La Cassazione applica il dictum delle Sezioni Unite in materia di rescissione del giudicato, facendo prevalere la sostanza sulla forma

La Prima Sezione applica, tra le prime, il principio di diritto recentemente espresso dalla Massima Composizione, tornando ad occuparsi del rapporto tra celerità del processo e garanzie assicurate a chi si trovi, senza colpa, a non aver avuto conoscenza reale della sua condizione di imputato o sottoposto a indagini , restando così vittima di presunzioni rituali.

Lo fa, in un caso complicato dalla successione, durante il procedimento, di molteplici riforme della materia, talvolta motivate dall’emersione di incongruenze, oggetto pure di condanna in sede europea. Giunge così a ribadire l’esigenza, nel prisma delle norme costituzionali che informano il rito penale, di rifiutare ogni formalismo, appurando in concreto se i meccanismi presuntivi introdotti per prevenire assenze meramente dilatorie abbiano assolto correttamente la loro funzione, non traducendosi in un pregiudizio al diritto di difesa e di autodifesa . Il caso. Il giudizio a quo si era concluso con l’ordinanza con cui la Corte di Appello di Venezia aveva rigettato l’istanza, presentata nel 2018, volta alla rescissione del giudicato ex art. 629- bis c.p.p. ed all’impugnazione della prima sentenza, resa dal Tribunale di Rovigo e divenuta poi irrevocabile, in assenza di gravame, nel 2015. I Giudici distrettuali avevano motivato il rigetto, da un lato, disattendendo la domanda di sollevare questione di legittimità costituzionale per lesione del diritto di difesa e dei principi del giusto processo, in relazione all’intervento di nomina formale di difensore d’ufficio, incapace di dimostrare, secondo l’istante, la reale conoscenza del processo e, dall’altro, schierandosi per l’indirizzo di legittimità minoritario per il quale la rescissione del giudicato non può operare quando l’imputato sia stato dichiarato assente dopo aver eletto domicilio presso il difensore d’ufficio, a nulla rilevando l’eventuale negligenza nel patrocinio, che riguarderebbe non la conoscenza dell’esistenza del processo, ma la diligenza nel parteciparvi. Ricorre per Cassazione il difensore del condannato, deducendo con tre articolati motivi violazione di legge processuale, per aver impropriamente equiparato la conoscenza potenziale del procedimento per il tramite di difensore d’ufficio alla diretta consapevolezza del processo carenze motivazionali, poiché mancherebbe ogni spiegazione circa l’asserita insussistenza delle dedotte circostanze oggettive capaci di rendere incolpevole l’inerzia del condannato infine, la permanenza di interesse ad impugnare, nell’ottica di una futura domanda di riparazione per ingiusta detenzione, sebbene la pena irrogata, con tutta probabilità, sarebbe già stata integralmente espiata una volta trattato il ricorso. Il Supremo Collegio – su parere difforme del Procuratore generale, che, come già il Procuratore presente innanzi alle Sezioni Unite, aveva insistito, con requisitoria scritta, per il rigetto del ricorso – accoglie l’impugnazione, annullando l’ordinanza e rinviando per un nuovo esame alla Corte di Appello di Venezia. Il compito dell’Estensore è facilitato dall’intervento sulla stessa tematica, poco prima del deposito della motivazione, di una decisione delle Sezioni Unite Penali, che viene integralmente condivisa Cass., SS.UU. Pen., 3.7.2019 cc 28.2.2019 , n. 28912, Pres. Carcano, Rel. Di Stefano . Ed invero, al di là della naturale conformazione alle indicazioni dell’organo giurisdizionale deputato a comporre le dispute ermeneutiche, è palese l’antitesi tra l’orientamento prevalente e la tesi dei Giudici distrettuali, che genererebbe, peraltro, effetti disfunzionali, mal conciliandosi con l’intero sistema di tutele predisposto ad esito delle successive riforme. La ritualità delle notificazioni e l’effettiva conoscenza del processo. L’assunto essenziale dal quale muove l’iter motivo di secondo grado è, infatti, che la dichiarazione di assenza era stata correttamente pronunciata, ricorrendo una delle condizioni formali – elezione di domicilio presso il difensore – previste dalla legge è che dunque, stante la correttezza di tale modo di procedere, la decisione era legittimamente divenuta irrevocabile. Così facendo, tuttavia, ignora completamente la ratio dell’intervento correttivo apportato, nel 2017, alla disciplina di settore - valorizzato anche dalla difesa - inerente la necessità, affinché tale condizione si verifichi, che il difensore designato d’ufficio presti il consenso alla scelta del suo assistito, attribuendo in tal modo connotazione