due imprese, ma motivando sulla presenza di offerte concordate, il Collegio ricorda che la giurisprudenza di legittimità afferma costantemente che in tema di turbata libertà degli incanti, il collegamento tra società partecipanti alla gara non è di per sé sufficiente per configurare il reato in parola. Occorre infatti la prova che, dietro la costituzione di imprese apparentemente distinte, sia celato un unico centro decisionale di offerte coordinate, oppure che le imprese abbiano presentato offerte concordate proprio grazie al rapporto di collegamento. Sul punto la stessa Corte di legittimità sentenza n. 3264/18 ha chiarito che il rapporto di controllo o collegamento tra diverse società rappresenta senza dubbio, per i rispettivi amministratori, una condizione propizia per stringere accordi clandestini diretti a battere la concorrenza e, quindi, può ben alimentare il sospetto che le società concorrenti, profittando di tale condizioni favorevole, possano concordare le rispettive offerte, consumando il reato previsto dall’art. 353 c.p., mediante la forma tipica della frode o della collusione. Ma, come testualmente affermato, una bisso separa la supposizione di un fatto dalla prova della sua effettiva verificazione” . Non è dunque configurabile alcuna presunzione assoluta di turbativa del corretto svolgimento della gara fondata sull’esistenza di rapporti di collegamento o controllo anche informale tra più società partecipanti. Il collegamento in sé costituisce solo un indice di irregolarità che concorre con altri elementi nella valutazione del giudice penale. Come anticipato, nella vicenda in esame tali principi hanno trovato corretta applicazione avendo la Corte milanese dimostrato come dall’esame degli indici sintomatici sia emerso un vero e proprio accordo collusivo. Per questi motivi, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 settembre – 15 ottobre 2019, n. 42371 Presidente Mogini – Relatore Calvanese Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Milano, che aveva condannato gli imputati T.A. e P.S. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 353 c.p Agli imputati era stato contestato di aver, quali coniugi, nonché il T. , quale amministratore unico e legale rappresentante della società Alpha Tau srl, e la P. , quale amministratrice delegata della Sabina Appalti srl, turbato una gara di appalto per l’affidamento di lavori pubblici, mediante collusioni e mezzi fraudolenti, consistiti nel presentare offerte concordate. 2. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, denunciando, a mezzo del comune difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, disp. att. c.p.p 2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 353 c.p. e art. 192 c.p., in relazione alla condotta degli imputati. I Giudici di merito dovevano dimostrare - come ha affermato la Corte Suprema n. 42965 del 2016 -, al di là del mero collegamento tra le offerte, l’esistenza di un accordo tra gli imputati finalizzato ad assicurare la vittoria della gara o quanto meno ad aumentare le possibilità di aggiudicazione. Nella medesima linea ermeneutica si è posta la Corte di Giustizia U.E. che ha stabilito che due imprese, anche se collegate, possono partecipare alla medesima gara, qualora dimostrino che il loro rapporto non abbia influito in concreto sul loro comportamento partecipativo. La Corte di appello ha invece valorizzato esclusivamente una serie di indici formali ed estrinsechi delle offerte che avevano portato alla loro esclusione in sede amministrativa sul rilievo del fatto che queste ultime, pur se apparentemente distinte ed autonome, provenissero da un unico centro di interessi, mostrando una commistione e un collegamento fra le stesse . Andava invece considerato che le buste non erano mai state aperte per verificarne il contenuto. I Giudici di merito non hanno invero verificato che le offerte, per come formulate, potessero alterare la gara tenuto conto che - come accertato dai Giudici - vi erano 169 partecipanti e le offerte degli imputati si attestavano sulla media e non avevano anomalie e risulta apodittica l’affermazione che le offerte fossero state il frutto di un accordo sottostante tra le due imprese nei termini sopra evidenziati. Andava considerato con giudizio ex ante la possibilità che le due offerte in una platea di 169 concorrenti potessero alterare la gara, tenuto conto che il metodo di aggiudicazione era quello del massimo ribasso e che quindi che la presentazione di offerte concordate in tale contesto non poteva determinare alcun effetto sull’esito. 