Cosa si intende per spazio vivibile in cella?

Per la determinazione dello spazio vitale da assicurare a ogni detenuto, dalla superficie lorda della cella deve essere detratta l’area occupata dagli arredi, anche non fissi al suolo, come il tavolo, le sedie e il letto singolo. Tuttavia, la valutazione da condurre in tema di spazio vivibile”, deve avere come punto centrale del ragionamento la possibilità per il detenuto di muoversi normalmente nella cella.

Lo ha chiarito la Cassazione con sentenza n. 38933/19 depositata il 23 settembre. Il caso. L’imputato ricorre per cassazione avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di sorveglianza ha respinto la richiesta di riparazione ex art. 35-ter l. n. 354/1975. In particolare, il ricorrente si duole del criterio applicato per la determinazione dello spazio vitale all’interno della cella, ritenendolo non conforme all’art. 3 CEDU, in quanto in quello disponibile era stato incluso anche quello occupato dal tavolo, spazio che si sarebbe dovuto detrarre poiché limitativo della libertà di movimento. Libertà di movimento. Rappresenta un principio giurisprudenziale ormai consolidato quello secondo cui ai fini della determinazione dello spazio, pari o superiore a tre metri quadrati, da assicurare a ogni detenuto, dalla superficie lorda della cella deve essere detratta l’area occupata dagli arredi , così da garantire il movimento del soggetto recluso nell’ambito detentivo. Dal computo, precisa la Cassazione, non possono essere esclusi gli arredi non fissi al suolo, quali il tavolo, le sedie e il letto singolo. Tuttavia, prosegue la Corte, che il punto centrale del ragionamento è quello di stabilire se il detenuto abbia la possibilità di muoversi normalmente nella cella e, tal fine, occorre una valutazione complessiva dello spazio vivibile, che non sia incentrata solo sul moto in senso stretto. Nella fattispecie, gli arredi rimovibili, quali il tavolo e gli sgabelli, non sono idonei a restringere o connotare negativamente lo spazio disponibile della cella, tuttalpiù se si considera che concorrono alla definizione della vivibilità dell’ambiente. Pertanto, considerando corretta la valutazione effettuata dal Tribunale, la Suprema Corte ritiene il ricorso infondato e lo rigetto, condannando il ricorrente ala pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 giugno – 23 settembre 2019, n. 38933 Presidente Di Tomassi – Relatore Cairo Ritenuto in fatto e in diritto 1. Con ordinanza in data 15 gennaio 2019, il Tribunale di sorveglianza per il distretto della Corte d’appello di Cagliari rigettava il reclamo proposto nell’interesse di F.D. avverso il provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza di Cagliari con cui era stata respinta la richiesta di riparazione ex L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35-ter. Osservava l’indicato Tribunale che relativamente al periodo detentivo trascorso dal 27/6/2014 al 30/12/2016 presso l’istituto di pena di omissis non sussistevano le condizioni per ritenere che la detenzione stessa non fosse conforme all’art. 3 CEDU. Lo spazio disponibile pro capite era, infatti, stato correttamente calcolato, previa detrazione della superficie occupata dagli arredi fissi e ciascuno dei tre detenuti alloggiati nella relativa camera di pernotto fruiva di una superficie superiore a tre metri quadri. 2. Ricorre per cassazione F.D. , per mezzo del suo difensore di fiducia e lamenta quanto segue. Si duole, in sostanza, del criterio applicato per la determinazione dello spazio disponibile, al fine di verificare se nella specifica vicenda si fosse realizzato un trattamento contrario al senso di umanità. Afferma il ricorrente che era stato incluso nello spazio disponibile quello occupato dal tavolo della camera di detenzione, spazio che si sarebbe dovuto detrarre, poiché esso arredo, comunque, limitava la libertà di movimento e di fruizione libera dell’area anzidetta. Allo stesso modo era stata erroneamente inclusa l’area occupata dagli arredi che, pur non poggiati a terra, erano appesi al muro stipetti , accessori che egualmente avevano incidenza sulla fruizione dello spazio riducendo sensibilmente quello libero disponibile . 3. Il ricorso è infondato e va respinto. La questione prospettata è relativa ai criteri da applicare per la determinazione dello spazio disponibile. Assume nella specifica vicenda il ricorrente che, in definitiva, si sarebbe dovuta detrarre, per il fine anzidetto, la superficie occupata dal tavolo e dagli stipetti che erano appesi alle pareti. 