Concordato delle parti sulla pena con rinuncia ad alcuni motivi: i poteri-doveri della Corte d’Appello

Alla Corte territoriale, cui sia rivolta la richiesta di concordato sui motivi d’appello, con rinuncia su alcuni di essi ed eventuale determinazione pattizia della pena, è sempre consentito verificare la ricorrenza dei presupposti applicativi degli istituti giuridici coinvolti nel concordato e la congruità della pena indicata dalle parti .

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 31247/19, depositata il 16 luglio. In particolare il GUP del Tribunale, all’esito del giudizio abbreviato, dichiarava l’imputato colpevole dei reati di tentato omicidio e del porto illegale di armi, unificati dal vincolo della continuazione e riconosciuta l’attenuante della seminfermità, lo condannava alla pena di giustizia. La condanna veniva confermata anche dalla Corte d’Appello. L’imputato ricorre così in Cassazione, denunciando violazione di legge, dell’art. 599-bis c.p.p. per aver la Corte territoriale respinto il concordato sulla pena a ragione del mancato integrale versamento della provvisionale. L’accordo raggiunto tra le parti di cui all’art. 599-bis c.p.p Il motivo di ricorso, dunque, investe la decisione di secondo grado di non recepire il concordato sulla pena, raggiunto dalle parti, con rinuncia ai motivi riguardanti il giudizio di responsabilità ad eccezione di quello sul diniego delle attenuanti generiche e alla rideterminazione più favorevole del trattamento punitivo. Ma la Corte d’Appello, nel caso in esame, ha giustificato la propria decisione vista la particolare intensità del dolo. Invero, l’accordo raggiunto tra le parti ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. è sempre soggetto al controllo di legalità sulla pena che si esercita mediante la verifica dei presupposti per l’applicazione degli istituti giuridici che sono coinvolti dal concordato, come ad esempio la definizione giuridica dei fatti oggetto di imputazione, i benefici della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna. Deve, pertanto, escludersi che l’accordo sui motivi vincoli il giudice all’obbligo di accoglierlo e recepirlo in sentenza, così modificando la decisione di primo grado, poiché il tema decidendum resta rimesso al potere-dovere discrezionale di apprezzamento del giudice. Sulla base di tali considerazioni, gli Ermellini affermano il nuovo principio secondo cui, alla Corte d’Appello, cui sia rivolta la richiesta di concordato sui motivi d’appello con rinuncia su alcuni di essi ed eventuale determinazione pattizia della pena, è sempre consentito verificare la ricorrenza dei presupposti applicativi degli istituti giuridici coinvolti nel concordato e la congruità della pena indicata dalle parti . Ne discende da ciò il rigetto del motivo di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 maggio 16 luglio 2019, n. 31247 Presidente Mazzei – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 24 aprile 2018 la Corte di appello di Cagliari confermava la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Cagliari, che in data 14 giugno 2017 all’esito del giudizio abbreviato aveva dichiarato l’imputato Z.P.P. colpevole dei reati di tentato omicidio commesso in danno di L.W. e del porto illegale di un fucile da caccia, unificati per continuazione tra loro, e, riconosciuta la circostanza attenuante della seminfermità, dichiarata prevalente sulla circostanza aggravante del nesso teleologico, lo aveva condannato alla pena di anni sei di reclusione, alle pene accessorie di legge ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, col riconoscimento di una provvisionale in suo favore. 1.1 Il verdetto di colpevolezza riguarda l’aggressione portata la sera del 3 gennaio 2016 in danno del L. dall’imputato, il quale, recatosi nei pressi dell’abitazione dei genitori di quest’ultimo e vistolo all’interno di un’autovettura, col calcio di un fucile aveva infranto il vetro del finestrino del veicolo, gli aveva puntato contro l’arma, gli aveva chiesto se fosse stato lui a danneggiare la sua vettura rompendogli i finestrini, quindi aveva resistito al tentativo del L. di disarmarlo, e gli aveva sparato un colpo che lo aveva attinto all’addome, provocandogli una ferita e la frattura al femore, senza aver potuto proseguire nell’azione per l’intervento del padre del L. che lo aveva soccorso dopo di che lo Z. aveva abbandonato il luogo. I giudici di merito, sulla scorta di quanto riferito dalla vittima e dagli altri testi oculari, nonché della consulenza medico legale, escludevano che il colpo di fucile fosse stato esploso