sostanziale alla circostanza da cui inferire la capacità, per l’imputato, di essere a conoscenza del processo in corso e legittimando, così, la presunzione insita nella dichiarazione di assenza. Sotto questo profilo, afferma la Suprema Corte, tangibile appare la fallacia della prospettiva prescelta [] che, nell’affermare che la rescissione del giudicato non si applica al caso in cui l’imputato sia stato dichiarato assente avendo eletto domicilio presso il difensore d’ufficio, poiché [] dall’elezione di domicilio deriva una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a procedere in assenza dell’imputato ha finito con l’avallare una interpretazione abrogatrice dell’istituto . Nel caso concreto, peraltro, il prevenuto, di origine straniera, aveva contestualmente compilato in modo incompleto la dichiarazione relativa al domicilio eletto e una scheda di identificazione in cui inserire il proprio domicilio in Italia, potendo crearsi così l’erroneo convincimento che avrebbe ricevuto ogni comunicazione presso la diversa dimora indicata. Aspetto, questo, del tutto trascurato in grado d’appello e che dovrà costituire oggetto di specifico apprezzamento nella prosecuzione del processo di merito, in cui la ritualità delle notificazioni effettuate costituirà unicamente la precondizione per avviare una più penetrante valutazione circa l’effettiva idoneità di tale comunicazioni a rendere consapevole l’imputato del giudizio pendente nei suoi confronti. Conclusioni. La sentenza in commento è lineare e concisa nell’esporre le argomentazioni che sostengono il filone segnato dall’importante precedente del Massimo Consesso interpretativo, nel solco di un’esegesi condivisibile a più riprese avallata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Costituirà, pertanto, una prima conferma della inevitabile logica per la quale simili dinamiche processuali devono sempre trovare filtro applicativo nella pratica, per non degenerare in inammissibili presunzioni legali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 aprile – 25 luglio 2019, n. 33839 Presidente Tomassi - Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 19 marzo 2018 la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’istanza, presentata nell’interesse di A.R.P. , volta alla rescissione del giudicato, ai sensi dell’art. 629 bis c.p.p., ed all’impugnazione della sentenza del Tribunale di Rovigo del 9 luglio 2015, divenuta irrevocabile il 22 novembre 2015. L’istanza era stata presentata asserendo che A. avesse preso conoscenza della sentenza emessa a suo carico solo in data 25 gennaio 2018, all’atto del suo arresto in esecuzione del medesimo titolo, dal momento che, dalla nomina di un difensore di ufficio ex art. 161 c.p.p., egli non aveva più avuto contatti con lo stesso ed era stato dichiarato assente dal conseguente processo celebrato a suo carico. L’assenza, nella prospettiva del richiedente, era stata dunque determinata da incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, tale da legittimare la rescissione del giudicato nella formulazione dell’art. 629 bis c.p.p., nel testo novellato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 71. 2. La Corte di appello lagunare ha innanzitutto disatteso la richiesta, avanzata dall’istante con separata memoria ex art. 121 c.p.p., intesa alla proposizione di questione di legittimità costituzionale della L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 71, per contrasto con l’art. 24 Cost., art. 111 Cost., comma 1, e art. 117 Cost., comma 1, con riferimento ai principi di equità del processo ed effettività dei rimedi interni, sul rilievo che nella previsione dell’art. 175 c.p.p., per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la nomina formale di un difensore di ufficio, all’atto dell’esecuzione degli adempimenti previsti dall’art. 161 c.p.p., non è di per sé dimostrativa della conoscenza del processo. Di conseguenza, ad analoghe conclusioni deve pervenirsi nell’applicazione dell’istituto, di nuova introduzione, regolato dall’art. 629 bis c.p.p., considerata, vieppiù, la diversità dei presupposti - la declaratoria di contumacia, in un caso, e di assenza, nell’altro - degli istituti previsti, rispettivamente, dagli artt. 175 e 629 bis c.p.p., tale da giustificare la non omogeneità della disciplina. In relazione al merito dell’istanza, ha ricordato che la Corte di Cassazione ha di recente ribadito, in coerenza con un indirizzo costante, che la rescissione del giudicato non si applica al caso in cui l’imputato sia stato dichiarato assente avendo eletto domicilio presso il difensore di ufficio, poiché, ai sensi