Ai fini dell'attenuante del danno di speciale tenuità rileva anche il patimento subito dalla vittima

In caso di furto in abitazione, ai fini dell’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p., il Giudice dovrà tener conto anche del danno morale subito dalla vittima a causa dell’intrusione nella sua abitazione.

Questo il nuovo principio affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 33504/19, depositata il 24 luglio. Il fatto. La Corte d’Appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Mantova con cui l’imputato veniva condannato per il reato di furto in abitazione aggravato dalla minorata difesa e dall’aver finto di essere un incaricato di pubblico servizio. Contro tale decisione, l’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando l’erronea applicazione dell’art. 62, n. 4, c.p., poiché il danno cagionato rientrava nei parametri per la sua applicazione, e l’errato diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 6, c.p., considerando che prima dell’ammissione al rito abbreviato egli aveva versato 300 euro alla persona offesa, la quale aveva accettato tale somma e rimesso la querela. Il patimento della vittima per l’intrusione nella sua abitazione. La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso. Quanto al primo motivo, la Corte richiama l’orientamento giurisprudenziale in base al quale la circostanza attenuante invocata è oggettiva, dunque il giudice, ai fini della sua applicabilità, dovrà considerare non solo il valore della cosa sottratta, ma anche quello complessivo del pregiudizio derivante dall’azione delittuosa, valutando gli altri danni subiti dalla persona offesa a causa della sottrazione della cosa, qualora essi siano connessi direttamente al reato. A tal proposito, gli Ermellini chiariscono che il danno subito dalla vittima non si valuta facendo esclusivo riferimento alle conseguenze di natura economica, ma anche a quelle derivanti dal patimento che la persona offesa ha subito a causa della violazione del proprio domicilio domestico. Per questo motivo, la Corte di Cassazione dichiara infondata la doglianza del ricorrente e afferma il seguente principio di diritto nel caso di furto in abitazione, ai fini della valutazione circa l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p., il Giudice deve tener conto anche del danno morale legato al patimento della vittima per l’intrusione subita nel proprio domicilio . Il risarcimento del danno. Per quanto riguarda, invece, la lamentata mancata applicazione dell’attenuante ex art. 62, comma 1, n. 6, c.p., gli Ermellini ribadiscono che il risarcimento del danno deve essere integrale, come tale comprensivo anche dei danni morali patiti dalla vittima, oltre che della valutazione circa la corrispondenza tra somma offerta o corrisposta e danno, spettando al giudice la relativa valutazione. La Corte specifica, inoltre, che la norma prevede che la riparazione integrale del danno può avvenire mediante risarcimento e, ove possibile, restituzione, essendo le due azioni tra loro cumulative, e non alternative. In conclusione, la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 giugno – 24 luglio 2019, n. 33504 Presidente Zaza – Relatore Borrelli Ritenuto in fatto 1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 7 dicembre 2017 dalla Corte di appello di Brescia, che ha confermato quella emessa dal Tribunale di Mantova nei confronti di B.A. , condannato in primo grado per il reato di furto in abitazione aggravato dalla minorata difesa e dall’aver simulato la qualità di incaricato di pubblico servizio. Secondo l’assunto accusatorio validato dai giudici di merito, B. , fingendo di essere un incaricato della società erogatrice del gas e di dover effettuare un controllo, si era introdotto all’interno dell’abitazione della persona offesa M.S. classe e si era impossessato del portafogli dell’anziano, sottraendolo dal tavolo del soggiorno ove era collocato. 2. Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato, si compone di tre motivi. 2.1. Il primo motivo deduce l’erronea applicazione della norma di cui all’art. 62 c.p., n. 4 , perché il danno di 200 Euro rientrava nei parametri per la sua applicazione. 2.2. Il secondo motivo postula un error iuris nel diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 6 , dal momento che, prima dell’ammissione al rito abbreviato, l’imputato aveva versato 300 Euro alla persona offesa, che quest’ultima aveva accettato, rimettendo altresì la querela. Non era corretto valorizzare la circostanza che il risarcimento fosse stato già valutato per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, trattandosi di istituti differenti. 