accidentalmente, ravvisavano gli estremi del tentato omicidio ed accertavano il vizio parziale di mente dell’imputato, affetto da disturbo paranoide di personalità con livello intellettivo limite, che ne aveva compromesso grandemente la capacità di intendere e volere e causato la pericolosità sociale. Inoltre, la Corte di appello, pur avendo dato atto che i difensori dello Z. avevano presentato istanza di concordato sulla pena con contestuale rinuncia ai motivi sulla responsabilità, ricevendo il consenso del Procuratore Generale, riteneva incongrua la pena pattuita per il difetto delle condizioni legittimanti l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e l’insufficienza dell’offerta risarcitoria rivolta alla vittima, inferiore nell’importo alla provvisionale liquidata dal primo giudice. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del difensore per chiederne l’annullamento per a violazione ed erronea applicazione dell’art. 599-bis c.p.p. e vizio di motivazione per avere la Corte di appello respinto il concordato sulla pena a ragione del mancato integrale versamento della provvisionale, condizione non pretesa dalla legge senza tener conto che l’inadempimento è dipeso dalla situazione di restrizione dell’imputato, detenuto agli arresti domiciliari in comunità e dalle precarie condizioni economiche dei suoi familiari. b Violazione ed erronea applicazione dell’art. 599-bis c.p.p. e vizio di motivazione l’istituto del concordato in appello, diversamente da quanto previsto per il patteggiamento, non subordina l’accoglimento della istanza alla valutazione discrezionale sull’entità della pena, che è ostacolata soltanto dall’illegalità della pena pattuita. c Violazione ed erronea applicazione dell’art. 62-bis c.p. e vizio di motivazione il diniego delle circostanze attenuanti generiche non ha considerato che la grave patologia psichiatrica dalla quale è affetto l’imputato, è alla base della commissione del reato e che il suo riconoscimento non è incompatibile con l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche nel caso di specie la Corte di appello ha ritenuto sufficiente per il diniego delle predette circostanze il rilievo sulla gravità oggettiva del reato e delle conseguenze pregiudizievoli per la vittima, ma senza assegnare il giusto peso allo stato morboso che affligge l’imputato. d Vizio di motivazione per avere la Corte di appello riproposto totalmente le argomentazioni del primo giudice sulla qualificazione giuridica del fatto, incurante delle contestazioni difensive, con le quali si era dedotto che a tra l’imputato e la vittima non era avvenuta una colluttazione perché i testi non lo avevano riferito, ad eccezione dello stesso L.W. b i tempi dell’azione descritti dai testimoni sono smentiti dai filmati delle telecamere collocate presso l’abitazione del L. c il consulente tecnico Dott. A. aveva escluso fosse possibile stabilire con certezza la natura accidentale o volontaria del colpo di fucile in base alla natura della ferita, mentre il chirurgo Dott. M. aveva accertato che l’angolo di impatto del proiettile era molto acuto e l’area necrotica attorno alla ferita, presumibilmente dovuta ad ustione, indicava l’esplosione del colpo a distanza ravvicinatissima e con la vittima in posizione inclinata. La Corte di appello ha osservato con argomentazioni insufficienti che la mancata descrizione di una colluttazione da parte dei familiari della vittima era dovuta al fatto che costoro si erano concentrati sugli istanti che hanno preceduto lo sparo e non è indicativa della loro inattendibilità, mentre le dichiarazioni del L. che aveva riferito del proprio tentativo di disarmare l’imputato e del fatto che egli prima di sparargli aveva preso la mira, erano state più precise e dettagliate, tanto più che il fatto si era svolto in tempi brevissimi e con forte tensione emotiva dei soggetti coinvolti al contrario, l’assenza di una colluttazione dimostra anche la carenza del dolo omicidiario, come del resto è provato dalla ricostruzione dell’episodio fornita dallo stesso Z. che ha sempre negato di aver voluto uccidere l’avversario, avendo affermato di avere soltanto contrastato la sua azione volta a privarlo dell’arma, che egli aveva trattenuto con la canna rivolta verso il basso, per cui il colpo era partito durante questo contrasto per effetto del movimento involontario del L. . Tale versione dei fatti ed i contrasti emersi nelle deposizioni dei testi, come evidenziati nei motivi di appello, nonché la distanza ravvicinatissima tra i due contendenti, tale da impedire di prendere la mira, non sono stati oggetto di una valutazione globale da parte della Corte di appello. 