3.1. Questa Corte ha già affermato che ai fini della determinazione dello spazio, pari o superiore a tre metri quadrati, da assicurare a ogni detenuto in conformità all’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali Corte EDU in data 8 gennaio 2013 nel caso Torreggiani c. Italia , dalla superficie lorda della cella deve essere detratta l’area occupata dagli arredi Sez. 1, n. 5728 del 19/12/2013, dep. 2014, Berni, Rv. 257924 . Considerati anche i criteri elaborati dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti, la giurisprudenza della Corte Edu ha fissato negli indicati tre metri quadrati lo spazio minimo utile, al fine di garantire il movimento del soggetto recluso nell’ambito detentivo. Ha, altresì, escluso di poter inglobare nel computo gli arredi fissi, in ragione dell’ingombro che da essi deriva oltre alla decisione Torreggiani v. Italia, cit., si vedano, tra le altre, le seguenti sentenze 22/10/2009 Orchowski v. Polonia 10/01/2012 Ananyev e altri v. Russia 10/03/2015 Varga e altri v. Ungheria . L’ordinanza impugnata ha utilizzato criteri di computo dello spazio individuale corrispondenti a quelli elaborati da questa Corte, sulla base delle indicazioni provenienti dalla Corte Edu. Lo spazio minimo individuale in cella collettiva va inteso come la superficie della camera detentiva fruibile dal singolo detenuto e idonea al movimento e allo svolgimento delle attività quotidiane attraverso cui si esplicano le funzioni essenziali che caratterizzano i gesti di vita ordinaria. Ciò ha indotto a ritenere che si debba detrarre dalla complessiva superficie lo spazio destinato ai servizi igienici, ma anche quello occupato da mobili, arredi e da strutture tendenzialmente fisse nonché da quegli arredi, che seppur teoricamente rimuovibili, siano in realtà di peso consistente e di ingombro evidente, quale può essere, ad esempio, un letto a castello Sez. 1, n. 07422 del 17/11/2016 . Contrariamente si è ritenuto che non debba essere detratto lo spazio occupato dal letto singolo, poiché assolve una funzione poliedrica e permette lo svolgimento di attività anche diurne diverse dal riposo lettura, esercizio etc. Sez. 1, n. 16418 del 17/11/2016 Sez. 7, ord. n. 3202 del 18 novembre 2015, Borrelli, n. m. . Si è anche osservato che Sez. 1, n. 40520/2017 del 16/11/2016 come criterio di calcolo dello spazio minimo abitabile, da riconoscere a ciascun detenuto, sia da adottare quello della superficie funzionale a consentire la libertà di movimento individuale nella camera di soggiorno e pernottamento, senza escludere dal computo gli arredi non fissi al suolo e necessari alle primarie esigenze di alimentazione e riposo del detenuto. Tra essi v’è indubbiamente il tavolo, le sedie e l’indicato letto singolo. Il punto centrale del ragionamento è di stabilire se i detenuti abbiano la possibilità di muoversi normalmente nella cella, secondo quanto già affermato in precedenti pronunce Ananyev e altri c. Russia del 10/1/2012 e Belyayev c. Russia del 17/10/2013 . Ciò posto si deve rilevare che affinché lo spazio sia vivibile per assolvere altre funzioni, di vita quotidiana, non occorre che esso debba essere valutato solo in funzione del moto e deve essere oggetto di una verifica complessiva. Esso spazio non è ipso facto ristretto o negativamente connotato da quegli arredi rimovibili, come gli sgabelli o il tavolo. Ciò perché la superficie occupata dal tavolo di dimensioni non eccessive concorre alla definizione della vivibilità dell’ambiente. L’arredo risulta, infatti, utilizzabile per una serie di attività dalla lettura, alle esigenze connesse alla scrittura, allo studio e all’alimentazione, tutte funzioni primarie e coessenziali al vivere quotidiano . Anche lo spazio occupato dagli armadietti non infissi al suolo - che non creano ingombri al movimento per la posizione di allocazione e che sono necessari per appoggiare oggetti e per riporvi effetti personali e necessari alla vita detentiva - non è negativamente conformato dalla presenza degli arredi. Essi concorrono alla vivibilità dell’ambiente e non alterano la sostanziale superficie disponibile anche per il movimento all’interno della stanza di restrizione, proprio in ragione della specifica sistemazione che non interessa il piano di calpestio della stanza di permanenza. 3.2. Alla luce di quanto premesso il ragionamento sviluppato dal Tribunale di sorveglianza di Cagliari risulta corretto e il ricorso deve essere respinto. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Motivazione semplificata.