Il cancelliere accede al RE.GE. solo se deve lavorare sul fascicolo nell’esercizio delle sue funzioni

Nell’interpretazione del requisito di c.d. illiceità speciale, espresso dall’avverbio abusivamente” ex art. 615-ter c.p. , le ragioni che legittimano l’accesso o il mantenimento nel sistema informatico delle notizie di reato non possono consistere nella mera pendenza di un procedimento presso l’ufficio giudiziario ove l’agente svolge servizio, ma devono essere specificamente connesse all’assolvimento delle proprie funzioni.

Questo il principio di diritto sancito dalla V Sezione di legittimità nella sentenza n. 34803/19 che costituisce un altro tassello, dopo qualche trascorsa oscillazione giurisprudenziale, e si inserisce all’interno delle coordinate interpretative della sentenza Savarese delle Sezioni Unite n. 41210/17 . Il caso concreto e l’ipotesi aggravata di accesso abusivo. La vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte riguarda un cancelliere in servizio presso l’ufficio GIP del Tribunale di Lanciano che veniva condannato in prime e seconde cure del reato di accesso abusivo a un sistema informatico punito dall’art. 615- ter c.p., aggravato ai sensi del comma 2 n. 1, per essersi introdotto nel RE.GE. – il registro generale informatico delle notizie criminis – per prendere visone di due procedimenti. Tale ultima disposizione incriminatrice costituisce una circostanza aggravante esclusivamente soggettiva, ricollegando l’aumento di pena e la procedibilità di ufficio al solo fatto che il soggetto attivo del reato rivesta la qualifica di investigatore privato, operatore di sistema informatico o di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio. La ratio sottesa all'aggravante è facilmente rintracciabile nel rapporto di agevolazione o nel maggiore stigma che lega la qualifica ricoperta alla commissione del fatto tipico. Reato di pericolo. Lo scopo della norma è quello di inibire ingressi abusivi in un sistema informatico o telematico, sicché non assumerebbe rilievo ciò che l'agente riuscisse a carpire indebitamente se notizie riservate o altrimenti recuperabili , ma l'ingresso stesso, non sorretto da ragioni collegate al servizio, pubblico o privato, svolto sez. V, n. 565/19 che ha confermato la condanna in un caso di trasmissione, tramite e-mail, da parte di un dipendente di istituto bancario ad altro dipendente non abilitato a prenderne cognizione, di dati riservati concernenti la clientela . La disposizione normativa in questione configura, infatti, un reato di pericolo, che si concretizza ogniqualvolta l'ingresso abusivo riguardi un sistema informatico in cui sono contenute notizie riservate, indipendentemente dal tipo di notizia eventualmente appresa sez. V, n. 8541/19, che ha rigettato il ricorso proposto da un sottoufficiale della guardia di finanza, che si era abusivamente introdotto nel sistema informatico di controllo dei redditi al fine di acquisire informazioni sulla situazione reddituale della moglie, con cui aveva in corso una causa di separazione ed anche se le credenziali di accesso alla pagina facebook dell’ex compagno erano state spontaneamente comunicate sez. V n. 2905/19 . La tesi difensiva visione per lavorazione dei fascicoli”. Tornando alla vicende de qua , l’imputato proponeva ricorso per cassazione lamentando violazione di legge e difetto di motivazione con riguardo all’applicazione dei principi tracciato dalla sentenza Savarese, per non aver valutato la sussistenza degli elementi dai quali valutare il c.d. sviamento di potere” ed in particolare le ragioni estranee allo svolgimento delle proprie funzioni . Si sostiene che le due fattispecie concrete non erano sovrapponibili perché mentre in quel caso il dirigente di cancelleria accedeva ad un procedimento penale non assegnato al proprio ufficio e relativo a persona legata da ragioni personali all’imputato. Nell’odierna casistica invece il cancelliere avrebbe preso visione di due procedimenti dello stesso proc. pen., che era stato iscritto ad un altro numero in seguito alla riapertura delle indagini, nell’ambito del quale erano in corso attività di intercettazione telefonica e pendevano richiesta di proroga intercettazioni e richieste cautelari. Sarebbero state tali richieste ad indurre il cancelliere a prendere visione, peraltro per pochi minuti, dei due procedimenti, per