La Cassazione sull’espulsione dello straniero come misura alternativa alla detenzione

Ai sensi dell’art. 13, comma 3-quater, d.lgs. n. 286/1998, nei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter del medesimo articolo, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia la sentenza di non luogo a procedere anche nel caso di espulsione ordinata in virtù dell’art. 16, comma 5, dello stesso decreto.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 36510/19, depositata il 28 agosto. La vicenda. Nei confronti dell’imputato dei reati di cui agli artt. 648, 699 e 337 c.p., il GUP del Tribunale di Varese dichiarava non doversi procedere perché espulso dal territorio nazionale. Contro tale decisione il Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale propone ricorso per Cassazione deducendo che l’espulsione era stata emessa come misura alternativa alla detenzione e non come espulsione amministrativa, applicando così la causa di non procedibilità anche con riferimento ad espulsione diversa da quella eseguita si sensi dell’art. 13 d.lgs. n. 286/1998. L’espulsione come misura alternativa e sentenza di non luogo a procedere. Il citato art. 13 dispone che, nei casi previsti dai commi 3, 3- bis e 3- ter del medesimo articolo, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia la sentenza di non luogo a procedere anche nel caso di espulsione ordinata in virtù dell’art. 16, comma 5, del medesimo decreto. Quest’ultima disposizione prevede che per lo straniero identificato e detenuto, che si trova in una delle situazioni indicate nel succitato art. 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva non superiore a 2 anni, sia disposta l’espulsione. Da ciò deriva l’affermazione che l’ambito di operatività del comma 3- quater dell’art. 13 d.lgs. n. 286/1998 si limita alle sole ipotesi di cui ai commi 3, 3- bis e 3- ter dello stesso articolo, e non può essere esteso anche ai casi di espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione disposta ai sensi dell’art. 16 del medesimo d.lgs. . A ciò consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 giugno – 28 agosto 2019, n. 36510 Presidente Diotallevi – Relatore Verga Ritenuto in fatto Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Varese, con sentenza de118.5.2018 ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di S.M. in ordine ai reati di cui agli artt. 648, 699 e 337 c.p. perché espulso dal territorio nazionale. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Varese deducendo violazione di legge e, segnatamente, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3-quater, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 16, in quanto l’espulsione era stata decretata come misura alternativa alla detenzione e non quale espulsione amministrativa, applicando così la causa di improcedibilità anche con riferimento ad espulsione diversa da quella disposta ed eseguita si sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13. Rileva, inoltre, che l’espulsione era stata disposta dopo il decreto di citazione a giudizio. Considerato in diritto Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati. Il Giudice dell’udienza preliminare, nell’impugnato provvedimento, ha ritenuto applicabile il disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3-quater, il quale stabilisce che, nei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter del medesimo articolo, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere, anche nell’ipotesi di espulsione ordinata, ai sensi dell’art. 16, comma 5 del medesimo decreto legislativo. Tale ultima disposizione prevede, infatti, che, nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell’art. 13, comma 2, il quale deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, sia disposta l’espulsione. Ritiene il Collegio che il tenore letterale della disposizione porta all’affermazione che l’ambito di operatività del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3-quater è limitato ai soli casi di cui ai commi 3, 3-bis e 3-ter del medesimo articolo e non può essere esteso anche ai casi di espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione disposta ai sensi dell’art. 16 del medesimo D.Lgs Secondo questo Collegio, che fa proprie le argomentazioni della sentenza di questa Corte n. 48948/2015, il tenore letterale della disposizione non può essere superato mediante una lettura estensiva, effettuata facendo ricorso al criterio interpretativo della intenzione del legislatore, perché il legislatore ha chiaramente manifestato la propria volontà attraverso la contestuale modifica apportata al D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13 e 16. La L. 30 luglio 2002, n. 189 Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo è infatti intervenuta contestualmente sulle richiamate disposizioni, cosicché l’esplicito richiamo, nell’art. 13, comma 3-quater, ai soli casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter, deve ritenersi voluto, come voluta deve anche ritenersi la mancanza di richiami ad altre disposizioni e, segnatamente, al successivo art. 16. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Varese. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Varese per l’ulteriore corso.