2.3. Il terzo motivo di ricorso postula l’illogicità manifesta della motivazione della Corte di appello bresciana laddove aveva negato la valenza satisfattiva integrale, sia del danno materiale che di quello morale, del versamento della somma di 300 Euro e la sua volontarietà, ancorché si trattasse di erogazione effettuata prima dell’ammissione al rito alternativo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo - che si duole della mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 , perché il danno di 200 Euro rientrava nei parametri per la sua applicazione - è manifestamente infondato. 2.1. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la circostanza attenuante invocata ha carattere oggettivo e il Giudice, nel vagliarne l’applicabilità, deve considerare non solo il valore in sé della cosa sottratta, ma anche quello complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della res, allorché essi siano direttamente ricollegabili al reato Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241 - 01 Sez. 4, n. 8530 del 13/02/2015, Chiefari, Rv. 262450 - 01 Sez. 5, n. 7738 del 04/02/2015, Giannella, Rv. 263434 - 01 cfr. anche Sez. U, n. 35535 del 12/07/2007, Ruggiero, Rv. 236914 - 01, in tema di ricettazione . Non rileva che, nell’esegesi sopra richiamata, il riferimento al danno verta quasi esclusivamente ad eccezione che in Rv. 262450 - 01 sulle conseguenze di natura comunque latamente economica subite dalla persona offesa, dal momento che appare corretto il rilievo della Corte distrettuale, che ha posto in luce un aspetto della condotta criminosa, quello derivante dal patimento che la vittima aveva subito per avere visto violato il proprio domicilio domestico, che è coerente con la ratio dell’incriminazione del reato di furto in abitazione, dotato di uno statuto punitivo peculiare e più severo rispetto al furto di cui all’art. 624 c.p., legato alla necessità di una più marcata stigmatizzazione di condotte che, oltre a depredare il patrimonio, violino il domicilio. Ne consegue che può essere affermato il seguente principio di diritto Nel caso di furto in abitazione, ai fini della valutazione circa l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 4 , il Giudice deve tenere conto anche del danno morale legato al patimento della vittima per l’intrusione subita nel proprio domicilio . 2.2. È corretta anche l’altra delle rationes decidendi della pronunzia avversata dal ricorrente, giacché la Corte di appello ha fornito una risposta coerente con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il danno, per essere ricondotto alla nozione richiesta dalla norma invocata, deve essere di valore pressoché irrisorio, sia in sè che quanto alle ulteriori conseguenze che siano discese in capo alla persona offesa Sez. 2, n. 50660 del 05/10/2017, Calvio, Rv. 271695 - 01 Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241 - 01 Sez. 4, n. 8530 del 13/02/2015, Chiefari, Rv. 262450 - 01 . 3. Anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso - che indulgono sul tema della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 6 , - sono inammissibili. Essi, infatti, sono privi di confronto con la sentenza avversata, che aveva valorizzato la necessità che il ristoro concernesse anche il danno morale della vittima, che non è stato ritenuto risarcito con una valutazione che, siccome priva di tratti di manifesta illogicità in quanto correlata ad una condotta che aveva visto violato il domicilio di un anziano a mezzo di uno stratagemma, si sottrae a censure di manifesta illogicità. Da questo punto di vista, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, il risarcimento del danno deve essere integrale, comprensivo, quindi, della totale riparazione di ogni effetto dannoso, ivi compreso il danno morale cagionato alla parte lesa dal reo per ciascuno dei reati commessi, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra somma offerta o corrisposta e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa Sez. 6, n. 6405 del 12/11/2015, dep. 2016, Minzolini, Rv. 265831 - 01 Sez. 2, n. 9143 del 24/01/2013, Corsini e altri, Rv. 254880 - 01 . In particolare, la sentenza Corsini ha precisato che il risarcimento deve essere volontario ed antecedente al giudizio di primo grado e che la riparazione del danno deve essere integrale e, quindi, effettiva. Si è altresì sottolineato come la norma chiarisca che la riparazione integrale del danno deve avvenire mediante il risarcimento e, quando sia possibile, mediante restituzione, inferendone che quest’ultima quando è possibile non è alternativa al risarcimento infatti la norma non usa il disgiuntivo o ma si cumula con il risarcimento come risulta testualmente dalla congiunzione e . 4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. come modificato ex. L. 23 giugno 2017, n. 103 , al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. 13/6/2000 n. 186 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.