3. Anche il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Cagliari ha proposto ricorso, col quale ha dedotto a erronea applicazione della legge penale processuale in relazione all’art. 599-bis c.p.p. ed al rigetto dell’istanza di concordato sui motivi di appello, giustificato con la ritenuta incongruità della somma di denaro offerta alla parte civile a ristoro dei danni patiti, condizione non prevista dalla legge e che finisce per discriminare gli imputati non abbienti rispetto a quelli abbienti, favoriti nella possibilità di definizione concordata del processo. b Erronea applicazione della legge penale processuale quanto alla valutazione negativa circa la congruità della pena determinata dalle parti, che è prevista soltanto per il diverso istituto del patteggiamento di cui all’art. 444 c.p.p c Erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 62-bis c.p. per avere la Corte di appello negato le circostanze attenuanti generiche senza tenere nel debito conto la seria malattia psichiatrica dalla quale è affetto l’imputato, causa anche dèl tentato omicidio, sicché tramite le invocate attenuanti la Corte avrebbe potuto adeguare la pena all’effettiva gravità del fatto. d Vizio di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, in contrasto con le risultanze processuali e con la personalità dell’imputato. Considerato in diritto I ricorsi sono entrambi infondati e vanno dunque respinti. 1.1 primi due motivi di ricorso proposti, sia dal P.g., che dall’imputato, investono la decisione della Corte di appello di non recepire il concordato sulla pena, raggiunto dalle parti ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., con rinuncia ai motivi riguardanti il giudizio di responsabilità ad eccezione di quello sul diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla rideterminazione in termini più favorevoli del trattamento punitivo. 1.1 La Corte distrettuale ha giustificato la decisione reiettiva a ragione della particolare intensità del dolo, compatibile anche con la condizione morbosa dell’imputato e della rilevante gravità degli esiti lesivi cagionati nella persona offesa, elementi negativi sufficienti per giustificare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, non smentiti, nè dallo stile di vita improntato al rispetto delle regole ed alla ricerca della propria autonomia economica e sociale, nè dal comportamento processuale, il cui apporto collaborativo è privo di qualsiasi rilevanza a fronte di un quadro probatorio dotato di univoca concludenza. A tali profili si è aggiunta l’insufficienza dell’offerta risarcitoria rivolta alla vittima, incongrua per importo a corrispondere la provvisionale accordatale, frutto di iniziativa tardiva e strumentale, mai preceduta da analoghe proposte. 1.2 La considerazione del percorso motivazionale della sentenza impugnata convince dell’infondatezza della doglianza, che addebita alla Corte di appello il rigetto del concordato sulla pena per il mancato versamento integrale della somma liquidata a titolo di provvisionale, condizione non imposta per legge. In realtà la decisione è stata basata sull’insussistenza dei presupposti per poter riconoscere le circostanze attenuanti generiche e per attenuare il trattamento sanzionatorio. 1.2.1 Al riguardo i ricorrenti pretendono sia negato al giudice di appello il potere di sottoporre al proprio vaglio discrezionale l’apprezzamento sulla congruità della pena che le parti abbiano negoziato, quando la difforme considerazione non sia originata da profili di illegalità della pena, perché diversa per specie o quantità da quella oggetto di previsione normativa nella prospettazione comune, al di fuori di tale limitata evenienza, il concordato dovrebbe essere obbligatoriamente accolto e trasfuso nella sentenza conclusiva del giudizio di appello. 1.2.2 Ad avviso del Collegio la lettura dell’istituto di cui si è invocata l’applicazione non è giuridicamente corretta e non tiene conto delle sue peculiari caratteristiche e del tenore letterale della disposizione che lo regola. Invero, l’accordo raggiunto tra le parti ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., inserito dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, che ha reintrodotto nell’ordinamento la possibilità di negoziare la pena in appello previa rinuncia agli altri motivi, è sempre soggetto al controllo di legalità sulla pena che si esercita mediante la verifica dei presupposti per l’applicazione degli istituti giuridici che sono coinvolti dal concordato, quali la definizione giuridica dei fatti oggetto d’imputazione, gli