Pedone incauto travolto e ucciso: fino a che punto è responsabile l’imputato?

In tema di omicidio stradale, ciò che deve essere valutato nel caso concreto è la ragionevole prevedibilità della condotta della vittima e la possibilità di porre in essere le manovre di emergenza necessarie ad evitare l’evento, qualora il pericolo temuto si concretizzi a causa del comportamento imprudente altrui o della violazione delle norme di circolazione da parte della vittima.

Su questo tema si esprime la Corte di Cassazione con la sentenza n. 34406/19, depositata il 29 luglio. Il caso. La Corte d’Appello di Roma confermava la decisione emessa dal Tribunale, in base alla quale l’imputato veniva condannato poiché ritenuto responsabile di aver cagionato la morte della persona offesa, in quanto con imprudenza, negligenza e imperizia investiva la stessa mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali. Contro la suddetta sentenza, l’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, l’omessa valutazione da parte della Corte del comportamento della vittima, il quale sarebbe idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la sua condotta e l’evento. Tale condotta della vittima sarebbe consistita nell’iniziare ad attraversare la strada fuori dalle strisce pedonali. Il principio di affidamento. La Suprema Corte respinge il motivo di ricorso prospettato dal ricorrente, recependo, in materia di configurabilità della colpa e della sua causalità rispetto all’evento verificatosi, il principio di affidamento in ambito di circolazione stradale. In base a quest’ultimo, l’esclusione o la limitazione di responsabilità in ordine alle conseguenze delle altrui condotte prevedibili o, in altri termini, il poter contare sulla correttezza del comportamento di altri, riduce i suoi margini in ragione della diffusività del pericolo, che impone un corrispondente ampliamento della responsabilità in relazione alla prevedibilità del comportamento scorretto od irresponsabile di altri agenti . Ciò affermato, la Corte rileva che ciò risulta in linea con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui tale principio trova un temperamento in quello opposto per cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità . A tal fine, la Corte osserva come ciò che deve essere valutato in relazione alla situazione di fatto è proprio la ragionevole prevedibilità del comportamento della persona offesa, oltre alla possibilità di porre in essere la manovra di emergenza necessaria ad evitare l’evento nel caso in cui il pericolo temuto si concretizzi a causa della condotta imprudente o negligente altrui o della violazione delle norme sulla circolazione da parte della vittima o di terzi. Alla luce di quanto esposto, gli Ermellini osservano che già l’art. 141 c.d.s., quando prescrive al conducente di conservare il controllo del proprio veicolo per compiere le manovre necessarie in condizioni di sicurezza dinanzi ad ogni ostacolo prevedibile, include tra tali ostacoli prevedibili anche il pedone che attraversa la strada sulle strisce pedonali in ora notturna e in una zona priva di adeguata illuminazione, come nel caso di specie. Anche per questi motivi, gli Ermellini rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 8 maggio – 29 luglio 2019, n. 34406 Presidente Menichetti – Relatore Nardin Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 24 maggio 2018 la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma, con cui R.F. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 589 c.p., comma 2, perché con imprudenza negligenza ed imperizia, percorrendo strada urbana ad una velocità di circa 40-50km, sopraggiungendo ad un incrocio, regolato da luce lampeggiante, cagionava la morte di S.A. , che procedeva in attraversamento della sede stradale, e ciò in violazione delle norme di cui all’art. 141 C.d.S., commi 1, 2, 3 e 4, non avendo opportunamente commisurato la velocità alle caratteristiche ed alle condizioni della strada ed alle circostanze di tempo e di visibilità, stante l’ora notturna, né essendosi conformato alle prescrizioni di cui all’art. 191 C.d.S., che impone ai conducenti di veicoli di dare la precedenza ai pedoni in transito sugli attraversamenti pedonali. 2. Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo a quattro motivi. 