dell’art. 420 bis c.p.p., commi 2 e 3, dall’elezione di domicilio deriva una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a procedere in assenza dell’imputato, sul quale grava l’onere di attivarsi per tenere i contatti informativi con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento così Sez. 5, n. 36855 del 07/07/2016, Baron, Rv. 268322, e Sez. 5, n. 12445 del 13/11/2015, Degasperi, Rv. 266368 . Ha aggiunto che neppure la eventuale negligenza del difensore nel seguire il processo può costituire prova che l’assenza del condannato dal processo sia stata dovuta a una incolpevole mancata conoscenza del procedimento, poiché una cosa è la conoscenza dell’esistenza del processo che si ha con l’elezione di domicilio presso il difensore di ufficio altra è la diligenza nel parteciparvi, e che la presunzione di legale conoscenza del procedimento prevista dall’art. 420 bis c.p.p., è, pertanto, superabile solo nel caso in cui l’assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità a comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento Sez. 5, n. 40848 del 13/07/2017, Fanici, Rv. 271015 , circostanze questa che la difesa non ha in alcun modo né argomentato né provato. 3. A. ha proposto, tramite il difensore, avv. Giovanni Gentilini, ricorso per cassazione articolando tre motivi. 3.1. Con il primo motivo, deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c , per erronea applicazione delle norme processuali in relazione all’art. 629 bis c.p.p., comma 1. Rileva, al riguardo, che l’art. 629 bis c.p.p., è ispirato ai medesimi principi che animavano, nel previgente sistema incentrato sulla dichiarazione di contumacia, l’art. 175 c.p.p., comma 2 bis, disposizione che non autorizzava alcune presunzione di conoscenza per il caso di elezione di domicilio presso il difensore di ufficio nella fase delle indagini preliminari, seguita da notificazione all’imputato dei successivi atti processuali presso il difensore domiciliatario. Obietta che l’interpretazione prescelta dal giudice di merito cozza, sul piano esegetico, con il dettato dell’art. 629 bis c.p.p., comma 1, letteralmente cesellato intorno al lemma celebrazione del processo , e trascura la scelta del legislatore della riforma di ricondurre i termini della conoscenza consapevole attorno al fondamentale momento del processo e non già del procedimento , con esclusione quindi - sul piano della valenza dimostrativa di qualsivoglia riferimento ad atti anteriori all’esercizio dell’azione penale, quale la dichiarazione elettiva effettuata da A. al momento di esecuzione degli adempimenti previsti dall’art. 161 c.p.p., peraltro nel 2012, ovvero sotto la vigenza di un diverso sistema di garanzie - quelle contemplate dall’art. 175 c.p.p., comma 2 bis, - che meglio salvaguardava il diritto alla piena conoscenza in capo all’imputato inconsapevole. Imputa al giudice del merito di non avere considerato, assumendo che l’introduzione della disciplina dell’assenza ha impedito ogni possibile rimando alle garanzie previste per il contumace, che la dichiarazione elettiva era stata resa dall’odierno ricorrente quando, per contratto processuale , quell’atto aveva prodotto determinati effetti e, soprattutto, lo dotava di determinate garanzie costituzionali e convenzionali per l’ipotesi in cui non fosse stato dimostrato che egli aveva avuto contezza del processo o vi aveva partecipato. La segnalata aporia avrebbe trovato conferma, nella prospettiva del ricorrente, con l’eclatante correzione alla normativa di settore apportata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, mediante l’introduzione dell’art. 162 c.p.p., comma 4 bis, intervento ricognitivo della inefficacia in fatto che doveva - e tuttora deve - riconoscersi alle dichiarazioni elettive non assentite dal difensore ufficioso, ovvero come nel caso di specie non seguite da alcuna prova materiale che l’indagato/imputato ha contattato o è stato contattato dal difensore designato, in relazione al processo e non al procedimento. Il ricorrente, ripropone, in subordine, l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 629 bis c.p.p., già rigettata dalla Corte di appello. 3.2. Con il secondo motivo, deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , per carenza assoluta di motivazione in ordine ad una circostanza, obiettivamente ingannevole e foriera di ambiguità, specificamente segnalata nell’istanza originaria, che atteneva all’essere stato l’A. , nel giro di pochi minuti, chiamato, da un lato, ad effettuare l’elezione di domicilio peraltro con forme e secondo modalità che, a seguito della novella del 2017, devono ritenersi incomplete e, dall’altro, a compilare una scheda di identificazione nella quale inserire, tra l’altro, il proprio domicilio in Italia , così essendosi ingenerato in lui il falso convincimento che egli sarebbe stato destinatario di comunicazioni formali presso la propria dimora, da lui espressamente indicata omissis . 