La ‘mano morta’ è violenza sessuale

Confermata la condanna per un uomo che ha molestato una signora, toccandole il fondoschiena. Per i Giudici non vi sono dubbi sulla lettura dell’episodio il palpeggiamento è stato invasivo dell’intimità della donna.

La ‘mano morta’ sul fondoschiena di una donna vale una condanna per violenza sessuale. A ribadirlo in modo chiaro è la Cassazione, sottolineando la gravità del comportamento tenuto da un uomo che ha pensato bene di ‘approcciare’ in modo per nulla elegante una signora, che dal canto suo, una volta subito il palpeggiamento, ha reagito con vigore – gliene ho dette di tutti i colori , ha raccontato – e ha poi sporto denuncia Cassazione, sentenza n. 38606/19, sez. III Penale, depositata oggi . Contatto. Decisiva la ricostruzione dell’episodio. Fondamentale il racconto della vittima, la quale ha spiegato che l’uomo sotto processo le ha messo una mano sul fondochiena . Nessun dubbio, quindi, sulla gravità del comportamento in discussione, poiché, osservano i Giudici, il toccamento di quella specifica zona erogena è stato improvviso ed inaspettato, invasivo dell’intimità della donna e animato da chiari impulsi sessuali percepiti dalla vittima che protestò energicamente gliene ho dette di tutti i colori” con l’uomo. Evidente, quindi, la consumazione del reato di violenza sessuale , spiegano i giudici della Cassazione, poiché, come detto, vi fu lascivo contatto con la zona erogena del fondoschiena della donna . Tale dato è decisivo, poiché è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa zone genitali o comunque erogene , essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata o che la vittima sia riuscita a sottrarsi all’azione dell’aggressore o che quest’ultimo consegua o meno la soddisfazione erotica . Tirando le somme, anche il palpeggiamento del sedere è catalogabile come violenza sessuale , poiché l’elemento della violenza può estrinsecarsi anche nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell’impossibilità di difendersi .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 luglio – 18 settembre 2019, n. 38606 Presidente Di Nicola – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza del 10 ottobre 2018, la Corte d'appello di Trieste, giudicando sul gravame proposto dall'odierno ricorrente, ha confermato la sentenza con cui il medesimo è stato ritenuto responsabile dei reati di tentata violenza sessuale e di violenza sessuale commessi in danno di due diverse donne e condannato alle pene di legge. 2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo, con il primo motivo, la violazione degli artt. 189 e 192 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, con riguardo all'individuazione dell'imputato quale autore del reato di tentata violenza sessuale di cui al capo A . Si lamenta, in primo luogo, che la Corte territoriale, riportando in sentenza soltanto parzialmente le dichiarazioni della persona offesa, non abbia considerato come questa avesse in prima battuta riconosciuto in sede d'individuazione fotografica con percentuale di sicurezza dell'80% altra persona quale autore del reato, benché la foto dell'imputato si trovasse nella stessa pagina dell'album sottopostole. Soltanto dopo aver ricevuto da un giornalista, sul proprio telefono, la fotografia dell'imputato, ella lo aveva invece riconosciuto nel cortile della caserma dei Carabinieri, peraltro quando lo stesso era rimasto solo per essersi allontanate le altre persone con lui convocate. In secondo luogo, si lamenta l'omessa risposta alle censure sollevate con il gravame in ordine agli ulteriori elementi utilizzati per l'individuazione, vale a dire il riconoscimento degli abiti sequestrati all'imputato e di un portafogli parimenti in sequestro, che tuttavia non apparterrebbe a lui. 3. Con il secondo motivo si deducono violazione degli artt. 56 e 609 bis cod. pen. e vizio di motivazione in ordine al reato di violenza sessuale consumata di cui al capo C , sul rilievo che si tratterebbe di mero tentativo, non avendo la persona offesa mai dichiarato esserle stato toccato il sedere, ma soltanto sfiorata la schiena. 4. Con il terzo motivo, con riguardo al medesimo reato, si deducono violazione degli artt. 213 e 189 cod. proc. pen. e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta, illogica, idoneità dell'informale riconoscimento dell'imputato effettuato dalla persona offesa quando il medesimo si trovava, in vinculis, seduto al banco degli imputati nell'aula di udienza durante il processo di primo grado. 5. Il ricorso è inammissibile. 