3. Con il primo lamenta, ex art. 606, comma 1 lett. e , il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di valutare, così come richiesto con l’atto di appello, la consulenza di parte, sottoposto ad esame dibattimentale, redatta dall’ing. F. , basandosi esclusivamente sulla consulenza del pubblico ministero, così incappando in un grave vizio logico non avendo tenuto in considerazione le circostanze sottolineate dal tecnico dell’imputato, il quale ha chiarito che le condizioni di visibilità del pedone in attraversamento erano state alterate dai fari abbaglianti dell’autobus che sopraggiungeva dalla direzione opposta, come rivelato dai filmati della videosorveglianza acquisiti al processo. 4. Con il secondo si duole, ex art. 606, comma 1, lett.re b c ed e , in relazione all’erronea applicazione dell’art. 41 c.p., comma 2 , e art. 589 c.p., comma 2, e degli artt. 125 e 546 c.p.p., nonché al vizio di motivazione. Assume che la sentenza impugnata, nell’affermare la responsabilità dell’imputato, omette del tutto di considerare il comportamento tenuto della persona offesa, cui va riconosciuto il carattere di causa interruttiva del nesso di causalità fra la condotta del primo e l’evento. Rileva che il pedone ha incominciato l’attraversamento, in una situazione di scarsa illuminazione, al di fuori delle strisce pedonali, ponendo in essere una condotta anomala ed assolutamente imprevedibile, anche in astratto dall’agente, stante l’impossibilità, nelle condizioni date, di avvistamento della vittima. 5. Con il terzo motivo deduce il vizio d cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , sotto il profilo dell’assoluta carenza di motivazione in ordine alla richiesti di rideterminazione della pena,essendo state evidenziate concrete circostanze non tenute in considerazione dalla Corte territoriale, quali il comportamento tenuto dalla persona offesa. 6. Con il quarto motivo fa valere la violazione della legge penale con riferimento agli artt. 163 e 164 c.p., rilevando la non correttezza del diniego della concessione della sospensione condizionale della pena, a fronte dell’indirizzo giurisprudenziale espresso dal giudice di legittimità secondo cui la presenza di una precedente condanna non impedisce l’applicazione del beneficio allorquando la pena da infliggere, cumulata con la precedente, non superi i limiti definiti dall’art. 163 c.p Nel caso di specie, invero, non sussistono condizioni ostative, anche avuto riguardo al fatto che i precedenti penali risalgono ad un tempo molto risalente, collocandosi rispettivamente nel 1957 e nel 1965. Conclude per l’annullamento della sentenza impugnata, con ogni declaratoria di legge. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato. 2. Il primo motivo è infondato. 2.1. Invero, la Corte territoriale, nell’esporre le doglianze formulate con l’atto di appello, dà conto della censura con la quale veniva criticata la sentenza di primo grado che non aveva tenuto in considerazione le risultanze della consulenza redatta dal tecnico dell’imputato, di se no opposto a quelle del pubblico ministero, benché entrambi i consulenti fossero stati escussi in dibattimento. Nondimeno, lungi dall’omettere la risposta al motivo di gravame inerente alla ricostruzione del fatto, formula un giudizio di resistenza del quadro probatorio sulla base del quale la sentenza di primo grado ha fondato la condanna. Affrontando espressamente la questione dell’abbagliamento, già escluso dal primo giudice, sulla base della visione dei filmati da parte del consulente del pubblico ministero - che, diversamente dal consulente di parte ha ritenuto che l’autobus sopraggiungente avesse attivati i fari anabbaglianti - ha sostanzialmente ribadito il principio secondo il quale, allorquando il conducente di un autoveicolo venga abbagliato dai fari di un altro veicolo, procedente in senso inverso, è tenuto a rallentare - e sinanco a fermarsi - al fine di evitare l’insorgenza di una situazione di pericolo, potendo l’abbagliamento discriminare la condotta solo quando sia improvviso ed imprevedibile Sez. 4, n. 3240 del 12/12/1990 - dep. 22/03/1991, Chiappello, Rv. 186733 . Al contrario, in questo caso l’auto e l’autobus incrociante procedevano su strada rettilinea, il che come correttamente rilevato dai giudici del merito, avrebbe consentito all’imputato di – eventualmente - rendersi conto del fatto che il mezzo pubblico che sopraggiungeva aveva attivato i fari abbaglianti e condizionare a siffatta circostanza la propria condotta di guida, rallentando sino ad arrestare la marcia, se siffatto abbagliamento avesse reso difficile l’avvistamento di eventuali ostacoli. 2.2. Dunque, la Corte, non mette direttamente a confronto gli esiti delle due consulenze, non perché trascura di dare risposta al motivo di appello formulato dall’imputato, ma perché assume che, anche laddove si volesse accogliere la prospettazione della difesa, in ordine alla lettura del filmato, nel quale compare l’autobus che incrocia l’autovettura condotta da R. , egualmente dovrebbe affermarsi che incombeva sul medesimo l’obbligo di rallentare ulteriormente la velocità. 