3.3. Con il terzo ed ultimo motivo, chiarisce che, quantunque il condannato, alla data di trattazione del ricorso, avrà probabilmente espiato la pena, permane il suo interesse a vedere ristorati i propri diritti processuali, anche in vista di una possibile riparazione ex art. 314 c.p.p 4. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento. 2. L’istante ha chiesto la rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 629 bis c.p.p., che prevede, al comma 1, che Il condannato o il sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo, può ottenere la rescissione del giudicato qualora provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo . In fatto, ha dedotto che l’assenza è stata determinata da una incolpevole conoscenza della celebrazione del processo, tale da legittimare l’applicazione dell’istituto invocato. 3. La Corte di appello di Venezia ha disatteso la richiesta affermando, in sostanza, che l’adozione della dichiarazione di assenza al cospetto di una delle ipotesi espressamente tipizzate dal legislatore, ovvero l’elezione del domicilio presso il difensore di ufficio, preclude in radice l’accesso alla rescissione, a nulla rilevando il successivo sviluppo dei rapporti tra imputato e difensore e la condotta da quest’ultimo posta in essere in sede processuale. 4. L’iter argomentativo seguito dalla Corte di appello non appare condivisibile. Se è vero, infatti, che la formale adozione della dichiarazione di assenza determina il passaggio in giudicato della sentenza a prescindere dalla effettiva sussistenza delle condizioni di legge, non può essere dimenticato, per contro, che l’istituto della rescissione del giudicato è stato introdotto al precipuo scopo di rimediare agli effetti di una declaratoria di assenza basata sulla apparente sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 420 bis, ma nei confronti di un imputato che, senza sua colpa, sia rimasto all’oscuro del processo, ovvero con la funzione di compensare gli effetti pregiudizievoli, nei confronti dell’imputato, dell’abolizione della notificazione dell’estratto della sentenza al contumace. 4.1. A questo proposito va, innanzitutto, notato, in linea con quanto di recente chiarito dalle Sezioni Unite nella motivazione cfr., in specie, pag. 15 della sentenza n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, come, venuto meno - nel transito dalla disciplina incentrata sulla contumacia a quella che, invece, fa leva sulla nozione di assenza - il riferimento alla colpa, la condizione soggettiva dell’imputato assente trova momento di verifica, per esplicita scelta, del legislatore, in sede di giudizio di rescissione ove, con ottica ex post, vengono recuperati gli spazi di tutela che la disciplina dell’assenza ha, in sostanza, eliminato. Univoca conferma della distinzione - sotto il profilo sia lessicale che degli effetti processuali - tra i casi in cui l’assenza sia stata dichiarata in carenza dei presupposti di legge qualora, cioè, il giudice avrebbe dovuto prendere atto dell’impedimento a comparire ovvero sospendere il processo e quelli in cui, processualmente corretta la relativa dichiarazione, l’imputato dimostri, nondimeno, che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, si trae dal disposto dell’art. 604 c.p.p., comma 5 bis, norma pure introdotta dalla L. 28 aprile 2014, n. 67, ed afferente al giudizio di appello, che prevede, nel primo caso, che il giudice di secondo grado dichiari la nullità della sentenza e, nel secondo, che la sentenza venga, invece, annullata, ad entrambe le pronunzie conseguendo la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. D’altro canto, la stessa giurisprudenza citata dall’estensore del provvedimento impugnato a sostegno della propria decisione riconosce, a ben vedere, che l’istituto della rescissione del giudicato è destinato ad operare anche nei casi in cui l’assenza è stata dichiarata, sotto il profilo formale, ritualmente. In particolare, se la sentenza della Sez. 5, n. 36855 del 07/07/2016, Baron, Rv. 268322, rinvia, in argomento, a quella, emessa dalla medesima Sezione, n. 12445 del 13/11/2015, Degasperi, Rv. 266368, la lettura di quest’ultima fornisce utili elementi di conferma alla costruzione che si va delineando, riconoscendosi che, quantunque dalla elezione di domicilio deriva