Aggredisce una donna in spiaggia, la getta sulla sabbia e la palpeggia: è violenza sessuale

Definitiva la condanna per un pensionato tre anni e cinque mesi di reclusione. A inchiodarlo i dettagli dell’episodio, che spingono i Giudici ad escludere l’ipotesi di una minore gravità” dell’aggressione evidente la lesione alla libertà sessuale della donna.

Ha seguito una donna che, di mattina presto, stava passeggiando sulla spiaggia, l’ha raggiunta, l’ha afferrata alle spalle, l’ha gettata sulla sabbia e, infine, l’ha costretta a subire ripetuti molesti palpeggiamenti. L’episodio, ricostruito nei dettagli, è stato valutato come sufficiente per ritenere l’uomo sotto processo – un pensionato – colpevole di violenza sessuale” e lesioni personali”, con pena fissata in tre anni e cinque mesi di reclusione Cassazione, sentenza n. 36486/19, sez. III Penale, depositata oggi . Aggressione. Scenario dell’episodio, verificatosi nell’estate del 2017, è una spiaggia in Sardegna. Protagonista in negativo un pensionato che, di mattina, ha aggredito una donna che passeggiava per suo conto sulla spiaggia e, dopo averla afferrata alle spalle e gettata sulla sabbia , l’ha costretta a subire atti sessuali – ripetuti palpeggiamenti – e le ha provocato lesioni personali, giudicate guaribili in tre giorni . Inevitabili gli strascichi giudiziari, con l’uomo sotto processo e condannato, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, a tre anni e cinque mesi di reclusione per i reati di violenza sessuale e lesioni personali . Ultimo round è quello in Cassazione, ovviamente, dove l’avvocato del pensionato prova a ridimensionare l’episodio, osservando che la condotta era durata soltanto pochi secondi e l’invasività dei gesti era stata del tutto contenuta e che la vittima non era stata colta di sorpresa, avendo lei stessa notato da tempo che la seguiva un uomo . In aggiunta il legale sottolinea che il fatto si era svolto su un litorale notoriamente affollato dai bagnanti . Lesione. Ogni obiezione difensiva si rivela però inutile. Impossibile, anche secondo i giudici della Cassazione, ipotizzare una minore gravità dell’azione compiuta dal pensionato ai danni della donna. Innanzitutto, i magistrati pongono in evidenza la brutalità dell’aggressione che ha provocato alla donna lesioni fisiche, sia pur lievi e l’ha costretta alla sostanziale immobilità, così da impedirne ogni possibile reazione difensiva . Ciò significa che il comportamento dell’uomo si è concretizzato in una non marginale lesione alla libertà sessuale della donna. E questa valutazione non può essere messa in discussione, spiegano i giudici, dal mero richiamo al contesto temporale , perché l’azione si è svolta sì su una delle spiagge più frequentate di Cagliari ma alle 7 del mattino, quando il lido non era ancora popolato dalla folla dei bagnanti . Definitiva, quindi, la condanna per il pensionato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 giugno – 28 agosto 2019, numero 36486 Presidente Lapalorcia – Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 24.8.2018 la Corte di Appello di Cagliari ha integralmente confermato la pronuncia resa a seguito di rito abbreviato dal Tribunale della stessa città che ha condannato Gi. Ga. alla pena di tre anni e cinque mesi di reclusione in quanto responsabile dei reati di cui agli artt. 609 bis e 582 cod. penumero per aver costretto una donna che passeggiava per suo conto sulla spiaggia a subire, dopo averla afferrata alle spalle e gettata sulla sabbia, atti sessuali e contestualmente provocatole lesioni personali giudicate guaribili in tre giorni. 2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att cod. proc. penumero 2.1. Con il primo motivo eccepisce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 609 bis e 609 septies cod. penumero e al vizio motivazionale, l'improcedibilità dell'azione per difetto di valida querela e ciò non per la mancata specificazione dei reati, come equivocato dalla Corte di Appello, bensì per mancanza di una chiara manifestazione di volontà di voler perseguire penalmente i fatti denunciati compendiandosi nella specie l'atto, denominato come verbale di querela, di una prima parte in cui è l'ufficiale di P.G. ad esporre ciò che ritiene debba formare oggetto di verbalizzazione e nella seconda parte di una serie di domande formulate dal verbalizzante alla p.o. e dalle relative risposte, manca qualsiasi elemento, secondo la difesa, che consenta di ritenere riferibile a quest'ultima le espressioni astrattamente indicative dell'esistenza del reato e di una volontà punitiva del responsabile, formulate soltanto dal verbalizzante, così come manca in calce all'atto di costituzione della parte civile la sottoscrizione di costei, essendovi solo quella del suo difensore privo di alcun potere al riguardo come emerge dalla procura speciale. 2.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 609 bis e al vizio motivazionale, il diniego dell'attenuante del fatto di minor gravità, censurando la motivazione in quanto meramente apparente atteso che diversamente da quanto affermato, la condotta era durata soltanto pochi secondi, che l'invasività dei gesti era stata del tutto contenuta, che la vittima non era stata colta di sorpresa avendo lei stessa notato da tempo l'uomo che la seguiva e che il fatto si era svolto su un litorale notoriamente affollato dai bagnanti. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è inammissibile alla luce della manifesta infondatezza delle doglianze di cui si compone. Se in linea generale va ribadito che ai fini della validità della querela la manifestazione della volontà di perseguire l'autore del reato, è univocamente desumibile dall'espressa qualificazione dell'atto, riferibile alla persona offesa, come denuncia - querela, in quanto assume rilievo decisivo il significato tecnico dell'espressione adoperata, è stata tuttavia tracciata dall'elaborazione giurisprudenziale una precisa differenza a seconda del soggetto che provvede alla materiale redazione dell'atto. Si è al riguardo affermato che la manifestazione della volontà di perseguire l'autore del reato nel caso di atto formato dalla polizia giudiziaria, a differenza di quanto accade per l'atto proveniente direttamente dalla parte offesa, ossia confezionato dalla parte stessa, o da un difensore, e sottoscritto dal querelante, deve emergere chiaramente dal suo contenuto, ancorché senza la necessità di utilizzare formule sacramentali, non potendo ritenersi sufficiente l'intestazione dell'atto come querela da parte degli agenti verbalizzanti Sez. 5, numero 15166 del 15/02/2016 - dep. 12/04/2016, Pg in proc. Martinez, Rv. 266722 . Va tuttavia rilevato che in tale ipotesi quel che rileva è pur sempre una situazione di incertezza circa la reale volontà dell'autore dell'atto, imponendo la stessa un'operazione interpretativa improntata al parallelo principio vigente in materia del favor querelae che prescrive di tener conto, secondo il criterio della conservazione del contratto sancito dall'art. 1367 cod. civ., estensibile anche agli atti unilaterali a contenuto negoziale, dell'effettiva volontà della parte interessata nel senso di attribuire alla sua manifestazione un significato per cui possa avere qualche effetto, piuttosto che quello per cui non possa averne nessuno. Pertanto se in presenza di un atto redatto dai Carabinieri, intestato dagli stessi come querela, ma del tutto privo di ogni manifestazione di volontà della parte, che non ha, in alcuna locuzione rinvenibile dall'atto sottoscritto, palesato la propria volontà punitiva, neanche con espressioni di dubbia interpretazione, né ha posto in essere fatti in tal senso concludenti, deve escludersi la condizione di procedibilità dell'azione, ben diversa è l'ipotesi in cui l'intento di perseguire il colpevole sia desumibile da espressioni lessicali o comportamenti interpretabili quali manifestazioni di volontà di perseguire l'autore del fatto in tal senso, ad esempio, è stato affermato che la dichiarazione con la quale la persona offesa, all'atto della denuncia, si costituisce o si riserva di costituirsi parte civile, deve essere qualificata come valida manifestazione del diritto di querela Sez. 5, sentenza numero 15691 del 06/12/2013, Rv. 260557 analogamente la sollecitazione rivolta all'Autorità Giudiziaria di voler prendere provvedimenti al più presto , contenuta nella integrazione ad una precedente denuncia, costituisce manifestazione di volontà diretta a richiedere la punizione dell'autore del reato e conferisce all'atto valore di querela Sez. 5, sentenza numero 6333 del 18/10/2013, Rv. 258876 . Tanto premesso, da nessuna violazione di legge deve ritenersi inficiata la sentenza impugnata alla luce non soltanto del contenuto complessivo dell'atto e delle espressioni impiegate inequivocabilmente riferibili alla parte come sottolineato dalla Corte insulare, ma altresì della costituzione della vittima come parte civile nel presente procedimento, senza che occorresse alcuna ulteriore manifestazione di volontà rispetto alla procura speciale al difensore, apposta in calce al relativo atto successivo alla proposizione della querela. 2. Il secondo motivo, appuntandosi sull'apprezzamento delle risultanze istruttorie in ordine alla configurabilità dell'attenuante della minore gravità del fatto, deve essere ritenuto inammissibile venendo con esso sollecitato un sindacato non consentito in sede di legittimità in assenza di fratture argomentative o di manifeste incongruenze logiche, tali da incrinare l'intera capacità dimostrativa del compendio processuale, nelle quali soltanto si sostanzia il vizio motivazionale deducibile innanzi a questa Corte. I giudici distrettuali, nel disattendere le analoghe doglianze sollevate con il ricorso in appello, hanno sottolineato come la brutalità dell'aggressione tale da aver provocato alla donna lesioni fisiche, sia pur lievi, e la sostanziale immobilità derivatane così da impedirne ogni possibile reazione difensiva si sia sostanzialmente tradotta in una non marginale lesione alla libertà sessuale della vittima, reputando assolutamente subvalenti le circostanze valorizzate dalla difesa, peraltro in termini assertivi e non rispondenti allo specifico contesto temporale posto che il fatto che l'azione si sia svolta su una delle spiagge più frequentate di Cagliari appare del tutto irrilevante rispetto ad un episodio verificatosi alle 7 del mattino, quando il lido non era ancora popolato dalla folla dei bagnanti. La mancata applicazione dell'attenuante ex art. 609 bis ultimo comma cod. penumero risulta, quindi, coerente con la costante affermazione di questa Sezione cfr. Sez. 3, numero 23913 del 14/05/2014, Rv. 259196 , secondo cui, in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto, il che è stato escluso nel caso di specie con argomentazioni tutt'altro che illogiche. Segue all'esito del ricorso la condanna del ricorrente, a norma dell'art. 616 cod. proc. penumero , al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi, alla luce della sentenza del 13 giugno 2000 numero 186, per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende. A carico del medesimo vanno altresì poste, secondo la regola della soccombenza, le spese processuali sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Si. No., liquidate in conformità alle vigenti tariffe, come da dispositivo, disponendosene la distrazione in favore dell'Erario essendo stata l'istante ammessa al gratuito patrocinio, P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese della parte civile che liquida in Euro 2.500,00, oltre IVA e CPA, disponendone il pagamento in favore dello Stato.