Salute peggiorata per il detenuto, niente differimento della pena

Respinta la richiesta di posticipare l’esecuzione della pena alla luce dell’aggravamento delle condizioni del detenuto. Quest’ultimo è ora costretto su una sedia a rotelle, a seguito di gravi problemi di deambulazione, e deve combattere anche con le barriere architettoniche presenti in carcere. Ciò nonostante, per i Giudici non si può parlare di detenzione degradante”.

Niente differimento della pena per il detenuto che ha visto aggravarsi le proprie condizioni di salute ed è costretto addirittura su una sedia a rotelle. Quest’ultimo dato, in particolare, non è sufficiente, secondo i giudici, per considerare disumano” il trattenimento in carcere Cassazione, sentenza n. 30958/19, sez. I Penale, depositata oggi . Problemi. Negativo per l’uomo costretto dietro le sbarre è già il pronunciamento del Tribunale di sorveglianza, pronunciamento con cui viene respinta l’ipotesi della concessione di un differimento della pena alla luce delle sue difficili condizioni di salute. In sostanza, per il magistrato non vi è una prognosi infausta quoad vitam , né la possibilità di giovarsi di trattamenti non fruibili all’interno della struttura , né, infine, l’ipotesi di una pena contraria al senso di umanità pur a fronte dei gravi problemi del detenuto, colpito da poliomelite all’arto inferiore sinistro epatopatia ipertensione e cardiopatia ischemica post infarto sindrome ansioso-depressiva e costretto su una sedia a rotelle. E in questa ottica è ritenuta decisiva la relazione della ‘Unità di Medicina’ interna alla struttura penitenziaria in quella documentazione sono riportate le condizioni di salute dell’uomo e la sua richiesta di trasferimento presso un altro istituto privo di barriere architettoniche , ma per il magistrato non vi sono i presupposti per il differimento della pena , poiché il detenuto si presenta in condizioni di salute compatibili con la restrizione carceraria in atto . Barriere. Prontamente contestato in Cassazione il provvedimento del Tribunale di sorveglianza. Ma il ricorso proposto dall’avvocato del detenuto si rivela inutile. Il legale ritiene priva di senso la decisione con cui viene negato al suo cliente il differimento della pena , e in questa ottica ne evidenzia l’aggravamento delle condizioni di deambulazione con conseguente obbligo per lui di utilizzare una sedia a rotelle . A fronte di questi elementi, per il legale è lapalissiano che la detenzione a cui è sottoposto il suo cliente è contraria al senso di umanità , anche considerando che la presenza di barriere architettoniche in carcere ne impedivano la partecipazione alle attività quotidiane previste per tutti i detenuti. Queste considerazioni non convincono però i giudici della Cassazione, che confermano la decisione del Tribunale di sorveglianza e respingono l’ipotesi di un differimento della pena per il detenuto. Per quanto concerne lo stato di salute dell’uomo, viene evidenziato dai magistrati che alla luce degli accertamenti clinici e sanitari si è appurata la compatibilità dello stato detentivo con le condizioni di salute dell’uomo e si è accertato che l’eventualità di cure specialistiche potrebbe essere risolta con l’accesso a strutture sanitarie . In sostanza, i problemi di salute lamentati dall’uomo non permettono di parlare di assoluta incompatibilità con la restrizione carceraria . Allo stesso tempo, però, viene preso in esame anche il peggioramento nella deambulazione con conseguente uso di una sedia a rotelle da parte del detenuto . Ebbene, per i giudici questa condizione di evidente difficoltà non permette di parlare contrarietà al senso di umanità nell’esecuzione della pena . Detto in maniera chiara, non è la mera condizione di soggetto che necessita di una sedia a rotelle a rendere disumana la detenzione in carcere . A maggior ragione, poi, quando, come in questo caso, si sono assunte tutte le condizioni e le determinazioni che all’interno della struttura penitenziaria possono offrire al detenuto una realtà di restrizione conforme al senso di umanità , concludono i giudici.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 febbraio – 15 luglio 2019, n. 30958 Presidente Tardio– Relatore Cairo Ritenuto in fatto e in diritto 1. Il Tribunale di sorveglianza dell'Aquila, con ordinanza in data 30/1/2018 depositata il successivo 1/2/2018 , respingeva l'istanza avanzata nell'interesse di Es. Ro., di differimento della pena ai sensi dell'art. 147 cod. pen. e quella in subordine, finalizzata ad ottenere il beneficio di cui all'art. 47-ter comma 1-ter legge 26 luglio 1975, n. 354. Osservava che l'esito dell'istruttoria svolta non aveva consentito di ritenere sussistenti i presupposti di cui all'art. 147 n. 2 cod. pen. Ciò perché non ricorreva né un'ipotesi di cd. prognosi infausta quoad vitam, né la possibilità di giovarsi di trattamenti di cui non avrebbe potuto fruire all'interno della struttura né, infine, l'ipotesi di una pena che, per le gravi condizioni di salute, sarebbe risultata contraria al senso di umanità. Nella specie, richiamando la relazione della Unità di medicina interna alla struttura penitenziaria, si erano riportate le condizioni di salute e la richiesta di trasferimento presso altro istituto privo di barriere architettoniche. Si trattava di una condizione, dunque, che non avrebbe legittimato, secondo il Giudice territoriale, la sospensione dell'esecuzione, risultando l'Es., contrariamente a quanto dedotto, in condizioni di salute compatibili con la restrizione carceraria in atto. 2. Ricorre per cassazione Es. Ro., a mezzo del difensore di fiducia, e lamenta la violazione di legge e degli artt. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354 e 147 cod. pen. in particolare. Erronea era stata la decisione di non concedere il beneficio di cui all'art. 147 cod. pen. e di imporre all'Es. la detenzione carceraria. La mancata sospensione era stata fondata sulla relazione del responsabile dell'U.O. di medicina penitenziaria della casa circondariale di Chieti. L'aggravamento delle condizioni di deambulazione e l'utilizzo di una sedia a rotelle rendevano, specie nella struttura di Chieti, la detenzione dell'Es. contraria al senso di umanità. La presenza di barriere architettoniche ne impedivano la partecipazione alle attività quotidiane. L'infermità grave si sarebbe dovuta valutare alla luce di considerazioni relative alla qualità dell'assistenza fornita dall'istituto penitenziario di assegnazione, alle individuate scelte terapeutiche, ai rimedi indicati dai clinici e alle possibilità di giovamento che il richiedente avrebbe potuto trarre in concreto dalla sospensione. 3. Il ricorso è inammissibile in quanto non deduce vizi di legittimità, ma si risolve in una censura del merito delle valutazioni con cui il Tribunale di sorveglianza ha respinto la richiesta di differimento dell'esecuzione della pena. Lo stato morboso del condannato può, invero, legittimare il differimento dell'esecuzione della pena a fronte di una prognosi infausta quoad vitam e là dove il soggetto possa giovarsi in libertà di trattamenti clinico-sanitari dei quali al contrario non può godere nella congiuntura della restrizione ovvero nei casi in cui le sue condizioni cliniche siano di tale gravità che l'espiazione della pena si riveli contraria al senso di umanità. Ciò posto deve, altresì, evidenziarsi che mentre il differimento obbligatorio ex art. 146 cod. pen. prescinde dal pericolo di recidiva quello di cui all'art. 147 cod. pen. facoltativo richiede che non ricorra condizione siffatta e, in primo luogo, pericolo di commissione di altri delitti. Il provvedimento impugnato fa corretta applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza ed è immune dai vizi denunciati. La motivazione rielaborando gli elementi di fatto ritratti anche dagli accertamenti clinici e sanitari, ha evidenziato, da un lato, la compatibilità dello stato detentivo con le condizioni di salute del ricorrente, dall'altro, che l'eventualità di cure specialistiche potrebbe essere risolta attraverso l'intervento ex art. 11 legge 26 luglio 1975, n. 354 con accesso a strutture sanitarie. Il Tribunale di sorveglianza ha preso in considerazione le patologie da cui risulta affetto l'istante esaminando gli esiti della poliomielite all'arto inferiore sinistro, l'epatopatia, l'ipertensione e la cardiopatia ischemica post infartuale, oltre alla sindrome ansioso-depressiva ed ha escluso l'incompatibilità assoluta con la restrizione carceraria, così indicando l'insussistenza dei presupposti per adottare un differimento facoltativo dell'esecuzione della pena ex art. 147 comma 1 n. 2 cod. pen. In questa logica si è anche tenuta presente la condizione di peggioramento nella deambulazione che avrebbe imposto l'uso di una sedia a rotelle da parte del detenuto, così incrementando il monitoraggio e la sottoposizione a visite, che non potrebbe, in condizione diversa dalla restrizione, essere maggiore o differente. Non ricorre neppure la contrarietà al senso di umanità dell'esecuzione della pena. Non è, infatti, la mera condizione di soggetto che necessita di una sedia a rotelle a rendere detta condizione ipso facto contraria ad una esecuzione conforme al principio di cui all'art. 3 Cedu. In questa ottica, invero, si sono assunte tutte le condizioni e le determinazioni che all'interno della struttura penitenziaria possono offrire all'istante una realtà di restrizione conforme all'indicato senso di umanità. Il ricorso, pertanto, anche sul punto risulta decisamente generico e privo di specifiche doglianze in ordine alla invocata condizione legittimante il differimento invocato. Le critiche, allora, in cui si sviluppano i motivi di ricorso, a ben vedere, si innestano complessivamente su una valutazione immune da censure e che attiene al puro merito della decisione, non sindacabile in sede di legittimità. All'inammissibilità dell'impugnazione, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di cause di esonero, al versamento della somma di Euro 3000 alla cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.