eventuali elementi circostanziali, i benefici della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna, nonché al vaglio giudiziale sull’adeguatezza e proporzionalità del trattamento sanzionatorio individuato dalle parti. Per come delineato dal legislatore e per la sua funzione deve escludersi che il negoziato sui motivi vincoli il giudice all’obbligo di accoglierlo e recepirlo in sentenza, così modificando la decisione di primo grado, poiché il thema decidendum, come devoluto alla sua cognizione con l’impugnazione, resta sempre rimesso al potere-dovere discrezionale di apprezzamento e di considerazione giuridica del giudice a prescindere dalle concordi determinazioni delle parti, esercitabile anche in riferimento al profilo della congruità della pena dalle stesse indicata rispetto alla sua funzione di strumento di rieducazione del condannato nei limiti di cui all’art. 27 Cost., comma 3. Del resto in termini corrispondenti si era già espressa la giurisprudenza di questa Corte nella vigenza dell’art. 599 c.p.p., comma 4, previsto dal codice del 1988, dichiarato incostituzionale con sentenza n. 435 del 1990 della Corte costituzionale, ripristinato con la L. n. 14 del 1999, nuovamente eliminato con il D.L. n. 92 del 2008, convertito dalla L. n. 125 del 2008 nel periodo di vigenza della disposizione questa Corte ha sempre escluso che la concorde volontà delle parti potesse rappresentare il presupposto di un doveroso adeguamento giudiziale, avendo riconosciuto ampia libertà di apprezzamento discrezionale anche quanto all’entità della pena concordata ed escluso che l’intervento giudiziale potesse esaurirsi in un solo controllo formale o di stampo notarile sez. 6, n. 1869 del 26/10/1992, dep. 1993, Cirillo ed altri, rv. 193779 sez. 4, n. 10600 del 09/05/1991, Villa, rv. 188602 sez. 6, n. 6939 del 05/03/1991, Miracolo, rv. 187673 . La opposta opinione, che ritenesse la decisione vincolata al necessitato accoglimento del negoziato sui motivi, porrebbe profili d’incostituzionalità, perché verrebbe a subordinare l’attività cognitiva del giudice ad un fattore diverso dalla legge in contrasto col disposto dell’art. 101 Cost., comma 2, e ad impedirgli la verifica sulla congruità ed adeguatezza della pena anche in relazione alla sua funzione rieducativa in senso difforme dal precetto dell’art. 27 Cost., comma 3. Si noti che in termini conformi si è pronunciata anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 313 del 2 luglio 1990, allorché ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 444 c.p.p., comma 2, nella parte in cui non prevede che, ai fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost., comma 3, il giudice possa valutare la congruità della pena indicata dalle parti, rigettando la richiesta in ipotesi di sfavorevole valutazione. Per quanto, sia l’abrogato istituto del c.d. patteggiamento in appello, sia il concordato sui motivi di appello siano privi del carattere premiale proprio dell’applicazione della pena a richiesta delle parti, non comportando una riduzione del carico sanzionatorio da infliggere all’imputato, tuttavia le indicazioni ermeneutiche del giudice costituzionale avvalorano la fondatezza dell’interpretazione contraria alle deduzioni difensive. Inoltre, l’art. 599-bis c.p.p., comma 3, stabilisce testualmente che il giudice se ritiene di non poter allo stato accogliere la richiesta, ordina la citazione a comparire in dibattimento ed analogamente l’art. 602 c.p.p., nuovo comma 1-bis prevede che se le parti richiedono concordemente l’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello a norma dell’art. 599-bis c.p.p., quando il giudice ritiene che la richiesta deve essere accolta, provvede immediatamente altrimenti dispone la prosecuzione del dibattimento entrambe le disposizioni riservano al giudice la facoltà di disattendere l’istanza e di disporre la prosecuzione del processo nelle forme ordinarie senza porre limitazioni all’esercizio del relativo potere delibativo. Nè indicazioni contrarie possono trarsi dalla previsione del comma 4, che attribuisce al Procuratore generale presso la Corte di appello il compito di formulare i criteri di massima in grado di guidare le determinazioni che in futuro i magistrati del pubblico ministero sono tenuti ad assumere al fine di esprimere il consenso ad eventuali istanze di concordato sui motivi si tratta di una funzione di orientamento svolta nell’ambito dei poteri di coordinamento e di direzione dell’ufficio requirente, spettanti al suo dirigente, che non si riflette sull’attività cognitiva dei magistrati giudicanti, ma è volta soltanto ad uniformare attraverso la formulazione di linee-guida, cui dovranno attenersi i sostituti procuratori generali, la condotta processuale di costoro. Deve dunque formularsi il seguente principio di diritto alla Corte di appello, cui sia rivolta istanza di concordato sui motivi di appello con rinuncia su alcuni di essi ed eventuale determinazione pattizia della pena, è sempre consentito verificare la ricorrenza dei presupposti applicativi degli istituti giuridici coinvolti nel concordato e la congruità della pena indicata dalle parti . Ne discende il rigetto dei primi due motivi di entrambi i ricorsi perché privi di fondamento. 