L’estorsione si consuma anche con lo spoglio e l’intimidazione verso terzi

Si considera già perfezionato il reato di estorsione quando l’intimidazione successiva allo spoglio sia finalizzata a costringere qualcuno a tollerare una situazione ablativa di fatto già esistente, anche qualora essa sia diretta a soggetto diverso rispetto al titolare del diritto di godimento.

Questo il principio contenuto nella sentenza della Suprema Corte n. 39424/19, depositata il 26 settembre. La vicenda. Il Tribunale di Catanzaro sostituiva la misura cautelare della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, inflitta all’attuale ricorrente in relazione al reato di estorsione aggravata anche dal metodo mafioso . Il Tribunale contestava, infatti, al medesimo di avere minacciato la parte offesa mentre puliva l’alloggio e si occupava di adempiere alle spese di gestione dell’appartamento assegnato alla suocera ricoverata presso una casa di cura , intimandogli di rinunciare lui e la suocera al diritto di alloggiare nello stesso, lasciando che rimanesse illecitamente occupato dalla figlia di un esponente apicale del clan mafioso della zona. L’indagato impugna tale provvedimento, lamentando, tra i diversi motivi, l’insussistenza del compendio indiziario a suo carico, il quale non sarebbe idoneo a qualificare i fatti come estorsione consumata, in quanto non solo la sua minaccia sarebbe inidonea ad intimorire qualcuno a rinunciare alle proprie facoltà abitative, ma la stessa non era stata nemmeno comunicata al titolare del diritto che si intendeva violare la suocera . Il delitto di estorsione. La Suprema Corte respinge il ricorso dichiarandolo infondato, osservando come le minacce poste in essere dal ricorrente fossero esplicitamente rivolte non solo alla parte offesa, ma anche al titolare del diritto personale di godimento, avendo ad oggetto la rinuncia a tale diritto e la tolleranza dell’altrui illecita occupazione dell’immobile. Inoltre, la Corte considera integrata l’aggravante del metodo mafioso contestata dal Tribunale, in quanto la minaccia era finalizzata a favorire le esigenze abitative della figlia di un esponente di vertice del sodalizio mafioso egemone nella zona. A tal proposito, gli Ermellini affermano che ai fini del delitto in esame occorre avere riguardo all’ idoneità in concreto ed ex ante della condotta minatoria a realizzare l’obiettivo prefissato, a prescindere dalla capacità e dalla forza d’animo della vittima di resistere alle pressioni illecite . Gli elementi costitutivi del reato di estorsione, infatti, contemplano l’intimidazione volta attraverso la costrizione a tollerare la già intervenuta ablazione del diritto di godimento sul bene immobile, nonché ad ottenere il profitto abitativo ingiusto mediante la realizzazione di un danno ad altri. Alla luce di quanto esposto, la Corte rileva che la pronuncia impugnata è corredata da logica e congrua motivazione, concludendo per l’inammissibilità del ricorso e la pronuncia del seguente principio di diritto allorquando la intimidazione, successiva allo spoglio, ancorché diretta a soggetto diverso dal titolare del diritto di godimento, sia volta a costringere quest’ultimo a tollerare una situazione ablativa di fatto già in essere, il delitto di estorsione deve ritenersi già perfezionato .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 9 – 26 settembre 2019, n. 39424 Presidente Rago – Relatore Perrotti Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 4 aprile 2019, emessa a seguito della udienza-camerale di riesame del 2 aprile precedente, il tribunale di Catanzaro ha sostituito la misura cautelare della custodia in carcere, applicata con ordinanza del giudice per le indagini preliminari del medesimo tribunale in data 12 marzo 2019, con quella degli arresti domiciliari in relazione al reato di in estorsione aggravata anche dal metodo mafioso commessa -in concorso e riunione con altri ai danni di G.D. e di C.L. e denunziata da G.D. . In particolare, si contesta al ricorrente di avere, in uno ad altri indagati, minacciato esplicitamente anche con richiami all’interesse del clan mafioso egemone sul territorio il sig. G.D. , che si occupava di ritirare la corrispondenza pulire l’alloggio e adempiere alle spese fisse di gestione dell’appartamento assegnato alla suocera ricoverata in casa di cura , affinché rinunciasse in uno alla stessa suocera al diritto di alloggiare nell’immobile assegnato, lasciando che lo stesso rimanesse di fatto illecitamente occupato da Z.F. in uno al nucleo familiare, indicata come figlia di esponente apicale del sodalizio mafioso che infesta il territorio di interesse. 2. Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’indagato, deducendo i motivi in appresso sinteticamente descritti ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1 2.1. Violazione di legge penale sostanziale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , con riguardo all’insussistenza di elementi indiziari gravi idonei ad affermare che i fatti denunciati possano qualificarsi come estorsione consumata, perché la minaccia, rivelatasi peraltro di fatto inidonea ad intimorire il minacciato che neppure è il titolare del diritto di abitazione tutelato dall’ordinamento, essendo l’alloggio assegnato alla suocera non ha sortito alcun effetto dismissivo nella persona offesa, non è stata neanche comunicata al titolare del diritto che si intendeva violare e neppure è stata portata con metodo mafioso, da soggetto, peraltro, estraneo alla sodalità egemone sul territorio. Secondo parte ricorrente difetterebbe, infatti, tutto il compendio indiziario a carico, che sarebbe assolutamente inidoneo a costringere chicchessia a rinunciare alle facoltà abitative tutelate dall’ordinamento. 2.2. Violazione di legge processuale, ex art. 606 c.p.p., lett. c , con riferimento all’art. 121 c.p.p., art. 178 c.p.p., comma 1, lett. b e c. Contesta al riguardo la difesa del ricorrente il fatto che il tribunale non avrebbe tenuto in alcuna considerazione le argomentazioni trattate con la memoria prodotta in udienza camerale di riesame, ove erano stati esposti e temi poi riproposti con i motivi di ricorso. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati, non si confrontano con la motivazione precisa e puntuale della ordinanza impugnata ed indugiano nella iterazione degli argomenti già prospettati al giudice del merito con la memoria prodotta in udienza. 1.1. Il tribunale del riesame ha, in primo luogo, dato atto espressamente di aver letto la memoria depositata in udienza, nel corpo motivazionale della ordinanza impugnata ha poi trattato e disatteso, con specifica ed adeguata motivazione, tutte le censure proposte con la stessa memoria, con la conseguenza che la struttura giustificativa dell’ordinanza qui impugnata si salda con il provvedimento genetico, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, avendo i giudici del gravame, esaminato le censure proposte dall’odierna parte ricorrente con criteri omogenei a quelli del primo giudice, in tal modo concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di gravità indiziaria posti a fondamento della decisione stessa. 1.2. Il Tribunale della cautela si è poi ampiamente occupato di esporre, nel breve cronologico divenire, le ragioni che hanno visto spogliare la titolare del diritto di abitazione suocera della persona minacciata delle facoltà materiali connesse al diritto a lei assegnato, rendendo quindi conto della avvenuta consumazione della fattispecie, per avere gli agenti già conseguito il profitto ingiusto occupazione non iure e contra ius dell’immobile con corrispondente danno spoliazione dell’offeso. Le minacce ripetutamente rivolte al G. , che di quell’immobile si occupava in uno al coniuge, erano pertanto manifestamente rivolte anche a comunicare al titolare del diritto personale di godimento la necessità di rinunciare allo stesso, tollerando l’altrui occupazione illecita dell’immobile, giacché quell’appartamento doveva ritenersi destinato a soddisfare le esigenze abitative della figlia di un esponente apicale del sodalizio mafioso egemone sul territorio. Il che rende contezza, per le esplicite modalità della minaccia, della concreta integrazione della aggravante del metodo mafioso contestata, avendo l’agente fatto riferimento a circostanze evocative di un interesse non personale al conseguimento del vantaggio illecito, quanto piuttosto preteso dal vertice locale del sodalizio criminale egemone sul territorio. Nè la circostanza estranea alla condotta che la persona che ebbe a subire la minaccia denunziò i fatti alla polizia giudiziaria può incidere sul perfezionamento della fattispecie ovvero sulla idoneità concreta della condotta a conseguire il risultato peraltro già guadagnato , giacché deve, sul punto, aversi riguardo alla idoneità in concreto ed ex ante della condotta minatoria a realizzare l’obiettivo prefissato, a prescindere dalla capacità e dalla forza d’animo della vittima di resistere alle pressioni illecite Cass. Sez. 2, n. 11453, del 17/2/2016, Rv. 267124, in motivazione . Così come è del tutto indifferente che l’attività di intimidazione sia rivolta al titolare del diritto da conculcare o a persona che a questa è legata da vincoli fiduciari di parentela o affinità Sez. 6, n. 27860, del 247672009, Rv. 244426 . Non v’è motivo, ed il giudice del merito ben lo evidenzia, di dubitare delle dichiarazioni della persona offesa, peraltro confortata nel narrato dalle dichiarazioni del coniuge e dagli accertamenti svolti -nella immediatezza-dalla polizia giudiziaria. Nè sulla genuinità del narrato la difesa ha offerto argomenti di smentita. Si tratta di una serie di argomenti esposti con una motivazione adeguata, logica e non manifestamente contraddittoria, che portano ragionevolmente a ritenere integrati, secondo la regola di giudizio propria della valutazione cautelare art. 273 c.p.p. , l’obiettiva esistenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per affermare l’ontologica e giuridica sussistenza della fattispecie estorsiva contestata, ossia la intimidazione finalizzata, attraverso la costrizione, a tollerare la già intervenuta ablazione del diritto di godimento sull’immobile ed a conseguire il corrispondente profitto abitativo ingiusto, con altrui danno, già realizzatosi. Potendo conclusivamente affermarsi il seguente principio allorquando la intimidazione, successiva allo spoglio, ancorché diretta a soggetto diverso dal titolare del diritto di godimento, sia volta a costringere quest’ultimo a tollerare una situazione ablativa di fatto già in essere, il delitto di estorsione deve ritenersi già perfezionato. 1.3. Il tribunale distrettuale ha infine efficacemente descritto come la vicenda estorsiva si inserisce in un contesto di prevaricazione mafiosa più generale, teso ad offrire alle persone vicine al sodalizio la illecita occupazione di immobili già ad altri assegnati e come il metodo usato per rafforzare la portata intimidatoria della minaccia sia consistito nell’evocare l’interesse all’azione del sodalizio mafioso egemone sul territorio. 1.4. Conclusivamente, risulta quindi che l’ordinanza impugnata così come il provvedimento genetico che ne costituisce il presupposto è motivata in modo congruo, logico e non manifestamente contraddittorio, con riguardo alla sussistenza della gravità indiziaria a carico dell’odierno ricorrente in ordine al reato di estorsione aggravata contestato con la imputazione provvisoria, potendo, con tranquillante grado di prossimità alla certezza, assicurarsi che il tribunale ha vagliato la qualificata probabilità di condanna del ricorrente sulla base degli elementi logici e narrativi rappresentati negli atti affoliati alla procedura, così valorizzando logicamente le dichiarazioni di chi quelle prevaricazioni ha subito. 1.5. Quanto all’aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 416 bis.1 c.p., questa Corte ha già avuto modo di affermare che la disposizione, oggi inserita nella organica complessità codicistica in ragione del principio della riserva di codice di cui all’art. 3 bis c.p., risponde, nello stigmatizzare un metodo e non un fatto, alla avvertita esigenza di prevedere un trattamento sanzionatorio più severo tutte le volte in cui l’evocazione della contiguità ad una organizzazione mafiosa pone la vittima in una condizione di soggezione ulteriore rispetto a quella solitamente derivata dalla condizione di vittima di estorsione Sez. 2, n. 19245 del 30/3/2017, Rv. 269938 . Non occorre, dunque, che alla evocata contiguità corrisponda una concreta e verificata origine mafiosa della minaccia, dovendo il giudice viceversa limitarsi a controllare nella verosimiglianza offerta dal dato dichiarativo che quella evocazione sia effettivamente funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento particolare, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a dover fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che quelle di un criminale comune. Nella fattispecie, la persona offesa dà conto proprio di questo timore ingenerato da quelle parole, avendo il dichiarante avuto la percezione esatta del pericolo di doversi trovare a fronteggiare una agguerrita ed organizzata plurisoggettività, che delinque con metodo mafioso, piuttosto che uno sprovveduto criminale di contrada. 1.6. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. 1.6.1. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, per la parte privata ricorrente, la condanna, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro duemila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa per le ammende.