5.1. Quanto al primo motivo, diversamente da quanto allegato dal ricorrente, la sentenza impugnata rende ampia e logica motivazione sull'attendibilità del riconoscimento effettuato dall'imputato, spiegando le ragioni per cui la persona offesa aveva inizialmente riconosciuto in fotografia peraltro con margine di dubbio altra persona e non l'imputato e perché invece non ebbe dubbi nel riconoscere quest'ultimo nel cortile della caserma, dapprima in mezzo ad altre persone e soltanto in seguito passandogli davanti mentre era rimasto solo. Dalla sentenza, peraltro, non si ricava che in quel momento la donna avesse già ricevuto la fotografia del prevenuto dal giornalista, essendo invece attestato che ciò avvenne prima di un successivo accesso in caserma che la persona offesa fece unitamente all'assessore comunale ed al quale poi segui la presentazione della querela per il reato di cui al capo C . Del pari ampiamente e logicamente motivate sono le ragioni relative al riconoscimento degli abiti indossati quel giorno dall'imputato ed i motivi per cui il portafogli che nell'occasione il medesimo estrasse di tasca fu indicato dalla persona offesa come di colore diverso essendo pertanto irrilevante che quello in sequestro possa non appartenere all'imputato, circostanza allegata in ricorso senza che sia stato comunque dimostrato il travisamento della prova . 5.2. Quanto alla valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa del reato di cui al capo C , la sentenza riferisce che la teste ha più volte ribadito che l'imputato le aveva messo una mano sul fondoschiena, toccando o sfiorando quella parte del corpo e gli stralci di dichiarazioni riportate in ricorso non smentiscono quell'assunto, sicché non è dimostrato il travisamento della prova e correttamente il reato è stato ritenuto consumato sul rilievo che il toccamento di quella specifica zona erogena era stato improvviso ed inaspettato, invasivo dell'intimità della persona ed animato da chiari impulsi sessuali, percepiti in maniera inequivoca dalla vittima , la quale - si riporta in sentenza - protestò energicamente mi sono alzata, gliene ho dette di tutti i colori e se ne andò. Ed invero, questa Corte ha già affermato il principio secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, la rilevanza di tutti quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, come i baci o gli abbracci, costituisce oggetto di accertamento da parte del giudice del merito, secondo una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante Sez. 3, n. 964/2015 del 26/11/2014, Rv. 261634 . Come si è posto in luce, la sentenza attesta che vi fu lascivo contatto con la zona erogena del fondoschiena della vittima, sicché correttamente il reato è stato ritenuto nella forma consumata, posto che il tentativo del reato previsto dall'art. 609 bis cod. pen. è configurabile nel diverso caso in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l'agente non ha raggiunto le zone intime genitali o erogene della vittima ovvero non ha provocato un contatto di quest'ultima con le proprie parti intime Sez. 3, n. 17414 del 18/02/2016, F., Rv. 266900 . Se è ben vero che in tema di violenza sessuale il tentativo è configurabile non solo nel caso in cui gli atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere un abuso sessuale non si siano estrinsecati in un contatto corporeo, ma anche quando il contatto sia stato superficiale o fugace e non abbia attinto una zona erogena o considerata tale dal reo per la reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell'agente, per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa zone genitali o comunque erogene , essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che quest'ultimo consegua la soddisfazione erotica Sez. 3, n. 4674 del 22/10/2014, dep. 2015, S., Rv. 262472 . Per altro verso, è consolidato il principio secondo cui l'elemento della violenza può estrinsecarsi, nel reato di violenza sessuale, oltre che in una sopraffazione fisica, anche nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell'impossibilità di difendersi Sez. 3, n. 27273 del 15/06/2010, M., Rv. 247932 Sez. 3, n. 46170 del 18/07/2014, J., Rv. 260985 . 5.3. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso. Contrariamente a quanto allegato dal ricorrente, l'informale riconoscimento dell'imputato in udienza è stato soltanto la conferma di un precedente riconoscimento - di cui la sentenza impugnata dà ampiamente conto ed al quale il ricorrente neppure accenna - avvenuto de visu per essere stato l'imputato casualmente incontrato dalla vittima qualche tempo dopo il fatto, si che in quella sede egli fu addirittura filmato dalla donna con il telefono cellulare, il cui video fu poi consegnato ai Carabinieri. 6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.