2. Quanto al terzo motivo del ricorso dello Z. ed al terzo e quarto motivo del ricorso del P.g., che censurano la decisione di non riconoscere le circostanze attenuanti generiche, la sentenza in verifica ha espresso argomentazioni pertinenti e logicamente articolate per giustificare l’opposto diniego, basato sulla gravità del fatto, sull’intensità del dolo e sulla serietà delle conseguenze pregiudizievoli per la vittima. La coerenza intrinseca del percorso giustificativo e la fedeltà ai dati probatori esaminati rendono incensurabile la decisione sul punto, che, al contrario, i ricorrenti vorrebbero annullata in base ad una più favorevole considerazione del caso, preclusa al giudice di legittimità, dovendo riguardare gli aspetti fattuali. Inoltre, la Corte di merito ha già assegnato il rilievo ritenuto adeguato anche al fattore costituito dalla malattia psichiatrica che affligge l’imputato e ha espresso un giudizio conforme all’interpretazione offerta da questa Corte, per la quale la diminuente del vizio parziale di mente è compatibile con una maggiore intensità del dolo che può giustificare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione delle gravi modalità della condotta criminosa sez. 1, n. 43216 del 16/01/2018, Cremona, rv. 274409 sez. 5, n. 19639 del 08/04/2011, Ianiro, rv. 250110 sez. 3, n. 19248 del 07/04/2005, Tiani, rv. 231849 . 3. Con l’ultimo motivo la difesa dell’imputato si duole della confermata qualificazione del fatto come tentato omicidio in base ad argomenti che sono stati tutti respinti in base ad attenta considerazione e ad una disamina da parte della Corte di appello, che risulta compiuta, logica e priva di profili di contraddizione. 3.1 In primo luogo, la Corte ha risolto il tema del denunciato contrasto tra la ricostruzione dell’episodio, fornita dalla parte lesa e quella dei suoi familiari, i quali non avevano descritto la fase della colluttazione tra imputato e loro congiunto, ma soltanto lo sparo, discrasia che dovrebbe convincere per la maggiore attendibilità della rievocazione operata dall’imputato, secondo il quale il colpo di fucile era stato esploso nel corso del contrasto fisico con il L. quando questi aveva deviato verso di sé l’arma nel tentativo di appropriarsene, e per l’assenza di un preciso intento omicidiario. La divergenza segnalata, oltre ad essere stata spiegata a ragione del fatto che in quel frangente così concitato il ricordo dei genitori e della nonna del L. si era concentrato sul fatto saliente dello sparo, più che su quanto lo aveva preceduto, è stata ritenuta non significativa dell’inattendibilità dei testi di accusa, poiché la narrazione operata dal L. era stata sempre puntuale, chiara e costante nel descrivere le due fasi del pur breve episodio la prima quando l’imputato aveva rivolto il fucile contro l’autovettura all’interno della quale egli si era trovato, aveva tentato di infrangerne il finestrino posteriore e poi aveva ingaggiato una breve lotta con il L. , uscito dal veicolo, che aveva tentato di spossessarlo dell’arma, tirandola dalla canna senza riuscirvi la seconda, allorché, respinto l’assalto della vittima e costrettala tra la portiera e la vettura, lo Z. era indietreggiato, aveva appoggiato il fucile sulla spalla e preso la mira, quindi aveva esploso il colpo che l’aveva attinto. Queste medesime modalità dell’azione sono state puntualmente riferite anche dai di lui genitori, i quali però non hanno descritto il particolare dell’appoggio dell’arma alla spalla nell’atteggiamento tipico del cacciatore, che rende così più stabile e precisa la mira. 3.2 Anche la compatibilità tra i tempi dell’azione precisati dai testi e la durata dell’episodio come filmato dalle telecamere è stata apprezzata dalla Corte di appello, per la quale i dichiaranti non avevano potuto rievocare l’accaduto in termini di assoluta precisione e si erano affidati alla loro percezione soggettiva del tempo, condizionata dalla drammaticità e dalla concitazione del momento, il che rende plausibile un ricordo approssimativo e non perfettamente corrispondente alla durata del filmato. Si tratta di un giudizio di fatto, puntualmente motivato, come tale insuscettibile di censura nel giudizio di legittimità. 