3. La seconda doglianza deve egualmente essere respinta. 3.1. La ricostruzione del fatto contenuta nelle sentenze di prima e seconda cura affronta la questione proposta sia sotto il profilo della configurabilità della colpa, che della sua causalità rispetto all’evento verificatosi, e lo fa sulla base del complesso degli elementi ricavabili dal quadro probatorio e tecnico acquisito in giudizio, facendo riferimento in particolare agli accertamenti tecnici svolti nell’immediatezza ed alle conclusioni del consulente del pubblico ministero. Così chiarisce che, nonostante la velocità non superiore a quella consentita, il conducente avrebbe dovuto ulteriormente moderare l’andatura, vista l’ora notturna e la scarse condizioni di visibilità, essendo la strada priva di illuminazione diversa dall’impianto semaforico, e sottolinea altresì che la condotta della persona offesa non può ritenersi astrattamente imprevedibile. Così facendo recepisce il c.d. principio di affidamento, come maturato in ambito di circolazione stradale ove l’esclusione o la limitazione di responsabilità in ordine alle conseguenze delle altrui condotte prevedibili o, in altri termini, il poter contare sulla correttezza del comportamento di altri, riduce i suoi margini in ragione della diffusività del pericolo, che impone un corrispondente ampliamento della responsabilità in relazione alla prevedibilità del comportamento scorretto od irresponsabile di altri agenti. 4. Si tratta di argomentazioni in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui In tema di circolazione stradale, il principio dell’affidamento trova un temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità. Sez. 4, n. 5691 del 02/02/2016 - dep. 11/02/2016, Tettamanti, Rv. 26598101 Sez. 4, n. 27513 del 10/05/2017 - dep. 01/06/2017, Mulas, Rv. 26999701 tanto che l’obbligo di moderare adeguatamente la velocità, in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione Sez. 4, n. 25552 del 27/04/2017 - dep. 23/05/2017, Luciano, Rv. 27017601 . 5. Ciò che va valutato, nella specifica situazione di fatto, è infatti la ragionevole prevedibilità della condotta della vittima, ma anche la possibilità di porre in essere la manovra di emergenza necessaria ad evitare l’evento, per il caso del concretizzarsi del pericolo temuto, dovuto al comportamento imprudente o negligente altrui, così come alla violazione delle norme di circolazione da parte della vittima o di terzi. 5.1. D’altro canto, il comportamento richiesto al conducente, in questa ipotesi, era proprio quello descritto sia dall’art. 141 C.d.S., comma 2, secondo cui Il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile che dall’art. 145 C.d.S., che stabilisce l’obbligo dei conducenti, che si approssimino ad un’intersezione di usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti . Ebbene, non può dubitarsi che fra gli ostacoli prevedibili vi sia un pedone che in ora notturna, in zona priva di adeguata illuminazione, attraversi la strada, peraltro sulle strisce pedonali, in incrocio regolato dal solo semaforo lampeggiante. È chiaro, inoltre, che in una simile situazione, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, la velocità deve essere costantemente proporzionata allo spazio corrispondente al campo di visibilità al fine di consentire al conducente l’esecuzione utile della manovra di arresto, considerato il tempo psicotecnico di reazione nell’ipotesi in cui si profili un ostacolo improvviso. 6. La sentenza, - confermativa della decisione del giudice di primo grado - appare, dunque, del tutto scevra da vizi logici e pienamente coerente con il quadro probatorio illustrato. 7. La terza censura è inammissibile. Il ricorrente, invero, non chiarisce, al di là della circostanza considerata dalla Corte e ritenuta infondata, relativa al concorso di colpa della persona offesa, quali altri elementi avrebbero potuto comportare ulteriore riduzione della pena. 8. È da respingere, infine, l’ultima doglianza relativa all’omessa concessione della sospensione condizionale della pena, posto che come risulta dalla sentenza e dal certificato penale prodotto dal ricorrente l’imputato ha già goduto della sospensione condizionale in passato, ancorché per condanne molto risalenti nel tempo., non essendo in nessun caso superabile il limite posto dall’art. 164 c.p., u.c 9. 11. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.