ragioni compatibili con il suo ufficio lavorazione dei fascicoli. In definitiva, a differenza del Savarese, qui il cancelliere non consultava procedimenti di altro ufficio, né aveva collegamenti personali con gli indagati. Il tortuoso percorso della Suprema Corte si parte dalla sentenza Casani. Già nel 2011 le Sezioni Unite avevano preso posizione sul contrasto giurisprudenziale e – pur senza fare specifico riferimento ai pubblici ufficiali – escludevano che il requisito di abusività” della condotta potesse farsi discendere dalle finalità perseguite dall’agente al momento dell’accesso o del mantenimento nel sistema informatico, dovendo piuttosto essere ancorato a sicuri parametri di natura obiettiva sentenza n. 4694/12 . Secondo il Massimo Consesso, ai fini della configurazione del reato, avrebbe infatti dovuto ritenersi decisiva la prova della violazione da parte dell’agente delle condizioni e dei limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitare oggettivamente l’accesso al sistema informatico disposizioni organizzative interne, prassi aziendali, clausole di contratti individuali ecc. oppure, in alternativa, la prova del compimento sul sistema di operazioni di natura ontologicamente diversa da quelle di cui il soggetto era incaricato e per cui aveva ricevuto la facoltà di accesso. Per l’accesso dei cancellieri sorgeva altro contrasto. Nella giurisprudenza successiva all’arresto delle Sezioni Unite si erano però verificate alcune oscillazioni in merito all'applicazione di detti criteri ai pubblici dipendenti ed agli incaricati di pubblico servizio. In particolare sorgeva un contrasto in seno sempre alla Quinta sezione sulla rilevanza penale delle condotte di accesso ad un sistema informatico commesse da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio che, munito di password di accesso al sistema, vi acceda per finalità diverse da quelle di ufficio c.d. sviamento di potere . La sentenza Savarese. Chiamato nuovamente a pronunciarsi il Supremo Collegio n. 41210/17 ha affermato che integra il delitto previsto dall’art. 615- ter , comma 2, n. 1, c.p., la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l’accesso anche in quel caso il Re.Ge. acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee e comunque diverse rispetto a quelle per le quali, soltanto, la facoltà di accesso gli è attribuita. La diversità delle finalità dell’accesso rispetto a quelle per cui il potere è attribuito. La presente sentenza n. 34803/19 parte dalla Savarese e da altre pronunce dello stesso tenore nelle quali l’accesso del dirigente di cancelleria e del cancelliere era avvenuto per ragioni ontologicamente estranee per visionare l’iscrizione di procedimento penale a carico di un familiare sez. V, n. 44403/15 . Tuttavia, rispetto alla sentenza Savarese qui l’accesso ad un sistema informatico non è avvenuto per ragioni estranee a quelle di ufficio e quindi non è sotto questo versante che si traduce per il pubblico ufficiale in una condotta abusiva in quanto non manca il rapporto di ontologica incompatibilità” con la funzione svolta. Invece siamo sul diverso versante sempre rilevato dalle Sezioni Unite in cui l’accesso informativo è avvenuto per ragioni comunque diverse rispetto a quelle per le quali, soltanto, la facoltà di accesso gli è attribuita . Estraneità degli accessi alle ragioni d’ufficio. Il cancelliere non era tenuto a svolgere alcun tipo di intervento su quei procedimenti. Nel giorno del commissi delicti doveva solo assistere in udienza il magistrato ed invece accedeva al RE.GE. in prima mattinata quando i colleghi non erano ancora arrivati. Inoltre, l’estraneità degli accessi a specifiche ragioni d’ufficio è stata desunta dalla circostanza che sono stati eseguita in modalità di sola lettura” e non di inserimento”, come faceva normalmente quando utilizzava il RE.GE., e senza operare ulteriori accessi in quella giornata. Viene quindi rigettata la tesi difensiva sulla ritenuta lavorazione dei fascicoli. In ogni caso, si specifica che nell’interpretazione del requisito di c.d. illiceità speciale, espresso dall’avverbio abusivamente”, le ragioni che legittimano l’accesso o il mantenimento nel sistema informatico delle notizie di reato non possono consistere nella mera pendenza di un procedimento presso l’ufficio giudiziario ove l’agente svolge servizio, ma devono