Il sequestro di somme affluite sul conto corrente dopo la commissione del reato o l’esecuzione del decreto

La Suprema Corte fornisce chiarimenti circa la possibilità di estendere l’oggetto della misura cautelare anche a somme affluite sui conti correnti sequestrati in un momento successivo alla commissione del reato ovvero all’esecuzione del decreto di sequestro.

Questo il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 30414/19, depositata il 10 luglio. Il caso. Il Tribunale di Roma rigettava la richiesta di riesame avanzata dall’imputato contro il sequestro preventivo emesso dal GIP ai sensi degli artt. 321 c.p.p. e 12- bis , d.lgs. n. 74/2000, finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dell’imputato e alla confisca diretta nei confronti della società di cui lo stesso era amministratore unico, per via del reato di cui all’art. 2 del decreto citato. L’imputato propone ricorso per cassazione avverso il suddetto provvedimento, lamentando, tra i diversi motivi, l’illegittima estensione del vincolo cautelare anche alle somme pervenute sui conti della società a seguito dell’emissione del decreto di sequestro, poiché tali somme non rientrerebbero nella nozione di profitto del reato. L’estensione del vincolo cautelare a quali condizioni?. La Corte di Cassazione dichiara fondato il motivo di ricorso prospettato dal ricorrente, richiamando i principi enunciati dalle Sezioni Unite in tema di estensione del vincolo cautelare anche alle somme pervenute nei conti societari dopo l’emissione del decreto di sequestro. Gli Ermellini richiamano, in particolare, il principio in base al quale se il profitto del reato è costituito da denaro non più fisicamente identificabile è sempre legittimo il sequestro preventivo volto alla confisca diretta delle somme di denaro corrispondenti attribuibili all’indagato, senza la necessità di dimostrare il nesso di derivazione dal reato, considerando che tali somme sono presenti sui conti o sui depositi nella disponibilità diretta o indiretta dello stesso al momento della commissione ovvero dell’accertamento dell’illecito. La stessa forma di sequestro è legittima anche sulle somme di corrispondente valore accreditate sugli stessi conti o depositi in epoca posteriore alla commissione o all’accertamento del reato, purché venga provata la loro derivazione, anche indiretta, dall’illecito. Le Sezioni Unite hanno altresì affermato che la natura fungibile del denaro non è sufficiente a qualificare come profitto del reato l’oggetto del sequestro, essendo necessario dimostrare che la disponibilità delle somme successivamente sequestrate costituisca un risparmio di spesa risultante dal mancato versamento dell’imposta. Alla luce di tali principi, risulta chiaro che la questione oggetto del ricorso concerne la legittimità dell’estensione degli effetti del sequestro alle somme suddette e, dunque, l’individuazione dell’oggetto della misura cautelare. In tale prospettiva, infatti, il vincolo cautelare colpirebbe somme che risultano percepite in maniera cronologicamente scollegata con il reato commesso, assumendo rilievo la prova che la disponibilità delle somme, poi sequestrate, costituiscano un risparmio di spesa conseguente alla commissione del reato tributario. Per questi motivi, in ossequio ai principi sopra enunciati, gli Ermellini annullano l’ordinanza impugnata e rinviano gli atti al Tribunale di Roma.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 maggio – 10 luglio 2019, n. 30414 Presidente Sarno – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 03/01/2019, il Tribunale di Roma rigettava la richiesta di riesame, proposta nell’interesse di I.G. , avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 321 c.p.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di I.G. ed alla confisca diretta nei confronti della società STI s.r.l., della quale I.G. era amministratore unico, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione I.G. , a mezzo del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati. Il ricorrente deduce violazione di legge in relazione all’art. 321 c.p.p., art. 322 ter c.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, e vizio di motivazione. Argomenta che il fumus dei reati contestati era insussistente e che, la ricostruzione fornita dall’imputato, comunque smentita dalle risultanze documentali, consentiva di ipotizzare la diversa condotta di utilizzo di fatture false sotto il profilo soggettivo inoltre, era illegittima l’estensione del vincolo cautelare anche alle somme pervenute sui conti della società dopo l’emissione del decreto di sequestro, in quanto ciò che affluiva dopo la disposizione del vincolo non poteva ontologicamente rientrare nella nozione di profitto del reato infine, era stato erroneamente disposto nei confronti della società il sequestro preventivo per equivalente, come specificamente indicato nel dispositivo del decreto di sequestro. Chiede, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti appresso precisati. 2.La censura avente ad oggetto la contestazione del fumus commissi delicti è inammissibile, risolvendosi essenzialmente nella formulazione di rilievi in fatto concernenti la motivazione del provvedimento impugnato che, alla luce dei principi di diritto affermati da questa Corta in subiecta materia, non è consentito proporre in questa sede. Va ricordato, infatti, che, a norma dell’art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 . 3. Inammissibile perché generica è, poi, la censura relativa alla erronea qualificazione da parte del Tribunale del sequestro operato nei confronti della società come sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro presente sui conti correnti della stessa e direttamente riconducibile al profitto del reato tributario. 4. È, invece, fondata la censura avente ad oggetto la estensione del vincolo cautelare anche alle somme pervenute sui conti della società dopo l’emissione del decreto di sequestro. 