2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 353 e 192 c.p. in relazione alla offensività concreta della condotta degli imputati. La Corte di appello si è limitata a valorizzare le modalità di presentazione delle offerte, senza verificare la concreta offensività della condotta degli imputati, ovvero la idoneità delle offerte ad incidere sul regolare andamento della gara, alla luce del metodo di aggiudicazione gara esperita con procedura aperta alla quale avevano partecipato 169 ditte da aggiudicare con il metodo del massimo ribasso e sul contenuto delle offerte stesse l’offerta del T. veniva di per sé a neutralizzare quella con minor ribasso della P. . 2.3. Violazione dell’art. 125 c.p.p. e vizio di motivazione. Le censure ora proposte realizzano anche un difetto di motivazione sui punti indicati. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito indicate. 2. La questione sollevata dai ricorrenti in ordine alla sussistenza della fattispecie delittuosa è inammissibile, in quanto aspecifica e comunque manifestamente infondata. La Corte di appello non si è limitata infatti a valorizzare il mero dato del collegamento tra le due imprese riferibili ai ricorrenti, ma ha accertato che si era in presenza di offerte concordate che rivelavano l’esistenza di un unico centro di interessi. 2.1. La giurisprudenza di legittimità è ferma nell’affermare in tema di turbata libertà degli incanti che il collegamento, formale o sostanziale, tra società partecipanti alla gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico non è di per sé sufficiente a configurare il delitto previsto dall’art. 353 c.p., occorrendo la prova che, dietro la costituzione di imprese apparentemente distinte, si celi un unico centro decisionale di offerte coordinate o che le imprese, utilizzando il rapporto di collegamento, abbiano presentato offerte concordate tra tante, Sez. 6, n. 3264 del 13/06/2018, dep. 2019, Ventura, Rv. 275042 . La portata di questo principio è ben chiarita dalla Corte Suprema nell’arresto ora richiamato, i cui termini è opportuno richiamare. La Suprema Corte ha precisato che il rapporto di controllo o collegamento tra diverse società rappresenta senza dubbio, per i rispettivi amministratori, una condizione propizia per stringere accordi clandestini diretti a battere la concorrenza e, quindi, può ben alimentare il sospetto che le società concorrenti, profittando di tale condizione favorevole, possano concordare le rispettive offerte, consumando il reato previsto dall’art. 353 c.p., mediante la forma tipica della frode o della collusione. Ma, come testualmente affermato, un abisso separa la supposizione di un fatto dalla prova della sua effettiva verificazione . Si è pertanto ritenuta inammissibile qualsiasi presunzione assoluta di turbativa del corretto svolgimento della gara, fondata sulla scoperta dell’esistenza di rapporti di collegamento o controllo, formale o sostanziale, tra società che vi prendano parte, richiedendo la norma incriminatrice in esame che la turbativa d’asta sia commessa con collusioni o altri mezzi fraudolenti . Ciò che rileva, dunque, non è il mero dato del collegamento, sia esso formale o sostanziale, ma il fatto che esso in concreto abbia portato le imprese a presentare offerte coordinate, nei loro specifici ed effettivi contenuti, in modo da assicurare la vittoria della gara, o, quanto meno, aumentarne le relative probabilità. Occorre la prova che, dietro la costituzione di imprese apparentemente distinte, si celi un unico centro decisionale che ha formulato offerte coordinate, oppure che le imprese partecipanti, sfruttando il rapporto di collegamento, abbiano presentato offerte concordate. Il collegamento tra imprese, in sé considerato, costituisce quindi solo un indice di irregolarità suscettibile di acquisire rilevanza penale la cui emersione è tuttavia subordinata alla prova che in concreto vi sia un unico centro decisionale ovvero che vi sia un accordo sugli specifici contenuti delle singole e formalmente autonome offerte Sez. 6, n. 42965 del 22/09/2016, Possanza, Rv. 268071 Sez. 6, n. 28517 dell’01/0472014, Vessa, Rv. 259824 . Alla prova della esistenza di un unico centro decisionale ovvero dell’accordo collusivo tra le imprese sui contenuti delle offerte consegue quindi la prova dell’effetto tossico sulla gara. Tale ricostruzione - ha rilevato la Suprema Corte - si pone in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea Sez. 4, 19 maggio 2009, C-538/07 che ha affermato il principio secondo cui, in base all’ordinamento comunitario, due imprese, anche se collegate, possono partecipare alla medesima procedura qualora non sia dimostrato che il loro rapporto abbia influito sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di tale gara. Occorre quindi accertare se il rapporto di controllo in questione abbia esercitato un’influenza sul contenuto delle rispettive offerte depositate dalle imprese interessate nell’ambito di una stessa procedura di aggiudicazione pubblica, la cui constatazione, in qualunque forma si sia verificata, è sufficiente per escludere tali imprese dalla procedura di cui trattasi. Proprio tale