essere specificamente connesse all’assolvimento delle proprie funzioni. Interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito. La pronuncia in esame si pone nel sentiero da tempo percorso dalla giurisprudenza di legittimità, orientata verso la riconducibilità dello sviamento di potere all’interno delle nozioni di abusività della condotta e di fatto commesso con violazione dei doveri di ufficio. Sul punto, in materia di abuso d’ufficio si ritiene che sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l’attribuzione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 aprile – 30 luglio 2019, n. 34803 Presidente Vessichelli – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 11.01.2018 la Corte di Appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Lanciano che aveva dichiarato C.C. responsabile del reato di cui all’art. 615 ter c.p., per essersi introdotto, in qualità di cancelliere in servizio presso l’ufficio GIP del Tribunale di Lanciano, nel registro generale informatico delle notizie di reato RE.GE. , per prendere visione di due procedimenti. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di C.C. , Avv. Oliviero de Carolis Villars, deducendo due motivi di ricorso. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità lamenta che la Corte territoriale abbia richiamato acriticamente la sentenza Savarese delle Sezioni Unite, senza valutare la sussistenza di elementi dai quali desumere il c.d. sviamento del potere, ed in particolare le ragioni estranee allo svolgimento delle proprie funzioni invero, mentre nella fattispecie esaminata dalle Sezioni Unite il pubblico ufficiale accedeva ad un procedimento non assegnato al proprio ufficio, e relativo a persona cui era legata da ragioni personali, nel caso di specie il cancelliere accedeva al REGE per consultare due procedimenti che riguardavano il medesimo procedimento penale, che era stato iscritto con un nuovo numero in seguito alla riapertura delle indagini, nell’ambito del quale erano in corso attività di intercettazione telefonica, e pendevano richieste di proroga delle intercettazioni e richieste cautelari in ragione di tali richieste il C. ha preso visione per pochi minuti dei due procedimenti, per ragioni compatibili con il proprio ufficio, legati alla lavorazione dei fascicoli non consultava procedimenti di competenza di altro ufficio, né aveva collegamenti personali con gli indagati. Inoltre, la Corte avrebbe affermato una inammissibile inversione dell’onere della prova, allorquando ha evidenziato che il pubblico ufficiale non ha specificato le ragioni dell’accesso o giustificato. 2.2. Vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è nel suo complesso infondato. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia applicato acriticamente il principio di diritto recentemente affermato dalle Sezioni Unite, senza che sussistessero indici fattuali del c.d. sviamento del potere di accesso. Al riguardo, giova premettere che, a proposito di una fattispecie pressoché sovrapponibile, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui integra il delitto previsto dall’art. 615 ter c.p., comma 2, n. 1, la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l’accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è attribuita Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, Savarese, Rv. 271061, che, nella specie, ha ritenuto immune da censure la condanna di un funzionario di cancelleria, il quale, sebbene legittimato ad accedere al Registro informatizzato delle notizie di reato - c.d. Re.Ge. - conformemente alle disposizioni organizzative della Procura della Repubblica presso cui prestava servizio, aveva preso visione dei dati relativi ad un procedimento penale per ragioni estranee allo svolgimento delle proprie funzioni, in tal modo realizzando un’ipotesi di sviamento di potere in tal senso, già Sez. 5, n. 44403 del 26/06/2015, Morisco, Rv. 266088 Integra il delitto previsto dall’art. 615-ter c.p., la condotta di accesso o di mantenimento nel sistema informatico da parte di un soggetto, che, pure essendo abilitato, violi le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurasi il reato nei confronti di un cancelliere del tribunale, che, utilizzando un codice di accesso ad efficacia limitata nel tempo, fornitogli anni addietro per la trasmigrazione di dati informatici, si era