4.1.Va ricordato che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la sentenza n. 10561/2014, Gubert, hanno affermando che è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto o beni direttamente riconducibili al profitto sia nella disponibilità di tale persona giuridica. Costituisce, inoltre, insegnamento di questa Suprema Corte, in tema di reati tributari, che il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036 Sez. 3, n. 11836 del 04/07/2012, Bardazzi, Rv. 254737 Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, Mazzieri, Rv. 253480 e, con specifico riferimento al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, Sez.3, n. 1820 del 27/11/2013, dep.17/01/2014, Rv.257918 più in generale, sulla riconducibilità al profitto del risparmio di spesa, Sez. U, n. 38343, n. 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261117 . Questa Suprema Corte ha, inoltre, affermato che qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato proprio la natura fungibile del bene, che si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, è tale da perdere - per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo - qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica, rende superfluo accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita ciò che rileva , proseguono le Sezioni Unite, è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci 4.2. Nel solco dei principi elaborati dalle Sezioni Unite, è stato, poi, ulteriormente precisato che la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario dell’imputato, ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell’illecito e tanto in senso esattamente corrispondente, seppure a contrario, al principio enunciato dalle SU Lucci, perché, ove si abbia la prova che le somme non possano proprio in alcun modo derivare dal reato, le stesse neppure possono, evidentemente, rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte ovvero, in altri termini del risparmio di imposta nel quale la giurisprudenza ha costantemente identificato il profitto dei reati tributari , e, quindi, non sono sottoponibili a sequestro difettando in esse la caratteristica di profitto, pur sempre necessaria per potere procedere, in base alle definizioni e ai principi di carattere generale, ad un sequestro in via diretta cfr Sez.3,n. 8995 del 30/10/2017, dep.27/02/2018, Rv.272353 Sez.3, n. 41104 del 12/07/2018, Rv.274307 . Ed è stato anche precisato che è illegittima l’apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio dell’imputato in base ad un titolo lecito, ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, laddove non risulti provato che tali somme siano collegabili, anche indirettamente, all’illecito commesso tanto alla luce del principio di diritto enucleabile dalla sentenza S.U. Lucci, da intendersi nel senso che, nell’ipotesi in cui il profitto del reato sia consistito in una somma di denaro, la confisca diretta possa legittimamente avere ad oggetto un importo di pari entità comunque presente nei conti bancari o nei depositi nella disponibilità dell’autore del reato, purché si tratti di denaro già confluito nei conti o nei depositi al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento solo in tali ipotesi è possibile ragionevolmente sostenere che il denaro è sequestrabile e poi confiscabile in via diretta come profitto accrescitivo, dunque indipendentemente da ogni verifica in ordine al rapporto di concreta pertinenzialità con il reato, perché tale relazione è considerata in via fittizia sussistente proprio per effetto della confusione del profitto concretamente conseguito con tutte le altre disponibilità economiche del reo è stato, quindi, affermato il seguente principio di diritto laddove il profitto del reato sia costituito da denaro non più fisicamente identificabile è sempre legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, senza che sia necessaria la dimostrazione del nesso di derivazione dal reato, delle somme di denaro di valore corrispondente che siano attribuibili all’indagato, cioè che siano presenti sui conti o sui depositi nella disponibilità diretta o indiretta dell’indagato al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento la medesima forma di sequestro è legittima anche sulle somme di valore corrispondente accreditate su quei conti o su quei depositi in epoca posteriore al momento della commissione o dell’accertamento del reato, purché si tratti di numerarlo che risulti dimostrato essere in qualche modo collegabile al reato, perciò allo stesso legato da un rapporto di derivazione anche indiretta Sez. 6, n. 6816 del 29/01/2019, Rv. 275048 . Ed ancora, si è affermato, che la natura fungibile del denaro non è sufficiente per qualificare come profitto del reato l’oggetto del sequestro, essendo necessario anche provare che la disponibilità delle somme, successivamente sequestrate, costituisca un risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell’imposta Sez.3, n. 6348 del 04/10/2018, dep. 11/02/2019, Rv. 274859 . 4.3. Alla luce dei suesposti principi di diritto, va, quindi, rilevato che, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza impugnata, la questione relativa alla estensione dell’oggetto della misura cautelare anche a somme affluite sui conti correnti in sequestro in momento successivo alla commissione del reato o in momento successivo alla data di esecuzione del decreto, non attiene alla fase esecutiva della misura ma concerne la legittimità dell’estensione degli effetti del sequestro a tali somme e, quindi, la stessa individuazione dell’oggetto della misura cautelare reale. Il vincolo cautelare, infatti, verrebbe a colpire somme che risultano percepite in maniera cronologicamente scollegata con l’illecito commesso e, dunque, per poter essere qualificate come profitto accrescitivo, cioè come disponibilità monetaria accresciuta in conseguenza del profitto del reato, assume rilievo la prova che la disponibilità delle somme, successivamente sequestrate, costituiscano un risparmio di spesa conseguito a seguito della commissione del reato tributario. 4.5. S’impone, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma, che si atterrà ai principi di diritto suesposti. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.