pronuncia ha portato alla modifica della normativa nazionale, con l’introduzione al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 38, lett. m quater, D.L. 25 settembre 2009, n. 135, convertito nella L. 20 novembre 2009, n. 165 di un’ulteriore ipotesi di esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi di coloro che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’art. 2359 c.c., o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale , e con la relativa abrogazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 34, comma 2. Quindi la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea ha solo escluso che, in presenza di un controllo o collegamento formale, l’impresa possa automaticamente essere esclusa dalla partecipazione ad una gara, in assenza della prova della esistenza di un accordo collusivo. 2.2. La sentenza impugnata fa buon governo dei principi ora richiamati posto che ha dimostrato che, al di là del collegamento tra le due imprese, vi fosse la prova della collusione tra le stesse imprese dei ricorrenti nella partecipazione alla gara attraverso la presentazione di offerte concordate. Che si trattasse di offerte concordate è ben evidenziato dai Giudici di merito sin dal primo grado sul punto alcuna critica è effettuata nei ricorsi , attraverso l’esame di indici sintomatici, rivelatori dell’accordo collusivo. Da tale elementi, i giudici di merito, con motivazione non manifestamente illogica, hanno tratto l’inferenza che le imprese avessero un unico centro di imputazione e le offerte fossero state redatte in virtù di un accordo collusivo. 3. L’altro aspetto sollevato dai ricorsi relativo alla offensività della condotta realizzata dai ricorrenti non ha parimenti fondamento alcuno. Il reato di turbata libertà degli incanti è reato di pericolo che si configura non solo nel caso di danno effettivo, ma anche nel caso di danno mediato e potenziale, non occorrendo il conseguimento del risultato perseguito dagli autori dell’illecito, ma la semplice idoneità degli atti ad influenzare l’andamento della gara tra tante, Sez. 6, n. 10272 del 23/01/2019, Cersosimo, Rv. 275163 . Ebbene, i ricorrenti, per avvalorare la tesi della inoffensività della loro condotta, hanno prospettato elementi fattuali che non trovano alcun appiglio nei motivi di appello o che sono stati correttamente ritenuti irrilevanti dai Giudici di merito, in quanto emersi ex post. Nell’appello invero avevano sostenuto l’inoffensività della condotta facendo leva su due elementi la grossolanità degli errori contenuti nelle offerte e la formulazione di offerte al ribasso in media con la maggioranza dei partecipanti . Ebbene, sul primo aspetto, nulla hanno evidenziato in questa sede i ricorrenti, che si sono concentrati invece sul criterio di aggiudicazione e sul contenuto delle offerte, avanzando aspetti fattuali notoriamente preclusi in questa sede non risultando nè dalla sentenza di primo grado nè dall’appello i criteri di valutazione, i metodi e le formule per l’attribuzione dei punteggi e il metodo per la formazione della graduatoria, finalizzati nel caso in esame all’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa . In tale prospettiva appare incensurabile la risposta fornita dalla Corte di appello in ordine alla idoneità della condotta, in quanto ha valorizzato che la stessa concertazione delle offerte, aumentando ex ante la possibilità per i ricorrenti di aggiudicazione della gara e simulando le condizioni per far risultare adempiute le condizioni per l’aggiudicazione, venisse ad alterare il confronto delle offerte, ovvero il gioco della concorrenza, che deve liberamente svolgersi sia a tutela dell’interesse dei privati partecipanti, sia a garanzia dell’interesse della pubblica amministrazione alla aggiudicazione al miglior offerente tra tante, Sez. 6, n. 26809 del 07/04/2011, Rivela, Rv. 250469 . Il regolare andamento della gara è alterato, in realtà, dalla stessa maturazione di offerte concordate ad opera di soggetti collegati ma separatamente partecipanti alla gara medesima Sez. 6, n. 28517 del 01/04/2014, Vessa, Rv. 259824 Sez. 6, n. 31295 del 13/01/2015, D’Auria, non mass. . In presenza dell’accordo collusivo, di cui innanzi, nessuna indagine suppletiva doveva compiere il giudice di merito, volta ad accertare se le precostituite e coordinate offerte avevano in concreto influenzato il risultato della gara. Ne consegue che non ha alcun rilievo a tal fine l’entità e la portata della turbativa, valutata in rapporto alla partecipazione alla gara di un numero notevole di imprese tra tante, Sez. 6, n. 40831 del 08/06/2010, Dell’Aquila, Rv. 248788 . 4. Per le considerazioni su esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento alla Cassa delle Ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 2.000. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.