È rilevabile d’ufficio e in ogni grado e stato del procedimento l’illegalità della pena accessoria

Il principio di legalità investe la pena anche nel suo segmento accessorio da ciò deriva che l’esecuzione di una pena accessoria, se pur oggetto di commisurazione in epoca antecedente alla modifica normativa soggiunta, deve ritenersi illegale tanto da potersi rilevare anche d’ufficio in ogni grado e stato del procedimento.

La Quinta Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 38879/2019, depositata il 20 settembre u.s., si esprime in tema di pene accessorie e, in modo precipuo, di quella contemplata nell’ultimo comma dell’articolo 216 legge fallimentare. La quaestio. La Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa in primo grado ad esito di giudizio abbreviato a carico di due soggetti imputati del reato di bancarotta fraudolenta, rideterminava la pena mediante il riconoscimento delle attenuanti generiche e confermava nel resto le statuizioni dettate nella precedente fase di giudizio, ivi compresa la pena accessoria prevista dall’articolo 216, ultimo comma, legge fallimentare, cioè l'inabilitazione per dieci anni all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. Avverso tale provvedimento propongono ricorso per Cassazione gli imputati, sollevando una serie di motivi di doglianza che, tuttavia, non trovano alcuno spiraglio di condivisione da parte della Corte adita. La Corte di Cassazione rileva d’ufficio una causa di annullamento con rinvio della sentenza impugnata. I Giudici della Quinta Sezione rigettano ogni doglianza difensiva, ritenendo infondati tutti i quattro motivi illustrati dai ricorrenti nell’atto di ricorso. Tuttavia, gli Ermellini, nell’occasione, dichiarano comunque l’annullamento con rinvio della sentenza gravata, rilevando – ex officio – l’illegalità delle pene accessorie ex articolo 216, ultimo comma, l. fall., applicate ope legis come effetto penale della condanna per il delitto di bancarotta. Osserva il Collegio, al riguardo, che la Corte Costituzionale, con la sentenza numero 222 del 5 dicembre 2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 216, u.c., Legge Fall., nella parte in cui dispone la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, anziché la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni”. Il nuovo inquadramento della pena accessoria de qua, non di poco rilievo, determina l’illegalità delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo osserva la Corte che, indipendentemente dal fatto che la misura comminata in concreto rientri nel parametro temporale contemplato dal nuovo assetto dosimetrico accessorio, il procedimento di commisurazione, nel caso di specie, si è fondato su una norma dichiarata incostituzionale e, pertanto, deve essere ripristinato. Detto principio di impossibilità di esecuzione di una pena non conforme ai canoni di legalità è stato elaborato dalla Corte di Cassazione, nella sua più autorevole composizione, nell’ambito di pronunce riguardanti le pene principali. Dunque, poiché il principio di legalità investe il trattamento sanzionatorio anche nella parte accessoria, i Giudici della Quinta Sezione annullano la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione relativa alla pena accessoria comminata agli imputati, con specifica indicazione per il Giudice del rinvio di ricalcolarne la durata tenendo conto che la disposizione normativa interessata, allo stato, individua la misura di dieci anni nel massimo e non in misura fissa. Per questi motivi la Corte di Cassazione cassa il provvedimento impugnato limitatamente al punto delle pene accessorie ex articolo 216 l. fall., con rinvio ad altra sezione del Tribunale di Milano per nuovo esame sulla questione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 marzo – 20 settembre 2019, n. 38879 Presidente Vessichelli – Relatore Calaselice Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano, con il provvedimento impugnato, in parziale riforma della sentenza emessa, in data 21 novembre 2013, all’esito di rito abbreviato, dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale in sede, nei confronti di D.P. e M.R. , ha rideterminato la pena irrogata al solo M. , previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quella di anni uno mesi quattro di reclusione, con la concessione al predetto del beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, confermando, nel resto, le statuizioni adottate in primo grado. 1.1. Il Giudice dell’udienza preliminare aveva accertato la penale responsabilità degli imputati in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale, con assoluzione perché il fatto non sussiste quanto alle ipotesi distrattive, relativi alla XXXXX Società cooperativa, dichiarata fallita in data 21 aprile 2011, irrogando la pena di anni due di reclusione ciascuno, oltre le pene accessorie di cui alla L. Fall., art. 216, u.c 2. Avverso la descritta sentenza hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione gli imputati, tramite il difensore di fiducia, deducendo, nei motivi di seguito riassunti, cinque vizi. 2.1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta documentale, ai sensi della L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2. 