3.3 Gli esiti della consulenza tecnica medico-legale circa la eguale compatibilità della lesione riportata dal ferito, tanto con un gesto volontario, quanto con un evento accidentale, sono stati ritenuti non in grado di smentire la tesi accusatoria, che postula la deliberata direzione dello sparo da parte dello Z. , esperto cacciatore, verso l’addome della vittima con traiettoria dall’alto verso il basso e con acuta angolazione del punto di impatto del proiettile, indicativa della posizione inclinata in cui si era trovato l’aggredito per l’assunzione di atteggiamento di difesa, orientato a fronteggiare un pericolo molto ravvicinato. La conclusione raggiunta in sentenza circa l’aderenza ai dati probatori della ricostruzione degli eventi e della qualificazione giuridica dei fatti quale tentato omicidio, già operata dal primo giudice, è dunque stata puntualmente giustificata anche in riferimento alle censure difensive, respinte con rilievi congrui, pertinenti e perfettamente logici e col richiamo dei principi giurisprudenziali sul percorso metodologico di individuazione dell’elemento soggettivo del dolo. Al riguardo, ha osservato che l’utilizzo di un mezzo micidiale quale un fucile a pallettoni, l’ampia dotazione di munizioni con la quale questo era stato caricato dopo l’apposito prelievo dalla cassaforte di casa, lo sparo a distanza molto ravvicinata, l’orientamento, non verso un arto, ma verso l’addome, zona del corpo sede di organi vitali, il movente ritorsivo e punitivo nutrito nei confronti di soggetto al quale l’imputato aveva addebitato il danneggiamento della propria vettura ed altri atti molesti costituiscono indici univoci e coerenti della volontà di uccidere l’antagonista e non soltanto di ferirlo. In tal modo la Corte di appello ha offerto corretta applicazione all’insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità, per la quale nei casi come il presente, in cui manchino esplicite ammissioni da parte dell’imputato, la volontà omicida va indirettamente ricavata mediante un procedimento inferenziale, analogo a quello indiziario, partendo da elementi esterni e di accertata verificazione, ossia da elementi della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità semantica, grazie a massime di esperienza, rivelino il fine perseguito dall’agente. A tal fine possono assumere valore determinante per l’accertamento della sussistenza dell’”animus necandi , ad esempio, il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpi. Tale valutazione, esito di un’indagine di fatto, non censurabile nel giudizio di legittimità se congruamente motivata, si risolve nella prognosi formulata ex post con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento dell’azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili nel caso specifico sez. 1, n. 30466 del 10/7/2011, Miletta ed altro, rv. 251014 sez. 3, n. 639 del 24/11/2011, PM in proc. Marrocolo ed altri, rv. 252136 sez. 1, n. 39293 del 23/9/2008, Di Salvo, rv. 241339 sez. 1, n. 3185 del 10/2/2000, Stabile, rv. 215511 . La sentenza impugnata ha rispettato i principi illustrati, nonché la distinzione tra la fattispecie di lesioni personali e quella di tentato omicidio, incentrata sul diverso atteggiamento psicologico dell’agente e sulla differente potenzialità dell’azione lesiva nel primo reato l’azione esaurisce la sua carica lesiva nell’evento prodotto, mentre nel secondo vi si aggiunge un quid pluris che, eccedendo l’evento realizzato, tende ed è idoneo a cagionare un esito ulteriore e più grave in danno dello stesso bene giuridico o di un bene giuridico superiore dello stesso soggetto, senza però poter sortire il risultato perseguito per ragioni estranee alla volontà dell’agente. Il giudizio così espresso risulta incensurabile in questa sede perché accurato, plausibile ed aderente ai dati fattuali disponibili, mentre il ricorso dell’imputato ripete deduzioni già smentite dagli argomenti richiamati. Per le considerazioni svolte entrambi i ricorsi vanno respinti con la conseguente condanna dello Z. al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna Z.P.P. al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in favore della parte civile L.W. delle spese sostenute nel presente giudizio, che liquida nella complessiva somma di Euro 4.000,00, oltre c.p.a. ed i.v.a. come per legge, disponendone il pagamento a favore dello Stato.