abusivamente introdotto nel sistema informatico RE.GE. in dotazione alla Procura della Repubblica, al diverso fine di visionare l’iscrizione di un procedimento penale a carico di un suo conoscente . Nel ribadire che non sussiste la violazione dell’art. 7 CEDU - così come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU - qualora l’interpretazione della norma incriminatrice applicata al caso concreto sia ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa, atteso che l’irretroattività del mutamento giurisprudenziale sfavorevole presuppone il ribaltamento imprevedibile di un quadro giurisprudenziale consolidato c.d. overruling Sez. 5, n. 47510 del 09/07/2018, Dilaghi, Rv. 274406, in una fattispecie di accesso abusivo ad un sistema informatico in cui la Corte ha escluso la sussistenza di un overruling ad opera della sentenza delle Sezioni unite Savarese e la conseguente violazione dell’art. 7 CEDU , la sentenza impugnata appare immune da censure, in quanto, lungi dall’aver applicato acriticamente il principio di diritto richiamato, ha evidenziato che l’imputato, il giorno 16 aprile 2012, aveva effettuato tre accessi al sistema informatico RE.GE., recandosi poi in udienza per l’assistenza al magistrato, senza che venissero effettuate attività di immissione di dati. In particolare, la deduzione del ricorrente secondo cui i due procedimenti consultati pendevano presso l’ufficio GIP per le richieste di proroga delle intercettazioni e di misure cautelari, sì da legittimare il suo ingresso nel sistema informatico e la sua consultazione, è, oltre che generica, in quanto non ha chiarito, in sede processuale né, tanto meno, nel ricorso , le specifiche ragioni d’ufficio che legittimavano l’accesso, infondata come ben evidenziato dalla sentenza di primo grado - che si salda alla sentenza impugnata Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione - l’imputato non era chiamato a porre in essere alcun tipo di intervento nell’ambito di quei procedimenti quel giorno egli avrebbe dovuto assistere il magistrato in udienza, e infatti gli accessi erano avvenuti di primissima mattina, immediatamente dopo essere giunto in ufficio, quando i colleghi di lavoro non erano ancora arrivati l’estraneità degli accessi a specifiche ragioni di ufficio, inoltre, è stata desunta dalla circostanza che sono stati eseguiti in modalità di sola lettura , e non di inserimento , come faceva normalmente quando utilizzava il RE.GE, e senza operare ulteriori accessi in quella giornata. Ciò posto, nell’interpretazione del requisito di c.d. illiceità speciale, espresso dall’avverbio abusivamente , va dunque affermato il principio che le ragioni che legittimano l’accesso o il mantenimento nel sistema informatico delle notizie di reato non possono consistere nella mera pendenza di un procedimento presso l’ufficio giudiziario ove l’agente svolge il proprio servizio, ma devono essere specificamente connesse all’assolvimento delle proprie funzioni. 2. Il secondo motivo, concernente il trattamento sanzionatorio ed il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante, è inammissibile. È pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p., con espressioni del tipo pena congrua , pena equa o congruo aumento , come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142 . Peraltro, in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949 . Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha confermato il trattamento sanzionatorio inflitto dal giudice di primo grado, che aveva determinato la pena base in dieci mesi di reclusione, individuando una sanzione ben al di sotto della media edittale, e anzi prossima al minimo edittale, tenendo conto della equivalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante. Quanto al diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, la doglianza è, altresì, inammissibile, in quanto, premesso che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931 , la sentenza impugnata ha negato un diverso giudizio di bilanciamento tra le circostanze sulla base di una motivazione immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, calibrata sulla assenza di situazioni attenuanti sostanzialmente circoscritte allo stato di incensuratezza dell’imputato tanto rilevanti da fondare una diversa valutazione. 3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.