2.1.1. La ricostruzione del patrimonio e dei movimenti della società non è stata impossibile o particolarmente gravosa. Il curatore, in base alla documentazione societaria e contabile, è riuscito a ricostruire la situazione contabile e patrimoniale della . Sul punto si richiama giurisprudenza di questa Corte che escluso il reato di bancarotta documentale fraudolenta quando il curatore abbia potuto ricostruire il patrimonio facendo ricorso a documentazione ufficiosa pur non riprodotta in quella ufficiale quali i bilanci, nella specie estratti conto corrente bancari e a documenti provenienti dal fallito. 2.1.2. La documentazione contabile non è stata distrutta o sottratta, risultando, peraltro, unica documentazione non depositata i bilanci degli anni 2009 - 2010, per i quali era ancora possibile il deposito e il completamento alla data del fallimento 2011 . Si tratterebbe di bilanci relativi, comunque, ad un periodo in cui la società non aveva operato, avendo cessato l’attività nel 2008. 2.1.3. Entrambi gli amministratori, poi il M. avendo rivestito la carica per soli due mesi avevano investito della tenuta della contabilità un commercialista, estraneo alla compagine societaria. Per i ricorrenti, dunque, l’unica condotta ipotizzabile è quella colposa, avendo i predetti, per negligenza o colpa, agito con la consapevolezza che la confusa ed irregolare tenuta avrebbe potuto rendere impossibile la ricostruzione, assumendo l’assenza di dolo specifico del fine di impedire la ricostruzione patrimoniale e contabile. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione della L. Fall., art. 217, comma 2, e dell’art. 43 c.p. nonché contraddittorietà della motivazione e illogicità della stessa. Si assume che la condotta andava qualificata, come richiesto con l’atto di appello, quale bancarotta semplice non risultando la tenuta della contabilità negli ultimi tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, per omessa tenuta dei libri prescritti o per averli tenuti in modo incompleto o irregolare nè risultando dimostrata la volontà di frodare i creditori. 2.3. Con il terzo motivo si assume quanto al trattamento sanzionatorio, che la sentenza è viziata per inosservanza o erronea applicazione di legge penale con riferimento all’attenuante di lieve entità richiesta in via subordinata, con il gravame. La Corte territoriale motiva il diniego sulla base della entità del passivo trascurando l’approdo giurisprudenziale di questa Corte che collega la particolare tenuità del fatto al danno causato alla massa creditoria, in seguito all’incidenza che le condotte integranti reato hanno avuto in relazione alla diminuzione globale prodotta alla massa attiva che sarebbe stata disponibile al riparto. 2.4. Con il quarto motivo si denuncia che con riferimento al d. la Corte di appello non ha preso in considerazione tutte le circostanze idonee a determinare la concessione delle attenuanti di cui all’art. 62-bis c.p 2.5. Con il quinto motivo si censura la motivazione nella parte in cui ha confermato il giudizio che ha condotto il Giudice di primo grado a negare al D. la sospensione condizionale della pena tenuto conto che, anche in quella sede, emergevano elementi di valutazione per reputare il predetto meritevole del beneficio, operando a suo favore un giudizio prognostico favorevole. Considerato in diritto 1. Il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio, limitatamente al punto relativo alla determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari, mentre i ricorsi, nel resto, in quanto infondati, devono essere rigettati. 2. Il primo motivo è infondato. 2.1. È principio consolidato di questa Corte regolatrice, quello secondo il quale l’oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale può essere rappresentato da qualsiasi documento contabile, relativo alla vita dell’impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione, diversamente da quanto previsto per l’ipotesi di bancarotta semplice documentale, in relazione alla quale l’oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie Sez. 5, n. 5461 del 25/11/2016, dep. 2017, Falda Ranzini, Rv. 269094 Sez. 5, n. 44886 del 23/09/2015, Rossi, Rv. 265508 . Del resto si osserva che la Corte territoriale ha fatto buon governo, dell’orientamento reiteratamente affermato in sede di legittimità, secondo il quale anche ove detta ricostruzione sia, altrimenti, possibile per la curatela, il reato in questione sussiste, posto che la condotta materiale della bancarotta fraudolenta documentale si configura, non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile, per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, Faragona, Rv. 265682 Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965 . 2.1.1. Il rilievo, poi, della natura della documentazione contabile non depositata solo bilanci degli anni 2009 - 2010, per i quali era ancora possibile il deposito e il completamento alla data del fallimento 2011 devolve un accertamento preliminare, in fatto, inibito a questa Corte a fronte di una motivazione della Corte territoriale che, invece, indica come non depositati al curatore i partitari, il libro giornale e la documentazione inerente i cantieri e le singole commesse, oltre ai descritti bilanci. 