una presunzione di conoscenza del processo, che legittima il giudice a procedere in assenza dell’imputato e, pertanto, a concludere il processo anche con una sentenza di condanna idonea a passare in giudicato , il condannato, per contro, potrà far valere l’eventuale mancata conoscenza della celebrazione del giudizio a suo carico nelle forme e nei limiti previsti dall’art. 625 ter c.p.p. N. d.R. oggi, art. 629 bis c.p.p. , gravando su di lui l’onere di provare che il difetto di informazione non dipenda da una causa a lui ascrivibile a titolo di colpa . Nella stessa direzione milita, del resto, la sentenza della Sez. 5, n. 40848 del 13/07/2017, Fanici, Rv. 271015, nella cui motivazione si legge, tra l’altro, che la normativa sul processo in assenza , nell’abolire il processo contumaciale, ha fissato i casi in cui possa validamente presumersi la conoscenza del processo da parte dell’imputato, nel contempo confinando il diritto dell’imputato stesso, che di fatto non abbia avuto tale tempestiva effettiva conoscenza, a vedersi tutelato soltanto con lo strumento della rescissione del giudicato, destinato ad operare solo nel caso in cui sia lo stesso imputato a provare che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo . Non è senza significato, peraltro, che sulla medesima scia si sia posta la Sez. 1, con la recente ordinanza n. 9114 del 29 gennaio 2019, Ismal, con la quale è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione, in larga parte coincidente con quella posta, nel merito, dall’odierno ricorrente, relativa all’attitudine dell’elezione di domicilio presso il difensore di ufficio nominato all’atto dell’identificazione del soggetto da parte della polizia giudiziaria a giustificare una valida pronuncia della dichiarazione di assenza ex art. 420 bis c.p.p Nel corpo di tale provvedimento è stato, infatti, affermato, tra l’altro, che pag. 9 le nuove norme sul processo in assenza , da un lato, hanno abolito il processo contumaciale e, dall’altro, hanno stabilito i casi in cui possa validamente presumersi la conoscenza del processo da parte dell’imputato, nel contempo confinando il diritto dell’imputato stesso, che di fatto non abbia avuto tale tempestiva effettiva conoscenza, a vedersi tutelato soltanto con lo strumento della rescissione del giudicato di cui all’art. 625 ter c.p.p., ora art. 629 bis c.p.p., onerante peraltro lo stesso imputato della prova che la sua assenza è dipesa da una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo , nonché pag. 10 che l’impugnazione straordinaria disciplinata dall’art. 629 bis c.p.p., riguarda anche, anzi primariamente, i casi in cui si dimostri che l’assenza, correttamente dichiarata, sia stata determinata da un’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo . 4.2. Così individuate le coordinate ermeneutiche di riferimento, tangibile appare la fallacia della prospettiva prescelta dalla Corte di appello di Venezia che, nell’affermare che la rescissione del giudicato non si applica al caso in cui l’imputato sia stato dichiarato assente avendo eletto domicilio presso il difensore di ufficio, poiché, ai sensi dell’art. 420 bis c.p.p., commi 2 e 3, dall’elezione di domicilio deriva una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a proceder in assenza dell’imputato , ha finito con l’avallare una interpretazione abrogatrice dell’istituto. Erra, del pari, il giudice di merito nell’assumere, sul presupposto, stavolta correttamente enunciato, che la presunzione legale di conoscenza prevista dall’art. 420 bis c.p.p., è superabile solo nel caso in cui l’assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità a comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, che l’istante non aveva, sul punto, speso alcuna argomentazione. La Corte di appello, invero, avrebbe dovuto verificare se le circostanze in fatto dedotte dall’istante, e specificamente compendiate nel secondo motivo di ricorso per cassazione, fossero o meno idonee a configurare in capo ad A. una incolpevole mancata conoscenza del processo se, cioè, le peculiari circostanze in cui era avvenuta l’elezione di domicilio e le relative modalità esecutive avessero fondato nell’odierno ricorrente un ragionevole affidamento circa il fatto che le comunicazioni successive gli sarebbero state recapitate presso la dimora da lui espressamente indicata. 5. Consegue alle superiori considerazioni l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Venezia per un nuovo esame dell’istanza che, libero nell’esito, tenga conto dei rilievi che sono stati sopra formulati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Venezia.