2.1.2. Il riferimento al periodo in cui la società non aveva operato, avendo cessato l’attività nel 2008, appare del tutto inconferente. Appare dirimente per la correttezza della ritenuta sussistenza del reato, il richiamo al consolidato principio secondo il quale l’obbligo di regolare tenuta delle scritture non si esaurisce con la cessazione dell’attività. Esso, infatti, non viene meno se l’azienda non abbia, formalmente, cessato di operare, ma si esaurisce solo quando la cessazione dell’attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese tra le molte altre, Sez. 5, n. 20911 del 19/04/2011, Gaiero, Rv. 250407 Sez. 5, n. 15516 del 11/02/2011, Di Mambro, Rv. 250086 - 01 . Sicché, nella specie, appare significativo il comportamento descritto dai giudici di merito, anche in relazione all’anno indicato dai ricorrenti, durante il quale l’omessa redazione dei bilanci sarebbe da ascrivere all’assenza di operazioni da registrare. 2.1.3. La nomina di un commercialista, officiato della tenuta della contabilità non è argomento che consente di rivedere, nel senso invocato, il ragionamento dei giudici di merito. È noto, infatti, il principio secondo il quale incombe sull’imprenditore l’obbligo di controllare l’operato di coloro ai quali è affidata la contabilità. È principio di diritto consolidato di questa Suprema Corte quello secondo il quale, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore non è esente da responsabilità nel caso in cui affidi la contabilità dell’impresa a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche, dipendenti o liberi professionisti, in quanto, non essendo esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste una presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano trascritti secondo le indicazioni fornite dal titolare dell’impresa ex multis, Sez. 5, n. 2812 del 17/10/2013, Manfrellotti, Rv. 258947 Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998, dep. 1999, Mollo, Rv. 212147 . Gli elementi addotti dai ricorrenti, correttamente, sono stati reputati dai giudici di merito non idonei a provare l’incolpevole impossibilità di assicurare la regolare tenuta della contabilità. 2.2. Il secondo motivo è infondato. È privo di pregio l’argomento secondo il quale la condotta andrebbe qualificata ai sensi della L. Fall., art. 217 non risultando il dolo specifico. È noto, infatti, che in tema di reati fallimentari, la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili e quella di tenuta della contabilità, in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611 Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013, dep. 2014, Manfredini, Rv. 258881 - 01 . In tema di bancarotta fraudolenta documentale, per il reato previsto dalla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2, è stato correttamente ritenuto, dal punto di vista dell’elemento soggettivo, necessario che lo scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori Sez. 5, 22/1/2015, Di Cosimo, Rv. 262915 Sez. 5, n. 32173 del 11/06/2009, Drago, Rv. 244494 - 01 Orbene, dalle sentenze di merito risulta accertata, sia pure implicitamente, la finalità di pregiudizio, perseguita dall’agente, considerato altresì che risulta che non sono stati prodotti il libro giornale, la situazione contabile, alla data del fallimento, nonché tutta la documentazione necessaria quali i contratti di appalto, contabilità del cantiere anche ad accertare l’esistenza di eventuali crediti da azionare verso i committenti. 2.3. Il terzo motivo deve essere disatteso in quanto infondato. In tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo alla particolare tenuità del fatto deve essere posto in relazione alla diminuzione, non percentuale ma globale, che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti Sez. 5, n. 13285 del 18/01/2013, Pastorello, Rv 255063 . Analoghi principi sono ribaditi in ordine alla bancarotta documentale, ove i presupposti per la ravvisabilità della circostanza in argomento debbono essere valutati in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all’incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori tra le altre, Sez. 5, n. 19304 del 18/01/2013, Tumminelli, Rv 255439 Sez. 5, n. 44443 del 04/07/2012, Robbiano, Rv 253778, secondo cui nell’ipotesi di bancarotta documentale, ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, non rileva l’ammontare del passivo, ma la differenza che la mancanza dei libri o delle scritture contabili ha determinato nella quota complessiva dell’attivo da ripartire tra i creditori, avendo riguardo al momento della consumazione del reato . Orbene, applicando i suesposti principi al caso al vaglio, si osserva che la sentenza di appello ha correttamente escluso l’invocata attenuante anche se la motivazione specificamente resa sul punto, va letta in relazione alla complessiva giustificazione della decisione. Infatti la pronuncia spiega bene, riportandosi alla ricostruzione operata dal primo giudice, che proprio a causa della mancata produzione dei partitari, del libro giornale e della documentazione inerente i cantieri e le singole commesse, non era stato possibile, per gli organi della procedura, accertare l’esistenza di eventuali crediti da azionare nei confronti dei committenti, con impossibilità, poi, per il curatore, di ricostruire la situazione di dare ed avere della società. Risulta così corretta la pronuncia nella parte in cui respinge la richiesta di riconoscere l’attenuante di cui alla L. Fall., art. 219, u.c 2.4. Il quarto motivo, nell’interesse del D. va rigettato, in quanto infondato. Ai fini della concessione delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62-bis c.p. non necessita, per il giudice del merito, indicare tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli sottoposti alla sua attenzione con il gravame, ma è sufficiente specificare, con motivazione coerente e non contraddittoria, quelli considerati preminenti ai fini del diniego. 2.5. Il quinto motivo devolve un giudizio inibito a questa Corte in presenza di motivazione del giudice di primo grado, confermata dalla Corte territoriale che ha compiutamente e logicamente illustrato le ragioni della mancata concessione della sospensione condizionale della pena. Si fa infatti riferimento al carattere reiterato e stabile della condotta ed alla parallela presenza in altre società con le quali quella fallita si trovava in rapporto di dare avere. A fronte di detta specifica motivazione, l’appello presentava, sul punto, profili di inammissibilità essendosi limitato a invocare il beneficio senza confutare, puntualmente, la motivazione resa dal primo giudice. Detta inammissibilità dell’atto di appello per difetto di specificità dei motivi, che la Corte territoriale erroneamente non ha qualificato come tale, può essere rilevata in questa sede di legittimità, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 4, Sez. 2, n. 36111 del 09/06/2017, P, Rv. 271193 Sez. 3, n. 38683 del 26/04/2017, Criscuolo, Rv. 270799 . 3. Il collegio deve rilevare di ufficio l’illegalità delle pene accessorie L. Fall., ex art. 216, u.c., applicate ex lege come effetto penale della pronuncia di condanna impugnata. Con sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della L. Fall., art. 216, u.c. nella parte in cui dispone la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, anziché la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni . La sostituzione operata dalla sentenza citata, determina l’illegalità delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente applicate rientrino nel nuovo parametro, posto che il procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata incostituzionale. Detto principio, elaborato in relazione alle pene principali dalla Corte di cassazione nella sua composizione più autorevole Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon è stato ritenuto estensibile anche a quelle accessorie non essendo consentita dall’ordinamento l’esecuzione di una pena principale o accessoria non conforme, in tutto o in parte, ai parametri legali. Il principio di legalità della pena si applica, invero, anche con riferimento alle pene accessorie Sez. U. n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., in motivazione da ultimo Sez. 5, n. 5882 del 29/01/2019, Baù Franco, Rv. 274413 - 01 di cui si ripercorrono le argomentazioni . 3.1 Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con obbligo, per il giudice del rinvio, di attenersi, nella rideterminazione della durata della pena accessoria non più fissa dieci anni , ma indicata solo nel massimo fino a dieci anni , ai criteri indicati dalla pronuncia della Corte Costituzionale citata e da quella delle Sezioni Unite di questa Corte, cui la questione specifica è stata rimessa, in data 10 dicembre 2018 sentenza del 28 febbraio 2019, ric. Suraci . Si è, infatti, posto il problema di individuare, il genere di intervento manipolativo cui sottoporre la L. Fall., art. 216, u.c., , tenuto conto che la Corte Costituzionale ha individuato come insoddisfacente il parametro di cui all’art. 37 c.p., propendendo per consentire, per tali pene, una funzione distinta, rispetto a quelle proprie della pena principale, fissando una durata diversa, rispetto a quella della pena detentiva inflitta in concreto. In relazione al quesito posto, a seguito della pronuncia del giudice delle leggi, questa Corte di legittimità nella sua più autorevole composizione, secondo l’informazione provvisoria della decisione diffusa, ha fissato il principio secondo il quale le pene accessorie, previste dalla L. Fall., art. 216, nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, così come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice, in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p 4. Discende dal ragionamento sin qui svolto, l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al punto delle pene accessorie, L. Fall., ex art. 216, u.c., con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Nel resto il ricorso deve essere rigettato. 4.1. Ai sensi dell’art. 624 c.p.p., dall’annullamento con rinvio circoscritto all’indicato punto della decisione, deriva l’autorità di cosa giudicata di tutti i restanti punti della sentenza privi di connessione con quello annullato e, quindi, quello dell’accertamento della responsabilità degli imputati e della quantificazione della pena principale, come operata in grado di appello. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie L. Fall., ex art. 216, con rinvio per nuovo esame su detto punto, ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta, nel resto, i ricorsi.